Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16096 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16096 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 10/06/2024
Tarsu Tia Tares Accertamento
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14561/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (PEC: EMAIL) che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in INDIRIZZO INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (PEC: EMAIL) che la rappresenta e difende;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3769, depositata il 22 dicembre 2016, della RAGIONE_SOCIALE tributaria regionale dell’Emilia Romagna ; Udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del 30 aprile 2024, dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udit o l’AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 3769, depositata il 22 dicembre 2016, la RAGIONE_SOCIALE tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE, così pronunciando in riforma della decisione di prime cure che aveva accolto l’impugnazione di un ‘ingiunzione di pagamento ( n. 2011 9980003605566000) emessa per il recupero della TIA dovuta dalla contribuente relativamente agli anni dal 2006 al 2010.
1.1 -A fondamento del decisum , il giudice del gravame ha rilevato che:
alcun effetto invalidante poteva correlarsi al silenzio serbato dall’amministrazione sulle istanze di reclamo presentate dalla contribuente, trattandosi di irregolarità cui non conseguiva un vizio di illegittimità normativamente previsto;
-nella fattispecie, l’Ente impositore aveva dato applicazione, a fini tributari, al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, così che la tariffa di igiene ambientale (TIA) scontava l’applicazione dei provvedimenti vigenti in punto di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani;
relativamente alla tassazione delle superfici pertinenziali ed esterne, doveva darsi applicazione al principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, ed alla cui stregua l’onere della prova della ricorrenza di esclusioni dal tributo gravava sul contribuente.
–RAGIONE_SOCIALE, di RAGIONE_SOCIALE, ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di sette motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso. Hinc et hinde sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il ricorso è articolato sui seguenti motivi:
1.1 -il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, ed al d.P.R. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 1, 3 e 4, assumendo la ricorrente che, nel confermare la legittimità dell’atto impositivo impugnato, il giudice del gravame aveva finito col consolidare l’illegittima applicazione dell’Iva sul tributo, così come emergente dalla stessa ingiunzione di pagamento che aveva ad oggetto un importo che conseguiva da pregresse fatture (tutte recanti applicazione dell’Iva) ;
1.2 -il secondo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla l. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 5, 7, 10 e 11, alla l. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 1, 2 e 2bis , al d.lgs. d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 198, comma 2, al regolamento comunale ( per l’applicazione della Tariffa di gestione dei rifiuti urbani), art. 23, ai principi generali dell’ordinamento tributario di cui alla l. n. 212 del 2000, cit., ed agli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.;
assume, in sintesi, la ricorrente che -avuto riguardo (anche) al valore di orientamento espresso dai principi generali posti dallo statuto del contribuente (l. n. 212 del 2000, cit.) -nella fattispecie controparte era rimasta silente alle istanze di reclamo presentate da essa esponente con riferimento alla dedotta detassazione delle superfici
pertinenziali scoperte e di quelle ove si producevano rifiuti speciali, così operando in violazione -oltreché degli obblighi di informazione e dei principi di buona fede e legittimo affidamento -delle disposizioni poste dall’art. 11, commi 2 e 3, cit., e d alla cui stregua il silenzio serbato sulle istanze produceva l’effetto significato del loro accoglimento con conseguente preclusione all’emissione dell’atto impositivo;
1.3 -col terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla l. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 10, ed alla l. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, assumendo, in sintesi, che l’atto impositivo difettava di una compiuta motivazione che, per di più, era stata inammissibilmente integrata -quanto all’avvenuta assimilazione dei rifiuti speciali -solo nel corso del giudizio;
soggiunge la ricorrente -che pur precisa di averle prodotte col ricorso introduttivo del giudizio -che l’ingiunzione di pagamento non recava, in allegato, nemmeno le fatture via via emesse, fatture che esse stesse non esponevano alcuna motivazione;
1.4 -col quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia l’immotivata riforma in appello della pronuncia di prime cure che aveva rilevato il difetto di motivazione dell’ingiunzione di pagamento, avendo, dunque, il giudice del gravame pronunciato senza esplicitare alcunché in punto di moti vazione dell’atto impositivo, avuto riguardo all’eccezione di nullità da essa esponente svolta;
