Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31931 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31931 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16297/2016 R.G. proposto da :
COGNOMERAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ANCONA, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO(NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ANCONA n. 425/2015 depositata il 22/12/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e la soc. RAGIONE_SOCIALE impugnano la sentenza della C.T.R. delle Marche che ha accolto gli appelli proposti dalla Agenzia delle Entrate avverso due sentenze della C.T.P. di Ancona relative a due diversi procedimenti, riuniti in grado di appello, inerenti all’impugnazione di due distinti avvisi di accertamento, emessi il 21 dicembre 2009, con i quali si accertava nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e nei confronti di NOME COGNOME, quale socio unico della medesima società, una maggiore imposta sul reddito delle persone giuridiche, una maggiore imposta regionale ed un maggior imposta sul valore aggiunto, per l’anno di imposta 2004.
Con il ricorso i contribuenti assumono che la vicenda scaturiva da due verifiche eseguite il 17 settembre 2009 ed il 29 ottobre 2009, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, impresa dedita alla costruzione e vendita di immobili. Le verifiche erano finalizzata al controllo ed all’acquisizione della documentazione contabile ed extracontabile relativa a tutte le vendite intervenute nell’anno 2004. A fronte di ritenute irregolarità l’Ufficio notificava alla società invito a comparire per l’instaurazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 5 d. lgs. 218/1997, con indicazione della data del 23 novembre 2009, poi differita al 21 dicembre 2009. Nelle more del procedimento con adesione, la società depositava una memoria con indicazione delle incongruenze delle conclusioni raggiunte dall’Uffici, in ordine alla rideterminazione degli immobili compravenduti. Nella medesima data del 21 dicembre 2009 venivano emessi gli avvisi di accertamento, notificati successivamente alla soc. Sinted ed al socio unico NOME COGNOME, con cui si rideterminava il prezzo di alcune vendite immobiliari, avendo quale riferimento un prezzo al mq. diverso da quello risultante dagli atti di vendita, sulla scorta di un foglio manoscritto, rinvenuto presso la società, relativo ad una delle vendite, nonché delle dichiarazioni di uno degli acquirenti, il quale aveva affermato di avere versato una somma in contanti ed altre tramite assegni non registrati. A fronte di detti elementi e della formulazione di presunzioni l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato i ricavi in euro 193.000,00 poi ridotti ad euro 108.542,64, a seguito del contraddittorio con i contribuenti.
Le sentenze della C.T.P. di Ancona, a fronte dell’impugnazione degli avvisi di accertamento da parte della soc. Sinted e di NOME COGNOME, accoglievano i ricorsi, annullando gli atti impositivi, affermando che la discordanza tra gli imponibili dichiarati e quelli accertati era fondata su una
mera presunzione non qualificata, stante l’impossibilità che in una palazzina di undici appartamenti -con distinzione di vista, rifiniture e superficie- il valore al mq. fosse il medesimo per tutti gli immobili.
La sentenza della C.T.R. di Ancona, riuniti i ricorsi proposti dalla Agenzia delle entrate avverso le sentenze di primo grado, per connessione oggettiva, riformandole ha rilevato che -diversamente da quanto ritenuto dal primo giudicel’Ufficio non aveva applicato il medesimo prezzo al mq. per tutti gli appartamenti compravenduti, singolarmente considerandoli e che, pertanto, l’accertamento non si basava su una sequenza di presunzioni. La C.T.R., inoltre, ha ritenuto insussistente l’obbligo di procedere ad avviso bonario e di assegnare il termine di giorni sessanta per controdedurre, avuto riguardo al fatto che detti obblighi sorgono solo in caso di accessi, verifiche ed ispezioni ai sensi degli artt. 52 d.P.R. 633/1972 e 33 d.P.R. 600/73, non eseguiti nel caso di specie, con la conseguenza della non insorgenza dell’obbligo di notificare il P.V.C..
Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Con memoria in data 7 ottobre 2024 la difesa di parte ricorrente ha dichiarato la morte di NOME COGNOME in data 4 aprile 2022, allegando certificato del 23 settembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti formulano tre motivi.
