Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10606 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10606 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6265/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL) e dall’avv. COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL’ABRUZZO, SEZIONE STACCATA DI PESCARA, n. 656/2019 depositata il 2 luglio 2019
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 21 febbraio 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME dipendente della società di diritto ceco RAGIONE_SOCIALE facente parte del Gruppo RAGIONE_SOCIALE veniva
inviato in missione presso la consociata RAGIONE_SOCIALE e svolgeva la propria attività lavorativa nel territorio dello Stato italiano nell’arco temporale compreso fra il 1° novembre 2014 e il 30 giugno 2015.
In precedenza il consiglio di amministrazione della predetta RAGIONE_SOCIALE aveva deliberato un piano di incentivazione in favore di un ristretto numero di collaboratori, il quale prevedeva l’assegnazione gratuita di azioni della casa madre al termine di un periodo di maturazione del relativo diritto (cd. ) di durata quadriennale, decorrente dal 22 aprile 2011 e con scadenza al 22 aprile 2015.
Al termine di tale periodo il prefato COGNOME rientrante fra i beneficiari del piano in questione, acquistava 400 azioni del RAGIONE_SOCIALE per un valore normale certificato dal sostituto d’imposta pari a 69.838 euro, interamente sottoposto a tassazione in Italia, mediante ritenuta alla fonte, quale reddito di lavoro dipendente prodotto nell’anno 2015.
In data 3 ottobre 2016, qualificandosi come soggetto non residente nel territorio dello Stato italiano, egli chiedeva al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate il rimborso delle ritenute operate dal sostituto d’imposta L’RAGIONE_SOCIALE s.p.a. in misura asseritamente superiore al dovuto.
All’uopo evidenziava che: -nel periodo quadriennale di maturazione del diritto all’assegnazione delle azioni aveva prestato la propria attività di lavoro dipendente in Italia per un tempo corrispondente all’11,84% del totale: – ciononostante, la base imponibile del corrispettivo in natura da lui percepito era stata erroneamente calcolata dall’Ufficio sull’intero valore normale delle azioni, anziché sulla sola parte di esso commisurata ai giorni di lavoro prestati nel nostro Paese.
Formatosi il silenziorifiuto sull’istanza, il contribuente impugnava il diniego dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara,
la quale, ritenuta la fondatezza giuridica della tesi sostenuta dalla parte istante, riconosceva alla stessa il diritto al rimborso della somma di 28.038,53 euro.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, che con sentenza n. 656/2019 del 2 luglio 2019 respingeva l’appello erariale.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3, 23 e 51 del TUIR, nonché dell’art. 15, paragrafi 1 e 2, della Convenzione fra Italia e Repubblica cecoslovacca ratificata e resa esecutiva con L. n. 303 del 1983.
1.1 Si censura l’impugnata sentenza per aver erroneamente affermato che il reddito da riprendere a tassazione a carico di NOME COGNOME doveva essere calcolato in proporzione al tempo di lavoro da lui prestato in Italia durante il periodo di maturazione del diritto all’assegnazione delle azioni del RAGIONE_SOCIALE
1.2 Viene, al riguardo, obiettato che, in base alla disciplina normativa nazionale e convenzionale innanzi richiamata, il reddito costituito dal valore attribuibile alle predette azioni doveva essere interamente sottoposto a tassazione nel Paese in cui era stato prodotto, e cioè in Italia.
1.3 Il motivo è infondato.
1.4 La CTR ha appurato che: – NOME COGNOME era un cittadino della Repubblica Ceca che aveva lavorato in Italia nel periodo compreso tra il 1-11-2014 ed il 30-6-2015, in quanto distaccato
presso la sRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE» ; -«il valore delle azioni» del Gruppo RAGIONE_SOCIALE dallo stesso acquistate «era riferibile ad un quadriennio (22-4-2011/22-42015) nel quale l’appellato era stato residente in minima parte in Italia» e «ad un’attività lavorativa… che, in larghissima parte, non aveva alcun collegamento con l’Italia» .
