Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14569 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14569 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17770/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende ex lege
-controricorrente-
avverso SENTENZA della C.T.R. della SICILIA n. 992/2023 depositata il 31/01/2023 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Intesa Sanpaolo s.p.aRAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia che ha rigettato l’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza della C.T.P di Catania di rigetto del ricorso per l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, nella misura di euro 11.378,50, relativo alla registrazione della sentenza del Tribunale di Catania n. 2357 del 2016.
La C.T.R. ha ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di liquidazione, contenente i presupposti dell’atto assoggettato a tassazione, osservando che la conoscenza del suo contenuto emerge con chiarezza dalle difese della contribuente. Indi ha affermato la legittimità dell’applicazione della tassazione proporzionale nella misura del 3%, ai sensi dell’art. 8, comma 1 lett. b) della Prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986, contenendo la decisione la condanna dell’istituto bancario alla restituzione dell’indebito nei confronti dell’attore, titolare di conto corrente, pari ad euro 348.315,26 oltre interessi sino al soddisfo, sulla base rideterminazione del saldo, attraverso lo scomputo della capitalizzazione degli interessi e delle commissioni sul massimo scoperto e l’applicazione del tasso legale vigente. Su questa base la C.T.R. ha, ulteriormente, escluso l’applicabilità del principio di alternatività fra imposta di registro ed IVA, di cui all’art. 40 del d.P.R. 131 del 1986, in quanto la domanda rivolta ad ottenere la ripetizione di interessi indebitamente corrisposti non può equipararsi all’azione volta ad
ottenere il pagamento di interessi non corrisposti, non configurandosi come corrispettivo prodotto dall’azione di finanziamento, non potendo, pertanto, essi essere attratti nell’orbita dell’IVA. Infine, ha sottolineato che ‘ai fini del corretto trattamento fiscale da applicare in materia di imposta di registro alla statuizione di condanna assume rilevo esclusivamente che trattasi di provvedimento monitorio, recante la condanna al pagamento di somme e valori con applicazione dell’imposta proporzionale nella misura del 3%, ai sensi della lett. b) dell’art. 8 Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 131/86’. Con riferimento agli interessi ‘riconosciuti dalla sentenza di condanna a favore di istituto di credito’ ha affermato che ‘è legittima l’applicazione dell’imposta di registro con aliquota proporzionale del 3% e non dell’IVA, visto che l’art. 15, comma 1 del d.P.R. 633/1972, dispone che non concorrono a formare base imponibile le somme dovute a titolo di interessi moratori’.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Con memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ., la società ricorrente ribadisce le conclusioni assunte, formulando eccezione di inammissibilità del controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Intesa Sanpaolo s.p.a. formula cinque motivi di ricorso.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata, per avere la pronuncia, in violazione dell’art. 36, comma 2 d. lgs. 546 del 1992, motivato la decisione attraverso la pedissequa riscrittura delle difese dell’Ufficio (intero quarto capoverso), abdicando al proprio ruolo.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 8,
comma 1 lett. e) della Tariffa, Prima parte allegata al d.P.R. 131 del 1986. Sottolinea che la stessa decisione impugnata afferma che la sentenza assoggettata ad imposizione ha provveduto ‘a rielaborare il saldo con l’eliminazione degli interessi, delle commissioni di massimo scoperto e con l’applicazione del tasso legale vigente nel periodo di riferimento dei rapporti di conto corrente’, con ciò riconoscendo che essa aveva un tipico contenuto di accertamento del diritto e solo conseguentemente un contenuto di condanna, dal che avrebbe dovuto ricavare l’applicabilità dell’art. 8, comma 1 lett. e) Prima Parte della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 25610/2022, in fattispecie identica a quella in esame, relativa alla nullità parziale del contratto.
4. Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione della nota II dell’art. 8 della Prima Parte della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986, e dell’art. 40 d.P.R. 131 del 1986, per avere la C.T.R. ritenuto non applicabile il principio di alternatività alle sentenze di condanna alla restituzione di somme addebitate al correntista in conseguenza dell’accertata nullità delle clausole contrattuali. Osserva che la disposizione si applica per tutti gli atti soggetti ad IVA, ancorché esenti, ivi comprese le operazioni di conto corrente o di finanziamento bancario, come chiarito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità. Richiama l’art. 90 della Direttiva 112/2006/CE e l’art. 26 d.P.R. 633 del 1972, nonché la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea C-63/92 (Lubbok), da cui si evince che debbono ritenersi compresi nel campo di applicazione dell’IVA tanto le somme pagate in dipendenza del contratto di conto corrente bancario, quanto quelle restituite in conseguenza della rideterminazione della misura delle prime. Richiama, a tal proposito la sentenza
della Corte di legittimità n. 26561 del 2022, adottata in un’ipotesi sovrapponibile a quella oggetto del giudizio.
Con il quarto motivo censura, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata, perché in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. -dopo avere erroneamente fatto riferimento, probabilmente per un lapsus calami , agli ‘interessi riconosciuti in una sentenza di condanna a favore di un istituto di credito’ benché si tratti di una condanna resa a carico di una banca e non viceversa- ha ritenuto che gli interessi fossero di natura moratoria, allorquando mai è stato posto in discussione che si trattasse di interessi di natura corrispettiva e legale. E ciò, in violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ.. Ricorda che, in ogni caso, gli interessi spettanti sulle somme oggetto di ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ. sono di natura corrispettiva.
Con il quinto motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 2033 cod. civ., nonché dell’art. 15 d.P.R. 633 del 1972 e 8, comma 1 lett.re b) ed e) della Prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986. Sottolinea che il Tribunale di Catania, accertata la nullità delle clausole contrattuali relative agli interessi ultralegali ed alle commissioni di massimo scoperto, aveva così statuito ‘Accertato un credito da indebito della società attrice di euro 348.315,26 nei confronti di Intesa San Paolo s.p.a. condanna quest’ultima al pagamento della detta somma al tasso legale dalla domanda sino al momento del pagamento’. Assume che secondo la giurisprudenza di legittimità (in particolare Cass. n. 26561 del 2022 e Cass. 17276 del 2017) gli interessi ultralegali e quelli relativi alle commissioni di massimo scoperto non sono mai moratori, ma seguono lo stesso regime del rapporto finanziario, rientrando nell’ambito dell’IVA, ancorché in regime di esenzione. Sicché la Corte di
giustizia tributaria di secondo grado avrebbe dovuto pervenire all’annullamento dell’avviso di liquidazione nella parte in cui applica l’imposta in misura proporzionale anziché in misura fissa ai sensi della II dell’art. 8 della Tariffa. Rileva, infine che l’art. 15 del d.P.R. 633 del 1972 non opera sul piano dell’identificazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, introducendo, invece, il criterio di determinazione della base imponibile, escludendo da detta base la somma dovuta per interessi, anche di natura moratoria.
Il primo motivo è inammissibile.
Nel dedurre la nullità della sentenza per asserita mera riproduzione di parte delle controdeduzioni in appello dell’Agenzia delle Entrate, la società ricorrente omette di riportare quanto contenuto in quell’atto difensivo, rendendo così impossibile qualunque verifica.
D ‘altra parte, secondo le Sezioni Unite di questa Corte ‘Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato. (Cass. Sez. U., 16/01/2015, n. 642; conf. ex multis , da ultimo: Cass. Sez. 5, 06/10/2022, n. 29028).
Il secondo motivo è fondato.
La decisione qui impugnata, nel disattendere la tesi, propugnata dalla banca ricorrente, dell’applicabilità della tassazione in misura fissa alla sentenza assoggettata all’imposta di registro, ai sensi dell’art. 8 lett. e) della Prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986, premesso che con la sentenza del Tribunale di Catania ‘si è proceduto a rielaborare il saldo con l’eliminazione della capitalizzazione degli interessi, delle commissioni di massimo scoperto e con l’applicazione del tasso legale vigente nel periodo di riferimento dei rapporti di conto corrente’ e che ‘acclarata l’illegittimità della pratica operata dalla Banca’ le relative somme a tale titolo corrisposte dal correntista sono ‘prive di causa’ , ha ritenuto che ‘ai fini del corretto trattamento fiscale da applicare alla statuizione di condanna (…) assume rilievo esclusivamente la circostanza che trattasi di provvedimento monitorio, recante ‘condanna al pagamento di somme e valori con l’applicazione dell’imposta proporzionale nella misura del 3%, ai sensi della lett. b) della Tariffa Prima Parte, allegata al d.P.R. 131/1986’.
Ora, il disposto dell’art. 8, comma 1 lett. e) cit. stabilisce che debbano essere assoggettati ad imposta di registro in misura fissa i provvedimenti che ‘dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o di beni, o la risoluzione di un contratto’.
Nel caso di specie non è contestato che, con le domande introdotte, la parte attrice avesse chiesto l’accertamento e la declaratoria di nullità delle clausole contrattuali contra legem , riguardanti la previsione di interessi anatocistici con capitalizzazione infrannuale e la previsione di commissioni di massimo scoperto, nonché la condanna dell’istituto di credito alla ripetizione dell’indebito. Né è contestato -ed anzi il giudice tributario di appello lo conferma espressamenteche la
condanna al pagamento somma a titolo di indebito sia conseguenza della declaratoria di nullità delle clausole. Ed invero, è ovvio che siffatti illegittimi addebiti dipendessero dall’applicazione di clausole contrattuali rivelatesi nulle, e che proprio la declaratoria di nullità parziale del contratto e la conseguente sostituzione automatica delle clausole nulle con la disciplina legale siano sottese dalla sentenza di merito alla condanna alla restituzione delle somme indebitamente addebitate sul conto corrente.
E’ necessario, allora, comprendere se una simile pronuncia di condanna possa configurarsi, ai sensi dell’art. 8 della Parte prima della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986, quale provvedimento recante ‘condanna al pagamento di somme o valori’ di cui alla lett. b), o se , invece, vada inscritta fra i provvedimenti ‘che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione in denaro o beni’ di cui alla lett. e).
Va, innanzitutto, richiamato il recente orientamento di legittimità, secondo il quale ‘I provvedimenti giudiziari che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché di condanna alla restituzione di denaro o beni, o di risoluzione di un contratto, anche quando la dichiarazione di nullità riguardi singole clausole ex art. 1419, comma 2, c.c., e non l’intero contratto che sopravvive tra le parti con la sostituzione della disciplina legale alle clausole nulle (nella specie, clausole di capitalizzazione trimestrale di interessi debitori relativi a contratti bancari con condanna della banca alla restituzione di somme indebitamente riscosse), sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima – allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, essendo irrilevante che essi riguardino corrispettivi o prestazioni soggetti ad IVA, non trovando applicazione alla
ripetizione di indebito oggettivo il principio di alternatività di cui all’art. 40 del d.P.R. citato, né l’art. 8, comma 1, lett. b), della suddetta tariffa, il quale postula la fisiologica validità (“in toto et in qualibet parte”) del contratto originante le obbligazioni per le quali si chiede al giudice di pronunciare la condanna al pagamento o alla consegna’ (Cass. Sez. 5, del 31/08/2022, n. 25610; conf. Cass. Sez. 5, del 26/09/2024 n. 32476, richiamate anche dalla parte ricorrente).
