Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33953 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33953 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
locazione del bene ad un supermercato, con ciò valorizzando l’intera proprietà del cespite, così confermando l’operato dei primi Giudici anche per quanto attiene alla sua valutazione economica.
Infine, la Corte territoriale rigettava l’eccezione di nullità dell’avviso per omessa instaurazione del contraddittorio preventivo, richiamando l’orientamento del Giudice di legittimità che aveva riconosciuto la sussistenza di tale garanzia solo per i tributi armonizzati.
La suindicata società notificava in data 12 giugno 2023 ricorso per cassazione contro la predetta sentenza, formulando cinque motivi di impugnazione, successivamente depositando, in data 16 settembre 2024, memoria ex art. 380bis . 1. c.p.c.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso depositato il 24 luglio 2023 (lunedì).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso non ha fondamento per le ragioni che seguono.
Per motivi di priorità logica-giuridico va dapprima esaminato il quinto motivo, concernente, tra l’altro, il difetto di motivazione dell’avviso di liquidazione, stante la sua portata in tesi -dirimente.
Si procederà poi all’esame congiunto del primo e del quarto motivo ed infine del secondo e del terzo, siccome tra loro connessi, i primi due sul tema della motivazione della sentenza impugnata ed i secondi due in relazione al profilo dell’interpretazione della sentenza oggetto di tassazione.
Con il quinto di impugnazione la società ha lamentato, in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 24, secondo comma, 97, primo comma, e 111, secondo comma, Cost., nonché degli artt. 2697 c.c., 7, commi 1 e 2, della legge n. 212/2000, 42, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973, 3, commi 1 e 3, della legge n. 241/1990, nonchè il difetto e/o l’insufficienza, oltre che la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione della sentenza e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, avente ad oggetto la mancata considerazione della specificità dei beni che la pronuncia n. 3165/2016 del Tribunale di Genova aveva dichiarato essere stati usucapiti dalla società.
Tutto ciò, rilevando il difetto di motivazione dell’avviso impugnato, la carenza delle caratteristiche attribuite al bene a sostegno della maggiore pretesa impositiva, peraltro senza alcun accesso in loco in contraddittorio con la contribuente, sostenendo, infine, che la pretesa risulterebbe errata ed infondata in quanto, anche applicando i coefficienti c.d. O.M.I., nulla era stato esplicitato sull’estensione e sulla destinazione dell’area a parcheggio, così come nulla era stato specificato in relazione al valore assegnato e se sia stata considerata o
meno la presenza sull’area di un magazzino e di una rampa di accesso.
2.1. Il motivo va dichiarato inammissibile.
Il ricorso in esame, difatti, non fornisce traccia della formulazione, con il ricorso di primo grado, dell’impugnazione dell’avviso per vizio di motivazione (v. pagine nn. 6 e 7 del ricorso in rassegna, in relazione al giudizio di primo grado, in cui sono state richiamate le domande basate sulla violazione dell’art. 53 Cost., sull’erroneità della stima del bene da parte dell’Ufficio siccome fondata sulla categoria catastale C/6 posto auto – che non corrisponderebbe alla realtà, sulla necessità di interpretare la sentenza in base ai suoi contenuti intrinseci, nonché, in estremo subordine, sulla violazione del principio del contraddittorio), mentre, in relazione al giudizio di secondo grado, la contribuente ha richiamato la contestazione mossa alla sentenza di primo grado nella parte in cui avrebbe consentito la « inammissibile eterointegrazione giudiziale di un atto impositivo lacunoso, siccome carente ab origine degli elementi anche matematici di calcolo necessari per individuare l’iter logico giuridico usato per giungere ad un valore inziale dell’area di ben euro quattrocentomila!» (v. pagina n. 11 del ricorso).
Sta di fatto che il Giudice regionale non ha statuito su tale ragione di contestazione, premettendo che « l’atto di Appello presenta una serie di argomentazioni che non erano state inserite all’interno del Ricorso, in particolare, a quanto esposto in ordine al cd. P.U.C.» (v. pagina n. 2 della sentenza impugnata) e tale, non chiaro, passaggio argomentativo non consente di stabilire se la suddetta questione del vizio di motivazione dell’avviso fosse stata oggetto domanda con il ricorso originario.
2.2. Ricorre, allora, anche in questo caso, l’orientamento di questa Corte secondo cui, qualora con l’impugnazione per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, quantomeno allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere già nel primo grado di giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, né rilevabili d’ufficio (cfr., su tale principio, tra le tante, Cass. n. 5429/2023, che richiama Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 19560/2020, Cass. n. 28036/2020, Cass. n. 8125/2021, Cass. n. 11708/2021, Cass. n. 28714/2021, Cass. n. 30863/2021, Cass. n. 36393/2021, Cass. n. 40984/2021, Cass. n. 8362/2022, Cass. n. 35885/2022).
