Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15547 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15547 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 5150/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ex lege;
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliata in Chiavari, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende per procura speciale in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LIGURIA n. 688/2022 depositata il 22/08/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udita la requisitoria del Procuratore Generale nella persona del cons. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e la rimessione della controversia alla CGT di secondo grado della Liguria, in diversa composizione.
Udito l’avvocato dello Stato che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale.
FATTI DI CAUSA
1. Il giudizio ha ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta principale di successione recante l’importo di € 199.715,81, di cui alla dichiarazione del 27/07/2017 (successione aperta il 22 luglio 2016), dovuta ex art 17, lett c) del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (T.U.S.), in ragione della rendita vitalizia devoluta per legato dal de cuius a NOME COGNOME di cui l’erede NOME COGNOME è onerata; atto impositivo notificato sia alla beneficiaria che alla legataria, quali coobbligate in solido.
L’importo veniva calcolato ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. c), del T.U.S., attraverso il metodo di attualizzazione della rendita.
L’erede e la legataria impugnavano l’atto impositivo lamentando l’erroneità del calcolo della base imponibile e sollevando, con riguardo al coefficiente di cui al prospetto allegato al d.P.R. 131/1986 (T.U.R.), in via pregiudiziale, questione di legittimità costituzionale degli artt. 17 d.lgs. n. 346/1990 e 46, comma c), del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 -concernenti la determinazione della
base imponibile della rendita vitalizia – per violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione.
La Commissione Tributaria Provinciale di Genova respingeva il ricorso della contribuente, con sentenza n.147/04/2021, depositata il 10/03/2021.
Sull’appello della contribuente NOME COGNOME la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, con sentenza n.688/01/2022, depositata il 22/08/2022, nel riformare parzialmente la pronuncia di primo grado, disapplicava il decreto Mef 21 dicembre 2015 che individuava, per il relativo anno, nella misura dello 0,2 per cento l’interesse legale da applicarsi per la quantificazione della base imponibile della rendita vitalizia, affermando che il sistema di adeguamento dei coefficienti basati sul saggio legale di interesse riferito all’usufrutto vitalizio, se applicato alla rendita vitalizia, produceva un effetto distorsivo ed esorbitante e, pertanto, ne rideterminava il valore attraverso l’applicazione del tasso di interesse di cui al precedente decreto Mef del 23 dicembre 2013.
Avverso la suindicata sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso affidato a due motivi.
NOME COGNOME ha depositato controricorso, proponendo ricorso incidentale.
In prossimità dell’udienza, la contribuente ha depositato memorie difensive.
Il Procuratore Generale, nel ribadire la requisitoria scritta, ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il rinvio alla CGT di secondo grado della Liguria.
MOTIVI DI DIRITTO
Il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate è affidato a due motivi.
2 . Il primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4, c.p.c., reca la deduzione della ; per avere il decidente disapplicato il decreto ministeriale dell’Economia e Finanze del 21 dicembre 2015 (in G.U. 30/12/2015, n. 302) per ragioni puramente equitative>. Si assume che l’art. 7, comma 5, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, attribuisce al Giudice tributario il potere di disapplicare ‘un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione’, qualora lo ritenga ‘illegittimo’. Si osserva che, tuttavia, il giudizio di illegittimità dell’atto amministrativo presuppone l’esistenza di una norma giuridica violata e mai potrebbe fondarsi su valutazioni di carattere meramente equitativo. Del resto, l’art. 113 c.p.c., ritenuto applicabile al processo tributario, stabilisce che il Giudice deve decidere secondo diritto, ‘salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità’. Si conclude, pertanto, che l’equità sostitutiva (che surroga l’equità alle norme) non è ammissibile nel giudizio tributario, perché tale possibilità deve essere espressamente prevista dalla legge.