14. Con la sentenza testé richiamata (Cass. Sez. 5, del 31/08/2022, n. 25610), questa Sezione si è pronunciata su un’ipotesi analoga a quella in esame. In quel caso, proprio come in questo, infatti, la parte aveva formulato, oltre alla domanda di declaratoria di nullità delle clausole contrattuali contra legem , anche la domanda di condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite in forza delle clausole nulle. In particolare, l’allora ricorrente Agenzia delle Entrate dubitava che ‘la mera affermazione in motivazione della nullità di una clausola contrattuale’ consentisse la sussunzione della fattispecie nell’art. 8 lett. e) della Tariffa, trattandosi di una disposizione applicabile soltanto in caso di nullità dell’intero contratto e non anche di singole clausole. La Corte ha ritenuto, in quella occasione, che ‘la previsione dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 non possa essere limitata alla sola fattispecie della dichiarazione di nullità totale del contratto (art. 1418 cod. civ.), per quanto si tratti dell’ipotesi più frequente nella prassi, ma debba comprendere anche – per l’assoluta identità di ratio, che renderebbe illogica una difforme regolamentazione, in assenza di una differenza qualitativa tra le due pronunzie – la fattispecie della dichiarazione di nullità parziale del contratto (art. 1419 cod. civ.), allorquando la ripetizione delle prestazioni eseguite contra legem postula la ulteriore sopravvivenza del contratto adeguato mediante la
sostituzione automatica delle clausole nulle con la disciplina legale (art. 1419, comma 2, cod. civ.)’. Infatti, prosegue la Corte ‘non vi è alcuna differenza tra l’azione di nullità parziale e l’azione di nullità totale del contratto sul piano della giustificazione e dell’efficacia delle pronuncia giudiziale, essendo comune la funzione di conformare secundum legem la regolamentazione dei rapporti fra le parti mediante la reciproca restituzione delle prestazioni o delle attribuzioni sine titulo ‘ ( ibidem ).
Quanto sin qui osservato emerge che la pronuncia oggetto di imposizione, riveste funzione restitutoria perché la condanna passa attraverso il ripristino delle prestazioni adempiute e non dovute, per effetto della nullità delle clausole e dell’applicazione della relativa disciplina legale (art. 1419, secondo comma cod. civ.).
15. Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di imposta di registro, i provvedimenti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori o alla restituzione di denaro devono essere assoggettati, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ad imposta proporzionale, a meno che, oltre alla condanna al pagamento di una somma di denaro o all’imposizione di un obbligo restitutorio, non abbiano ad oggetto anche l’annullamento o la declaratoria di nullità di un atto: in quest’ultimo caso, infatti, l’imposta dovrà essere determinata in misura fissa, in applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (in questo senso: Cass., Sez. 5^, 7/07/2017, n. 16814; Cass., Sez. 6^-5, 23/08/2017, n. 20315; Cass., Sez. 5^, 20/12/2018, n. 32969; Cass., Sez. 5^, 8/101/2020, n. 21702; ed ancora Cass. Cass. Sez. 5, 31/08/2022, n. 25610; Cass. Sez. 5, 32476 del 26/09/2024) .
La ratio di una simile impostazione, che esclude ogni proporzionalità dell’imposta assoggettando la pronuncia a misura fissa, sta proprio nell’assenza di trasferimento di ricchezza che connota l’effetto restitutorio dell’indebito conseguente alla declaratoria di nullità del contratto (o della sua parziale nullità) o al suo annullamento o alla sua risoluzione, perché, in siffatti casi, la decisione altro non fa che ripristinare lo status quo ante dei rispettivi patrimoni delle parti, in quanto le prestazioni adempiute sono private ab origine di titolo giustificativo, ciò legittimando di per sé la ripetizione di quanto corrisposto.
Tirando le fila di quanto detto finora, va affermato che, nel caso in cui il pronunciamento del giudice di merito avente ad oggetto la condanna al pagamento di somme indebitamente addebitate sul conto corrente derivi dall’accertamento della nullità del contratto o delle sue clausole, con il conseguente ripristino della legalità del rapporto, in forza della sostituzione automatica delle clausole nulle con la disciplina legale, allora la decisione rientra del disposto dell’art. 8 lett. e) della Prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986. .