1.5 -il quinto motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., reca la denuncia di omessa e contraddittoria motivazione e di omesso esame con riferimento alla natura dei rifiuti speciali prodotti ed al loro autosmaltimento, assumendo la ricorrente che: a) -così come poteva desumersi dalla documentazione prodotta in giudizio (autorizzazioni al trasporto dei
rifiuti speciali; foto in atti; formulari relativi ai rifiuti speciali; fatture dei corrispettivi di smaltimento; fattura di acquisto del macchinario per la separazione dei fanghi; fatture pagate in relazione alla cessione di detti rifiuti, solidi e solidificati; contratti stipulati per la cessione dei rifiuti; registro di carico e scarico dei rifiuti), nella fattispecie venivano in considerazione rifiuti speciali (rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione e rifiuti prodotti della lavorazione della pietra) che essa esponente aveva smaltito in proprio e che non avevano formato oggetto di assimilazione, dato, questo, che controparte aveva dedotto solo in giudizio; b) -il giudice del gravame aveva pronunciato al riguardo con motivazione apodittica e, in buona sostanza, apparente, per di più contraddittoriamente rilevando, da un lato, l’avvenuta assimilazione dei rifiuti speciali e, dall’altro, il difetto di prova «di esclusioni dall’impo sta»;
1.6 -col sesto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 24 e 111, sesto comma, Cost., all’art. 132 cod. proc. civ., ed al d.lgs. d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, deducendo, in sintesi, che il decisum poggiava, nella fattispecie, su di una motivazione apparente, apodittica e sinanche contraddittoria, in quanto non risultavano esplicitate le relative ragioni e l’iter l ogico seguito, la motivazione della gravata sentenza così risolvendosi «in una acritica adesione alle tesi dell’appellante »;
1.7 -il settimo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 184, comma 3, all’art. 6 del «Regolamento ATO gestione rifiuti» ed all ‘art. 4 del «Regolamento ATO per la gestione dei Rifiuti Urbani e Assimilati», deducendo, in sintesi,
la ricorrente che erroneamente il giudice del gravame aveva ricondotto a tassazione le aree scoperte pertinenziali e le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilati dovendosi escludere che, nella fattispecie, si trattasse di rifiuti assimilabili secondo le pertinenti disposizioni regolamentari e risultando provato che di detti rifiuti essa esponente aveva assunto il carico economico provvedendo al relativo smaltimento.
-Il ricorso -che pur prospetta plurimi profili di inammissibilità -non può trovare accoglimento.
-In relazione al primo motivo va premesso che la stessa parte ricorrente non dà alcun conto della proposizione, col ricorso introduttivo del giudizio, della questione relativa all’imponibilità IVA delle fatture emesse in relazione alla tariffa di igiene ambientale.
Per di più, va rimarcato, la stessa parte non si è costituita nel giudizio di appello così che, per tale ragione, la medesima questione -sulla quale non risulta che si sia pronunciato il giudice del primo grado di giudizio -non avrebbe potuto essere riproposta.
Come, poi, la Corte ha già avuto modo di statuire – con orientamento che si è consolidato anche in relazione alla disposizione di cui all’art. 346 cod. proc. civ. (Cass., 19 dicembre 2013, n. 28454; Cass., 12 novembre 2007, n. 23489; Cass., 12 novembre 2007, n. 23479; Cass., 13 settembre 2006, n. 19555) – la norma posta dall’art. 346 cod. proc. civ. e riprodotta, per il giudizio di appello davanti alla commissione tributaria regionale, dall’art. 56 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – per la quale le domande e le eccezioni dell’appellato non accolte dalla sentenza di primo grado, e non espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate – si applica anche quando il contribuente non si sia costituito nel giudizio di appello (Cass., 13 maggio 2003, n. 7316 cui adde Cass., 18 settembre 2023, n. 26686;
Cass., 24 settembre 2014, n. 20062; Cass., 9 gennaio 2009, n. 238; Cass., 18 aprile 2007, n. 9217).
Il motivo di ricorso in questione risulta, pertanto, inammissibile.
4. -Quanto, ora, al secondo motivo, occorre premettere (anche qui) che la ricorrente non dà specifico conto né del contenuto delle istanze che, volta a volta, sarebbero state presentate nella forma del reclamo disciplinato dal regolamento comunale, art. 23, né della stessa disposizione regolamentare, e dei suoi specifici contenuti regolativi.
E già sotto quest’ultimo profilo ne risulta l’inammissibilità del motivo di ricorso, essendosi statuito che, qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti comunali, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso – che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza (v. Cass., 11 febbraio 2021, n. 3437; Cass., 23 gennaio 2014, n. 1391; Cass., 6 luglio 2012, n. 11351; Cass., 27 gennaio 2009, n. 1893; Cass., 15 dicembre 2008, n. 29322; Cass., 12 giugno 2007, n. 13711).
