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Tassazione TFR estero: la residenza vince

Un lavoratore italiano, residente e impiegato nel Regno Unito per un’azienda italiana, ha richiesto il rimborso delle imposte trattenute sul suo TFR. La Corte di Cassazione ha confermato il suo diritto, chiarendo che, secondo la convenzione contro la doppia imposizione tra Italia e Regno Unito, la tassazione TFR estero spetta esclusivamente al Paese in cui il lavoro è stato svolto e dove il contribuente risiede. La Corte ha inoltre specificato che la prova della residenza estera è sufficiente per il rimborso, anche in assenza di uno specifico certificato dell’autorità fiscale straniera.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Tassazione TFR Estero: Vince il Luogo di Lavoro e Residenza, non la Sede del Datore

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sulla tassazione TFR estero, un tema di grande interesse per i lavoratori italiani distaccati all’estero. La Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: per i redditi da lavoro dipendente, inclusi TFR e incentivi all’esodo, la potestà impositiva spetta esclusivamente allo Stato in cui il lavoratore risiede e svolge la sua attività, a prescindere dalla nazionalità o sede legale del datore di lavoro. Questa decisione rafforza la tutela dei contribuenti contro la doppia imposizione, applicando i principi delle convenzioni internazionali.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dalla richiesta di rimborso presentata da un cittadino italiano, fiscalmente residente nel Regno Unito dal 2003, per le ritenute fiscali applicate dal suo datore di lavoro italiano sul TFR e su un incentivo all’esodo. Le somme si riferivano a un periodo di lavoro svolto interamente nel Regno Unito, tra il 2004 e il 2012, in regime di distacco internazionale per una nota azienda italiana.

Il lavoratore sosteneva che, in base alla Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni (ratificata con L. n. 329/1990), tali redditi avrebbero dovuto essere tassati esclusivamente nel Regno Unito. Di fronte al silenzio-rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria, il contribuente ha adito la Commissione Tributaria. Mentre in primo grado la sua richiesta è stata respinta, la Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione, accogliendo le ragioni del lavoratore e riconoscendo la potestà impositiva esclusiva del Regno Unito.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi: la presunta violazione dell’art. 15 della Convenzione, sostenendo che la sede italiana del datore di lavoro rendesse il reddito tassabile in Italia, e la violazione dell’art. 29, per la mancata presentazione da parte del contribuente del certificato ufficiale dell’autorità fiscale britannica.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Tassazione TFR Estero

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la sentenza di secondo grado e il diritto del lavoratore al rimborso. La decisione si fonda su un’attenta analisi della Convenzione bilaterale.

Le Motivazioni

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione dell’articolo 15 della Convenzione Italia-Regno Unito. I Giudici hanno chiarito che la regola generale, contenuta nel primo comma, è inequivocabile: i redditi da lavoro dipendente sono imponibili soltanto nello Stato di residenza del percipiente, a meno che l’attività non sia svolta nell’altro Stato contraente. In tal caso, la potestà impositiva spetta a quest’ultimo. Poiché il lavoratore risiedeva e svolgeva la sua attività nel Regno Unito, la tassazione spettava esclusivamente a tale Paese.

La Corte ha specificato che le eccezioni previste dal secondo comma dell’art. 15, invocate dall’Agenzia delle Entrate, non erano applicabili al caso di specie, in quanto riguardano situazioni diverse (es. soggiorni brevi inferiori a 183 giorni). La circostanza che il datore di lavoro avesse sede in Italia è stata ritenuta irrilevante ai fini della localizzazione della potestà impositiva, che la Convenzione lega al luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.

Riguardo al secondo motivo di ricorso, relativo all’art. 29 e alla mancata presentazione del certificato fiscale, la Cassazione ha adottato un approccio pragmatico e sostanziale. Pur riconoscendo che la Convenzione prevede la presentazione di un attestato, la Corte, in linea con la sua più recente giurisprudenza, ha affermato che la prova della residenza fiscale estera è sufficiente per soddisfare le condizioni per il rimborso. In altre parole, l’assenza del certificato formale non può precludere il diritto al rimborso se il contribuente dimostra in altro modo di essere residente fiscalmente nel Paese estero, titolare esclusivo della potestà impositiva.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza per la mobilità internazionale dei lavoratori. Stabilisce chiaramente che, nell’ambito della tassazione TFR estero e dei redditi da lavoro dipendente, il criterio determinante è il luogo dove l’attività viene materialmente esercitata, in combinato con la residenza fiscale del lavoratore. La sede del datore di lavoro passa in secondo piano. Inoltre, la pronuncia semplifica l’onere probatorio per i contribuenti che chiedono rimborsi, valorizzando la prova della residenza fiscale rispetto a formalismi documentali che, sebbene previsti, non possono negare un diritto sostanziale. La decisione rappresenta quindi una vittoria per la certezza del diritto e la corretta applicazione dei trattati internazionali contro la doppia imposizione.

Il TFR di un lavoratore italiano residente all’estero è tassabile in Italia se il datore di lavoro è italiano?
No. Secondo la Corte di Cassazione, in applicazione della Convenzione Italia-Regno Unito, il TFR è imponibile esclusivamente nel Paese in cui il lavoratore risiede e svolge la sua attività lavorativa, indipendentemente dalla sede legale del datore di lavoro.

Cosa stabilisce la Convenzione Italia-Regno Unito sulla tassazione del reddito da lavoro dipendente?
L’articolo 15 della Convenzione prevede che gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe sono imponibili soltanto nello Stato di residenza del lavoratore. Se però l’attività lavorativa è svolta nell’altro Stato, è quest’ultimo ad avere il diritto di tassare tali redditi.

È sempre necessario il certificato dell’autorità fiscale estera per chiedere il rimborso delle imposte in Italia?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che, ai fini del rimborso, è sufficiente fornire la prova della residenza fiscale nello Stato estero. Tale prova può soddisfare le condizioni richieste dalla Convenzione anche in assenza dello specifico attestato formale previsto dall’articolo 29.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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