Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8361 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8361 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/03/2025
Avv. Accertamento –
IRES – IRAP – IVA- 2011
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1869/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentate pro tempore ,
-intimata –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, n. 2920/2021, depositata il 9 giugno 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TK3036609466 per IRES, IRAP e IVA per l’anno 2011, che determinava un maggior reddito di impresa per società non operative ai sensi dell’art. 30, commi 3 e 3 bis, legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Avverso l’avviso di accertamento, la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Roma; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Roma, con sentenza n. 7289/2018, accoglieva il ricorso ritenendo sussistente l’illegittimità dell’atto impositivo emesso, a seguito di accesso in azienda, prima del tempo, non essendo state previamente enunciate particolare e motivate ragioni di urgenza tali da giustificare l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso si accertamento ex art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000 n. 212.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi alla C.t.r. del Lazio; la società contribuente non si costituiva nel giudizio di secondo grado.
Con sentenza n. 2920/2021, depositata in data 9 giugno 2021, la C.t.r. rigettava l’appello dell’Ufficio, ritenendo che l’inosservanza del termine dilatorio per l’emanazione dell’avviso di accertamento avesse determinato l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus in presenza dell’accesso in azienda.
Avverso la decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo mentre la società contribuente è rimasta intimata.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato «violazione o falsa applicazione dell’art. 12, settimo comma, legge 27 luglio 2000, n. 212, anche in combinato disposto con l’art. 115 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)», l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in quanto emesso in assenza di previo PVC, nonostante il mancato utilizzo di quanto reperito nell’accesso del 2014 (accertamento ‘a tavolino’) e,
comunque, il trascorrere di più di tre anni tra quest’ultimo e l’emissione dell’avviso.
Il motivo di ricorso proposto è fondato.
2.1. Invero, questa Corte ha di recente ricordato come: «Occorre rammentare in proposito che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione, essendo sufficiente un verbale attestante le operazioni compiute (Cass. n. 16546 del 22/06/2018). Peraltro, il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dall’art. 24 della l. n. 4 del 1929, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento (Cass. n. 31120 del 29/12/2017). In caso di accesso mirato, pertanto, è sufficiente anche la redazione di un verbale di accesso, che attesta la specifica attività compiuta dall’Amministrazione finanziaria, indicando i documenti prelevati dal contribuente. Con riferimento al recupero dell’IVA, in particolare, si è ritenuto che “in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni in ogni caso di accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso finalizzati alla raccolta di documentazione, e solo dal rilascio di copia del predetto verbale decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l’avviso di accertamento ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7” (Cass. n. 7843 del 17/04/2015). E’ stato affermato, del resto, che l’impiego di una locuzione generica come “verbale di chiusura delle operazioni” contenuta nel comma 7,
dell’art. 12 della l. n. 212 del 2000, comprende tutte le possibili tipologie di verbali che concludano le operazioni di accesso, verifica o ispezione nei locali, indipendentemente dal loro contenuto, trattandosi di una scelta coerente con l’evoluzione del sistema tributario verso moduli partecipativi, in cui le situazioni soggettive dell’erario possono esaurirsi nell’esercizio imparziale di un potere ad imperatività mitigata, che si arresta all’acquisizione delle informazioni utilizzabili ed al mero controllo dell’osservanza degli obblighi strumentali dei contribuenti (Cass. n. 12094 dell’8/05/2019). Va precisato, infatti, che le garanzie statutarie operano già in fase di accesso, concludendosi anche tale attività con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni dell’art. 52, comma 6, del d.P.R. n. 633 del 1972 ovvero dell’art. 33 decreto sull’accertamento; siffatte garanzie, pertanto, si applicano anche agli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, sia perché la citata disposizione