Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24972 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24972 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2044/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’ Avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente agli Avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della PUGLIA n. 1918/2019 depositata il 18/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il AVV_NOTAIO. il quale ha concluso come da memoria in atti, chiedendo l’ accoglimento del ricorso.
Uditi l’AVV_NOTAIO per parte ricorrente nonché l’AVV_NOTAIO per il Comune di RAGIONE_SOCIALE che hanno concluso come da rispettivi scritti difensivi.
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Puglia, con la sentenza n. 1918/5/19 depositata il 18 giugno 2019 e non notificata, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune di RAGIONE_SOCIALE ed in riforma della sentenza della Commissione Provinciale di RAGIONE_SOCIALE n. 2448/12/16, che aveva annullato l’avviso di pagamento di € 169.969,00 per Tares 2013, rigettava il ricorso originario proposto dalla società contribuente RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE
1.1. I giudici di appello, nel premettere che il RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 57/2013, in modo pienamente legittimo, aveva stabilito che ‘sono assimilati agli urbani, ai fini dell’applicazione del tributo e della gestione del servizio le sostanze non pericolose di cui è allegato A, provenienti dai locali e luoghi adibiti ad usi diversi dalla civile abitazione compresi gli insediamenti adibiti ad attività agricole, agroindustriali, industriali, artigianali, commerciali di servizi e da attività sanitarie (…)’, osservavano che erano da considerarsi assimilati ai rifiuti urbani gli scarti prodotti della società contribuente, con particolare riguardo alle plurime tipologie di imballaggi utilizzati l’ambito della sua attività di ‘grossista’. Precisav ano, ancora, che la
RAGIONE_SOCIALE non aveva provveduto, come sarebbe stato suo onere, a comunicare all’ente impositore l’esatta delimitazione delle aree che non concorrevano alla delimitazione della superficie imponibile – dovendosi ritenere la denunzia presentata in data 4 ottobre 1999 generica e priva di rilevanza sul punto – e che, svolgendo la società una doppia attività di vendita all’ingrosso e di vendita a rivenditori, utilizzatori professionali ovvero semplici possessori di partita IVA, sebbene risultava che venivano prodotti in maniera ‘prevalente e continuativa’ rifiuti speciali, andava considerato che nei medesimi locali si producevano anche rifiuti da imballaggi assimilabili, in tutto e per tutto, agli urbani in virtù della promiscuità al consumo dei suoi clienti pacificamente riconducibili alla loro indiscussa oggettiva libertà di acquisto e di utilizzo. Rilevavano, infine, quanto alla contestazione relativa alla categoria e tariffa applicata per la zona destinata a uffici, che non risultava che la società avesse ottemperato ai suoi obblighi dichiarativi sul punto, pertanto, correttamente applicandosi la categoria 25 in assenza di un’apposita segnalazione affinché potesse essere applicata la categoria 11 del regolamento.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Il Comune RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, eccependo in via preliminare, la inammissibilità del ricorso ex art.360bis n.1) cod. proc. civ. in quanto, a suo dire, i motivi di impugnazione non rispetterebbero il principio per cui nel ricorso per cassazione ove è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n.3 cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e, sotto altro profilo, l’inammissibilità del ricorso per difetto di c.d. autosufficienza.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per motivazione apparente in quanto così contraddittoria da non consentire di cogliere l’iter logico -giuridico posto a base della decisione.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dei principi in tema di violazione del divieto di assimilazione di cui agli artt. 43, comma 2, 21, comma 2, lett. g) e 18, comma 2, lett. d) del d.lgs. 22/97, 226, comma 2, 198, comma 2, lett. g) e 195, comma 2, lett. g) d.lgs. n. 152/06, falsa applicazione degli artt. 57, comma 1, d.lgs. 22/97, 265, comma 1, d.lgs. 152/06, art. 1, comma, 184 lett. b) legge 296/06, art. 3, comma 1 regolamento TARES e relativo all. A).
Rileva che la RAGIONE_SOCIALE.T.RAGIONE_SOCIALE., nell’affermare che la normativa vigente consentiva l’assimilazione degli ‘imballaggi in genere’ e che il Comune di RAGIONE_SOCIALE aveva legittimamente assimilato i rifiuti speciali, compresi gli imballaggi ‘in genere’, ai rifiuti urbani, era incorsa in falsa applicazione di norme di diritto e non aveva tenuto conto dell’evoluzione normativa intervenuta in ottemperanza alla disciplina comunitaria sui rifiuti e su quelli da imballaggio in particolare, dovendosi disapplicare ogni normativa secondaria in contrasto con tali disposizioni.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione falsa applicazione degli artt. 219 e 221 del d.lgs. 152/2006.
