Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20437 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20437 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2258/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, pecavvEMAIL;
-ricorrente-
contro
COMUNE SERRARA COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO PRESSO AVV COGNOME NOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 4512/2019 depositata il 28/05/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 4512/2019, depositata il 28 maggio 2019, la Commissione tributaria regionale della Campania, nel confermare la pronuncia dei giudici di prossimità, respingeva l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE dichiarando la legittimità dell’avviso di accertamento Tari relativo all’annualità di imposta 2017 emesso dal Comune di Serrara Fontana.
I giudici distrettuali hanno affermato che le denunce di inizio e di fine attività non avevano alcuna rilevanza in quanto non provavano l’inidoneità delle aree alla produzione dei rifiuti, indicando soltanto le date di riapertura e chiusura dell’attività alberghiera, aggiungendo che solo le cause di impossibilità obiettiva di utilizzo dell’immobile può escludere la debenza del tributo, sempre che il mancato utilizzo non dipenda dalla mera volontà del proprietario.
In particolare, la C.T.R. della Campania rilevava che . I giudici d’appello, trascritta la disposizione di cui all’art. 70 citato ha precisato che la società non aveva neppure dedotto di aver presentato la denuncia al Comune entro il 20 gennaio successivo
all’inizio dell’occupazione ovvero di una eventuale variazione. Aggiungendo, infine, che l’avviso opposto risultava adeguatamente motivato.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi; resiste con controricorso il Comune di Serrara Fontana
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura reca ; per avere i giudici regionali ignorato la rilevanza del contenuto delle denunce di inizio e cessazione dell’occupazione. Si soggiunge che la C.T.R. campana ha violato il disposto dell’art. 115 c.p.c., non avendo considerato l’acquiescenza del Comune rispetto alle comunicazioni di inizio e cessazione dell’attività alberghiera>.
Il secondo mezzo di ricorso deduce .
La società, premesso di aver eccepito, nel giudizio di merito, la carenza motivazionale dell’atto impositivo che tassava la superficie di mq 3.701, pur avendo la stessa presentato la dichiarazione di cui all’art. 70 d.lgs. n. 507/1993 con cui aveva delimitato le superfici tassabili, assume che il Collegio d’appello ha ignorato la denuncia del 4 novembre 2016 con cui si comunicava che l’area tassabile era pari a mq. 2353 e la data di cessazione dell’attività imprenditoriale, denuncia reiterata in data 20 gennaio 2017. Si critica, inoltre, la decisione impugnata nella parte in cui ha affermato che la notifica dell’avviso di pagamento era stat a preceduta da quella di accertamento del 3 maggio 2017, con il quale veniva rilevata l’infedeltà della dichiarazione, trascurando di
considerare la perizia descrittiva della superficie redatta dall’arch. COGNOME non contestata dal Comune.
Si soggiunge, nella illustrazione del motivo che la sentenza è nulla ex art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. per omesso esame di tali atti essenziali alla decisione, censurando altresì la motivazione dell’atto opposto in quanto affetto da deficit contenutistico, per poi insistere che il decidente avrebbe dovuto valutare le prove offerte dalla contribuente e non contestate dal Comune.
3. La prima censura non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata. Si critica la decisione di appello per non aver considerato il contenuto delle dichiarazioni presentate al Comune; al contrario, il giudicante ha valutato il contenuto delle denunce di inizio e chiusura attività per inferirne l’irrilevanza ai fini di cui al disposto dell’art. 70 summenzionato, precisando che, nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale, l’unica circostanza che esenta dall’imposta è la concreta inutilizzabilità della struttura, a nulla rilevando le denunce di comunicazione di chiusura invernale, così conformandosi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte. Infondato è, difatti, il motivo con cui si lamenta l’inosservanza da parte dei giudici di seconde cure del principio di non contestazione degli elementi probatori offerti a fondamento del gravame.
In disparte la genericità e la disorganicità della rubricazione e della illustrazione del motivo, la doglianza risulta in contrasto con quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, laddove i giudici di appello hanno compiutamente valutato gli elementi probatori offerti dalla contribuente e, precisamente, le denunce allegate, escludendone la rilevanza ai fini fiscali.