Si soggiunge che i giudici distrettuali hanno erroneamente ritenuto ‘illogica ed eccessiva’ la determinazione della base imponibile compiuta dall’Ufficio, sebbene generata dalla puntuale applicazione dei criteri contenuti nel decreto ministeriale del 21 dicembre 2015, così sostituendosi al legislatore e creando una nuova regula iuris , partendo da un quantum di imponibile apoditticamente reputato equo, per poi fare applicazione di una disposizione ministeriale che, sebbene pacificamente inapplicabile ratione temporis , consentisse
egualmente di pervenire ad un risultato aprioristicamente reputato ‘equo’.
3.Il secondo strumento del ricorso principale deduce .
Osserva l’amministrazione finanziaria che la sentenza impugnata è illegittima per violazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 346/1990 e del decreto ministeriale 21 dicembre 2015, in quanto la prima norma stabilisce come determinare la base imponibile per le rendite e le pensioni incluse nell’attivo ereditario, prevedendo il calcolo del valore attuale dell’annualità in base al saggio legale di interesse, con un limite massimo che dipende dal tipo di rendita (a tempo determinato o vitalizia). Si osserva che il valore è determinato tramite coefficienti legati all’età del beneficiario e viene aggiornato periodicamente in base alle oscillazioni del saggio legale degli interessi. Nel caso sub iudice, secondo l’Amministrazione trova applicazione il decreto ministeriale del 21 dicembre 2015 che ha stabilito il saggio legale di interesse per l’anno 2016, anno di apertura della successione, determinando il valore del multiplo per il calcolo delle rendite a 500 volte l’annualità.
4.Con ricorso incidentale la contribuente insiste nel devolvere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli artt. 17, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 346 del 1990, 3, comma 164, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonché 46, comma 2, lett. c), del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, oltre che del prospetto allegato a detto ultimo decreto legislativo (questione già formulata nelle conclusioni del giudizio di primo grado e di appello).
Si rileva che l’art. 17, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 346/1990 stabilisce che la base imponibile per le rendite e pensioni incluse nell’attivo ereditario deve essere determinata moltiplicando l’annualità per il coefficiente applicabile in base all’età del beneficiario al momento della morte del de cuius ; che il prospetto dei coefficienti, allegato al d.p.r. n. 131 del 1986, è utilizzato per calcolare il valore dell’usufrutto e della rendita vitalizia e viene aggiornato periodicamente in relazione alla modifica del tasso legale degli interessi.
Si aggiunge che, tuttavia, l’interpretazione del prospetto implica la risoluzione di questioni concernenti l’assenza di una norma che stabilisca esplicitamente come il prospetto debba essere elaborato. In particolare, il calcolo del valore della rendita si fonda su due elementi: da un lato, la stima del numero di annualità che il beneficiario avrà diritto a percepire e, dall’altro, la differenza tra il valore presente (somma immediatamente percepita) e il valore futuro della rendita; per stimare la differenza tra valore presente e valore futuro di una rendita, si utilizza il metodo dell’attualizzazione, che consiste nel “riportare” al momento presente il valore di un certo numero di pagamenti futuri. Questo processo si basa su una formula matematica, la quale tiene conto del tasso di interesse che influisce direttamente sul calcolo dell’attualizzazione; in particolare, l’art. 3, comma 164 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 stabilisce che il valore del multiplo dell’annualità ed il prospetto dei coefficienti, utilizzati per il calcolo del valore della rendita, devono essere aggiornati in base alla variazione del tasso di interesse legale.
In altri termini, il prospetto dei coefficienti allegato al d.p.r. n. 131 del 1986 viene periodicamente modificato ‘ in ragione della modificazione della misura del saggio legale degli interessi ‘ con
decreto ministeriale ai sensi dell’art. 3, comma 164, della legge n. 662 del 1996.
Al momento del decesso della de cuius , avvenuto nell’anno 2016, il prospetto dei coefficienti per la determinazione dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni vitalizie, allegato al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e successive modificazioni, e’ variato in ragione della misura del saggio legale degli interessi fissata allo 0,2 per cento.
L’applicazione del dettato normativo ha condotto l’Ufficio, a fronte di una rendita annua pari ad € 18.000,00 (euro 1500/mese), a determinare in € 2.700.000,00 la base imponibile per l’applicazione dell’aliquota dell’8 per cento sui cespiti legati, calcolata alla stregua del coefficiente pari a 150 per l’anno 2016, tenendo conto dell’età della beneficiaria -77 anni all’epoca del decesso del testatore.
