Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25668 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25668 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13105/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
-intimata- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. dell’ EMILIA -ROMAGNA n. 63/2023 depositata il 09/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il P.G. il quale ha concluso come da memoria in atti, chiedendo il rigetto dei primi tre motivi del ricorso, l’accoglimento del quarto, del quinto e del sesto motivo e l’assorbimento dei rimanenti motivi.
Udito l’AVV_NOTAIO per parte ricorrente il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna con la sentenza n. 63/1/2023, depositata in data 9 gennaio 2023 e non notificata, in riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di RAGIONE_SOCIALE n. 866/1/2017 dichiarava il proprio difetto di giurisdizione relativamente alla controversia quanto agli addebiti della tariffa ambientale per l’anno 2012, assegnando termine per la riassunzione dinanzi al giudice ordinario di tale controversia; rigettava il ricorso proposto dalla contribuente RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) nei confronti del RAGIONE_SOCIALE e della società di RAGIONE_SOCIALE avverso gli avvisi Tares 2013, Tari 2014 e 2015, compensando le spese del grado.
1.1. I giudici di appello, nel richiamare i principi fissati dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11130/2021, osservavano che l’istanza presentata dalla società contribuente in data 18 gennaio 1997, al fine di ottenere l’esclusione della tassazione del magazzino all’ingrosso della superficie di mq. 10.297 ai sensi del d.lgs. 507/93,
art. 62 terzo comma, alla quale aveva fatto seguito in data 24.2.1997 la comunicazione da parte del RAGIONE_SOCIALE che la tassa sarebbe stata applicata per la sola superficie di mq. 807, con detassazione della superficie di mq. 10.297, non costituiva circostanza impeditiva al diverso mutato orientamento assunto dal RAGIONE_SOCIALE con la notifica degli avvisi per le annualità in contestazione; che, premesso che era pacifico in causa che in base al regolamento comunale dovevano essere esclusi dalla raccolta soltanto i rifiuti da imballaggi terziari e che risultava dimostrato che nella zona in questione era attiva la raccolta differenziata, la società non aveva comprovato gli elementi concreti per superare la ‘presunzione legale di produttività di rifiuti’ non avendo la contri buente dimostrato che i rifiuti per i quali provvedeva ad autonomo smaltimento erano i soli rifiuti prodotti sulla superficie per la quale aveva chiesto l’esenzione e che trattavasi di rifiuti da imballaggi terziari; che la giurisprudenza della Suprema Cor te è nel senso di ritenere che incombe sull’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, essendo, comunque, previsto un onere di informazione al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile ponendosi, tale esclusione, come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, la RAGIONE_SOCIALE, illustrati con successiva memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
FATTI DI CAUSA
Con il primo motivo la società contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della
sentenza per omessa pronunzia sulla ‘prioritaria e risolutiva’ questione sollevata in ordine al fatto che i mutamenti di comportamento impositivo possono valere solo per il futuro, non avendo i giudici di appello compreso che, nel caso in esame, non era in questione la pacifica potestà di mutare comportamento impositivo (fornendone adeguata motivazione), ma la pretesa di applicarlo con effetto retroattivo, per annualità ormai decorse, in difformità rispetto a quanto in precedenza appositamente acconsentito, tematica sulla quale la sentenza d’appello non si era ha affatto pronunciata in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Con il secondo motivo la società contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 3, 7 e 10 della legge 212/2000, dell’art. 3 della legge 241/90 e degli artt. 97, 53 e 3 Cost.
2.1. Nel richiamare l’art. 3 dello Statuto del contribuente che prevede ‘le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo’ -, l’ art. 7 della medesima legge -in tema di motivazione degli atti tributari e l’art. 10 sempre della legge della legg e 212/2000 intitolato alla ‘tutela dell’affidamento e della buona fede’ – il quale dispone che ‘i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede’ e che ‘non sono irrogate sanzio ni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa’ osserva che l’ente impositore, nel rivolgere al passato il mutato comportamento impositivo, aveva violato le richiamate disposizioni normative di cui allo Statuto del contribuente ed alla legge sul procedimento amministrativo nonché i principi fissati dagli artt. 97, 53 e 3 Cost.
Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 1, comma 161, della legge 296/2006.
Osserva tutti gli avvisi ricevuti costituivano ‘avvisi di accertamento in rettifica’ rispetto alla dichiarazione del 18.01.97, con relativa sanzione del 50% in ragione della ritenuta infedeltà della dichiarazione, da ciò derivando la erroneità della decisione non avendo i giudici territoriali considerato che ai sensi dell’art. 1, comma 161 della legge 296/06, gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli notificando al contribuente un apposito avviso motivato, che deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione è stata effettuata, come già ricordato in primo grado, in particolare nella memoria in data 8 gennaio 2017, sicchè andava dichiarata la intervenuta decadenza.
Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione del principio comunitario ‘chi inquina paga’, proclamato dall’art. 191 del Trattato UE e specificato dagli artt. 14 e 40 della direttiva n. 2008/98/CE, in base al quale il costo dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto, fuori privativa, da chi li produce, principio attuato nell’ordinamento interno dall’art. 21 del d.P.R. 915/82 (poi sostituito dall’art. 623 del d.lgs. 507/93, dall’art. 14, comm a, 10 della legge 201-214/11 e infine dai commi 639, 649 e 654 dell’art. 1, comma 649, della legge 147/13).
4.1. Osserva che i giudici di appello, nel pervenire alle suindicate conclusioni, non avevano considerato che, nel caso in esame, l’operatore economico non aveva da vincere la presunzione legale di produzione di rifiuti e neanche doveva dimostrare di non produrre rifiuti urbani, ma doveva semplicemente dimostrare di produrre, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali e di trattarli, al di fuori della privativa, in conformità alla normativa vigente, precisando che
risultando violate anche disposizioni dell’UE risultava violato anche l’art. 117 Cost.
Con il quinto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 1, 3 e 7 della direttiva europea n. 94/62/CE e successive modifiche, degli artt. 217, 218, 219, 221, 222 e 226, comma 2, del d.lgs. 152/06, e dell’art. 117 Cost. e, quindi, la violazione del ‘regime speciale per gli imballaggi rispetto a quello dei rifiuti in genere’, in base al quale gli imballaggi si distinguono per l’utilizzo che se ne fa, e costituiscono rifiuti speciali non assoggettabili quelli terziari e quelli secondari da commercio all’ingrosso, con la precisazione che essendo in gioco il rispetto della normativa europea risultava violato anche l’art. 117 Cost .
Con il sesto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 10 e 11 del regolamento del servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati, annesso quale allegato F) ai regolamenti TARES e TARI. Assu me che l’impugnata sentenza aveva violato dette disposizioni regolamentari che confermano la non assimilabilità degli imballaggi terziari, e consentono il conferimento dei secondari nei limiti di cui all’art. 226, comma 2 che esclude quelli provenienti dal commercio all’ingrosso.
Con il settimo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., omessa pronunzia sulla domanda di rimborso di quanto pagato in più per gli uffici a seguito della variazione di categoria poi rientrata, avendo la società contribuente chiesto ciò già in primo grado.
Osserva che nella sentenza di primo grado, in forza della quale era stato accolto il ricorso introduttivo era stata accolta implicitamente anche la domanda di rimborso e le parti appellanti non avevano formulato al riguardo alcuna censura, con conseguente formazione del giudicato e che, comunque in appello tutte le questioni rimaste assorbite, tra le quali in particolare quella del rimborso dell’importo
di € 15.708,00 pagato in sovrappiù in data 15 novembre 2016, erano state riproposte.
Con l’ottavo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità di sentenza e procedimento per omessa pronuncia sulle subordinate eccezioni di violazione di norme costituzionali.