4.1 -Per di più, dalla stessa (seppur generica) descrizione delle istanze, ne emergono deduzioni che involgevano contestazioni sulla superficie tassabile e sulla natura dei rifiuti prodotti (in tesi oggetto di autosmaltimento in quanto speciali) e, con ciò, problematiche applicative della disciplina normativa che avevano riguardo alle peculiari connotazioni fattuali del presupposto di imposta.
Ne risulta, pertanto, la stessa inconfigurabilità della disciplina dell’interpello ordinario ( l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11, nel testo vigente ratione temporis ) in quanto -in disparte la stessa non meglio
datata presentazione delle istanze (sul necessario carattere preventivo dell’interpello v. Cass., 13 gennaio 2017, n. 735; Cass., 17 luglio 2014, n. 16331) -la Corte ha già precisato che l’affidamento previsto dall’art. 11, cit., implica che l’interpello abbia ad oggetto la specifica applicazione delle disposizioni tributarie delle quali ricorrano obiettive condizioni di incertezza sulla relativa corretta interpretazione, e non anche la deduzione di «profili di incertezza ricadenti su mere circostanze fattuali» (Cass., 22 settembre 2021, n. 25621).
Quanto, poi, alla pur reclamata violazione degli obblighi di informazione e dei principi di buona fede e legittimo affidamento, la relativa allegazione, da un lato, risponde ad un vacuum deduttivo quanto alle circostanze (in tesi) integrative della condotta vietata -che, per quanto appena esposto, non potevano identificarsi con la mera presentazione di istanze di reclamo -e, dall’altro, finisce con l’identificare il legittimo affidamento nel mero silenzio serbato dall’amministrazione (v. Cass., 15 settembre 2022, n. 27242), per di più in un contesto argomentativo dal quale non è dato desumere se la contribuente avesse o meno assolto agli obblighi di informazione sulla stessa gravanti.
5. -L’inammissibilità del terzo e del quarto motivo di ricorso che vanno congiuntamente esaminati siccome connessi -consegue innanzitutto dalle stesse deduzioni di parte ricorrente che, assumendo l’intervenuta decisione, da parte del giudice del primo grado, a riguardo dell’eccepito difetto di motivazione dell’atto impositivo, ne riproduce in ricorso (fol. 4) il contenuto nel senso che la «sentenza n. 56 del 6.3.2012, depositata il 27.4.2012, … accoglieva integralmente il ricorso … ed in particolare ‘l e eccezioni di parte ricorrente relative all’asserito difetto di motivazione e nel merito’ ».
Del tutto inespresse, con ciò, rimangono le ragioni in forza delle quali il decisum di primo grado avrebbe investito (anche) il difetto di
motivazione dell’atto impositivo né risultano articolate censure sui criteri di interpretazione di detto decisum da parte del giudice del gravame, a cui riguardo, secondo un consolidato orientamento della Corte, si è statuito che nell’interpretazione dei provvedimenti giurisdizionali si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 12 e seguenti delle preleggi (Cass., 30 marzo 2023, n. 8955; Cass., 1 settembre 2022, n. 25826; Cass., 21 febbraio 2014, n. 4205).
E, ancora una volta, dal difetto di costituzione nel grado di appello è conseguito, come anticipato, il divieto per il giudice di esaminare eccezioni che, potendosi considerare come non accolte dalla sentenza di primo grado, non risultavano riproposte.
5.1 -Va, ad ogni modo, rimarcato che, secondo un orientamento consolidato della Corte, la censura involgente la congruità della motivazione dell’atto impositivo necessariamente richiede che il ricorso per cassazione riporti i passi della motivazione dell’atto che, per l’appunto, concorrono all’assolvimento dell’obbligo in questione e che si assumano erroneamente interpretati o pretermessi (v. Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde , ex plurimis , Cass., 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., 29 maggio 2006, n. 12786).
E che -dovendosi escludere, sul punto, ogni indebita sovrapposizione del profilo che involge la motivazione dell’atto impositivo ( e, dunque, un requisito di validità dell’atto ) con quello che (diversamente) attiene al riscontro probatorio dei fatti posti a fondamento della pretesa impositiva ( causa petendi dell’atto), essendosi in più occasioni rimarcato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio sulla cui base la pretesa impositiva viene
esercitata, con le specificazioni necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente ha la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (v., ex plurimis , Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1694; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 5 luglio 2017, n. 16620; Cass., 14 dicembre 2016, n. 25709; Cass., 17 giugno 2016, n. 12658; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 11 giugno 2010, n. 14094; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571) – con specifico riferimento alla TARSU (della quale la TIA costituisce una mera variante) , la Corte ha, per l’appunto, statuito che la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica va condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della l. n. 296 del 2006, sicché, ove la rettifica venga effettuata sulla base della variazione della superficie tassabile o della tariffa o della categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione nell’atto della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenute applicabili, in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per rideterminare la superficie tassabile, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva fase contenziosa (Cass., 31 luglio 2019, n. 20620).
