Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16931 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16931 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
Oggetto: Rimborso ritenute su TFR – Lavoratore italiano distaccato e residente all’estero -Datore di lavoro italiano – Convenzione con la Gran Bretagna – Artt. 15 e 29
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29794/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
– ricorrente –
Contro
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al controricorso, dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del difensore;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Abruzzo , Sezione Staccata di Pescara, n. 351/06/2022, depositata il 7 giugno 2022.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Uditi per l’Agenzia delle entrate l’ Avvocato dello Stato NOME COGNOME e per il controricorrente l’ Avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME cittadino italiano residente all’estero, presentava domanda di rimborso delle imposte versate dal sostituto d’imposta (RAGIONE_SOCIALE, pari a complessivi Euro 74.420,84, sulle somme erogate a titolo di TFR ed incentivo all’esodo per il periodo di lavoro nel Regno Unito.
Impugnava, quindi, il silenzio rifiuto serbato dall’Ufficio innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pescara, evidenziando di non dovere nulla al fisco italiano, in virtù della Convenzione stipulata dall’Italia con il Regno Unito (art. 15), ratificata con legge n. 329/1990. Il contribuente, infatti, aveva dal 2003 la residenza all’estero, aveva svolto la prestazione lavorativa nel Regno Unito e in Italia aveva sede il datore di lavoro.
L’Ufficio si costituiva deducendo l’insussistenza dei presupposti del rimborso, non avendo l’istante allegato, in particolare, la certificazione prevista dall’art. 29 della Convenzione.
La CTP rigettava il ricorso, ritenendo imponibili in Italia il TFR e l’incentivo all’esodo, erogati entrambi dal datore di lavoro avente sede in Italia.
Interposto gravame, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, riformava la decisione di primo grado; dopo aver premesso che il contribuente aveva svolto, per quanto qui rilevi, attività lavorativa nel Regno Unito dal 5.1.2004 al 31.1.2012, in virtù di distacco internazionale disposto dal datore di lavoro (RAGIONE_SOCIALE, e dopo aver svolto alcune considerazioni generali sulle convenzioni internazionali bilaterali contro le doppie
imposizioni, la CTR affermava che il reddito prodotto (all’estero) dal contribuente non era tassabile in Italia, bensì nel Regno Unito (tra l’altro, luogo di residenza del medesimo), a prescindere dall’effettivo pagamento delle imposte in detto ultimo Stato. In altri termini, ciò che rileva è l’esistenza del potere impositivo principale dello Stato (diverso dall’Italia), sulla base della convenzione bilaterale stipulata con l’Italia.
Avverso questa sentenza propone ricorso il patrono erariale, affidandosi a due motivi; replica con tempestivo controricorso la parte contribuente.
Fissata l’udienza pubblica per il 06/05/2025, il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dr. NOME COGNOME ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
All’udienza pubblica del 06/05/2025 il Sostituto Procuratore Generale ha ribadito le conclusioni già rese con la memoria, l’avvocato dello Stato ha chiesto accogliersi il ricorso e l’avvocato del contribuente ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l ‘Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. «la violazione dell’art. 15, comma 2, lettera b) della Convenzione Italia-Gran Bretagna contro le doppie imposizioni, ratificata con L. n. 329/90». Deduce, in particolare, che il TFR era stato, nella specie, erogato da un datore di lavoro avente sede in Italia; pertanto, come affermato dalla Suprema Corte nella decisione n. 2441/2017, i redditi da lavoro dipendente sono tassabili nello Stato in cui ha sede il datore di lavoro, se l’onere della remunerazione non sia sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore abbia nell’altro Stato (art. 15, p. 2, lett. b della Convenzione).
Il motivo è infondato.
1.1. È noto che le convenzioni bilaterali in materia di doppia imposizione hanno la funzione di dettare norme internazionali di conflitto al fine di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali, che si verifica allorché una stessa situazione di fatto economicamente rilevante determina la nascita in capo al medesimo soggetto di due obbligazioni tributarie in relazione a imposte dello stesso tipo previste dalla legislazione di due Paesi diversi, con conseguente ostacolo all’attività economica e di investimento internazionale. Tale scopo viene perseguito o mediante l’attribuzione del potere d’imposizione fiscale ad uno Stato contraente e, corrispondentemente, con la rinuncia all’esercizio di tale potere da parte dell’altro Stato, oppure viene prevista una potestà impositiva concorrente dei due Stati, con il ricorso allo strumento del credito d’imposta per evitare la doppia imposizione (Cass. 13/10/2017, n. 24112; Cass. 14/04/2021, n. 9725).