2.3. Va, in ogni caso, aggiunto che l’i nammissibilità della censura si manifesta anche in ragione del rilievo secondo il quale, a fronte dell’assenza di ogni considerazione da parte del Giudice di appello sul tema della motivazione dell’avviso (nemmeno riportato tra quelli oggetto di domanda in sede di gravame), il motivo ondeggia, nell’ambito del non pertinente canone censorio della violazione di legge (tenuto conto che, in realtà, non è intervenuta alcuna pronuncia sul punto), tra i differenti profili concernenti, da un lato, la generica censura in relazione alla motivazione dell’atto impositivo (peraltro, omettendo, in spregio al canone di autosufficienza, di riassumerne il contenuto) e, per altro verso, relativamente al tema dell’onere della prova ritenuto non soddisfatto da parte dell’ente impositore, mescolando il tutto con la dedotta
inesistenza delle caratteristiche attribuite al bene dall’Ufficio, per contestare, alla fine, la fondatezza della pretesa.
In siffatto modo, la ricorrente mostra di aver confuso il piano della motivazione dell’avviso con la dimostrazione (prova) dei fatti costitutivi la pretesa fiscale, dovendo, invece, sul punto, ribadirsi che la motivazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito formale di validità dell’atto impositivo, distinto da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti che integrano la pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nel giudizio avente ad oggetto detta pretesa (cfr. Cass. n. 13305/2024, che richiama Cass. n. 4639/2020).
2.4. Va, infine, osservato che non può considerarsi motivo di impugnazione per l’assoluto difetto di specificità il labile riferimento al principio del contraddittorio (confinato in parentesi all’ultimo rigo di pagina n. 18 del ricorso) nella parte in cui la contribuente ha lamentato il mancato accesso dei luoghi al fine di sostenere l’errata attribuzione al bene delle caratteristiche indicate dall’Ufficio.
La censura, infatti, risulta priva di ogni apparato argomentativo volto a confutare le ragioni espresse dal Giudice regionale, che si sono poste, peraltro, in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte nell’escludere l’instaurazione del contraddittorio preventivo per l’imposta di registro (tributo non armonizzato), applicata -come nella specie – a seguito di indagini eseguite a tavolino (cfr., tra le tante, Cass. n. 2585/2023).
2.5. Ogni altra questione sulle concrete caratteristiche del bene coinvolge profili di merito non esaminabili nel presente grado di giudizio.
Come anticipato, si esaminano congiuntamente la prima e la quarta doglianza, in quanto connesse in relazione al tema della motivazione contraddittoria o apparente della sentenza.
3.1. Infatti, con il primo motivo di ricorso la contribuente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., secondo comma, num. 4, c.p.c., per avere la Corte territoriale fornito una motivazione del tutto apparente, contraddittoria ed avulsa dalle argomentazioni ed eccezioni svolte dalla società.
In tale prospettiva, l’istante ha, nello specifico, rimproverato al Giudice regionale di aver prima asserito « di aver fondato la propria decisione sulla sentenza che ha dichiarato l’usucapione del terreno a favore dell’odierna ricorrente», correttamente individuando il terreno in esame come indicato nella sentenza « quale area urbana, ma poi, sorprendentemente ed inaspettatamente, conclude ritenendo e contraddicendosi che la stessa sentenza del Tribunale di Genova ‘non fa alcun preciso riferimento né alla definizione di area urbana né alla categoria F1», laddove, come emerge dalla citata pronuncia, essa « fa espresso riferimento alla cd. ‘area urbana’ che è una delle categorie catastali speciali indicate come categoria F/1 e consente di individuare in catasto una porzione di corte o di terreno, di particella catastale censita al catasto fabbricati: è una categoria che non dà nè consistenza né reddito all’unità immobiliare» (v. pagina n. 13 del ricorso).
3.2. Sotto altro, ma contiguo profilo, con la quarta ragione di contestazione la ricorrente ha denunciato, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 132, c.p.c., secondo comma 2, num. 4, c.p.c., contestando al Giudice di appello di aver fornito una motivazione del tutto apparente, contraddittoria ed avulsa dalle argomentazioni ed eccezioni avanzate dalla società, ribadendo di non comprendere la valorizzazione fornita dalla Corte territoriale alla destinazione del bene a parcheggio, peraltro basandola « sulla situazione attuale dei locali alla data della discussione (23/11/2022)» (v. pagina n. 16 del ricorso) e ponendo in rilievo che « dalla lettura della sentenza n. 3165/2016 del Tribunale di Genova emerge che il parcheggio nell’area de qua era soltanto uno dei tanti modi di utilizzo dell’area quale esplicato dall’odierna ricorrente » (v. pagina n. 17 del ricorso).