Osserva che in giudici di appello non avevano considerato che, alla luce del disposto cui agli artt. 219 e 221 del cod. ambiente, era da ritenere illegittima qualsiasi ipotesi di assimilazione dei rifiuti in esame.
Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 62, comma 3, del d.lgs. 507/93 dell’art. 14, comma 10, del d.l. 201/2013 conv. in legge 214/2013, nonché degli artt. 9 e 10, comma 1, del Regolamento TARES.
Osserva che, in ordine alla assoggettabilità o meno dei 9.749 metri quadri di superficie adibita a ricevimento, vendita e lavorazione della merce, andava considerato l’art. 14 del d.l. 201/2013 conv. in legge 214/2013, ai sensi del quale ‘nella determinazi one della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente’, sussistendo, quind i, una disciplina nel senso di prevedere un assoggettamento nel presupposto che si producano rifiuti rientranti nella privativa e, per converso, una esenzione ove si producano in via continuativa e prevalente rifiuti estranei alla privativa al cui avvio a recupero o smaltimento l’operatore economico ha l’obbligo di provvedere in proprio, provvedendo nel contempo alla totalità dei propri rifiuti.
Rileva che, nella specie, i giudici di appello non avevano considerato che come comprovato dal doc. 13 e specificato nelle controdeduzioni d’appello, nel 2013 la contribuente aveva avviato a recupero kg 127.640 di imballaggi.
Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa il fatto della duplice denuncia (4 ottobre 2009 e 14 gennaio 2010) e delle apportate delimitazioni ed informazioni.
Evidenzia che i giudici territoriali avevano omesso di considerare che con denuncia n. 969 del 4 ottobre 1999 e con la successiva denunzia del 14 gennaio 2010 la società aveva delimitato le superfici per le quali aveva chiesto l’esenzione individuandole nella ‘area di vendita all’ingrosso per mq. 9.964’, adibita a ricevimento, lavorazione ed esposizione della merce, sulla quale nessun servizio pubblico veniva espletato sicchè non vi era alcuna incertezza sulla ubicazione, destinazione ed estensione delle superfici contestate o pacificamente assoggettabili.
Con il sesto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della legge regionale n. 24/2015.
Nel premettere che le considerazioni, ad abundantiam, della sentenza impugnata sul tipo di commercio esercitato, in quanto tali, restavano estranee alla ratio decidendi e, quindi, non vi era ragione per impugnarle, precisava, tuttavia che, in ogni caso, trattavasi di normativa sopravvenuta e che, comunque, non aveva alcuna incidenza in relazione alla tipologia di attività svolta dalla società rientrante a pieno titolo ne lla nozione di attività all’ingrosso secondo la normativa nazionale vigente.
Con il settimo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del secondo periodo dell’art.19, comma 4, del Regolamento TARES relativamente agli uffici tassabili ed alla tariffa applicabile.
Assume che, a fronte della specifica contestazione per cui l’avviso di pagamento era in ogni caso illegittimo laddove aveva attribuito ai mq 1.482 degli uffici la categoria n. 25 anziché la n. 11, i giudici di appello avevano rigettato la relativa eccezione, reiterata nelle controdeduzioni in appello, non facendo corretta applicazione dell’art. 19 del regolamento TARES il quale stabilisce che ‘nell’attribuzione delle varie categorie di tariffazione si deve tener salva la prevalenza dell’attività effettivame nte svolta, e che devono
essere applicate le tariffe corrispondenti alla specifica tipologia d’uso alle superfici con un’autonoma e distinta utilizzazione, purché singolarmente di estensione non inferiore a 100 metri quadri’.
Con l’ottavo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. nonchè omesso esame circa il fatto decisivo della totale assenza di servizio pubblico per le superfici contestate. Osserva che la sentenza di primo grado aveva ‘rilevato, in punto di fatto, la completa assenza del servizio di raccolta e smaltimento svolta dal Comune per i rifiuti provenienti dall’area di vendita all’ingrosso di mq. INDIRIZZO.964′, dopo aver d ato atto, in diritto, del divieto normativo e comunitario allo svolgimento di un qualche servizio pubblico per i rifiuti speciali e che il Comune nel proporre appello, si era limitato a contestare la circostanza dedotta circa la completa assenza del serviz io pubblico per i rifiuti provenienti dall’area di vendita all’ingrosso senza, tuttavia, fornire alcune elemento a sostegno della propria asserita contestazione, che, pertanto, restava del tutto generica e tale da non impedire l’applicazione del principio di cui all’art. 115 cod. proc. civ.