1.2. Nella specie la Convenzione stipulata da Italia e Gran Bretagna a Pallanza il 21.10.1988 e ratificata con la legge 329/1990 detta due regole:
-il primo comma dell’art. 15 prevede che gli stipendi ricevuti da un residente di uno Stato contraente in corrispettivo di una attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente (nel qual caso le remunerazioni sono imponibili in questo altro Stato); in altri termini, il criterio discretivo ai fini della individuazione dello Stato dotato della potestà impositiva è il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa, spettando, infatti, sempre allo Stato dove il dipendente svolga detta attività la potestà impositiva sia nel caso in cui in detto Stato il dipendente abbia la propria residenza (prima parte del comma), sia nel caso in cui il dipendente abbia la residenza nell’altro Stato (seconda parte del comma); si tratta di un principio generale, ispirato al modello promosso dall’OCSE, e affermato da numerose convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (ad es. quella stipulata dall’Italia e dalla Svizzera, art. 15);
-il secondo comma detta alcune eccezioni alla seconda delle due ipotesi enucleate nel primo comma; stabilisce, infatti, che quando il dipendente svolga la propria attività in uno Stato, che sia diverso da quello della propria residenza, la potestà impositiva è dello Stato in cui risiede quando: a) il lavoratore soggiorni nell’altro Stato per periodi inferiori ai 183 giorni per anno fiscale; b) le remunerazioni siano pagate da un datore di lavoro che non risieda nell’altro Stato (cioè che risieda nello stess o Stato in cui il lavoratore ha la residenza); c) l’onere della remunerazione non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
1.3. Nella fattispecie, che si tratti di potestà impositiva esclusiva di uno dei due Stati (il Regno Unito) discende inequivocabilmente dal fatto che il Minetola risiedeva in detto Stato ed ivi aveva svolto la propria attività lavorativa; la norma prevede, per questa ipotesi, che il reddito è imponibile «soltanto» in tale Stato (sul rilievo da attribuire – in base ai criteri interpretativi dettati dall’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati – alla presenza o meno, nelle singole disposizioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni, dell’avverbio «soltanto», al fine di stabilire la ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati contraenti, cfr. Cass. n. 23984 del 2016). Trova, quindi, applicazione nella fattispecie la prima ipotesi disciplinata dal primo comma dell’articolo 15 della Convenzione, non già il comma secondo, lett. b), della norma, come erroneamente ritenuto dal patrono erariale (norma che, ovviamente, non può quindi ritenersi violata nella fattispecie).
1.4. In fattispecie analoga a quella per cui è l’odierno giudizio (Cass. n. 24112/2017 cit.) questa Corte ha affermato che le somme percepite a titolo di retribuzione dell’attività di lavoro dipendente, svolta nel Regno Unito da cittadino residente nel Regno Unito, sono soggette a tassazione esclusivamente in tale Stato.
1.5. Il motivo, conformemente a quanto sostenuto dal Sostituto Procuratore Generale, va quindi rigettato.
Con il secondo motivo l’Ufficio denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. «la violazione dell’art. 29 della Convenzione con la Gran Bretagna, ratificata con L. n. 329/90». Sostiene, in particolare, che erroneamente la CTR ha ritenuto irrilevante l’omessa presentazione del certificato previsto dall’art. 29 della Convenzione. Il contribuente, nella specie, avrebbe dovuto allegare all’istanza di rimborso l’attestazione dell’amministrazione fiscale del Regno Unito circa la sussistenza delle condizioni per il diri tto all’applicazione delle esenzioni previste dalla Convenzione.
Il motivo è infondato.
2.1. L’articolo 29 della Convenzione prevede che l’imposta riscossa in uno Stato contraente mediante ritenuta alla fonte è rimborsata a domanda dell’interessato, corredata da un attestato dello Stato contraente -del quale il contribuente è residente -certificante che sussistono le condizioni richieste per aver diritto al rimborso .