Con il primo deducono, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., la violazione ed erronea applicazione dell’art. 12, comma 7 l. 212/2000 e dell’art. 52 d.P.R. 633/1973. Rilevano di avere eccepito, sin dal primo grado di giudizio, la violazione dell’art. 12, comma 7 l. 212/2000, per essere gli atti impositivi stati notificati ai contribuenti prima dello spirare del termine di sessanta giorni, decorrente dalla chiusura delle operazioni di controllo, previsto dalla disposizione. Gli avvisi di accertamento, infatti, sono stati emessi il 21 dicembre 2009 e notificati in data 28 dicembre 2009, benché le operazioni di verifica si fossero concluse il 29 ottobre 2009. Osservano che secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la notifica dell’avviso di accertamento prima dello scadere dei sessanta giorni rende ispo iure nullo il medesimo, ai sensi dell’art. 12 l. 212/2000. E ciò, anche nelle ipotesi di mera acquisizione di documenti da parte dell’Ufficio, a nulla rilevando che l’accertamento abbia avuto luogo presso il contribuente, attraverso il reperimento di atti, o presso terzi. Rilevano che, in ogni caso, nel caso di specie gli accertatori effettuarono due
accessi presso la sede della società. Nel corso del primo, in data 17 settembre 2009, gli accertatori ispezionarono i locali, prelevando, documentazione fiscale (Scheda di mastro, Libro giornale, fascicoli relativi alle compravendite immobiliari, atti relativi al mutuo ipotecario) ed esaminarono la documentazione extracontabile, rinvenuta presso la sede; nel corso del secondo accesso, in data 29 ottobre 2009, acquisirono le piantine degli appartamenti ed altri dati catastali, come risulta dai processi verbali di verifica. Sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., l’art. 12 non limita affatto la garanzia del diritto al contraddittorio alle ipotesi di notifica del P.V.C. a seguito di accessi, ispezioni e verifiche eseguite ai sensi degli artt. 52 d.P.R. 633/1972 e 33 d.P.R. 600/1973, dovendosi essa estendere a tutti i provvedimenti finali dell’attività di verifica, indipendentemente dalla loro denominazione tecnica.
3. Con il secondo motivo si dolgono, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione dell’artt. 39 d.P.R. 600/1973 e dell’art. 2729 cod. civ.. Rilevano che la sentenza impugnata, disattendendo il disposto dell’art. 39 d.P.R. 600/1973, ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo, in assenza dei presupposti previsti dalla norma, non essendo, peraltro, l’esistenza di attività non dichiarate neppure desumibile da presunzioni semplici, gravi precise e concordanti, come previsto dall’art. 39, comma 1, lett. d) d.P.R. 600/1973. Sostengono che la rideterminazione dei valori degli immobili compravenduti è stata ricavata da un manoscritto contenuto nella cartellina in cui erano raccolti documenti riferiti agli acquirenti, da cui è stato desunto un prezzo al mq., in realtà relativo ad un approssimativo prezzo di vendita di uno solo degli immobili ceduti. Invero, proprio quell’immobile era stato venduto ad un prezzo inferiore a quello annotato, in ragione della congiuntura economica che paralizzava il mercato immobiliare. Da detto foglio di appunti l’Agenzia delle Entrate aveva desunto una presunzione ritenuta idonea a fondare l’accertamento induttivo – benché essa fosse priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ., in palese violazione dell’onere probatorio gravante sull’Ufficio. La sentenza della C.T.R., ignorando il disposto dell’art. 39 cit. ha, invece, ritenuto coerente l’operato dell’Ufficio, senza tenere in considerazione che -secondo la Suprema Corte- il procedimento valutativo della prova per presunzioni si articola in due distinti momenti: il primo rivolto alla valutazione dei singoli indizi, sotto il profilo della gravità e precisione, il secondo rivolto alla valutazioni complessiva della loro concordanza. Al contrario di quanto ritenuto i giudici di seconda cura, non può efficacemente presumersi da un foglio di appunti relativo ad un solo immobile, né che l’immobile sia stato
effettivamente venduto a quel prezzo- vista la congiuntura economica- né tantomeno a tutti gli altri immobili ceduti sia stato applicato lo stesso valore, senza tenere in considerazione le diverse tipologie e caratteristiche dei beni. Plurime erano, invece, le circostanze da considerare, ed in particolare: la corretta tenuta della contabilità da parte della soc. RAGIONE_SOCIALE (come riconosciuto dalla stessa Agenzia delle entrate); la corrispondenza fra la fattura emessa nei confronti dell’acquirente COGNOME e la somma totale degli assegni da questi versati, registrata sul Libro contabile in relazione a quella vendita; la corretta contabilizzazione della somma versata in contanti da COGNOME al ricorrente COGNOME, non costituente il pagamento di un maggior prezzo di acquisto, ma solo il pagamento di rate versate e regolarmente contabilizzate, sicché la dichiarazione dell’acquirente -contestata in sede di contraddittorio- non può smentire la trasparenza dei pagamenti ricevuti dalla società venditrice, tutti riscontrabili dalla movimentazione bancaria, su cui l’Ufficio nulla ha obiettato; la regolarità della permuta fra la Sinted e gli acquirenti COGNOME, a mezzo di atto pubblico, con versamento da parte di questi ultimi di un assegno relativo al maggior valore fra il terreno ceduto e l’immobile acquistato, regolarmente contabilizzato; la facoltà del venditore di praticare prezzi differenziati per i singoli immobili, sicché la differenza fra prezzo dichiarato e contabilizzato e prezzo di mercato non è sufficiente a fondare una presunzione ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.. Ricordano che, secondo il giudice di legittimità, non è legittimo, in sede di rettifica delle dichiarazioni nei confronti di imprese di costruzioni, riferirsi né alla comparazione fra il prezzo di vendita praticato e quello medio di analoghi immobili alienati, né unicamente al valore medio di mercato, non potendo lo scostamento essere valutato isolatamente, ma solo nell’ambito di una più complessa lettura del contesto accertativo.