Con il nono motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per motivazione del tutto assente o apparente sulle eccepite violazioni di norme costituzionali ed europee. Lamenta che l’impugnata sentenza aveva preteso di ‘liquidare’ le formulate eccezioni di violazione di norme costituzionali ed europee rilevando un asserito ‘inadempimento della società ricorrente a precisi obblighi dichiarativi e delimitativi delle aree di produzione dei rifiuti’, e imputando alla stessa ricorrente ‘un modello aziendale unico nel suo genere che, nella sostanza, sommava la vendita all’ingrosso alla vendita al dettaglio’.
Assume che i giudici di appello non avevano in alcun modo considerato che una imposizione connessa alla privativa, che per distorta interpretazione dell’art. 143 del d.l. 201/2011 tale da
gravare sugli operatori economici nonostante l’obbligo di provvedere in proprio al di fuori della privativa, si poneva in contrasto con gli artt. 3, 23, 53, 76 e 97 nonché con gli artt. 41, 43 e 117 Cost. e che l’interpretazione come propugnata dai giudici di appello contrastava con delle norme europee secondo cui imprese devono poter operare in un regime concorrenziale di libero mercato. Richiede, altresì, la rimessione della questione alle Sezioni Unite in presenza di entrambe le condizioni richieste dall ‘art. 374 cod. proc. civ. atteso che un lato vi sono questioni di diritto decise in senso difforme all’interno della Sezione Tributaria e dall’altro la congerie di tematiche che si discutono sul tema costituiscono questioni di massima di particolare importanza, insistendo sui profili di illegittimità costituzionale e sulla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Va premesso che non si ravvisano i presupposti per una rimessione della causa alle Sezioni Unite di questa Corte, non essendo state adeguatamente prospettate dalla RAGIONE_SOCIALE in ricorso, in relazione alle tematiche dedotte, le condizioni previste dall’art. 374, comma 2, cod. proc. civ.
Osserva, quindi, il Collegio che il primo motivo è infondato.
Va, infatti, rilevato come non si possa ravvisare una motivazione assente o meramente apparente della sentenza impugnata. Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili ( ex plurimis : Cass., Sez. n. 8427/2020; Cass. n 9975/2021).
Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di ‘motivazione apparente’, allorquando la motivazione della sentenza impugnata,
pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. ( ex plurimis : Cass. n. 13248/2020; Cass. n. 8400/2021; Cass. n. 9288/2021; Cass., Sez. 5, 13 aprile n. 9627/2021; Cass. n. 6184/2022).
Nel nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione che non può pertanto sopravvivere neppure se denunciato ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 cod. proc. civ., come avvenuto nella fattispecie in specie.
Come è dato desumere dal tenore della sentenza impugnata il decisum raggiunge la soglia del minimo costituzionale, avendo i giudici di appello argomentato in relazione alle specifiche deduzioni e censure, dando rilievo decisivo alla (asserita) inosservanza degli oneri di informazione incombenti sulla parte contribuente.
Giova, del resto, ricordare che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma sub valenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr., ex multis, Cass. n. 3108/2022 che richiama Cass. n. 12652/2020; Cass. n. 10937/2016; Cass. n. 12123/2013).
Alla luce di tale apparato argomentativo deve, allora, ritenersi la sussistenza di una motivazione nel suo complesso intellegibile (a prescindere dalla sua correttezza in diritto) laddove il motivo di impugnazione intende far impropriamente transitare, sotto il
suddetto profilo, le ragioni di una non condivisione della sentenza impugnata.
Per ragioni di ordine logico va, quindi, preso in esame il quinto motivo di diritto, da ritenere fondato per le ragioni appresso specificate.