Muovendo da tale premessa in fatto, ha ritenuto «corretto il ragionamento della C.T.P., secondo il quale la base imponibile del pacchetto azionario doveva calcolarsi proporzionalmente al periodo di lavoro prestato in Italia durante il periodo di maturazione delle azioni, non dovendosi invece considerare il valore delle azioni correlato all’attività lavorativa non prestata in Italia» .
1.5 Ciò posto, per una migliore intelligenza delle questioni giuridiche poste dal motivo di gravame in scrutinio appare utile una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
1.6 Ai sensi dell’art. 3, comma 1, del TUIR, l’IRPEF «si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti, al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10, e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato».
1.7 L’art. 23, comma 1, lettera c), dello stesso testo unico precisa che, «ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti, si considerano prodotti nel territorio dello Stato … i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 50».
1.8 Il successivo art. 51, comma 1, definisce reddito di lavoro dipendente quello «costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».
1.9 Per quanto, poi, specificamente interessa l’odierna controversia, occorre tener presente che fra l’Italia e l’allora
Repubblica cecoslovacca è stata stipulata una convenzione bilaterale per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e prevenire le evasioni fiscali, firmata a Praga il 5 maggio 1981, ratificata e resa esecutiva nel nostro ordinamento con L. n. 303 del 1983.
1.10 In particolare, l’art. 15 della menzionata convenzione, rubricato «lavoro subordinato», che sul punto riproduce i modelli predisposti dall’OCSE, così recita:
«1. Salve le disposizioni degli articoli 16, 18 e 19, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tale titolo sono imponibili in questo altro Stato.
Nonostante le disposizioni del paragrafo 1, le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente, svolta nell’altro Stato contraente, sono imponibili soltanto nel primo Stato se:
a)il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato;
b)le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato; e c)l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
Nonostante le disposizioni precedenti del presente articolo, le remunerazioni relative al lavoro subordinato svolto a bordo di navi o di aeromobili in traffico internazionale sono imponibili nello Stato contraente nel quale è situata la sede della direzione effettiva dell’impresa».
1.11 Deve, infine, rammentarsi che le disposizioni contenute nel TUIR, giusta quanto previsto dal suo art. 169, si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione.
1.12 Individuata la disciplina nazionale e convenzionale applicabile al caso in esame, va anzitutto notato che NOME COGNOME pur dichiarandosi fiscalmente residente nella Repubblica Ceca, non ha mai posto in discussione la sussistenza della potestà impositiva dello Stato italiano, ma si è semplicemente limitato a contestare l’entità della tassazione applicata nel nostro Paese, mediante ritenuta alla fonte, sul corrispettivo in natura rappresentato dal valore delle azioni del RAGIONE_SOCIALE assegnategli a titolo gratuito nell’anno 2015.
Secondo il suo assunto, l’imposta andava calcolata su una base imponibile corrispondente non già all’intero valore normale che le azioni opzionate avevano al momento della loro assegnazione, bensì alla sola parte di esso proporzionalmente riferibile al tempo di lavoro prestato in Italia durante il periodo quadriennale di maturazione del diritto all’esercizio delle «stock options» (cd. ).
1.13 La Commissione regionale ha ritenuto condivisibile la tesi sostenuta dal contribuente e la decisione si sottrae alle critiche che le vengono rivolte dall’Amministrazione Finanziaria.
1.14 Come si è visto sopra, l’art. 51, comma 1, del TUIR recepisce una nozione omnicomprensiva di reddito di lavoro dipendente, tale da includere anche i corrispettivi in natura, fra i quali vanno annoverate le assegnazioni di titoli e diritti stimati in base al loro «valore normale» determinato ai sensi dell’art. 9, comma 4, lettera a), del medesimo testo unico.
In questo senso si è espressa la stessa Agenzia delle Entrate nella risposta n. 316 del 7 settembre 2020 a un’istanza di interpello relativa a fattispecie analoga a quella che ci occupa.