Ha ribadito che le norme de quibus andavano applicate secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, come costantemente ripetuto dalla Corte Cost. laddove se l’art. 62, comma 1, del d.lgs. 507/93, l’art. 49, comma 3, del d.lgs. 22/97, l’art. 14 comma 3 del d.l. 201/2011 conv. in legge 214/11, e i commi 641 e 642 dell’art. 1 della legge 147/13 venivano letti in un corretto quadro sistematico, non avrebbero motivo di dar luogo a questioni di costituzionalità ma laddove venivano, invece, interpretati nel senso di legittimare l’applicazione della imposizione sui rifiuti anche quando il servizio pubblico non viene e non può essere prestato per disposizione di legge, non potevano non apparire in contrasto con gli artt. 3, 23, 41, 43, 53, 76, 97 e 117 Cost.
Con il nono motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità di sentenza e procedimento per omessa pronuncia sulle subordinate eccezioni di violazione di norme europee, rilevando che erano state, altresì, proposte in subordine specifiche questioni di violazione di norme europee. Nel formulare le proprie conclusioni reitera le questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, de d.l. 201/2011 conv. 214/11, e dei commi 641 e 642 dell’art. 1 della legge 147 /2013, ove interpretati nel senso di legittimare l’applicazione della imposizione sui rifiuti anche in assenza di servizio pubblico per disposto normativo, in aggiunta all’onere di provvedere al recupero o allo smaltimento posto direttamente a carico dei produttori e degli utilizzatori, per contrasto con gli artt. 3, 23, 41, 43, 53, 76, 97 e 117 Cost. e la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai
sensi dell’art. 267 del Trattato del 25.03.57 perché stabilisca se le norme europee su concorrenza, liberalizzazione dei servizi e tutela ambientale di cui agli artt. 56, 59, 101, 103, 106, 113, 119, 120, 191 del Trattato, nonché le norme dettate nelle direttive comunitarie su rifiuti, imballaggi e servizi, tra cui, in particolare, l’art. 14 della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2008/98/CE del 19.11.08, e gli artt. 1, 7 e 15 della direttiva del Parlamento Europeo n. 94/62 del 20.12.94 come modificata dalla direttiva del Parlamento e del Consiglio n. 2004/12, si debbano interpretare nel senso che, laddove gli operatori economici siano tenuti a provvedere a proprie spese al recupero o allo smaltimento dei rifiuti speciali in genere, e in particolare degli imballaggi terziari e degli imballaggi secondari non provenienti da commercianti al dettaglio, senza poter far capo al servizio pubblico, e siano altresì vincolati a partecipare al RAGIONE_SOCIALE corrispondendo il relativo contributo, non consentano a uno Stato membro di imporre ulteriori prelievi connessi alla privativa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.
10. Il primo motivo è infondato.
Deve, invero, rilevarsi che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (vedi Cass. 2151/2021).
Orbene come è dato desumere dal tenore della sentenza impugnata i giudici di appello hanno argomentato in ordine alla tematica oggetto del motivo di ricorso de quo relativa ai ‘ mutamenti di comportamento impositivo ‘ da parte del RAGIONE_SOCIALE , in particolare evidenziando che: ‘ La legge non dà alcun rilievo, genetico o funzionale alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore e utente,
avendo il tributo la funzione di coprire le spese pubbliche derivanti da un servizio indivisibile, reso a favore della collettività. Ne deriva che l’istanza, presentata dalla RAGIONE_SOCIALE in data 18.1.97, di ottenere la detassazione…non assume connotazione di cir costanza impeditiva al diverso mutato orientamento …’.
Alla luce di tale apparato argomentativo deve escludersi una ipotesi di omessa pronunzia, laddove il motivo di impugnazione intende far impropriamente transitare, sotto il suddetto profilo, le ragioni di una non condivisione, in diritto, della sentenza impugnata.
11. Il secondo motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
Occorre evidenziare, in primo luogo, che con tale motivo la società ricorrente non censura in modo specifico alcuna statuizione adottata dalla RAGIONE_SOCIALE.T.R. ma, in generale, lamenta l’erroneità in diritto della decisione quanto alla ritenuta legittimità dell’atto impositivo.
Sotto altro profilo va osservato che non è qui in discussione un profilo di retroattività della pretesa tributaria né è valutabile un vizio motivazionale (profilo che non risulta dedotto e che, in ogni caso non può essere esaminato in questa sede in quanto il ricorso sul punto è privo del requisito di autosufficienza), e che il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (Sez. 5, Sentenza n. 5934 del 25/03/2015, Rv. 635008 – 01), da ciò discendendo che la pregressa condotta dell’ente impositore il quale aveva ritenuto di detassare la superfice di mq. 10297 -non poteva precludere la potestà d ell’ente comunale di emettere l’atto impositivo nel rispetto dei termini decadenziali di legge, non risultando, peraltro, che la
contribuente abbia formulato delle censure in ordine alla debenza di sanzioni ed interessi.
12. Il terzo motivo è inammissibile in quanto con lo stesso viene reiterata una questione dedotta tardivamente nel giudizio di merito. La censura attiene, infatti, alla violazione del termine di decadenza, eccezione che non risulta essere stata tempestivamente proposta innanzi al giudice tributario.
Invero nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado. Ne consegue che il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso, il cui ambito può essere modificato solo con la presentazione di motivi aggiunti, ammissibile, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esclusivamente in caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” (vedi Cass. 9637/2017).
Orbene la parte contribuente assume, nella memoria ex art. 378 c.p.c., che tale eccezione di decadenza era stata proposta ‘ a pag. 6 della memoria di primo grado ‘ senza tuttavia chiarire e comprovare – nel rispetto del principio di autosufficienza – che la stessa sarebbe stata formulata ritualmente e tempestivamente nel rispetto dei ‘limiti di ammissibilità’ fissati dal richiamato art. 24.
13. Il quarto ed il quinto motivo sono suscettibili di trattazione unitaria perché tutti incentrati sull’errore logico-giuridico nel quale è incorsa la Commissione tributaria regionale nel ritenere legittima la pretesa impositiva in quanto era indimostrata la produzione ‘esclusiva’, presso gran parte dei locali della società contribuente, di rifiuti speciali non assimilati né assimilabili.
Va premesso che, diversamente da quanto vorrebbe l’ente controricorrente, non si tratta di motivi inammissibili, perché il dedotto errore logico-giuridico di cui si è detto non implica affatto la rivisitazione nella presente sede di legittimità di aspetti fattuali, quanto soltanto di profili di stretta rilevanza tecnico-giuridica; inoltre, non può fondatamente sostenersi che essi siano carenti del requisito di specificità ed autosufficienza, dal momento che proprio la natura prettamente giuridica della doglianza in essi trasversalmente contenuta esclude che la loro illustrazione richiedesse l’inserimento, la trascrizione o lo specifico richiamo di elementi diversi rispetto a quelli indicati e richiamati ed ulteriori dalla normativa asseritamente violata in rapporto alle domande ed eccezioni di parte (il cui atteggiarsi nel corso dei vari gradi del processo risulta per lo più tutto pacifico tra le parti).
13.1. Ciò posto, tali motivi sono da ritenere fondati nei termini che seguono.
Occorre rilevare che non risultando impugnata la declaratoria di difetto di giurisdizione quanto alla TIA 2012, la vicenda oggetto del presente giudizio riguarda la pretesa tributaria a titolo di TARES (anno 2013) e TARI (anni 2014-2015) avanzata dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ‘in rettifica’ e relativa alla superficie commerciale – pari a mq. 10.354 – del punto vendita della società (fino al 2011 detassata a seguito della denuncia della contribuente in data 18 gennaio 1997). Orbene ai fini di un compiuto scrutinio dei singoli motivi di ricorso deve, preliminarmente, essere richiamato il quadro normativo di riferimento, prendendo le mosse dalla direttiva 94/62/CE, come modificata dalla direttiva n. 12 dell’11 febbraio 2004. Prevede l’art. 2, comma 1, che «la presente direttiva si applica a tutti gli imballaggi immessi sul mercato nella Comunità e a tutti i rifiuti di imballaggio, utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici e a qualsiasi altro livello, qualunque siano i materiali che li compongono». Prevedono inoltre i primi due commi
del successivo art. 3 quanto segue: «ai sensi della presente direttiva s’intende per: 1) “imballaggio”: tutti i prodotti composti di materiali di qualsiasi natura, adibiti a contenere e a proteggere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, e ad assicurare la loro presentazione. Anche tutti gli articoli “a perdere” usati allo stesso scopo devono essere considerati imballaggi. L’imballaggio consiste soltanto di: a) “imballaggio per la vendita o imballaggio primario”, cioè imballaggio concepito in modo da costituire nel punto di vendita un’unità di vendita per l’utente finale o il consumatore; b) “imballaggio multiplo o imballaggio secondario”, cioè imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche; c) “imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario”, cioè imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione e il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione e i danni connessi al trasporto. L’imballaggio per il trasporto non comprende i container per i trasporti stradali, ferroviari e marittimi ed aerei; La definizione di “imballaggio” è basata inoltre sui criteri indicati qui di seguito. Gli articoli elencati nell’allegato I sono esempi illustrativi dell’applicazione di tali criteri: i) sono considerati imballaggi gli articoli che rientrano nella definizione di cui sopra, fatte salve altre possibili funzioni dell’imballaggio, a meno che tali articoli non siano parti integranti di un prodotto e siano necessari per contenere, sostenere o preservare tale prodotto per tutto il suo ciclo di vita e tutti gli elementi siano destinati ad essere utilizzati, consumati o eliminati insieme; ii) sono considerati imballaggi gli articoli progettati
e destinati ad essere riempiti nel punto vendita e gli elementi usa e getta venduti, riempiti o progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita, a condizione che svolgano una funzione di imballaggio; iii) i componenti dell’imballaggio e gli elementi accessori integrati nell’imballaggio sono considerati parti integranti dello stesso. Gli elementi accessori direttamente fissati o attaccati al prodotto e che svolgono funzioni di imballaggio sono considerati imballaggio a meno che non siano parte integrante del prodotto e tutti gli elementi siano destinati ad essere consumati o eliminati insieme». Ai fini dell’attuazione della direttiva è stato emanato il d. lgs. n. 22 del 1997, ed in particolare gli artt. 34 ss. dedicati alla «gestione degli imballaggi», riprodotti dagli artt. 217 ss. del d. lgs. n. 152 del 2006. L’art. 218 di quest’ultimo testo legislativo, per quanto qui rileva, prevede quanto segue: «si intende per: a) imballaggio: il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo; b) imballaggio per la vendita o imballaggio primario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore; c) imballaggio multiplo o imballaggio secondario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita, indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche; d) imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario: imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, di un certo numero di
unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione ed i danni connessi al trasporto, esclusi i container per i trasporti stradali, ferroviari marittimi ed aerei; e) imballaggio riutilizzabile: imballaggio o componente di imballaggio che è stato concepito, progettato e immesso sul mercato per sopportare nel corso del suo ciclo di vita molteplici spostamenti o rotazioni all’interno di un circuito di riutilizzo, con le stesse finalità per le quali è stato concepito. 2. La def inizione di imballaggio di cui alle lettere da a) ad e) del comma 1 è inoltre basata sui criteri interpretativi indicati nell’articolo 3 della direttiva 94/62/CEE, così come modificata dalla direttiva e sugli esempi illustrativi riportati nell’Allegato E alla parte quarta del presente decreto».
Deve chiarirsi che la tesi sostenuta in dottrina circa la possibilità di assoggettare a privativa anche gli imballaggi terziari, alla luce del dettato dell’art. 221, comma 4, del codice dell’ambiente, non tiene conto della valenza decisiva dell’art. 195 de l medesimo codice che fa salve le competenze statali generali in materia l’importanza delle quali è stata ribadita, da ultimo, da Corte cost. n. 189/2021 -norma la quale finisce per neutralizzare la portata del suindicato art. 221 comma 4, dovendosi, quindi, ritenere certamente sussistente il divieto di immissione degli imballaggi terziari nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani sulla scorta della normativa vigente sopra richiamata.