non prevede alcuna distinzione in ordine alla durata dell’accesso, ed è comunque necessario, anche in caso di accesso breve, redigere un verbale di chiusura delle operazioni (Cass. n. 2593/14 e Cass. n. 15624/14), sia perché, anche in caso di “accesso breve”, si verifica quella peculiarità che, secondo Cass. sez. unite n. 24823/2015, giustifica, quale controbilanciamento, le garanzie di cui al cit. art. 12, peculiarità consistente nella ‘autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutati a lui sfavorevoli” (Cass. n. 11471/2017; n. 18110/16; n. 25265/17; n. 1007/17; n. 8246/18). In caso di accesso mirato, quindi, la garanzia al contraddittorio endoprocedimentale per il contribuente è assicurata dalla concessione del termine dilatorio di sessanta giorni decorrente dal rilascio del verbale di consegna, senza che possa, invece, ritenersi che lo stesso debba ricevere un successivo verbale di chiusura delle
operazioni di verifica, ove le stesse non siano state compiute -come nella specie -presso la sede del contribuente, ma presso gli uffici finanziari (Cass. n. 12094/2019 cit.). Tale orientamento è in linea con la giurisprudenza unionale in materia di contraddittorio endoprocedimentale nel caso di tributi armonizzati (cfr. Corte di giustizia, 12 dicembre 2008, C-349/07 Sopropè ), nel senso che, proprio in relazione all’adozione dell’atto impositivo e nella prospettiva di tutela del diritto di difesa del contribuente, il legislatore nazionale ha ritenuto che il contraddittorio endoprocedimentale sia assicurato, in caso di accesso mirato, con il riconoscimento di un termine dilatorio in favore del contribuente nei cui confronti è stata operata l’attività di acquisizione della documentazione, non essendo necessario, come detto, in questo caso, l’adozione di un successivo atto di constatazione delle violazioni finanziarie, e tale specifica previsione costituisce la modalità con la quale, anche nella materia dei tributi “armonizzati”, il legislatore interno ha ritenuto di dare attuazione alla normativa comunitaria ed ai principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria» (Cass. n. 23991/2024; conf. Cass. n. 36131/2022).
2.2. Dalla summenzionata giurisprudenza discende l’erroneità della decisione qui impugnata.
Infatti, emerge ex actis (e, in particolare, dalla stessa sentenza della C.t.r.) il fatto che l’Amministrazione finanziaria aveva eseguito, per mezzo della Guardia di Finanza -Nucleo di polizia tributaria di Frosinone, un accesso presso la sede della contribuente, non finalizzato ad una verifica fiscale, ma mirato esclusivamente all’acquisizione di documentazione, attestato da verbale del 23 luglio 2014 in cui si riportava la documentazione acquisita. Ebbene, è dalla data di questo verbale che decorreva il termine di 60 giorni, utile alle osservazioni della contribuente, prima che si potesse emettere avviso di accertamento; coerentemente, quindi, l’Ufficio procedeva ad emettere avviso di
accertamento nel dicembre del 2017, ben tre anni dopo il suddetto accesso.
Di poi, la RAGIONE_SOCIALE, pur dando atto del successivo accesso in azienda, non ha accertato, come avrebbe invece dovuto indagare in fatto, se l’accertamento avesse natura mista o fosse viceversa basato sulla sola richiesta di documentazione nella fase del c.d. accertamento a tavolino.
Invero, «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività e di successiva autorizzazione all’espletamento di indagini bancarie ai sensi dell’art. 32, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, trattandosi di procedimenti distinti, la questione del se l’atto impositivo si fondi solo sulle risultanze delle indagini bancarie ossia misto, ossia fondato anche sulla documentazione acquisita in sede di accesso, ispezione o verifica, dev’essere prioritariamente accertata dal giudice del merito, dal momento che l’art.12, comma 7, citato trova applicazione solo nel secondo caso, salva in ogni caso la valutazione del rispetto del contraddittorio ai fini della ripresa per il tributo armonizzato alla luce della “prova di resistenza” di cui alle Sezioni Unite 9 dicembre 2015 n. 24823.» (Cass. 30/6/2021, n. 18413).
Nella fattispecie in esame, l’avviso di accertamento, allegato dall’Agenzia delle Entrate al ricorso, non pare fare alcun riferimento ad ulteriore documentazione acquisita in sede di accesso e l’unica violazione riferibile all’omissione del previo contraddittorio avrebbe potuto riferirsi al rilievo IVA, laddove il giudice tributario avrebbe dovuto comunque valutare la c.d. prova di resistenza.
3. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo , affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame
nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 5 febbraio 2025.