Per di più, nella fattispecie, la stessa ricorrente assume di aver ricevuto -in via prodromica all’atto ora in contestazione fatture emesse in relazione allo stesso tributo dovuto, così che (anche) il rinvio
per relationem alle fatture non necessitava di alcuna allegazione o riproduzione nell’atto rinviante trattandosi di atti di cui il contribuente aveva già integrale e legale conoscenza (cfr., ex plurimis , Cass., 27 febbraio 2020, n. 5346; Cass., 19 novembre 2019, n. 29968; Cass., 5 dicembre 2017, n. 29002; Cass., 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., 4 luglio 2014, n. 15327; Cass., 2 luglio 2008, n. 18073).
-Come anticipato, nemmeno il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso -che anch’essi vanno congiuntamente esaminati in quanto connessi -possono trovare accoglimento.
6.1 -Va premesso che -seppur sia stata rilevata una sostanziale continuità regolativa col previgente règime impositivo, costituendo la TIA «una mera variante della TARSU» già disciplinata dal d.lgs. n. 507 del 1993, della quale ha conservato la qualifica di tributo propria di quest’ultima (così Corte Cost., 24 luglio 2009, n. 238) – ciò non di meno lo stesso Giudice delle leggi, e la Corte, hanno avuto modo di rimarcare alcune peculiarità applicative della Tariffa con riferimento, in specie, alla sua articolazione (in una quota fissa ed in una quota variabile; d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158) ed alle conseguenti implicazioni sulla tassazione delle aree produttive di rifiuti urbani ovvero speciali, assimilati o meno (v. Cass., 27 febbraio 2020, n. 5360; Cass., 23 maggio 2019, n. 14038; Cass., 22 settembre 2017, n. 22127).
Si è, così, rilevato che il presupposto impositivo si correla al possesso o alla detenzione di superfici astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, e che «la qualità e quantità di rifiuti prodotti incide nella determinazione della quota variabile della TIA che può essere legittimamente pretesa, in misura intera o ridotta, solo in presenza di una effettiva produzione di rifiuti urbani o assimilati, con conseguente esclusione dell’assoggettamento a tale parte del tributo di quelle superfici ove il contribuente dimostri di non produrre rifiuti o di produrre esclusivamente rifiuti speciali smaltiti, pertanto,
autonomamente» (così Cass., 23 maggio 2019, n. 14038, cit.); ciò, del resto, in coerenza con la natura, cd. universale, della Tariffa – in quanto «Ogni edificio che si trovi sul territorio comunale, … è normativamente considerato come potenzialmente idoneo, per le attività che vi si potrebbero svolgere, a produrre rifiuti urbani» (così Cass., 27 febbraio 2020, n. 5360) – ed in conseguenza della cennata articolazione tariffaria che – quanto alla quota fissa («determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti»; d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 4), – «ha la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti non solo “interni”, cioè prodotti o producibili dal singolo soggetto passivo che può avvalersi del servizio, ma anche “esterni”, quali i “rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico”, e quindi di coprire anche le pubbliche spese afferenti ad un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente» (così, ancora, Cass., 23 maggio 2019, n. 14038).
6.2 -In relazione al suo presupposto impositivo -e come si è già affermato con riferimento al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 -la Corte ha, poi, rilevato che al l’esclusione dal tributo – per le aree occupate o detenute ove si formino rifiuti speciali autosmaltiti dal contribuente -si correla un onere della prova che grava sul contribuente che intende ottenere l’esenzione, in quanto, se è vero che l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria grava sull’amministrazione, il diritto all’esenzione va provato dal contribuente, costituendo le esenzioni, anche parziali, eccezione alla regola AVV_NOTAIO di pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass., 16 aprile 2019, 10634; Cass., 5 settembre 2016, n. 17622;
Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass., 6 luglio 2012, n. 11351; Cass., 9 marzo 2012, n. 3756; Cass., 14 gennaio 2011, n. 775); e che il riferimento alla superficie «ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi», va interpretato nel senso che l’esclusione dalla tassa riguarda la sola «parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali» (Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 4 aprile 2012, n. 5377; v., altresì, Cass., 24 luglio 2014, n. 16858).
Laddove lo stabilire se determinati locali di uno stesso edificio, benché destinati ad uffici, depositi, mostre ecc. e non propriamente all’attività produttiva, siano parimenti idonei a produrre rifiuti speciali, costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26725; Cass., 11 agosto 2004, n. 15517; Cass., 17 febbraio 1996, n. 1242).
La Corte ha avuto modo di rilevare, altresì, che, ai fini della esenzione, non assume rilievo il (mero) «collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, delle aree destinate a quello scopo come di tutte le altre aree di uno stabilimento industriale, quali quelle adibite a parcheggio, a mensa e ad uffici, non essendo stato previsto tale collegamento funzionale fra aree come causa di esclusione dalla tassazione neanche dalla legislazione precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 507 dl 1993» (così Cass., 4 dicembre 2009, n. 25573; v., altresì, Cass., 5 maggio 2010, n. 10813; Cass., 30 luglio 2009, n. 17724; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19461); rilievo, questo, che seppur volto a delineare i presupposti di tassazione delle aree di produzione di rifiuti urbani, implica una nozione di collegamento funzionale che, all’evidenza, è incompatibile col vincolo di pertinenzialità o di accessorietà che, così come per la TIA (art. 49, c. 3, cit.), già connotava il presupposto d’impo sta della TARSU (d.lgs.
n. 507/1993, cit., art. 62, comma 1; così Cass., 22 marzo 2022, n. 9178).
6.3 -Tanto premesso, può, allora, rilevarsi innanzitutto che non v’è alcuna contraddizione tra il rilevare l’avvenuta assimilazione dei rifiuti speciali e (contestualmente) il difetto di prova che involgeva la produzione dei rifiuti relativamente alle superfici pertinenziali ed esterne, perché il primo rilievo -cui si può correlare il diritto ad una qualche riduzione tariffaria (per la quota variabile) «proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero» (d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 14) – non esclude l’autonoma rilevanza in fatto del rilievo che (diversamente) aveva riguardo, come anticipato, alle superfici sulle quali avrebbero dovuto ritenersi prodotti «solo rifiuti speciali».
6.4 -Escluso, poi, che, come anticipato, la produzione di rifiuti speciali potesse incidere (anche) sulla quota fissa della Tariffa, i motivi di ricorso in questione né offrono deduzioni in punto di disciplina regolamentare delle riduzioni tariffarie -per le quali nemmeno si assume di aver presentato richieste -né riproducono, come già rilevato a riguardo del secondo motivo di ricorso, quelle disposizioni regolamentari che (in tesi) avrebbero escluso, nella fattispecie, il potere di assimilazione esercitato dall’Ente impositore.
E, per di più, l’unica disposizione trascritta ( regolamento ATO, art. 6, comma 2; v. a fol. 25 del ricorso) involge (proprio) il principio di diritto appena sopra esposto con riferimento all’esclusione del tributo (quota variabile) per le sole superfici «ove per destinazione si formano esclusivamente rifiuti speciali».
6.5 -Esclusa la natura perplessa, e contraddittoria, della motivazione della gravata sentenza, nemmeno se ne può prospettare la mera apparenza, così come reso esplicito dalle ragioni di decisione sopra ripercorse.
Difatti, come le Sezioni unite della Corte hanno statuito, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
E si è, quindi, ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
6.6 -Quanto, poi, alle censure di omesso esame di cui al quinto motivo, come statuito dalle Sezioni Unite della Corte, la relativa censura deve avere ad oggetto un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori – e, a maggior ragione, di tesi difensive o argomenti probatori – non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde , ex plurimis , Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. DATA_NASCITA).
In disparte, allora, la stessa aspecificità del riferimento a disposizioni regolamentari non meglio identificate nel loro contenuto regolativo, il motivo di ricorso in esame finisce per devolvere alla Corte un non consentito (e indistinto) riesame nel merito del giudizio, con riferimento alle fonti di prova poste a fondamento del decisum , ed alla valutazione della loro concludenza ed affidabilità, rimettendo alla stessa Corte la selezione dei dati probatori (in ipotesi) astrattamente rilevanti ai fini del decidere.
E nemmeno ne emerge, così, la stessa astratta decisività del dato relativo alla produzione di rifiuti non assimilati una volta che, come anticipato, la detassazione di superfici presuppone che sulle stesse si producano esclusivamente rifiuti speciali.
– Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il
versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge ; ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2024.