Al riguardo, osserva la Corte che il processo era stato instaurato per affermare l’esenzione dalla Tari, contrastata dall’amministrazione già mediante l’atto impositivo, volto ad affermare l’assoggettamento dei locali alla predetta imposta. Sicchè a nessun onere aggiuntivo (di allegazione o di contestazione)
l’amministrazione avrebbe dovuto adempiere al fine di affermare, contrastato nel processo, il nesso di consequenzialità tra il fatto significante ex adverso dedotto – deposito di materie prime – e il significato asserito come discendente, l’esenzione dalla imposta. Con riferimento al principio di non contestazione, non è revocabile in dubbio che detto principio di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applichi anche nel processo tributario, ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, esso riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Cass. n. 1384/2016; Cass. 2015 n. 2196; Cass. n. 13834/2014). E nella specie, come riscontrabile dagli stessi stralci degli scritti difensivi delle parti, l’Ente impositore ha sempre negato in radice il diritto alla esenzione, non ritenendone provati dal contribuente i presupposti, laddove, peraltro e prima ancora, l’oggetto della non contestazione riguardale le denunce presentate e la perizia di parte che oltre a non essere vincolanti, sono state ritenute non probanti dalla stessa Corte d’appello. La giurisprudenza di legittimità, in modo condivisibile, ha precisato che: innanzitutto, esso non può essere invocato allorché il convenuto neghi in radice l’esistenza dell’altrui credito; d’altro canto, esso opera sul piano della prova, cosicché, nel processo tributario (nel quale pure è certamente applicabile, come riconosce Cass. 24/01/2007, n. 1540; Cass. n. 12287/2018), esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario -secondo cui la mancata presa di posizione dell’ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio
impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive alla domanda avversaria (Cass. n. 8708/2017; Cass. n. 31619/2018; Cass. del 13.03.2019, n. 7127). E’ evidente, al contrario, che la notificazione dell’avviso opposto dimostra l’esplicita confutazione sia dei dati materiali che dei dati temporali indicati dalla società sia nelle dichiarazioni di inizio e fine attività che nella perizia stragiudiziale, ritenuta, peraltro non probante dai giudici distrettuali.
4. Il secondo mezzo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, perché nel corpo del motivo espone critiche in fatto ed in diritto contemporaneamente e senza alcuna gradazione o distinzione tra loro, dando luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793). Si tratta quindi di censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.
4.1.Ad ogni buon conto, l’inammissibilità resta, sia pure sotto altro profilo, anche operando, in base ad altro orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 39169/2021, che richiama Cass. n. 26790/2018, Cass. n. 19893/2017, Cass. n. 7009/2017, Cass, Sez. Un., n. 9100/2015, Cass., Sez. Un., n. 17931/2013; Cass., Sez. Un., n. 32415/2021), una risistemazione dei motivi, una loro scissione, come se fossero separati, alternativi o subordinati, ricostruendoli, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di
motivazione rilevante, in relazione alle questioni sostanziali sollevate (come detto: inesistenza giuridica dell’atto tassato e sua sostituzione con quello successivo, sua erronea qualificazione giuridica e registrazione di ufficio, quantificazione del tributo e relative sanzioni, rischio di una doppia imposizione e sussistenza del litisconsorzio necessario con la controparte dell’atto). In tale prospettiva, infatti, i motivi si presentano, in larga misura, aspecifici, non confrontandosi con le ragioni poste a base della sentenza impugnata, né confutandole, limitandosi ad una riedizione delle difese in precedenza svolte, come se anche il giudizio di esame fosse un ulteriore, inammissibile, grado di merito.
4.2.In particolare, nel motivo in esame, laddove si lamenta l’omesso esame della perizia e della denuncia del 4 novembre 2016 e del 18 aprile 2017, la critica proposta in chiave di apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di diverse norme di diritto, si risolve nella censura all’apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte di merito, in una contestazione del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito non inquadrabile né nei paradigma introdotti dalla ricorrente né ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 3, disposizione che dà rilievo unicamente alla violazione normativa (Cass., sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892); e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per
cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 6-5, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016, n. 16056).
4.3.Nella esposizione del secondo motivo, inoltre, la società denuncia l’inadeguata motivazione in relazione alla eccepita carenza motivazionale dell’atto impositivo. Censura confusamente introdotta nell’assemblato motivo in rassegna e che peraltro non si confronta con la motivazione della Corte d’appello che ha ritenuto l’adeguatezza contenutistica dell’atto impositivo recante sia la normativa di riferimento che l’indicazione delle delibere attuative, oltre che l’ubicazione dell’immobile , la destinazione d’uso, le tariffe relative alla parte fissa e variabile e la superficie tassata.
4.4.La denunciata carenza motivazionale della sentenza impugnata deve essere qui riguardata alla luce della nuova e più stringente disciplina di cui al d.l. 83/12 convertito con modificazioni nella legge 134/12 (sentenza CTR pubblicata dopo l’11 settembre 2012). Disciplina in base alla quale la sentenza può essere impugnata, in sede di legittimità, non più per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ” (previgente formulazione del n. 5 dell’articolo 360 in esame), bensì nei soli limiti dell ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In ordine a tale nuova formulazione – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario – si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: ” la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come
riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” ((cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; n.23940/2017; n. 22598/2018 ed innumerevoli altre).