1.15 Ora, dal combinato disposto degli artt. 3, comma 1, e 23, comma 1, lettera c), del TUIR, innanzi riportati, si ricava che:
i soggetti non residenti nel nostro Paese sono sottoposti alla potestà impositiva dello Stato italiano limitatamente ai redditi prodotti nel relativo territorio, in base al criterio oggettivo della territorialità della fonte del reddito;
si reputano prodotti in Italia i soli redditi derivanti da attività di lavoro dipendente prestata nel territorio dello Stato.
1.16 Anche gli accordi internazionali rilevante nella fattispecie sono ispirati al principio generale della tassabilità in Italia del solo reddito di lavoro dipendente ivi prodotto.
1.17 L’art. 15, paragrafo 1, secondo periodo, della Convenzione bilaterale fra Italia e Repubblica Ceca contro le doppie imposizioni e le evasioni fiscali dispone, infatti, che il soggetto residente in uno dei due Stati contraenti soggiace alla potestà impositiva dell’altro Stato soltanto qualora svolga in esso attività di lavoro dipendente, soggiungendo che in questo caso la base imponibile è data dall’ammontare delle remunerazioni percepite a tale titolo.
1.18 Se, dunque, alla stregua delle considerazioni che precedono, l’assegnazione di «stock options» va ritenuta una forma di retribuzione in natura, concorrente ex art. 51, comma 1, del TUIR alla determinazione del reddito di lavoro dipendente da sottoporre a tassazione ai fini dell’IRPEF, deve logicamente dedursene che, nell’ipotesi in cui detta assegnazione venga effettuata in favore di soggetto non residente in Italia, il reddito da essa derivante commisurato al valore normale delle azioni determinato ai sensi dell’art. 9, comma 4, lettera a), dello stesso testo unico – sia suscettibile di imposizione nel nostro Paese per la sola parte che costituisce la remunerazione di attività lavorativa svolta nel territorio dello Stato.
1.19 La soluzione ermeneutica qui accolta trova conferma nel Commentario all’art. 15 del modello di convenzione bilaterale in
materia di doppia imposizione predisposto dall’OCSE, edizione 2017, il quale, pur non avendo valore normativo, costituisce una forma di , ovvero una raccomandazione diretta ai Paesi contraenti (tra cui rientrano l’Italia e la Repubblica Ceca) idonea a fungere da strumento di indirizzo e ausilio nell’interpretazione dell’esatto contenuto e delle finalità delle convenzioni internazionali basate su tale modello (cfr. Cass. n. 17206/2006, Cass. n. 10706/2019, Cass. n. 6242/2020, Cass. Sez. Un. n. 8500/2021). In esso si legge che:
-2.1 <> ( );
-2.2 <> ( );
-12.1 <> ( );
-12.14 <> ( ).
1.20 In senso conforme si esprimono anche i documenti di prassi della stessa Agenzia delle Entrate, e in particolare la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, parte III, paragrafo 2.1, in cui viene esaminata una fattispecie simile a quella oggetto di causa: .
1.21 Va, conclusivamente, affermato il seguente principio di diritto: «Ai sensi dell’art. 51, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986, testo
unico delle imposte sui redditi, concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente anche le forme di remunerazione in natura costituite dall’assegnazione di diritti di opzione su azioni (cd. ). Nel caso in cui l’assegnazione di diritti di opzione su azioni sia effettuata in favore di lavoratore non residente nello Stato italiano, il reddito da essa rappresentato -corrispondente al valore normale delle azioni determinato ai sensi dell’art. 9, comma 4, lettera a), dello stesso testo unicoè assoggettabile a imposizione in Italia, salva diversa disciplina dettata da convenzioni internazionali, per la sola parte che costituisce remunerazione di attività lavorativa svolta nel territorio dello Stato; tale parte si determina in concreto attraverso il rapporto proporzionale fra il numero di giorni in cui le prestazioni di lavoro sono state rese in Italia e quello dei giorni lavorativi compresi nel periodo di maturazione del diritto all’esercizio dell’opzione (cd. )» .