3.3. Si tratta di censure infondate.
Costituisce principio consolidato di questa Corte considerare rilevanti i vizi dedotti, allorquando la motivazione si fondi su di un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti o quando essa risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, oppure nell’ipotesi in cui, pur graficamente e, quindi, materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, non consentendo, in tal modo, alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del
giudice, lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Va, invece, esclusa (in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, num. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54, comma 1, lett. b ), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ratione temporis applicabile al caso in esame) qualunque rilevanza al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr., su tali principi, anche da ultimo, Cass. n. 7442/2024, Cass. n. 8885/2024, Cass. n. 2689/2023; Cass. 12340/2023, Cass. n. 35815/2022 e le tante altre ivi citate).
3.4. Nella specie, la motivazione della sentenza impugnata risulta chiara e comprensibile, essendosi articolata sull’interpretazione della sentenza oggetto di tassazione e sull’individuazione dei suoi contenuti essenziali ai fini della sua tassazione, identificati nella destinazione dell’area oggetto di usucapione da parte della società contribuente a parcheggio, reputata avere vocazione prevalente tanto da individuare in essa «l’interesse rilevante» (così nella sentenza impugnata), vale a dire la connotazione caratterizzante il bene rispetto alla sua originaria destinazione di mero passaggio carrabile ai fondi.
Condivisibile e corretta o meno che sia la valutazione operata, va riconosciuto che la motivazione della pronuncia esiste nella sua elementare articolazione, in termini comprensibili.
3.5. Come altrettanto chiaro risulta l’uso improprio della censura in esame nella parte in cui cela le ragioni effettive della contestazione, che si rivelano, basate, in realtà, sul mero dissenso rispetto alla valutazione fornita dal Giudice regionale nella parte in cui l’ha contestata, assumendo:
con riferimento al primo motivo, che la sentenza del Tribunale di Genova che aveva dichiarato l’usucapione del bene aveva, diversamente da quanto opinato dal Tribunale, compiuto espresso riferimento all’area urbana;
b. con riguardo al quarto motivo, che dalla lettura della sentenza n. 3165/2016 del Tribunale di Genova emerge che il parcheggio nell’area de qua era soltanto uno dei tanti modi di utilizzo dell’area quale esplicato dall’odierna ricorrente » (v. pagina n. 17 del ricorso).
Senonchè, tali argomenti oppongono solo una diversa interpretazione dei contenuti della pronuncia del Tribunale, profilo questo che, tuttavia, non ha alcuna pertinenza con i vizi motivazionali dedotti.
3.6. Anche quando nel motivo si segnala il citato contrasto motivazionale, l’istante omette di considerare che la motivazione della sentenza impugnata ha espresso le ragioni della decisione, considerando prevalente la destinazione dell’area a parcheggio e non rilevante, ai fini che occupano, il riferimento all’«area urbana», implicitamente reputando che tale indicazione sia stata utilizzata dal Tribunale al solo fine di individuare il bene.
In tal senso, va, quindi, letta la pronuncia in rassegna nella parte in cui ha affermato che «La sentenza emessa dal Tribunale civile non fa alcun preciso riferimento né alla definizione di ‘area urbana’ né alla categoria F1 », con ciò, quindi, relegando il riferimento alla predetta «area urbana» ad una mera funzione di identificazione del bene.
Esaminando unitamente il secondo ed il terzo motivo si osserva quanto segue.
4.1. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto, sempre con riguardo al canone di cui all’art. 360, primo comma, num. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c., imputando alla Corte territoriale di aver commesso un errore di percezione « sul contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti» e, segnatamente, nella parte in cui -a dire del Giudice regionale -« la sentenza del Tribunale di Genova ‘non fa alcun preciso riferimento né alla definizione di area urbana né alla categoria F1» (v. pagina n. 13 del ricorso).
4.2. Con la terza doglianza la società ha eccepito, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., osservando che, in tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, occorre far riferimento al contenuto ed agli effetti che emergono dalla sentenza stessa, senza possibilità di utilizzare gli elementi ad essa estranei, nè potendosi ricercare contenuti diversi da quelli su cui sia formato il giudicato. E ciò, per evidenziare che «Nella specie, secondo quanto risulta dalla sentenza, parte motiva e dispositivo, del Tribunale di Genova che ha accertato l’intervenuta usucapione, il terreno usucapito viene definito in parte motiva (pagina 8) e parte dispositiva (pagina 9) ‘Area urbana’» (v. pagina 14 del ricorso), elemento questo che, peraltro, l’Ufficio non ha mai contestato, ritenendo però di classificare l’area nella categoria catastale ‘C6’, ossia come posti auto.
