Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5325 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5325 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6358/2016 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA)
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. TOSCANA n. 1439/2015 depositata il 03/09/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
A seguito di una segnalazione dell’Amministrazione fiscale francese relativa alla detenzione di disponibilità finanziarie presso un istituto bancario svizzero, la RAGIONE_SOCIALE effettuava una verifica con accesso presso l’abitazione della signora NOME COGNOME.
La contribuente, che non svolge né svolgeva attività imprenditoriale o di lavoro autonomo, giustificava le movimentazioni verificate, salvo, secondo i verbalizzanti, taluni accrediti registrati nel corso dell’anno 2006 su conti correnti italiani – detenuti presso Banca Monte dei Paschi di Siena, Banca Intesa e Poste Italiane – per complessivi euro 150.000, che la signora COGNOME imputava alla restituzione di un prestito infruttifero a suo tempo concesso al professionista di fiducia, rag. NOME COGNOME.
Il processo verbale di constatazione del 22 novembre 2011 era seguito, in data 28 dicembre 2011, dalla notifica di avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, facendo propri i rilievi dei verbalizzanti, invocava la presunzione di cui all’art. 32 DPR n. 600/1973 e, ritenuto il rapporto debitorio non provato e dunque inidoneo a fornire la prova contraria posta a carico della contribuente, recuperava a tassazione quali ‘redditi diversi’ gli importi non giustificati.
NOME COGNOME impugnava l’avviso di accertamento, ma le ragioni della contribuente non venivano apprezzate nei gradi di merito.
La contribuente ricorre, con sei motivi, avverso la sentenza indicata in epigrafe della CTR Toscana.
L’Amministrazione ha depositato foglio di costituzione per l’eventuale discussione in udienza pubblica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia, con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione dell’art. 12, comma 7 della L. 212/2000, anche in relazione al principio di ripartizione dell’onere della prova in ragione della vicinanza del fatto da provare, nonché ai principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente».
Afferma che la pronuncia impugnata sarebbe illegittima per violazione dell’art. 12, comma 7 della L. 212/2000, per non aver ravvisato l’eccepita nullità dell’avviso di accertamento benché il medesimo fosse stato pacificamente emesso il 28 dicembre 2011, ossia ben prima che fosse decorso il termine dilatorio di 60 giorni contemplato dalla norma citata, decorrente dal 22 novembre 2011, data di consegna del processo verbale di constatazione.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, sempre con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la « Violazione, sotto un ulteriore profilo, dell’art. 12, comma 7, della L. 212/2000, per avere la Commissione regionale escluso che l’inosservanza del termine dilatorio ex art. 12, comma 7 cit. comportasse l’invalidità dell’avviso di accertamento nel caso, e per il solo fatto, che la contribuente aveva affermato nel corso del controllo di non essere in grado di giustificare i rilievi dei verificatori».
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione dell’art. 2719 c.c., anche in relazione all’art. 2704, ultimo comma, c.c., nonché al principio di prudente apprezzamento delle prove ex art. 116, comma 1, c.p.c., in merito alla disconosciuta attendibilità della copia della quietanza di pagamento, benché la relativa conformità all’originale fosse stata autenticata da pubblico ufficiale ‘.
Con il quarto motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , l’«Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ossia la circostanza che la quietanza di pagamento prodotta in giudizio era stata autenticata da un pubblico ufficiale».
Con il quinto motivo si denuncia , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione dell’art. 2719 c.c. nonché degli artt. 2702 e 2703 c.c. anche in relazione al principio del prudente apprezzamento delle prove ex art. 116, comma 1, c.p.c., in merito alla disconosciuta attendibilità probatoria della copia
dell’atto di riconoscimento di debito del 30 aprile 1999, benché la relativa data e sottoscrizione fossero stati autenticati da pubblico ufficiale».
Con il sesto motivo la contribuente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , l’«Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ossia che gli assegni prodotti in copia fotostatica nel giudizio di appello per dar prova della restituzione del prestito già concesso dalla contribuente avevano natura di assegni circolari intestati alla signora COGNOME e che, su conto corrente sul quale il debitore (rag. COGNOME) aveva procura ad operare, risultavano addebitati importi corrispondenti ed in date compatibili – a quelli di tali assegni».
I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, sono fondati.
In primo luogo costituisce circostanza pacifica che l’avviso di accertamento de quo sia stato emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, l. n.212/2000, come emerge dalla sentenza di appello.
È anche dato certo che la verifica in questione sia iniziata circa otto mesi prima dell’emanazione del p.v.c., in data 21 marzo 2011, con l’accesso autorizzato al domicilio della contribuente, come si legge a pag. 1 del p.v.c., prodotto nel primo grado di giudizio come all. 1 al ricorso e richiamato dalla ricorrente in ossequio all’autosufficienza.
Appare opportuno rilevare che il comma 7 dell’art. 12 della legge n. 212/2000, dispone: «7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere
emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
10.1. Questa Corte regolatrice, invero, ha avuto ripetutamente occasione di pronunciarsi in materia di omesso rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, ed ha raggiunto un orientamento ormai consolidato che le argomentazioni proposte in questo giudizio dalla ricorrente non inducono a modificare.
10.2. In particolare si è detto che la norma in questione deve essere interpretata nel senso che «l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per s é , salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus , poiché detto termine e posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio» (Cass. S.U. n. 18184/2013; conf., tra le molte, Cass n. 27623/2018; Cass. n. 15843/2020; Cass. n. 23223/2022; Cass. n. 21517/2023).
10.3. Infine, con recente pronuncia (Cass. n. 21517/2023 cit., richiamata da Cass. n. 584/2024), questa Corte ha precisato che la garanzia di tutela del contribuente assicurata mediante il
termine dilatorio in questione non ammette equipollenti, non potendo essere sostituita da un contraddittorio più o meno lungo ed intenso svoltosi tra le parti. Il termine è stato ritenuto necessario dal legislatore per garantire alla parte, alla conclusione delle indagini svolte presso di lui, un periodo di tempo utile per riesaminare i dati raccolti dai verificatori e determinarsi sulla sua successiva condotta, e rimane pertanto indifferente alle vicende che si sono compiute nelle fasi preliminari.
10.4. Di conseguenza, qualora il termine sia stato violato, e l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, ciò comporta la nullità insanabile dell’atto impositivo notificato prima della decorrenza del termine, indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato.
Nel caso di specie i giudici di appello non si sono conformati ai richiamati principi, avendo ritenuto configurabile il requisito dell’urgenza ad emettere l’avviso di accertamento prima del decorso
dei requisiti 60 giorni esclusivamente in ragione dell’ approssimarsi del termine decadenziale per la sua emissione (v. sent. pag. 3).
Pertanto, assorbiti i restanti motivi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 07/02/2024.