Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16195 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16195 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
accertamento di un maggior valore del bene, e che non vertendosi di un tributo armonizzato e non essendo previsto uno specifico obbligo del contraddittorio endoprocedimentale non sussisteva la violazione di detto obbligo, tenuto peraltro conto che la società appellata aveva già comunicato alla Guardia di Finanza le proprie osservazioni, le quali erano state inserite nel processo verbale di contestazione e che la contribuente non aveva, in ogni caso, specificato le ragioni che, per il mancato contraddittorio, non aveva potuto far valere;
l’avviso fosse stato ritualmente notificato tramite messo speciale autorizzato dall’ufficio con atto del direttore n. 8 e che nel corso del giudizio di primo grado era stato anche prodotto il provvedimento di delega del direttore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
i beni aziendali considerati dalla Guardia di Finanza avessero carattere funzionale rispetto all’esercizio dell’attività di impresa e che corretto fosse il valore del ramo di azienda determinato in 820.000,00 €, come emergente dal dettaglio del valore attribuito ai singoli beni, tenendo altresì conto che con atto del 23 giugno 2014 la RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato la totalità RAGIONE_SOCIALE partecipazioni della RAGIONE_SOCIALE dietro la corresponsione del prezzo di 1.000.000.000,00 €.
RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione avverso detta sentenza, con atto notificato in data 6 aprile 2020, articolando dieci motivi di impugnazione.
L’RAGIONE_SOCIALE notificava in data 22 giugno 2020 controricorso, con cui chiedeva il rigetto dell’impugnazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione, la ricorrente ha dedotto in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 7 e 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché dell’art. 3 della legge 7 agosto 1992, n. 241, reputando insufficiente il mero richiamo operato dall’avviso impugnato al processo verbale di constatazione, in ragione della mancata acquisizione al procedimento della memoria presentata dalla contribuente.
Con la seconda censura l’istante ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., sempre la violazione degli artt. 7 e 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché dell’art. 3 della legge 7 agosto 1992, n. 241, osservando che la Commissione aveva errato nel considerare la doglianza relativa alle violazioni suindicate disposizioni come relative semplicemente alla mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, laddove la contestazione riguardava il difetto di motivazione per relazionem dell’atto impugnato, non avendo l’Ufficio acquisito al procedimento e, quindi, preso in considerazione le osservazioni di parte.
Con la terza doglianza la contribuente ha denunciato, sempre con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., la violazione dei medesimi artt. 7 e 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nonchè dell’art. 3 della legge 7 agosto 1992, n. 241, per non aver la Commissione tenuto in debito conto dell’eccezione avanzata dalla parte del corso del giudizio, secondo cui la mancata acquisizione al procedimento RAGIONE_SOCIALE osservazioni presentate dall’istante nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini della Guardia di Finanza costituiva grave violazione dei principi di collaborazione tra amministrazione e contribuente.
Con il quarto motivo di impugnazione la società ha rimproverato alla Commissione, con riguardo al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, per non avere l’RAGIONE_SOCIALE atteso i sessanta giorni per l’emanazione dell’atto, senza motivare la sussistenza RAGIONE_SOCIALE condizioni di particolare e motivata urgenza che avevano suggerito la sua emanazione prima del suddetto termine, precisando sul punto che lo stesso non poteva ritenersi rispettato, anche se il contribuente aveva ricevuto l’avviso dopo il decorso dei 60 giorni, perché già con l’emissione del provvedimento era stato consumato il potere impositivo dell’amministrazione.
Con la quinta ragione di contestazione, l’istante s’è doluto, ancora una volta in base al canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 1, lett. d ), e 77 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, eccependo la tardività dell’avviso e, quindi, la decadenza dall’esercizio del potere impositivo, non potendo l’operazione oggetto di contestazione essersi realizzata alla data (1° luglio 2013) indicata nell’avviso, dovendosi, invece -a tutto voler concedere -considerare la cessione di azienda avvenuta in data 5 giugno 2013, al momento cioè della costituzione della RAGIONE_SOCIALE
Con il sesto motivo di ricorso, RAGIONE_SOCIALE ha dedotto, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di contraddittorio tra le
parti, costituito dalla circostanza che all’esito della complessiva operazione era sempre stata la prima società a governare il commercio, i clienti ed i fornitori della seconda, il che dimostrava come non s’era realizzata alcuna cessione di azienda e che l’oggetto proprio dell’operazione contestata era quello, diverso, di una scissione societaria.