Nel caso in esame la motivazione risulta idonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione avendo il decidente esposto le ragioni di fatto e di diritto in virtù delle quali ha ritenuto la congruità della motivazione in quanto l’avviso includeva i riferimenti normativi, la superficie tassabile e le tariffe applicate, dati genericamente contestati dalla società che non ha fornito, ad avviso della Corte d’appello, elementi probatori idonei a dimostrare la predicata minore superficie tassabile.
5.Si critica, altresì, la decisione d’appello per avere affermato che , senza considerare anche la denuncia del 4 novembre 2016.
5.1.Sotto detto profilo, il mezzo si palesa inammissibile, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 n. 6 c.p.c. il ricorrente che denunzia l’omesso esame di un fatto storico è tenuto (cfr., per tutte, Sez.
Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), ad allegare al ricorso gli atti del processo ovvero a trascriverne i passi salienti, essendo precluso al giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti depositati nel giudizio di merito (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), esigendo la citata disposizione del codice di rito che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008), con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011; S.U. n. 34469 del 27/12/2019 ; Cass. n. 21346/2024).
5.2.Il formante normativo, giurisprudenziale e convenzionale segnala che il ricorso è ‘autosufficiente’, e quindi ammissibile, quando: i) i motivi rispondono ai criteri di specificità previsti dal codice di rito; ii) ogni motivo indica, se del caso, l’atto, il documento, il contratto o accordo collettivo su cui si basa ed i riferimenti topografici (pagine, paragrafi o righe) dei brani citati; iii) ogni motivo indica la fase processuale in cui il documento o l’atto è stato creato o prodotto; iv) il ricorso è accompagnato da un fascicoletto che contiene, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4
c.p.c., gli atti, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi cui si fa riferimento nel ricorso. Analoga conclusione è autorizzata anche nel ricorso in esame, in cui, per un verso, si opera genericamente un riferimento alle denunce il cui contenuto non è riportato al fine di consentire a questa Corte di verificarne la decisività, né i documenti menzionati risultano allegati al ricorso per cassazione né infine si indica specificamente se e dove sono stati depositati nel giudizio di merito.
5.3. Infine quanto alla predicata violazione del disposto dell’art. 70 d.lgs. citato in rubrica, a fronte dell’assenza di ogni considerazione da parte del Giudice di appello in merito alla presentazione di precedenti denunce(del 2016), il motivo ondeggia, nell’ambito del non pertinente canone censorio della violazione di legge (tenuto conto che, in realtà, l’intervenuta pronuncia sul punto è coerente con la giurisprudenza di questa Corte), tra i differenti profili concernenti, da un lato, la generica censura in relazione all’omesso esame della denuncia dell’aprile 2016 (peraltro, omettendo, in spregio al canone di autosufficienza, di riassumerne il contenuto) e, per altro verso, relativamente al tema dell’onere della prova ritenuto soddisfatto dalla parte contribuente mediante la summenzionata denuncia di cui si ignora il contenuto.
6. Al riguardo, i giudici regionali hanno richiamato il disposto dell’art. 70 cit. che recita, concludendo che in assenza della denuncia di cui all’art. 70 sopra trascritto entro il termine del 20 gennaio, la società non aveva assolto al relativo onere probatorio.
Ebbene, a fronte di tali affermazioni di principi, la società si è limitata ad enunciare la presentazione di ‘denunce di inizio e chiusura attività’, il cui contenuto non è stato trascritto nel ricorso per cassazione che comunque, sulla scorta delle stesse allegazioni della contribuente non presentano i requisiti della denuncia da presentare ad inizio attività.
Al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti
dall’ art. 360, primo comma, c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti. A ben vedere, la ricorrente, dietro l’apparente denuncia di violazione di legge, in realtà mira a contrastare l’accertamento di fatto effettuato dalla CTR in ordine alla mancata denuncia ex d.lgs. n. 507 del 1993, art. 70.
7. Vale comunque osservare che spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta) ovvero delle aree oggettivamente inutilizzabili che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile , in applicazione del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale grava sull’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del d.lgs. n. 507, del 1993, art. 70) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Sez. 5, Ordinanza n. 21250 del 13/09/2017; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 21011 del 22/07/2021; n. 5293/2023). Avuto, in particolare, riguardo, all’onere di denuncia, questa Corte ha chiarito che il presupposto impositivo della tassa sui rifiuti è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti ( d.lgs. n. 507-93, art. 62, comma 1). Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono
stabilmente destinati o perchè risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (d.lgs. cit., art. 62, comma 2). L’art. 62 pone, quindi, a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti (Cass. nn. 21250/17 e 10634/19).
In base al comma 3 al d.lgs. n. 507-1993, art. 70, la denuncia, originaria o di variazione, deve contenere l’indicazione, tra l’altro, “dell’ubicazione, superficie e destinazione dei singoli locali ed aree denunciati e delle loro ripartizioni interne, nonchè della data di inizio dell’occupazione o detenzione”.
Segue il rigetto del ricorso.
Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in, favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 3.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; – ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione