Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12901 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12901 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 14/05/2025
Tarsu Tia Tares Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20164/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (03629690615), in persona del suo legale rappresentante p.t. , già RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL;
-ricorrente –
contro
Comune di Canonica D’Adda ( P_IVA), in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE; EMAIL;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 4288/26/2019, depositata il 30 ottobre 2019, della Commissione tributaria regionale della Lombardia;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 4288/26/2019, depositata il 30 ottobre 2019, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE, così confermando la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di pagamento emesso dallo Comune di Canonica D’Adda in relazione alla TARI dovuta dalla contribuente per l’anno 2015.
1.1 -A fondamento del decisum , il giudice del gravame ha considerato che:
«le superfici del complesso industriale assoggettate a tassazione erano state desunte proprio dalla denuncia presentata dalla contribuente ed erano anche state abbattute del 50% conformemente alla richiesta contestualmente formulata da quest’ultima.»;
-nella fattispecie, venivano in considerazione rifiuti speciali assimilati a quelli urbani con delibera dell’Ente e, dalla prodotta documentazione, poteva desumersi che «i rifiuti prodotti sono per il 95% assimilati agli urbani.».
–RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di cinque motivi illustrati con memoria; il Comune di Canonica D’Adda resiste con controricorso, ed anch’esso ha depositato memoria .
RAGIONI DELLA DECISIONE
-V a, in via pregiudiziale, disattesa l’eccezione di giudicato esterno sollevata in memoria dalla controricorrente (con riferimento
alla sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 2799/2022, del 4 luglio 2022).
Le Sezioni Unite della Corte hanno rilevato che «Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo.»; nonchè che detta efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, «non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente.» (così Cass. Sez. U., 16 giugno 2006, n. 13916 cui adde , ex plurimis , Cass., 16 maggio 2019, n. 13152; Cass., 3 gennaio 2019, n. 37; Cass., 1 luglio 2015, n. 13498; Cass., 30 ottobre 2013, n. 24433; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675; Cass., 22 aprile 2009, n. 9512; v. altresì, in
tema di ICI, Cass., 19 gennaio 2018, n. 1300; Cass., 16 settembre 2011, n. 18923; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675).
E, con riferimento (proprio) alla disciplina dell’imposizione correlata alla produzione di rifiuti, la Corte ha ripetutamente rilevato che l’accertamento relativo allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali -così come del resto la stessa produzione di detti rifiuti – integra elemento di fattispecie che non ha connotazione di durevolezza in quanto suscettibile di modifiche, e variaz ioni, dall’uno all’altro periodo di imposta (v., in tema di Tari, Cass., 7 luglio 2022, n. 21490; v. altresì, in tema di Tares, Cass., 15 novembre 2024, n. 29538; in tema di TARSU, Cass., 30 marzo 2023, n. n. 8990; Cass., 7 luglio 2022, n. 21555; Cass., 29 luglio 2021, n. 21680; Cass., 1 ottobre 2020, n. 20969; Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741).
Per di più, va rimarcato, nella fattispecie pur viene in considerazione l’assolvimento dell’obbligo dichiarativo che la pronuncia passata in giudicato ha ritenuto non assolto per il periodo di imposta (2013) allora in contestazione; e l’assolvimento di dett o obbligo -in quanto correlato all’iniziativa del contribuente ed alla stessa predeterminazione di un termine per il relativo svolgimento -non può che ascriversi -con le ricadute in iure che ne sono sottese – ad elemento di fattispecie variabile da periodo a periodo di imposta.
2. -Tanto premesso, col primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 685 e ss., alla l. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 10, ed alla l. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 2 e 3, deducendo, in sintesi, che il giudice del gravame non aveva tenuto conto -ai fini della determinazione delle superfici tassabili e dello stesso autosmaltimento dei rifiuti prodotti delle dichiarazioni presentate da essa esponente il 31 ottobre 2024 ed il 24 aprile 2015, della documentazione alle stesse allegate
(planimetrie e MUD) oltrechè della stessa denuncia di occupazione dei locali; né di dette dichiarazioni, e documentazione, aveva tenuto conto l’Ente impositore .
2.1 -Il motivo è destituito di fondamento.
Il riferimento operato dalla gravata sentenza alla denuncia presentata dalla contribuente aveva innanzitutto ad oggetto «le superfici del complesso industriale assoggettate a tassazione» – non dunque le qualificazioni operate dalla parte in sede di dichiarazione e, per di più, evocava una richiesta di riduzione del tributo formulata dalla stessa contribuente che non forma oggetto di specifica censura.
La circostanza, poi, che le qualificazioni (ora) prospettate dalla parte (in termini di suscettibilità alla tassazione o meno delle relative superfici) non abbiano formato oggetto di condivisione in alcun modo rileva ai fini dell’esercizio del potere di veri fica (e controllo) delle dichiarazioni né diversamente prospetta un vizio di motivazione dell’atto impositivo il cui effettivo contenuto è rimasto del tutto anonimo nelle stesse deduzioni di parte.
3. – I l secondo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ripropone la denuncia di violazione di legge in relazione alla l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 685 e ss., alla l. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 10, ed alla l. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 2 e 3, sull’assunto che il giudice del gravame non aveva considerato che -per come accertato dalla stessa amministrazione locale, in esito ad un sopralluogo, -vi erano «ampie porzioni … destinate ad opif icio in condizioni di inagibilità … di fatiscenza ed in cattivo stato di manutenzione e conservazione, vuote e non utilizzate», così che le stesse non potevano ritenersi idonee alla produzione di rifiuti.
3.1 -Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto, va rimarcato, parte ricorrente non dà alcun conto -in esposizione dei fatti di causa – della proposizione, col ricorso introduttivo del giudizio , della questione relativa all’inutilizzabilità di porzioni della complessiva superfice detenuta; e, per vero, – così come deduce, e documenta, parte controricorrente -il profilo relativo alla pretesa detassazione di aree inutilizzabili risulta introdotto (solo) con un motivo di appello, in violazione del divieto dei nova .
La Corte ha statuito che il divieto posto dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, – alla cui stregua, nel giudizio di appello, non possono proporsi «nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio» – riguarda le eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono sempre deducibili; e che per eccezioni in senso stretto debbono intendersi quelle attraverso le quali il contribuente fa valere, con i motivi di ricorso, un fatto giuridico avente efficacia modificativa, impeditiva od estintiva della pretesa fiscale, non potendo al contrario essere considerate tali – e non comportando pertanto il divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dall’art. 57, cit., – la deduzione, in grado di appello, di cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, ovvero, specularmente, in quanto volte alla mera contestazione delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato – con il ricorso introduttivo – ed alle quali rimane quindi circoscritta la indagine rimessa al giudice (così Cass., 31 maggio 2016, n. 11223; Cass., 5 dicembre 2014, n. 25756; v. altresì, ex plurimis , Cass., 10 maggio 2019, n. 12467; Cass., 21 marzo 2019, n. 8073; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27562; Cass., 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass., 22 settembre 2017, n. 22105).
C on l’ampliamento del thema decidendum in appello, veniva così in rilievo un’eccezione di nullità in quanto volta a mettere in discussione
uno specifico profilo (il dato quantitativo delle superfici occupate) dell’atto impositivo impugnato .
E va, peraltro, soggiunto che la inutilizzabilità di superfici detenute -quale ragione della loro detassazione -non può identificarsi col «cattivo stato di manutenzione e conservazione» che ex se non preclude lo svolgimento dell’attività cui le stesse superfici risultano destinate; così che -in disparte il rilievo in diritto della stessa conoscenza di una siffatta condizione -detta conoscenza non equivale a conoscenza della inutilizzabilità.
3.2 – Sotto il velo della denuncia di violazione di legge, poi, si finisce col devolvere al giudizio di legittimità un riesame delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito al di fuori del sindacato riservato alla Corte (solo) in termini di denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Come, difatti, in più occasioni rimarcato dalla Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi, – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v. Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13
ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
-Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento alla l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, commi 639 e ss., al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 18 e 22, al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 58 e 62, al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 184 e ss., ed al regolamento comunale TARI, art. 8.