L’accoglimento del motivo esonera dalla trattazione della terza censura, benché appaia opportuno ribadire quanto già affermato da questa Corte (cfr. supra) secondo cui il principio dell’alternatività fra imposta di registro ed IVA di cui all’art. 40 del d.P.R. 131 del 1986 è irrilevante in relazione alle ipotesi di nullità delle clausole e sostituzione delle medesime con la disciplina legale, con conseguente applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo, ciò in quanto l’alternatività opera solo nei casi di cui all’art. 8 lett. c) cit., cui unicamente fa riferimento la nota II, siffatta ipotesi presupponendo la validità del contratto.
Il quarto ed il quinto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi, in
quanto inerenti alla qualificazione degli interessi riconosciuti in dispositivo dalla sentenza di merito quali interessi di mora, a dispetto del tenore della statuizione che espressamente condanna al pagamento della somma oggetto di indebito ‘oltre interessi al tasso legale dalla domanda sino al saldo’.
Esclusa l’applicazione del principio di alternatività, cade la questione circa il significato da attribuire all’art. 15 del d.P.R. 633 del 1972, ma resta da risolvere la questione della qualificazione degli interessi connessi all’ipotesi di indebito oggettivo.
Ora, come già detto nell’ipotesi di dichiarazione di nullità di un contratto la disciplina degli obblighi restitutori tra le parti è mutuata da quella dell’indebito oggettivo, poiché viene a mancare la causa giustificativa delle rispettive attribuzioni patrimoniali eseguite in forza del contratto nullo. In coerenza con la previsione di cui all’art. 2033 c.c., dunque, colui che ha ricevuto un pagamento non dovuto in base ad un contratto dichiarato nullo è tenuto a restituire al solvens la somma percepita, con frutti ed interessi dal giorno del pagamento della somma indebitamente corrisposta, qualora l’accipiens era in mala fede, ovvero dal giorno della domanda, qualora invece quegli era in buona fede.
Le Sezioni Unite di questa Corte, affrontando, con una recente sentenza (Cass. Sez. U., 13/06/2019, n. 15895) la questione della decorrenza degli interessi in casi di ripetizione di indebito oggettivo, dopo avere chiarito che l’espressione dal giorno della “domanda”, contenuta nell’art. 2033 c.c., non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma comprende anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219 cod. civ., hanno affermato che la disposizione di cui all’art. 2033, ‘è norma parzialmente derogatoria rispetto all’art. 1282 c.c., costituendo
eccezione -che la disposizione in esame, appunto, ammette- al principio secondo cui i crediti liquidi ed esigibili di una somma di danaro producono interessi (corrispettivi) di pieno diritto, e ciò in ragione del fatto che la legge considera legittima l’utilizzazione del denaro da parte dell’accipiens in buona fede prima della “domanda” nel senso (…) specificato’.
Chiarito che gli interessi conseguenti l’indebito oggettivo hanno natura corrispettiva e non moratoria e che, in assenza di una espressa determinazione contraria della sentenza assoggettata a tassazione, la C.T.R. non può sostituirsi al giudice del merito diversamente qualificando gli interessi, va, altresì precisato, che gli interessi integrano parte del credito, posto che sono meri accessori dell’obbligazione per il capitale, e non possono essere assoggettati ad una tassazione separata. Sicché non appare possibile distinguere -come sembrano pretendere tanto la sentenza impugnata, che la parte controricorrente- tra interessi corrispettivi ed interessi di mora dovuti per l’inadempimento dell’obbligazione, ai fini dell’imposta di registro (Cass. Sez. 5, del 18 aprile 2018 n. 9502 in motivazione), essi seguendo tutti la sorte del capitale.
Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza – non essendo necessario alcun ulteriore accertamento- deve essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 384, comma 2 cod. proc. civ., con decisione nel merito di accoglimento dell’originario ricorso.
Le spese di lite dell’intero giudizio possono essere integralmente compensate, avuto riguardo al solo recente consolidamento degli orientamenti di legittimità sopra richiamati.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente . Compensa le spese di lite dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, in data 8 aprile 2025 .