Con la settima censura la società ha eccepito, in relazione art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 1, lett. d ), d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e quindi l’illegittimità dell’avviso impugnato, non essendo stata dimostrata la contestata cessione di azienda, che le parti non avevano in realtà voluto realizzare, potendo semmai l’operazione ricondursi ad una scissione.
Con l’ottava doglianza, la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, vale a dire che l’operazione non era diretta ad occultare una cessione di ramo di azienda e che -a tutto voler concedere -la stessa non era stata compita il 1° luglio 2013, con conseguente decadenza dall’esercizio del potere impositivo.
Con il nono motivo di ricorso, l’istante ha eccepito, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, rimproverando al Giudice regionale di « non aver esattamente valutato tutte le circostanze dedotte, ritenendo erroneamente provate per presunzioni fatti che in realtà restano tutt’ora privi di adeguata prova» (v. pagina n. 66 del ricorso).
Con la decima ed ultima ragione di contestazione la contribuente lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 15, comma 1, lett. d ), d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e quindi l’illegittimità dell’avviso per mancanza di un elemento fondamentale del procedimento, per avere il Giudice dell’appello « <> la sussistenza di fatti che
astrattamente possono ritenersi esecutivi di un’eventuale negozio giuridico con la prova per presunzione del relativo accordo » (v. pagina n. 69 del ricorso), aggiungendo che « non sussistono fatti gravi precisi e concordanti che possono giustificare la presunzione di compimento di un atto negoziale che le parti, nè hanno compiuto nè hanno mai voluto» (v. pagina n. 71 del ricorso).
In linea con le osservazioni e conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, il ricorso va accolto in relazione al suo quarto motivo.
E ciò, applicando il principio processuale della ragione più liquida, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. , che « consente al giudice di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio sulla base della questione ritenuta di più agevole e pronta soluzione senza che sia necessario esaminare previamente le altre (tra le altre, Cass. Sez. U, 8 maggio 2014, n. 9936; Cass., 28 maggio 2014, n. 12002; Cass., 11 maggio 2018, n. 11458; Cass., 9 gennaio 2019, n. 363)» (così, tra le tante, Cass., Sez. T., 9 settembre 2022, n. 26634).
Giova premettere che il Giudice dell’appello, con valutazione fattuale non rivisitabile nella sede che occupa, ha affermato che «L’avviso, pur portando la data del 14/6/2018, risulta essere stato spedito in data 26/6/2018, rispettando quindi il termine di 60 giorni ex lege 212/2000» (così nella sentenza impugnata priva di numerazione).
Con il quarto motivo di impugnazione, a parte l’erroneo riferimento al canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. per lamentare «la violazione di legge dell’art. 12, co. 7, L. 212/2000 » (v. pagina n. 31 del ricorso), riqualificabile, però, nella presente sede secondo il parametro di cui all’art. 360, primo comma, num 3, cod. proc. civ., essendo chiara e testuale la natura del vizio dedotto (cfr. Cass., Sez. T., 15 marzo 2022, n, 8293, che richiama Cass., Sez. 6^-5, 7 novembre 2017, n. 26310; Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2018, n. 1709; Cass., Sez. 6″-5, 12 febbraio 2019, nn. 4020 e 4022; Cass., Sez. 6^-5, 25 settembre 2019, n. 23964; Cass.,
Sez. 6^-5, 6 maggio 2020, nn. 8536 e 8539; Cass., Sez. 6^-5, 15 marzo 2021, n. 7210; Cas., Sez. 6″-5, 29 marzo 2021, nn. 8682 e 8683; Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2021, n. 15758).), l’istante ha sostenuto che «Ai fini di cui all’art. 12 ciò che conta, ovviamente, è che l’A.E. avrebbe dovuto attendere la scadenza del termine per verificare se vi fosse stato il deposito di osservazioni o documenti e solo dopo visionato quando eventualmente depositato avrebbe dovuto esprimersi mediante provvedimento. La scelta contraria, cioè di non attendere, avrebbe dovuto essere motivata» (v. pagine nn. 31 e 32 del ricorso).