Per altro verso va osservato che non appare fondata la tesi prospettata da parte ricorrente la quale assume che i rifiuti da imballaggi secondari sarebbero sottoposti al medesimo regime dei rifiuti speciali non assimilabili perché deriverebbero da commercio all’ingrosso. Devono sul punto richiamarsi i principi fissati da questa Corte con la sentenza n. 4915/2024 ove è stato condivisibilmente chiarito che ciò che rileva è esclusivamente la verifica della specifica natura dei rifiuti prodotti, vale a dire la tipologia di imballaggi (se primari, secondari o terziaria) presenti nei locali aziendali (e quindi
in essi ‘formati’ e da smaltire) al fine di accertare la loro assimilazione e/o assimilabilità.
Occorre, quindi, evidenziare che in forza dell’art.14, commi 10 e 11, del d.l. 201/2011 (TARES): ’10. Nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. 11. La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investim ento e di esercizio’.
Secondo l’art.1, commi 641 e 642, legge 147/13: ‘641. Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva. 642. La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. (…)’ La riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari ‘rifiuti speciali’ costituiti dagli imballaggi terziari (qui dedotti), non assimilati né ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari. Si è in proposito più volte affermato (con riguardo tanto alla Tarsu quanto alle sue varianti Tia1 e Tares, assoggettate a linea normativa di continuità: Cass.n.2373/22 ed altre) che agli imballaggi terziari (nonché agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art.62,
comma 3, cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formano i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati ex art.21 comma 7 d.lgs. 22/1997. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. nn. 10010/2019; Cass. n. 703/19; Cass. n. 4960/2018; Cass. n.4793/2016 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di pr ovare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento).
In particolare, Cass.n.16235/2015 ha osservato che ‘l’impresa contribuente ha l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell’occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo cui spetta all’amministrazione l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia ex art. 70 del citato d.lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un’eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale’. Si legge, poi, in Cass.n. 7187/2021 che: ‘Va, poi, osservato che questa Corte (vedi, ex plurimis , Cass. n. 12979/2019 e n.10634/2019) ha affermato che è onere del contribuente provare,
a fronte della pretesa impositiva dell’Amministrazione, che tali aree producono “solo” rifiuti speciali, ……, e solo all’esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l’esenzione del pagamento della quota variabile della TIA ‘; analogamente Cass.n. 2373/2022 per Tares e Cass.n. 34635/2021 per la TARI. In proposito appare utile richiamare anche quanto evidenziato da Cass. n. 19551/2024 in tema di tassabilità ai fini della imposta sui rifiuti delle aree di pertinenza della RAGIONE_SOCIALE
Si è, inoltre, stabilito (Cass.n. 14038/2019; Cass.n. 5360/2020 ed altre) che il tributo -da applicarsi, ex art.49, comma 3. d.lvo. 22/97, ‘a chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale’ -è strutturato in una parte variabile ed in una parte fissa (d.lvo cit.), in modo che: – il presupposto impositivo della parte variabile della tariffa (sempre che sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio di raccolta e smaltimento) va individuato nella produzione di rifiuti urbani o assimilati, ferma restando la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione di questa parte variabile nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti (art.49 co. 14 d.lgs. 22/1997); per contro, la quota variabile della tariffa non è dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati, e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate; – la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria
fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (vedi Cass. n. 14038/2019; Cass. n 16994/2020; Cass. n. 5360/2020; Cass. n. 22772/2021; Cass. n. 29542/2021; Cass. n. 32603/2021; 32604; Cass. n. 12850/2022; Cass. T., n. 5429/2023, nonché da ultimo Cass. 4915/2024 e Cass. n.23228/2024).
Questa Corte ha già avuto modo di esaminare (vedi Cass. n. 21490/2022; Cass., n. 8753/2023 e Cass. n. 9032/2023) il suindicato quadro normativo, reputandolo sostanzialmente omogeneo a quello che connotava la disciplina della TARSU ed ha, in particolare, posto in rilievo che il presupposto impositivo della tassa sui rifiuti rimane, pur sempre, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così come, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (vedi Cass. n. 12979/2019 nonchè Cass. n. 22130/2017), giacché la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina una presunzione, iuris tantum, di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (cfr. Cass. n. 6551/2020; Cass. n. 1403723/2019; Cass. n. 18054/2016 tutte richiamate da Cass. n. 21490/2022).