Con il terzo motivo i ricorrenti fanno valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. 212/2000, nonché l’invalidità dell’atto impositivo per assoluto difetto di motivazione. La C.T.R., infatti, nel ritenere che l’Ufficio abbia valutato gli immobili secondo criteri ‘congrui e non generalizzati’ ha trascurato di applicare il disposto dell’art. 7 cit., non essendo detti criteri indicati negli avvisi di accertamento, né direttamente, né per relationem , ed essendosi, al contrario l’Agenzia delle Entrate limitata, da un lato, ad applicare indistintamente il valore al mq. risultante dal brogliaccio rinvenuto presso la società, a tre unità immobiliari, dall’altro, a rideterminare il valore degli altri immobili sulla sola base dell’ubicazione dell’appartamento o sulla metratura superiore degli uni rispetto agli altri. L’assenza di criteri predeterminati e l’adozione di valori approssimativi ed arbitrari affetta l’atto impositivo e
l’avviso di accertamento, che, pertanto, va ritenuto invalido per difetto di motivazione, in quanto riferentesi a diverso atto (criteri di determinazione del valore) non conosciuto, né conoscibile dai contribuenti.
Prima di procedere all’esame dei motivi, preso atto della dichiarazione di morte del ricorrente NOME COGNOME dichiarata dal difensore con memoria del 7 ottobre 2024, va ricordato che nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo ( ex multis : Sez. 3, Sentenza n. 24635 del 03/12/2015).
Il primo motivo dedotto con il ricorso è fondato.
6.1 Deve, preliminarmente ribadirsi che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto ad accessi, ispezioni o verifiche fiscali, l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, previsto ex art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 per l’emanazione dell’avviso di accertamento, a meno che l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, determina di per sé la nullità insanabile dell’atto impositivo, indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato (in questo senso: Sez. 5, Ordinanza n. 21517 del 20/07/2023; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15843 del 23/07/2020; in ordine ai medesimi principii: Sez. 5, Sentenza n. 701 del 15/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza unionale; cfr. anche Sez. U, Sentenza n. 18184 del 29/07/2013).
6.2 La garanzia del contribuente ad un effettivo contraddittorio, sancita dall’art. 12 comma 7 l. 212/2000, si applica, secondo la giurisprudenza di questa Corte non solo nell’ipotesi di verifica ma anche di accesso, concludendosi anche tale accertamento con la sottoscrizione e consegna del processo verbale delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni di cui agli artt. 52, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 ovvero 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (così: Sez. 5, Sentenza n. 2593 del 05/02/2014). Il medesimo principio vale anche nel caso di accessi brevi finalizzati all’acquisizione di documentazione, sia perché la disposizione di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 non prevede alcuna distinzione in ordine alla durata dell’accesso, in esito al quale comunque deve essere redatto un verbale di chiusura delle operazioni, sia perché, anche in caso di accesso breve, si verifica l’intromissione autoritativa dell’amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente, che deve
essere controbilanciata dalle garanzie di cui al citato articolo 12 ( in tal senso: conf.
Sez. 5, Ordinanza n. 30026 del 21/11/2018; Sez. 5, Sentenza n. del 17/04/2015).
6.3 Invero, l’art. 52 del d.p.r. n. 633 del 1972, delimitati al primo comma i poteri di accesso, ispezione e verifica degli uffici dell’imposta sul valore aggiunto, stabilisce al sesto comma che: ” di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia “. La previsione -che si estende alle imposte dirette in virtù del richiamo dell’art. 52, comma 6 d.p.r. n. 633 del 1972 di cui all’art. 33, comma 1, del d.p.r. n. 600 del 1973- non distingue, infatti, tra tipologie di accessi.
6.4 Ora, la sentenza impugnata afferma che non sussiste nel caso di specie ‘l’obbligo di notificare un processo verbale di constatazione con relativo obbligo di apprestare un termine di sessanta giorni per controdedurre’ in quanto esso sorgerebbe solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche fiscali ai sensi dell’art. 52 d.P.R. 633/1972 e 33 d.P.R. 600/1973, così escludendo che si sia proceduto in quelle forme.