La censura coglie nel segno, subito ribadendo che non può trovare ingresso nella presente sede la diversa valutazione fornita dalla difesa erariale secondo cui «il processo di formazione dell’atto impositivo è terminato in data 26.06.2018, ossia dopo i 60 giorni dalla notificazione del processo verbale», osservando che «questa data è quella di spedizione dell’atto, (poi appunto ricevuto dal contribuente il 28.06.2018) ma è del tutto verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit , che essa corrisponda anche all’effettivo confezionamento dell’atto stesso ( rectius al ‘termine’ di tale confezionamento)», essendo «del tutto illogico supporre che tra la fine della predisposizione dell’avviso e il suo inoltro siano trascorsi più di 3 giorni, sicché non vi è ragione per ritenere di dover retrodatare l’atto oltre il 23/06/2018 » (v. pagina n. 11 del controricorso), corrispondente al termine di scadenza di sessanta giorni previsto dal citato art. 12.
Come anticipato, infatti, le superiori deduzioni involgono accertamenti in fatto ed una diversa valutazione della perentoria verifica effettuata dal Giudice territoriale, non esigibili dalla Corte.
Resta, quindi, ed occorre ragionare sul dato fattuale di un avviso redatto il 14 giugno 2018, prima dello scadere del termine (23 giugno 2018) previsto dall’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, ma spedito il 26 giugno 2018, dopo la scadenza del termine.
Tanto ricapitolato, va premesso che il citato art. 12 così dispone: «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di
chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’articolo 34 del testo Unico RAGIONE_SOCIALE disposizioni legislative in materia doganale approvato con del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni dell’articolo 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374» .
Questa Corte, con le due sentenze gemelle del 15 gennaio 2019, n. 701 e 702, dopo un esaustivo riepilogo RAGIONE_SOCIALE riflessioni del Giudice di legittimità e della giurisprudenza comunitaria, ha chiarito che «[… sono due i principi cardine del diritto comunitario che regolano il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale:
il principio di equivalenza, ossia le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura esclusivamente interna;
il principio di effettività, ovvero la disciplina nazionale non deve rendere in concreto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, e quindi il contribuente dev’essere posto nelle condizioni di esercitare il contraddittorio».
E così, ai fini dell’interpretazione dell’art.12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, la Corte ha osservato che:
« tale disposto normativo non a caso non distingue tra tributi armonizzati e non.
Infatti, in via generale, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto
impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di 60 giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, a far data dalla conclusione RAGIONE_SOCIALE operazioni di controllo.
Questa è una disciplina nazionale che, già a monte, assorbe la “prova di resistenza”, nel pieno rispetto della giurisprudenza della CGUE (cfr. sentt. Kamino, cit., § 80 e Sopropè, cit., § 37).
Così interpretato, l’art. 12, comma 7, I. 212/2000 garantisce pienamente sia il principio di equivalenza (il quale, anzi, risulterebbe violato se la norma fosse applicabile ai soli tributi non armonizzati), sia quello di effettività. La norma, nel prevedere la deroga alla regola generale del rispetto del termine dilatorio nel caso di esistenza di ragioni di urgenza, opera un bilanciamento degli interessi coinvolti, escludendo che siano compromessi gli effetti della normativa unionale in tema di riscossione dell’IVA (cfr. sent. Kamino, cit., § 77).
Siffatta interpretazione è al tempo stesso rispettosa anche dei principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale civile, amministrativo e tributario, secondo cui la regola della strumentalità RAGIONE_SOCIALE forme, ai fini del rispetto del contraddittorio, viene meno in presenza di un’espressa sanzione di nullità comminata dalla legge per la violazione in questione. Non pare potersi dubitare che tali principi generali valgano anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario.
In secondo luogo, coerentemente con quanto precede, l’operatività della c.d. prova di resistenza affermata dalle Sezioni unite 9 dicembre 2015 n. 24823 non può che essere circoscritta al caso di assenza di una specifica previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio.
La predetta sentenza, pertanto, correttamente interpretata in rapporto di continuità e di complementarità con la n. 18184/13 cit., non introduce (e non si basa su) un discrimine – una summa divisio -tra tributi non armonizzati e tributi armonizzati in tema di disciplina del contraddittorio endoprocedimentale, bensì distingue tra esistenza, o
meno, di una normativa specifica sul punto; se questa esiste (v. art. 12 cit.), la stessa si applica a tutti i tributi, proprio nel pieno rispetto del principio di equivalenza, laddove, in mancanza e quindi in via residuale, subentra il principio generale unionale, ovviamente in tutta la sua portata e, dunque, anche con il limite della prova di resistenza.
In terzo luogo, quale ulteriore logica conseguenza, va affermato che, anche per i tributi armonizzati, scatta la prova di resistenza ai fini del contraddittorio endoprocedimentale nel solo caso in cui la normativa interna non commini espressamente la sanzione della nullità. Specularmente, ove il legislatore la preveda, non dev’essere applicata anche la prova di resistenza.