Occorre premettere che la vicenda oggetto del presente giudizio riguarda la pretesa tributaria a titolo di TARES (anno 2013) avanzata dal Comune di RAGIONE_SOCIALE e relativa alle superfici di mq. 1.482 (destinate ad uffici) e di mq 9.964 (supermercato) occupate dalla contribuente. Risulta che, dopo una prima denunzia del 4 ottobre 1999, con denuncia di variazione del 18.1.2010, ex art. 70 d.lgs. n. 507 del 1993, la società contribuente nulla opponeva circa la richiesta afferente all’area destinata ad uffici, ma rilevava che relativamente alla restante area, solo per mq. 215 del reperto ortofrutta, il Comune provvedeva alla raccolta e smaltimento dei rifiuti, mentre nella residua parte destinata alla vendita all’ingrosso (mq 9.749) venivano prodotti rifiuti non assimilabili.
12.1. Orbene la censura relativa alla omessa valutazione della denunzia operata dalla contribuente appare fondata sulla scorta delle argomentazioni di cui alla sentenza n. 10899/2022, resa in controversia inter-partes avente ad oggetto identica fattispecie.
12.2. In proposito, premesso che il P.G., in sede di discussione, ha richiamato la memoria in data 13 maggio 2024 in cui era stata sottolineata la rilevanza decisiva del giudicato esterno formatosi tra le parti in relazione al contenuto della denuncia di variazione del 18/1/2010 in forza della richiamata sentenza della Cass. n. 10899/2022, deve, pure, essere ribadito il condivisibile principio secondo cui nel caso in cui il giudicato esterno fra le stesse parti si sia formato a seguito di una sentenza della Corte di cassazione, i poteri cognitivi del giudice possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche prescindendo dalle allegazioni delle parti (peraltro a conoscenza della formazione del precedente
giudicato) e facendo ricorso, se necessario, a strumenti informatici e banche dati elettroniche. (Cass. 29923/2020).
In seno a detta pronunzia, proprio a proposito della denuncia di variazione in questa sede richiamata, si legge testualmente al punto 20: ‘ Rispetto a tale disposizione e con riferimento alla prima affermazione contenuta nella sentenza impugnata, assume rilievo la denuncia di variazione del 18.1.2010 presentata dalla contribuente il cui contenuto è riportato al punto 16.2 dalla quale risultava in modo chiaro l’area del magazzino destinato alla vendita all’ingrosso, esclusa quella destinata al reparto ortofrutta, per la quale si chiedeva l’esenzione; area peraltro esattamente indicata anche nella parte in fatto della sentenza impugnata ‘.
Appare, dunque, evidente l’errore logico-giuridico nel quale è incorsa la Commissione Tributaria Regionale nel ritenere che difettava la necessaria preventiva denunzia di detassazione.
13. Ciò posto si evidenzia che anche il secondo, il terzo, ed il quarto motivo di ricorso -da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi – appaiono sono fondati nei termini appresso specificati, rimanendo assorbiti il sesto e l’ottavo.
Deve osservarsi che, diversamente da quanto vorrebbe sostenere la controricorrente, non si tratta, di motivi inammissibili, perché il dedotto errore logico-giuridico di cui si è detto non implica affatto la rivisitazione nella presente sede di legittimità di aspetti fattuali, quanto soltanto di profili di stretta rilevanza tecnico-giuridica; inoltre, non può fondatamente sostenersi che essi siano carenti del requisito di specificità ed autosufficienza, dal momento che proprio la natura prettamente giuridica della doglianza in essi trasversalmente contenuta esclude che la loro illustrazione richiedesse l’inserimento, la trascrizione o lo specifico richiamo di elementi diversi rispetto a quelli indicati e richiamati ed ulteriori dalla normativa asseritamente violata in rapporto alle domande ed
eccezioni di parte (il cui atteggiarsi nel corso dei vari gradi del processo risulta, per lo più, pacifico tra le parti)
13.1. Nello specifico, la questione all’esame della Corte verte essenzialmente sulla tassabilità ai fini della TARES di locali e spazi ritenuti esenti da imposta, perché produttivi di soli imballaggi secondari (non assimilati) e terziari, che la contribuente deduce di avviare al recupero a proprie cure e spese (mediante l’ausilio di società private autorizzate).
13.2. Occorre richiamare il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, emanato in attuazione delle direttive n. 91/156/CEE sui rifiuti, n. 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e n. 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, nel Titolo II (specificamente dedicato alla «Gestione degli imballaggi») – premesso che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata «sia per prevenire e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi, nonché distorsioni e restrizioni alla concorrenza», ai sensi della citata direttiva n. 94/62/CEE (art. 34, comma 1), dispone che: a) Gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da «un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore»), secondari o multipli (quelli costituiti dal «raggruppamento di un certo numero di unità di vendita») e terziari (quelli concepiti «in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli») (art. 35, comma 1); b) «i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti»: oltre ai vari obblighi in tema di raccolta, riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio, sono a carico dei produttori e degli utilizzatori i costi per – fra l’altro – la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, il riciclaggio e il
recupero dei rifiuti di imballaggio, lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari (art. 38); c) «A decorrere dal 1° gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata» (art. 43, comma 2).