2.2. Circa la rilevanza da attribuire alle certificazioni previste dalle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni, questa Corte ha, in un primo momento, affermato (con riferimento all’ omologo art. 29 della Convenzione ItaliaSvizzera) che l’istanza di rimborso deve essere corredata di attestazione ufficiale di un’autorità dello Stato contraente in cui il contribuente è residente, certificante che sussistono le condizioni richieste dalla stessa Convenzione per ottenere il rimborso; tale attestazione non ammette equipollenti (Cass. n. 21/04/2001, n. 5927).
Si tratta di un principio affermato anche con riferimento alla identica disposizione (art. 29) della Convenzione Italia-Argentina (Cass. 15/01/2016, n. 555 e Cass. 27/01/2016, n. 1460).
2.3. Successivamente si è ritenuta sufficiente, ai fini dell’accoglimento della domanda di rimborso, la prova della residenza anagrafica nel Paese estero (nella specie Inghilterra) esclusivo titolare della potestà impositiva (Cass. 13/10/2017, n. 24112). Sempre con specifico riferimento all’art. 29 della
Convenzione Italia-Regno Unito, in tempi recenti si è chiarito come la certificazione attestante la residenza fiscale estera è anche idonea a provare l’astratta soggezione fiscale nel paese estero (Cass. 24/04/2023, n. 10884).
Precisamente si è affermato che:
-il modello di convenzione OCSE (il primo risalente al 1963), in attuazione del quale è stata firmata a Pallanza, il 21 ottobre 1988 (poi ratificata con l. 5 novembre 1990, n. 329), la convenzione italobritannica in tema di doppia imposizione, stabilisce all’art. 4 che l’espressione ‘residente in uno stato contraente’ designa ogni persona la quale, in virtù della legislazione dello Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato (‘is liable to tax’), e nel relativo commentario si legge che la disposizione è proprio dettata al fine di risolvere casi di doppia residenza (‘ the article is intended to define the meaning of term ‘Resident of a contracting state’ and to solve cases of double residences’), sempre intesa, in base alle legislazioni domestiche, dal punto di vista fiscale;
-le stesse indicazioni dell’Agenzia sono in tal senso : ‘ l’autorità fiscale del Paese di residenza del beneficiario del reddito può rilasciare l’Attestato di residenza fiscale utilizzando una propria modulistica da allegare alla domanda di rimborso o di applicazione diretta dell’esonero o dell’aliquota convenzionale’ . Il modello rilasciato dall’Autorità fiscale estera deve attestare la residenza del beneficiario ai sensi della pertinente norma convenzionale nel periodo d’imposta ovvero alla data di rilascio dell’Attestato ;
-l addove l’Autorità fiscale estera preveda il rilascio dell’Attestato con procedura elettronica, la validità del documento deve essere verificabile e del resto in conformità con i modelli a sua volta rilasciati dall’Agenzia per i residenti fiscali in Italia (cfr. Agenzia Entrate prot. n. 2013/84404);
-il certificato di residenza fiscale, dunque, è sufficiente a soddisfare le condizioni previste dall’art. 29, comma 2, della richiamata convenzione di Pallanza, con speciale riferimento alla
necessità di allegare all’istanza di rimborso ‘un attestato dello Stato contraente (…) certificante che sussistono le condizioni richieste per avere diritto al rimborso’.
2.4. Alla luce di tale giurisprudenza (formatasi anche con riferimento all’analoga disposizione della Convenzione Italia -Svizzera, Cass. 06/11/2023, n. 30779), deve, quindi, condividersi la decisione della CTR, secondo cui ai fini del diritto al rimborso è sufficiente la prova della residenza del contribuente nello Stato estero, così come l’assunto del controricorrente e del Sostituto Procuratore Generale, secondo cui l’art. 29 rappresent a una norma di chiusura rispetto agli altri ordinari meccanismi diretti ad evitare la doppia imposizione ed ‘entra in gioco per porre concreto rimedio a una duplicazione d’imposta già avvenuta e non rimediabile dal credito d’imposta’ (pag. 5 del controricorso).
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore di NOME COGNOME delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre rimb. spese forf. nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 maggio 2025.