Infatti, solo in assenza di una specifica previsione di nullità introdotta dal legislatore per sanzionare la violazione del contraddittorio vi può essere spazio per il giudice affinché possa operare una valutazione ex post, caso per caso, sull’intervenuto rispetto o meno del contraddittorio medesimo ».
Sulla scorta di tali considerazioni questa Corte ha quindi affermato i seguenti principi di diritto, rilevanti nella fattispecie in rassegna:
« 1) l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non;
il principio di strumentalità RAGIONE_SOCIALE forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del
contraddittorio endoprocedimentale tributario » (così Cass., Sez. V, 15 gennaio 2019, n. 701 e 702).
18. Questa Corte ha poi ulteriormente chiarito e ribadito che:
« L’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 – decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni -determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo, perché il termine è stato ritenuto necessario dal legislatore per garantire alla parte, alla conclusione RAGIONE_SOCIALE indagini svolte presso di lui, un periodo di tempo utile per riesaminare i dati raccolti dai verificatori e determinarsi sulla sua successiva condotta, e rimane pertanto indifferente alle vicende che si sono compiute nelle fasi preliminari; pertanto la garanzia di tutela del contribuente assicurata mediante il termine dilatorio in questione non ammette equipollenti, non potendo essere sostituita da un contraddittorio più o meno lungo ed intenso svoltosi tra le parti; in conseguenza, qualora il termine sia stato violato, e l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, ciò comporta la nullità insanabile dell’atto impositivo notificato prima della decorrenza del termine, indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato» (cfr. Cass., Sez. T. 20 luglio 2023, n. 21517);
-« l’atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell’Ufficio – vale a dire “emanato” – in data anteriore alla scadenza del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è illegittimo, per violazione della disciplina del contraddittorio procedimentale, ancorché la relativa notifica al contribuente sia stata effettuata dopo tale scadenza (Sez. 65, n. 5361 del 17/03/2016)» e ciò perché « la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo, dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, sicché, quando l’atto
impositivo viene notificato, o comunque portato a conoscenza del destinatario, esso è già esistente e perfetto, il che significa che è già stato “emanato”», osservando ancora che « la norma in esame tende a garantire il contraddittorio procedimentale, ossia a consentire al contribuente di far valere le proprie ragioni nel momento stesso in cui la volontà impositiva si forma quando l’atto impositivo è ancora in fieri”. Ne consegue che l’Ufficio deve “…attendere il decorso del termine previsto dalla legge per la formulazione RAGIONE_SOCIALE osservazioni e richieste del contribuente, prima di chiudere il procedimento di formazione dell’atto, ossia prima che lo stesso venga redatto in forma definitiva e, quindi, datato e sottoscritto dal funzionario che ha il potere di adottarlo; vale a dire, come appunto la legge recita, venga emanato”» (così Cass., Sez. V., 12 luglio 2017, n. 17202, che richiama Cass. 11088/2015, e, nello stesso senso, Cass., Sez. V, 31 luglio 2018, n. 20267 e Cass. Sez. T, 11 novembre 2021).
Nella fattispecie in esame è pacifico che l’avviso impugnato si è basato sui contenuti del processo verbale di costatazione della Guardia di Finanza, predisposto all’esito dell’accesso e RAGIONE_SOCIALE verifiche iniziate il 28 novembre 2017 e concluse il 24 aprile 2018.
L’atto impugnato – come detto – è stato redatto il 14 giugno 2018, prima del suddetto termine e nessuna ragione di urgenza è stata allegata provata.
Non vi è, quindi, motivo, per quanto sopra illustrato, di applicare al caso in esame la c.d. prova di resistenza, ricorrendo l’ipotesi in cui trova applicazione generale e senza distinzioni l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Doveva, quindi, essere rispettato il termine dilatorio di sessanta giorni stabilito dallo Statuto, che non è stato, invece, osservato dall’Amministrazione finanziaria, il che comporta la nullità dell’atto impositivo prevista dal legislatore.
Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, che assumono valore assorbente rispetto all’esame degli altri motivi di impugnazione,
la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari accertamenti in fatto, va decisa, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., accogliendo l’originario ricorso ed annullando l’atto impositivo.
Il progressivo consolidarsi dei menzionati principi nel corso della controversia giustifica l’integrale compensazione RAGIONE_SOCIALE spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa merito, accoglie l’originario ricorso ed annulla l’atto impugnato.
Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 gennaio 2024.