Dall’esame del Titolo II del d.lgs. n. 22/1997 si ricava che i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione” (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento) (art. 38 citato); ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa RAGIONE_SOCIALE.
Deve chiarirsi che la tesi sostenuta in dottrina circa la possibilità di assoggettare a privativa anche gli imballaggi terziari, alla luce del dettato dell’art. 221, comma 4, del cod. ambiente, non tiene conto della valenza decisiva dell’art. 195 del medes imo codice che fa salve le competenze statali generali in materia l’importanza delle quali è stata ribadita, da ultimo, da Corte cost. n. 189/2021 -norma la quale finisce per neutralizzare la portata del suindicato art. 221 comma 4, dovendosi, quindi, ritenere certamente sussistente il divieto di immissione degli imballaggi terziari nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani sulla scorta della normativa vigente sopra richiamata.
Per altro verso va osservato che non appare fondata la tesi prospettata da parte ricorrente la quale assume che i rifiuti da imballaggi secondari sarebbero sottoposti al medesimo regime dei rifiuti speciali non assimilabili perché deriverebbero da commercio
all’ingrosso. Devono sul punto richiamarsi i principi fissati da questa Corte con la sentenza n. 4915/2024, ove è stato condivisibilmente chiarito che ciò che rileva è esclusivamente la verifica della specifica natura dei rifiuti prodotti, vale a dire la tipologia di imballaggi (se primari, secondari o terziaria) presenti nei locali aziendali (e quindi in essi ‘formati’ e da smaltire) al fine di accertare la loro assimilazione e/o assimilabilità.
13.3. Deve, quindi, evidenziarsi che in forza dell’art.14, commi 10 e 11, del d.l. 201/2011 (TARES): ’10. Nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. 11. La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di inve stimento e di esercizio’.
La riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari ‘rifiuti speciali’ costituiti dagli imballaggi terziari (qui dedotti), non assimilati né ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari. Si è in proposito più volte affermato (con riguardo tanto alla Tarsu quanto alle sue varianti Tia1 e Tares, assoggettate a linea normativa di continuità: vedi Cass.n.2373/22 ed altre) che agli imballaggi terziari (nonché agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art.62, comma 3, cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formano i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono
essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa RAGIONE_SOCIALE) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati ex art.21 comma 7 d.lgs. 22/1997. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. nn. 10010/2019; 703/2019; 4960/2018; 4793/2016 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento).
In particolare, Cass.n.16235/2015 ha osservato che ‘l’impresa contribuente ha l’onere di fornire all’amministrazione RAGIONE_SOCIALE i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che, pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell’occupazione di aree nel territorio RAGIONE_SOCIALE, il principio secondo cui spetta all’amministrazione l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia ex art. 70 del citato d.lgs. n. 507 del 1993) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un’eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio RAGIONE_SOCIALE‘. Si legge, poi, in Cass.n. 7187/2021 che: ‘Va, poi, osservato che questa Corte (vedi, ex plurimis , Cass. n. 12979/2019 e n.10634/2019) ha affermato che è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell’Amministrazione, che tali aree producono “solo” rifiuti speciali, ……, e solo all’esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l’esenzione del pagamento della quota variabile della TIA’; analogamente Cass.n.
2373/2022 per Tares e Cass.n. 34635/2021 per la TARI. Si è, inoltre, stabilito (Cass.n. 14038/2019; Cass.n. 5360/2020 ed altre) che il tributo -da applicarsi, ex art.49, comma 3. d.lvo. 22/97, ‘a chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio RAGIONE_SOCIALE‘ -è strutturato in una parte variabile ed in una parte fissa (d.lvo cit.), in modo che: – il presupposto impositivo della parte variabile della tariffa (sempre che sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio di raccolta e smaltimento) va individuato nella produzione di rifiuti urbani o assimilati, ferma restando la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione di questa parte variabile nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti (art.49 co. 14 d.lgs. 22/1997); per contro, la quota variabile della tariffa non è dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati, e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate; – la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio RAGIONE_SOCIALE presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio RAGIONE_SOCIALE astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio RAGIONE_SOCIALE, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio RAGIONE_SOCIALE, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (vedi Cass. n. 14038/2019; Cass. n 16994/2020; Cass. n. 5360/2020; Cass. n. 22772/2021; Cass. n.