L’istante ha aggiunto di non comprendere in base a quale elementi logici-giuridici la Corte di giustizia tributaria abbia avallato l’interpretazione dell’Agenzia, dando rilevanza alla destinazione dell’area a parcheggio delle vetture rispetto a quella impressa dagli originari acquirenti, osservando sul
punto che la valutazione dell’Ufficio era fondata sull’immotivato ed ingiustificato utilizzo di una destinazione d’uso a parcheggio, « ovvero una categoria catastale che non corrisponde alla realtà » ed ad una « destinazione nemmeno menzionata nella sentenza n. 3165/2016 del Tribunale di Genova» (v. pagina n. 16 del ricorso).
4.3. Anche tali doglianze non possono essere accolte.
Correttamente la difesa della contribuente ha riconosciuto che non viene « in rilievo nella specie giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c. » (v. pagina 15 del ricorso), come è naturale che sia, non essendo la predetta sentenza intervenuta tra la ricorrente e l’Ufficio.
Dunque, la contestazione della società sta tutta nella considerazione secondo la quale la motivazione della sentenza del Tribunale di Genova ed il suo dispositivo risulterebbero chiari nello stabilire che il terreno del quale è stata dichiarata l’usucapione era classificato come «area urbana», per cui il Giudice regionale sarebbe caduto in un errore percettivo nella parte in cui ha ritenuto che la predetta pronuncia non avesse fatto alcun preciso riferimento alla definizione di ‘area urbana’ ed alla categoria F1.
4.4. Le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, num. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale (così Cass., Sez. Un., n. 5792/2024, ai cui ampi contenuto si rinvia).
4.5. Riqualificando il motivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, c.p.c., va, in primo luogo, osservato come la censura sconti una prima, dirimente, ragione di inammissibilità, perché intercetta il limite preclusivo della doppia conforme, avendo la Corte regionale ribadito le valutazioni del primo Giudice.
Va aggiunto che nell’operazione interpretativa della sentenza tassata da parte del Giudice regionale non vi è stata alcuna supposizione di un non-fatto, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita; non vi è stata, cioè, alcuna svista percettiva, avendo invece proceduto alla valutazione della pronuncia del Tribunale di Genova in relazione ai suoi contenuti ritenuti essenziali e qualificanti.
Ne dà conferma la stessa difesa della ricorrente nella parte in cui ha provveduto a riepilogare la parte motiva della citata sentenza del Tribunale, ricordando che in essa si era affermato che la società aveva « sempre utilizzato l’area in modo esclusivo per farvi parcheggiare i loro clienti e per tenervi le auto in procinto di essere riparate in officina» (v. pagina n. 17 del ricorso), oltre a realizzare sull’area una serie di interventi sintomatici del possesso ad usucapionem , riconoscendo -la stessa contribuente che il « parcheggio dell’area era soltanto uno dei tanti modi di utilizzo dell’area quale esplicato dall’odierna ricorrente » (v. pagina n. 17 del ricorso).
Ebbene, tali osservazioni, intanto, privano di efficacia l’argomento (di natura, peraltro, prettamente fattuale) secondo il quale il Giudice regionale avrebbe preso in considerazione la destinazione del bene esistente nel mese di novembre 2022.
Sotto altro versante, va poi considerato che, sulla base di tali evidenze, tratte dal contenuto intrinseco della pronuncia oggetto di tassazione, la Corte territoriale ha individuato l’utilizzo caratterizzante il bene usucapito, la vocazione preminente dell’area, il tutto sulla scorta di un apprezzamento fattuale non sindacabile nella sede che occupa con i canoni censori prescelti.
Vero è, piuttosto, che la tesi della contribuente valorizza oltre modo l’infelice ed incompiuta espressione adottata nella sentenza impugnata secondo cui la pronuncia del Tribunale non avrebbe operato « alcun preciso riferimento né alla definizione di ‘area urbana’, né alla categoria F1», la quale è affermazione volta – come già detto – a confinare, nella logica della pronuncia, detti richiami al solo dato identificativo catastale dei beni (effettivamente non rilevante ai fini che occupano) rispetto al compatibile ed invece « rilevante interesse del parcheggio delle vetture » (così nella sentenza impugnata) e dunque alla suddetta vocazione dell’area, su cui il Giudice regionale ha, in definitiva, ritenuta corretta la valutazione economica operata dall’Ufficio.
Alla stregua delle valutazioni svolte il ricorso va, quindi, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE Gian RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate nella misura di 4.000,00 € per competenze ed al rimborso delle spese che risulteranno dai registri di cancellaria prenotate a debito.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26