Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19418 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19418 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16417/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE socio unico, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del foro di Vibo Valentia, giusta procura speciale in atti;
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del foro di Vibo Valentia, giusta procura speciale in atti;
-altra controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 217/2019, depositata il 7.2.2019 e notificata il 27.3.2019.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza camerale del 18.6.2025.
FATTI DI CAUSA
Con distinti ricorsi le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE impugnavano gli avvisi di accertamento emessi nei rispettivi confronti dall’Agenzia delle Entrate per l’anno di imposta 2011, a seguito dei controlli svolti dalla Guardia di Finanza, con i quali venivano accertati, per quel che qui interessa, maggiori ricavi non dichiarati in relazione al sottoconto ‘finanziamenti attivi a terzi’, qualificati dall’Ufficio sopravvenienze attive proventi straordinari, recuperati a tassazione a fini IRAP e IRES, oltre interessi e sanzioni.
La C.T.P. di Vibo Valentia, riuniti i ricorsi, li rigettava, ritenendo che non vi fosse prova del dedotto collegamento societario, nella specie del ‘gruppo RAGIONE_SOCIALE‘, asseritamente composto da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e che, in ogni caso, non era stato presentato il bilancio consolidato.
La RAGIONE_SOCIALE di Reggio Calabria, adita dalle società soccombenti, accoglieva il gravame con la sentenza richiamata in epigrafe, ritenendo fondato il primo motivo di impugnazione, di rilievo assorbente, riguardante il mancato rispetto del termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, in difetto dei presupposti per la deroga. Dichiarava assorbiti i restanti motivi ed annullava gli avvisi di accertamento impugnati, condannando l’appellata al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi. 3.L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Le società intimate hanno resistito con distinti controricorsi.
E’ stata fissata l’udienza camerale del 18.6.2025, in prossimità della quale le società controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, rubricato « Nullità della sentenza. Giudicato interno. V iolazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. », in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la ricorrente Agenzia delle entrate osserva che la C.T.P. aveva dato atto che le contestazioni dei rilievi degli accertatori riguardavano soltanto i finanziamenti infragruppo e non anche le altre riprese a tassazione. Deduce che anche l’appello delle società si concentrava solo sulle movimentazioni finanziarie infragruppo, con la conseguenza che la C.T.R. non poteva annullare integralmente gli avvisi di accertamento.
2.Con il secondo motivo, rubricato « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 della legge n. 212/2000 », in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente denuncia, in sintesi, che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti le ragioni di urgenza per notificare l’avviso di accertamento prima dello spirare del termine dilatorio di sessanta giorni, che risiedevano invece non solo nell’ imminente scadenza dei termini decadenziali, ma anche nella necessità di conoscere gli esiti dell’accertamento a carico di altra società, la RAGIONE_SOCIALE che costituiva l’innesco della verifica.
3.Il primo motivo è infondato.
Entrambe le società avevano denunciato, in primo luogo, la nullità dei rispettivi avvisi di accertamento per violazione del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della L. 212/2000. La C.T.R., nel ritenere fondato il predetto motivo, ha correttamente ritenuto assorbite le altre doglianze, attinenti il merito della pretesa e, di conseguenza, altrettanto correttamente ha annullato integralmente entrambi gli atti impugnati. Il mancato rispetto del termine dilatorio, infatti, dà luogo ad un vizio intrinseco dell’atto impositivo, legato al difetto di un elemento ritenuto dalla legge essenziale al suo corretto iter formativo, tale da esplicare un effetto invalidante di natura obiettiva (tra le tante, Cass. n. 23670/2018, Cass. S.U. n.
18184/2013). Non appare pertanto ravvisabile la dedotta violazione del giudicato interno.
Il secondo motivo è parimenti infondato.
Questa Corte ha costantemente ribadito che in tema di diritti del contribuente, la sola imminente scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non integra una ragione di urgenza valida ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, del c.d. Statuto del contribuente, spettando piuttosto all’Amministrazione offrire come giustificazione dell’urgenza la prova, sulla base di fatti concreti e precisi, che l’emissione dell’avviso in prossimità del maturare dei termini decadenziali sia dipesa da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, pena la dissoluzione della finalità di recupero delle imposte non versate (Cass. 15755/2020). Le ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dall’amministrazione finanziaria, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità, sicché non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa.
4.1. La C.T.R., alle pagg. 4-5 della sentenza impugnata, ha affermato che « dall’esame dei processi verbali di constatazione risulta smentita la circostanza dedotta dall’Agenzia delle Entrate resistente, secondo cui le suddette garanzie non avrebbero dovuto operare in quanto le attività di verifica erano scaturite da altra attività investigativa condotta nei confronti di altro soggetto conclusasi in data 11.11.2016. Invero, in detti verbali non si fa riferimento all’altra ipotizzata attività investigativa (che probabilmente ha costituito la cd. fonte di innesco) e si dà atto
degli accessi presso le sedi operative delle contribuenti risalenti all’agosto 2016… ».
A fronte di tale statuizione, l’Agenzia delle Entrate si limita a riportare la generica affermazione contenuta alle pagine 11 e 21/22 degli avvisi di accertamento, secondo cui l’attività di verifica (iniziata nel mese di agosto 2016), conclusa (per entrambe le società) in data 11.11.2016 ‘ era scaturita da altra attività investigativa condotta nei confronti di altro soggetto ‘, che di per sé non consente di apprezzare in alcun modo la sussistenza di concrete ragioni di urgenza non imputabili all’amministrazione finanziaria.
Questa Corte ha, infatti, altresì chiarito che la disposizione legislativa ha come destinataria l’amministrazione finanziaria nel suo complesso, intesa come ente impositore, con la conseguenza che l’agenzia fiscale è comunque responsabile anche dei ritardi imputabili alla Guardia di Finanza, in quanto organo ispettivo collaterale (Cass. n. 11110/2022).
5.Il ricorso va, in conclusione, respinto.
Le spese seguono la soccombenza, tenuto conto dell’aumento previsto dall’art. 4, comma 2, del D.M. n. 55/2014 stante la comune difesa delle controricorrenti a mezzo dell’assistenza dello stesso legale – e con il beneficio della distrazione in favore del loro procuratore dichiaratosi antistatario.
Esse si liquidano come in dispositivo.
7.Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 200,00 per esborsi,
euro 14.200,00 per compensi, oltre rimborso forfetario del 15%, iva e cpa come per legge, da distrarre in favore dell’avv. NOME COGNOME difensore di entrambe le parti controricorrenti, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18.6.2025.