In sostanza «La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. n. 10010/2019; Cass. n. 703/2019; Cass. n.
4960/2018; Cass. n. 4793/2016 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento)» (così Cass. n. 8205/2022 e nello stesso senso, Cass. 8222/2022).
In ogni caso, i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del cd. decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della legge n. 146 del 1994, art. 39. Ne consegue che i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno disapplicati in parte qua dal giudice tributario (in questo senso già Cass. n. 627/2012: Cass. n. 4793/2016, Cass. n. 703/2019; Cass. n. 4960/2018 tutte richiamate da Cass. Civ. 5580/23).
13.2. In conclusione, fermo restando che occorre tenere ferma la distinzione fra la disciplina TARES – che prevede l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (cfr. in Cass. nn.4564/2023; Cass. nn. 22131/2022, 26183 del 2019, 1963 e 11451/2018, Cass. n. 12979/2019, Cass. n.22130/2017) e quella TARI – che stabilisce che nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori -alla luce di tali ricapitolati criteri interpretativi, esaminando congiuntamente i suindicati motivi di ricorso, va osservato che la Commissione regionale non si è attenuta a tali principi ed erroneamente ha desunto la totale legittimità degli atti impositivi opposti e la conseguente debenza del tributo, in ragione del fatto che la società contribuente non aveva assolto all’onere di dimostrare ‘che sulle aree per le quali ha chiesto la detassazione
fossero prodotti solo rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani…’ così incorrendo nell’errore giuridico e motivazionale di omettere di considerare e di qualificare puntualmente la tipologia dei rifiuti prodotti nonchè di verificare se vi era prova in atti dell’area in cui i rifiuti speciali non assimilabili (o non assimilati) si erano formati in rapporto a quelle complessivamente detenute dalla società e normalmente produttive di rifiuti urbani ricompresi nell’ordinario ciclo di privativa comunale e se la documentazione prodotta in atti e richiamata in ricorso fosse idonea a comprovare che la contribuente avesse conferito lo smaltimento di tali rifiuti a soggetti terzi autorizzati iter logico che avrebbe dovuto seguire nell’inquadrare e decidere la vicenda de qua .
13.3. Per effetto dell’accoglimento dei motivi quarto e il quinto, rimangono assorbiti il sesto e l’ottavo.
Il settimo motivo deve essere rigettato in quanto la società ricorrente propone, in sostanza, una rivalutazione di elementi fattuali in relazione all’effettivo thema decidendum rimessi alla esclusiva valutazione del giudice di merito.
Va, altresì, rigettato il denunciato vizio di omessa pronuncia di cui al nono motivo dovendosi ribadire la piena compatibilità della disciplina in tema di rifiuti con il principio di derivazione comunitaria del «chi inquina paga». Sul punto vanno integralmente richiamate da questa Corte le considerazioni svolte da Cass. n. 23328/2024 con ampi richiami alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE .
Tanto esclude la necessità di sollevare il chiesto rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia, posto che non sussiste alcun obbligo del giudice nazionale di ultima istanza di rimettere la questione interpretativa del diritto unionale, ogni volta in cui – vertendosi in ipotesi di ” acte clair ” -la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea è così ovvia da non lasciare spazio a nessun ragionevole dubbio, nonché nel caso – configurante un ” acte éclairé “
nel quale la stessa Corte ha già interpretato la questione in un caso
simile, od in materia analoga, in un altro procedimento in uno degli Stati membri. (Cass. n. 36776/2022). Nella specie, i principi enunciati dalla Corte e la piana lettura delle norme non giustificano dubbi interpretativi tali da determinare il rinvio ai sensi dell’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia Europea.
16. In accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, assorbiti il sesto e l’ottavo , rigettati il primo, il secondo, il terzo, il settimo ed il nono, la sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna in diversa composizione per una rinnovata valutazione circa la complessiva debenza dei tributi de quibus sulla scorta dei principi sopra richiamati, ed anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso, assorbito il sesto e l’ottavo; rigetta il primo, il secondo, il terzo, il settimo ed il nono motivo. Cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione e rinvia la causa alla Corte di giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data