1.22 Per tutto quanto precede, deve escludersi che la CTR sia incorsa nel denunciato «error in iudicando» .
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 15, paragrafi 1 e 2, della Convenzione fra Italia e Repubblica Ceca ratificata e resa esecutiva con L. n. 303 del 1983.
2.1 Si rimprovera al collegio di seconde cure di aver omesso di pronunciare sul motivo di appello con il quale era stata contestata la decisione della CTP per non aver tenuto conto della disciplina dettata in materia di tassazione del reddito di lavoro dipendente dalla menzionata convenzione bilaterale.
2.2 La censura è infondata.
2.3 Sebbene nella motivazione della sentenza non sia stato fatto esplicito riferimento al mezzo di gravame in questione -che l’Agenzia delle Entrate, in osservanza del principio di specificità
sancito dall’art. 366, comma 1, n. 6) c.p.c., ha provveduto a trascrivere nel corpo del ricorso, indicando anche il punto dell’atto di appello in cui era stato formulato-, deve ritenersi che la soluzione della controversia adottata dalla CTR contenga in sé un’adeguata risposta alle questioni che esso poneva.
2.4 In sede di disamina del motivo precedente è già stato evidenziato che i giudici regionali non hanno affatto escluso la sussistenza della potestà impositiva concorrente dello Stato italiano, fra l’altro mai negata dallo stesso Hruska, ma hanno ritenuto che tale potestà potesse essere esercitata rispetto al solo reddito di lavoro dipendente da questi prodotto in Italia.
2.5 Non può, quindi, parlarsi di omessa pronuncia, bensì di implicito rigetto del motivo di appello in discorso (cfr. Cass. n. 24953/2020, Cass. n. 12652/2020, Cass. n. 452/2015).
2.6 Peraltro, il ragionamento posto a base del «dictum» della CTR appare giuridicamente corretto, atteso che, in tema di tassazione del reddito di lavoro dipendente prestato nello Stato contraente diverso da quello di residenza, l’art. 15, paragrafo 1, della citata convenzione fra Italia e Repubblica Ceca prevede la potestà impositiva concorrente, e non esclusiva, dello Stato della fonte (nella versione inglese ), come si evince dal fatto che l’avverbio «soltanto» è utilizzato nel primo periodo della norma -riguardante i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe percepiti dal soggetto fiscalmente residente in uno dei due Stati contraenti a titolo di corrispettivo dell’attività di lavoro dipendente ivi svolta-, e non anche nel secondo.
2.7 Unicamente quando ricorrono tutte e tre le condizioni all’uopo richieste dal paragrafo 2 dello stesso articolo la potestà impositiva spetta al solo Stato di residenza, anche a fronte di attività dipendente prestata nell’altro Stato contraente.
Sull’argomento si richiamano le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 22445/2024, con la quale è stata fornita
l’interpretazione dell’identico art. 15, paragrafo 1, della Convenzione fra l’Italia e la Repubblica del Kazakhstan firmata a Roma il 22 settembre 1994, ratificata e resa esecutiva nel nostro ordinamento con L. n. 174 del 1996.
2.8 Anche la doglianza dell’Agenzia delle Entrate attinente alla mancata prova dell’avvenuta imposizione del reddito in parola nella Repubblica Ceca è da aversi per implicitamente disattesa dal collegio di secondo grado, il quale ha escluso in radice la rilevanza della questione nel momento in cui ha ritenuto che tale reddito fosse assoggettabile a tassazione nel nostro Paese per la sola parte riferibile «proporzionalmente al periodo di tempo prestato in Italia durante il periodo di maturazione delle azioni» , negando, per la restante parte, la potestà impositiva dello Stato italiano.
In definitiva, il ricorso deve essere respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Non si fa luogo all’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002, essendo applicabile all’Agenzia fiscale delle Entrate in virtù del rinvio contenuto nell’art. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012la disposizione recata dall’art. 158, comma 1, lettera a), dello stesso D.P.R., prevedente la prenotazione a debito del contributo unificato in favore delle amministrazioni pubbliche.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 4.300 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 21 febbraio
2025.
La Presidente NOME COGNOME