29542/2021; Cass. n. 32603/2021; 32604; Cass. n. 12850/2022; Cass. T., n. 5429/2023, nonché da ultimo Cass. 4915/2024 e Cass. n.23228/2024).
In ogni caso, i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del cd. decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della legge n. 146 del 1994, art. 39. Ne consegue che i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno disapplicati in parte qua dal giudice tributario (in questo senso già Cass. n. 627/2012; Cass. n. 4793/2016. Cass. n. 703/2019; Cass. 4960/2018, da ultimo Cass. n. 10010/2019 nonché Cass. n. 5580/2023).
13.4. Alla luce di tali ricapitolati criteri interpretativi, esaminando congiuntamente i suddetti motivi di ricorso, va osservato che la Commissione regionale non si è attenuta a tali principi, sbrigativamente e, quindi, erroneamente, affermando la totale legittimità degli atti impositivi opposti e la conseguente debenza del tributo in ragione del fatto che la società non aveva adeguatamente denunziato le zone esenti né aveva dettagliatamene comprovato la tipologia di rifiuti prodotti, così incorrendo nell’ errore giuridico e motivazionale di: -omessa valutazione della richiamata documentazione al fine di verificare la legittimità della rivendicata detassazione; -omessa adeguata considerazione e puntuale qualificazione della tipologia dei rifiuti prodotti (giusta documentazione versata in atti), limitandosi riduttivamente a configurali come «imballaggi» senza ulteriore specificazione (e cioè se primari, secondari, considerando in tale seconda ipotesi, se era stata o meno attivata la raccolta differenziata, o terziari); – omessa verifica se vi era prova in atti dell’area in cui i rifiuti speciali non assimilabili (o non assimilati) si erano formati ‘di regola’ in rapporto a quelle complessivamente detenute dalla società e normalmente
produttive di rifiuti urbani ricompresi nell’ordinario ciclo di privativa RAGIONE_SOCIALE; – omessa valutazione della portata e della legittimità del regolamento RAGIONE_SOCIALE quanto alla gestione degli imballaggi in genere.
Anche il settimo motivo è fondato.
I giudici di merito non hanno tenuto conto dell’art. 19 del Regolamento Tares, il quale prevede che, ai fini della specifica tariffazione, occorre valutare l’attività effettivamente svolta nelle aree aventi una autonoma e distinta utilizzazione, nella spec ie ‘uffici’ per mq. 1482.
Questa Corte, del resto, con la pronunzia n. 9648/2024, ha avuto, peraltro, modo di chiarire che ‘deve considerarsi illegittima la disposizione del regolamento RAGIONE_SOCIALE che in tema di TIA stabilisca che la tariffa applicabile per ogni utenza non domestica è unica, anche se le superfici che servono per l’esercizio dell’attività stessa presentano divers e destinazioni d’uso e siano ubicate in luoghi diversi, dovendo, invece, in tali casi applicarsi la tariffa prevista dal regolamento per la categoria di attività corrispondente alla tipologia di attività svolta nell’unità di superfic ie di riferimento, considerando tale l’unità immobiliare distinta, separata ed a sé stante sul piano fisico/materiale dal resto del complesso immobiliare in cui si svolge l’attività del contribuente, qualificata da una propria individualità strutturale e da una peculiare tipologia di attività, che, per quanto servente rispetto all’attività principale cui accede, sia da essa diversa ed idonea, come tale, a scindere il nesso di prevalen za dell’attività principale svolta nel complesso immobiliare ed a derogare al principio di preminenza dell’attività caratteristica in essa svolta e, quindi, con esso, al principio dell’unicità dell’utenza’.
15. In conclusione, rigettato il primo motivo, in accoglimento del secondo, del terzo, del quarto, del quinto e del settimo motivo di ricorso rimanendo assorbiti il sesto, l’ottavo ed il nono – la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di Giustizia
tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, la quale, uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti, procederà ad una rinnovata valutazione circa la complessiva debenza del tributo, ed anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il settimo motivo di ricorso, assorbiti il sesto, l’ottavo ed il nono; rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data