In realtà, che l’Ufficio abbia provveduto all’accesso presso la sede della soc. Sinted, ai fini dell’acquisizione di documentazione, è riconosciuto dalla stessa Agenzia delle entrate nel controricorso (sia alla pag. 1, che alla pag. 5), laddove pur qualificando l’accertamento quale accertamento ‘a tavolino’, l’Ufficio sostiene che il contraddittorio con il contribuente ‘si è regolarmente instaurato, dal momento che dopo gli accessi brevi la parte è stata invitata a presentarsi presso l’ufficio’ ed ha prodotto delle memorie ‘che sono state valutate parzialmente idonee a giustificare quanto emerso dal controllo della documentazione acquisita’.
La corrispondenza fra quanto esposto dal ricorrente e quanto descritto dalla Agenzia delle Entrate -che pure ne traggono conseguenze diversesmentisce l’affermazione della decisione della C.T.R. che ellitticamente esclude che l’Ufficio abbia provveduto all’accesso (senza chiarire, peraltro, come sarebbe avvenuta l’acquisizione documentale).
6.5 Fatta questa premessa, va aggiunto che la previsione l’art. 12, comma 7 l. n. 212/2000, secondo cui ” nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e
richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza ” riferendosi alle attività del comma 1 (“accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali’), collega la decorrenza del termine di giorni sessanta alla consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni, cui il contribuente ha diritto laddove l’accertamento si sia svolto in quelle forme.
6.6 Erra, pertanto, il giudice di appello laddove nega la sussistenza dell’obbligo di consegnare il processo verbale di chiusura delle operazioni (impropriamente la C.T.R. fa riferimento alla notificazione del P.V.C.) ed il conseguente obbligo di rispettare il termine di giorni sessanta decorrente da quel momento, prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento, posto che, da un lato, l’accesso è pacificamente intervenuto e che, dall’altro, anche l’accesso c.d. breve od istantaneo -persino per la sola acquisizione dei documenti -impone, come ogni altro accesso, il rispetto del disposto dell’art. 12 comma 7 l. 212/2000.
6.7 Nell’ipotesi in discussione il contribuente, in assenza della consegna del verbale di cui all’art. 12, comma 7 cit., fa decorrere il termine ivi previsto dalla chiusura delle operazioni, ovverosia dalla data del secondo accesso (29 ottobre 2009) osservando che gli avvisi di accertamento emessi il 21 dicembre 2009 e notificati il 28 dicembre 2009, sono da considerarsi nulli, secondo il disposto della norma.
6.8 Si tratta di un’impostazione che richiama l’enunciato di questa Corte secondo cui ‘In materia di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 decorre da tutte le possibili tipologie di verbali di accesso, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, purché le operazioni concluse costituiscano esercizio di attività ispettiva svolta dall’Amministrazione nei confronti del contribuente sottoposto a verifica e destinatario dell’accertamento, non applicandosi il medesimo termine con riferimento ad un p.v.c. redatto a conclusione dell’accesso presso una terza società che integri, rispetto al contribuente, un atto istruttorio “esterno” rispetto al procedimento accertativo che l’ha attinto direttamente’ (Sez. 5 – , Ordinanza n. 4726 del 15/02/2023).
6.9 Ne consegue che il termine di giorni sessanta può pacificamente decorrere dalla data della chiusura dell’accertamento, e cioè dal 29 ottobre 2009.
6.10 Posto, dunque, che l’avviso di accertamento è stato emesso il 21 dicembre 2009 e notificato il 28 dicembre 2009, deve ritenersi che esso sia nullo. Sebbene, infatti, fra il 29 ottobre ed il 28 dicembre 2009 intercorrano esattamente sessanta giorni, il momento che deve venire in rilievo, ai fini dell’art. 12, comma 7 l. 212/2000 è quello dell’emissione dell’avviso. Come già chiarito da questa Corte: ‘In tema di accertamento, l’atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell’ufficio in data anteriore alla scadenza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, vigente ratione temporis , ancorché notificato successivamente alla sua scadenza, è illegittimo, atteso che la norma tende a garantire il contradditorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni quando l’atto impositivo deve essere ancora emanato, integrando, viceversa, la notificazione una mera condizione di efficacia dell’atto amministrativo ormai perfetto’ (così: Sez. 5, Sentenza n. 16195 del 11/06/2024; conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17202 del 12/07/2017).
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento delle altre censure.
Ritenuto non necessario procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c, la causa può essere decisa nel merito, dichiarando, in accoglimento del ricorso originario, la nullità degli avvisi di accertamento impugnati.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito, mentre le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originariamente proposto.
Compensa le spese di lite nei confronti del contribuente per i gradi di merito e liquida in favore del medesimo la spese di questo giudizio di legittimità in euro 4.100,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, I.V.A. e C.P.A, come per legge.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024