Assume, in sintesi, la ricorrente che illegittimamente il giudice del gravame aveva ritenuto trattarsi di rifiuti assimilati secondo la deliberazione assunta al riguardo dall’Ente locale in quanto:
secondo disposizioni poste dal d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, i rifiuti prodotti da essa esponente eccedevano i valori soglia (secondo il parametro Kd di cui alla tabella allegata, punto 4.4) determinati in funzione del rapporto tra quantità complessiva prodotta e superficie di produzione;
-la delibera di assimilazione, adottata dall’Ente, risultava illegittima -e, dunque, andava disapplicata -tanto perché si trattava di rifiuti non assimilabili per qualità (secondo le tipologie specificamente ripercorse nel motivo di ricorso) quanto perché si superava il valore soglia per conferimento determinato in Kg 100.
4.1 -Anche questo motivo è inammissibile.
In disparte che, nello stesso ricorso, non si dà alcun conto della proposizione -col ricorso introduttivo del giudizio – delle questioni di legittimità della delibera comunale di assimilazione, e che il d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 non reca alcuna specifica disposizione in tema di criteri di assimilazione, ancora una volta rileva che sotto il velo della denuncia di violazione di legge si sottopongono alla Corte questioni in fatto (sulla tipologia dei rifiuti speciali e sulle stesse quantità della
relativa produzione) che il giudice del gravame ha risolto rilevando che si trattava di rifiuti speciali assimilati, per di più prodotti in una specifica percentuale (95%) sul totale dei rifiuti prodotti.
-Con i residui motivi di ricorso si denuncia quindi:
5.1 -ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione della l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 649, assumendo la ricorrente che sulle superfici sottoposte a tassazione venivano prodotti in via continuativa, e prevalente, rifiuti speciali non assimilati e, ancor prima, non assimilabili (quarto motivo);
5.2 ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione della l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 649, sul rilievo che -avendo lo stesso giudice del merito accertato una produzione di rifiuti speciali assimilati in ragione del 95% del totale dei rifiuti prodotti -in ragione (ora) della percentuale di detassazione delle superfici, determinata nel 50% secondo disposizione regolamentare (art. 8), il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare una prevalente produzione di rifiuti speciali non assimilabili essendo pari al 50% la superficie ove si producevano rifiuti speciali assimilati (quinto motivo).
-Nemmeno questi motivi possono trovare accoglimento.
La ricorrente (ancora una volta) propone una censura di violazione di legge a fronte di un accertamento in fatto consacrato dal giudice del gravame nel rilievo della prevalenza dei rifiuti speciali assimilati; e ne consegue l’inammissibilità del quarto moti vo di ricorso;
Quanto, invece, al quinto motivo, la parte pretende di cumulare una percentuale determinata forfettariamente (nel 50% della superficie imponibile) in funzione della promiscua produzione di rifiuti speciali (assimilabili o meno), – e sulla base di disposizione regolamentare che detta promiscua produzione risolve, a fronte della «difficoltà nel delimitare le superfici ove si formano rifiuti speciali non assimilati», accordando una riduzione delle superfici imponibili forfettariamente
determinata (alla stregua della categoria di attività considerata; v., per l’analoga disposizione di cui al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, Cass., 28 aprile 2017, n. 10548; Cass., 13 giugno 2012, n. 9630; Cass. Sez. U., 30 marzo 2009, n. 7581; Cass. 28 luglio 2005, n. 15857) -con quella che (questa volta in termini assoluti, secondo il ridetto 95% della produzione) il giudice del gravame ha individuato quale produzione prevalente di rifiuti speciali assimilati.
Laddove, allora, la prospettazione è del tutto erronea perché finisce per combinare dati che hanno diversa origine (la promiscua produzione di rifiuti, e la difficoltà di delimitare le superfici non imponibili), che hanno riguardo a (ben) distinte superfici di formazione dei rifiuti (produttive o con altre destinazioni) e che rilevano, per l’appunto, a diversi fini impositivi, l’uno (quello preteso) correlato alla detassazione delle superfici («ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente»; art. 1, comma 649, cit.), l’altro (quello riconosciuto) fondato sulla promiscua produzione di rifiuti speciali, assimilati e non assimilati, e sulla necessità di accordare una riduzione delle superfici tassabili.
-Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025.