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Termine dilatorio: Cassazione chiarisce le regole

La Corte di Cassazione interviene sul tema del termine dilatorio di 60 giorni previsto dallo Statuto del Contribuente. Con l’ordinanza n. 8361/2025, la Suprema Corte ha cassato una sentenza di merito che aveva annullato un avviso di accertamento per violazione di tale termine. La Corte ha chiarito che anche un semplice accesso per acquisire documenti fa scattare il termine dal momento del rilascio del verbale, e che il giudice deve sempre verificare se l’accertamento si basi sui dati dell’accesso o sia un ‘accertamento a tavolino’.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Termine dilatorio: la Cassazione fa chiarezza su accesso e accertamento

Il rispetto delle garanzie del contribuente è un pilastro del nostro ordinamento tributario. Tra queste, il termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12 dello Statuto del Contribuente assume un ruolo centrale, assicurando al cittadino un lasso di tempo per presentare osservazioni prima dell’emissione di un avviso di accertamento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 8361/2025, è intervenuta per delineare con precisione i confini applicativi di questa garanzia, specialmente nei casi di accesso mirato e di accertamento ‘a tavolino’.

I Fatti del Caso: La Controversia sull’Avviso di Accertamento

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società alberghiera per l’anno d’imposta 2011. La pretesa del Fisco si basava sulla presunta natura di ‘società non operativa’ del contribuente. Prima dell’emissione dell’atto, nel 2014, la Guardia di Finanza aveva effettuato un accesso presso la sede della società, finalizzato esclusivamente all’acquisizione di documenti e conclusosi con il rilascio di un apposito verbale. L’avviso di accertamento veniva però emesso solo nel dicembre 2017, a distanza di oltre tre anni.

La società impugnava l’atto, sostenendone l’illegittimità per violazione del termine dilatorio di 60 giorni che, a suo dire, doveva decorrere dalla conclusione dell’accesso.

Il Percorso Giudiziario e il Focus sul Termine Dilatorio

Sia la Commissione Tributaria Provinciale (primo grado) che la Commissione Tributaria Regionale (secondo grado) accoglievano le ragioni della società. Entrambi i giudici di merito ritenevano che, essendo stato effettuato un accesso presso i locali aziendali, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto attendere 60 giorni dal rilascio del verbale prima di poter legittimamente emettere l’avviso di accertamento. L’emissione ‘ante tempus’ (prima del tempo), secondo le corti territoriali, viziava irrimediabilmente l’atto impositivo.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo errata tale interpretazione, proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge. Sosteneva, in sintesi, che l’accertamento era di tipo ‘a tavolino’, basato su dati già in suo possesso, e che l’accesso del 2014 non era stato utilizzato ai fini dell’emissione dell’atto, rendendo così inapplicabile la garanzia del contraddittorio preventivo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa al giudice di secondo grado per un nuovo esame. Il ragionamento della Corte si snoda attraverso alcuni punti fondamentali.

In primo luogo, la Cassazione ribadisce un principio consolidato: qualsiasi tipo di accesso o ispezione nei locali del contribuente, anche se breve e mirato alla sola acquisizione documentale, deve concludersi con la redazione e la consegna di un verbale. È proprio dal rilascio di questo verbale che decorre il termine dilatorio di 60 giorni.

Nel caso di specie, l’accesso si era concluso con un verbale datato 23 luglio 2014. L’avviso di accertamento era stato emesso nel dicembre 2017. Pertanto, il termine di 60 giorni era stato ampiamente rispettato. La motivazione dei giudici di merito, che avevano dichiarato l’atto illegittimo per violazione del termine, era quindi palesemente errata in punto di diritto.

Il vero errore della Corte territoriale, secondo la Cassazione, è stato quello di non aver indagato sulla reale natura dell’accertamento. Il giudice di appello avrebbe dovuto accertare in fatto se l’avviso si fondasse, anche solo in parte, sulla documentazione acquisita durante l’accesso del 2014, oppure se fosse basato esclusivamente su altri elementi (un cosiddetto ‘accertamento a tavolino’). Questa verifica è cruciale, perché le garanzie dello Statuto del Contribuente si applicano in modo diverso a seconda della natura dell’attività ispettiva. Il giudice del rinvio dovrà quindi procedere a questo accertamento, valutando anche, per la parte relativa all’IVA (tributo armonizzato), la cosiddetta ‘prova di resistenza’ per l’eventuale omissione del contraddittorio.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti operativi. Essa chiarisce che il termine dilatorio di 60 giorni è una garanzia fondamentale, ma la sua applicazione è strettamente legata all’effettivo utilizzo, da parte del Fisco, dei dati raccolti tramite accessi e verifiche. Non è sufficiente la mera esistenza di un accesso per invalidare un atto successivo se questo si fonda su elementi completamente diversi. I giudici tributari sono chiamati a un’analisi fattuale approfondita per distinguere tra un accertamento che scaturisce da una verifica e uno che ha natura puramente ‘documentale’. Per i contribuenti, ciò significa che, in sede di contenzioso, è essenziale dimostrare il nesso causale tra le informazioni raccolte durante l’accesso e le contestazioni mosse nell’avviso di accertamento per poter invocare con successo la violazione delle garanzie partecipative.

Da quando decorre il termine dilatorio di 60 giorni in caso di accesso mirato presso la sede del contribuente?
Il termine decorre dalla data del rilascio della copia del verbale che conclude le operazioni di accesso, anche se si tratta di un accesso breve finalizzato alla sola raccolta di documentazione.

Un avviso di accertamento è sempre illegittimo se emesso dopo un accesso senza attendere 60 giorni?
No, non necessariamente. Se l’accertamento si basa esclusivamente su elementi già in possesso dell’Ufficio o su altre fonti (cosiddetto ‘accertamento a tavolino’) e non sui documenti reperiti durante l’accesso, il termine dilatorio potrebbe non applicarsi. Il giudice deve verificare la reale fonte dei dati usati per l’accertamento.

Cosa deve fare il giudice tributario per stabilire se il termine dilatorio è stato violato?
Il giudice deve innanzitutto verificare la data di rilascio del verbale di chiusura delle operazioni di accesso. Successivamente, deve accertare in fatto se l’avviso di accertamento si fondi, anche parzialmente, sulla documentazione acquisita durante tale accesso. Solo in caso affermativo, la violazione del termine dilatorio di 60 giorni può comportare l’illegittimità dell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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