Si obietta che la base imponibile su cui applicare l’imposta di successione è pari a 120 volte il valore annuo della rendita, il che farebbe presumere che la beneficiaria vivrà, per accumulare una somma pari alla base imponibile presa a riferimento, almeno ulteriori 120 anni dopo l’apertura della successione; anzi, posto che il coefficiente 120 è utilizzato per la fascia d’età 57 -60 anni, la beneficiaria dovrebbe vivere 180 anni per percepire interamente la somma tassata.
Considerato, tuttavia, che il presupposto dell’imposta di successione è rappresentato dall’arricchimento del beneficiario (per tutte, Corte Cost., 23 giugno 2020, n. 120) la base imponibile sopra individuata non può rispecchiare, ad avviso della contribuente, tale arricchimento.
La disciplina contestata viene, dunque, ritenuta illegittima per contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, in quanto non rispetta il principio di coerenza tra la base imponibile e il presupposto dell’imposta, atteso che la base imponibile dell’imposta sulle successioni dovrebbe essere rappresentata dal valore dei beni e diritti trasferiti al momento della successione, come stabilito dall’art. 8 del d.lgs. n. 346 del 1990, e dovrebbe riflettere l’arricchimento reale del beneficiario. Si evidenzia che l’applicazione dei coefficienti stabiliti nel 1986, quando l’interesse legale era al 5%, non è più coerente con i tassi di interesse attuali, pari al 3%, rendendo irragionevole il calcolo della rendita vitalizia. In particolare, con la diminuzione dei saggi di interesse, la base imponibile delle rendite vitalizie è aumentata in modo ingiustificato ed irrazionale, in quanto non tiene conto della reale aspettativa di vita del beneficiario, così violando i su richiamati principi costituzionali.
5. Il primo motivo di ricorso è fondato.
La Corte territoriale ha affermato che «(…) occorre considerare che trattasi di una rendita vitalizia di € 1.500,00 al mese in relazione alla quale il calcolo effettuato dall’Agenzia porta alla debenza di una somma esorbitante cui consegue una imposizione illogica ed eccessiva, non conferente con il principio della giusta tassazione. Il d.m., che fa riferimento solo ad un sistema di adeguamento dei coefficienti in base alla modifica del saggio legale di interesse, produce effetti distorsivi se, invece di essere riferito all’usufrutto vitalizio, viene riferito alla rendita vitalizia». In ragione di ciò, il decidente ha applicato il d.m. 23.12.2013 «che porta a determinare valori più equi».
Sul punto è sufficiente rilevare che, come affermato in più occasioni dalla Corte di legittimità, il potere di disapplicare l’atto
amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, potere che spetta al giudice tributario, può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) (Cass., Sez. U, n. 6265 del 2006; Sez. 5, n. 7044 del 2014). Applicando tale principio nella specie, il predicato generico effetto distorsivo del decreto ministeriale non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione (incidentale) d’illegittimità del decreto stesso, dovendo al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politicoamministrativo, insindacabile in sede giudiziaria. L’art. 7, comma 5 del d.lgs. n. 546 del 1992 subordina, per vero, il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo generale da parte del giudice tributario ad un previo vaglio originario ed autonomo dell’illegittimità dell’atto che, nella specie, non è stato svolto.
Sotto altro versante, è d’uopo osservare che allorquando la legge opera un rinvio ricettizio a un decreto ministeriale, il decreto diventa parte integrante del sistema normativo che regola la materia in questione. In sostanza, il rinvio ricettizio sta a significare che il decreto ministeriale, pur non essendo una legge formale, viene incorporato nel sistema normativo per effetto del rinvio espresso nella legge. Il rinvio ricettizio comporta, pertanto, che le disposizioni del decreto ministeriale, una volta approvate, devono essere applicate in quanto parte integrante del quadro normativo di riferimento, sempre che il decreto ministeriale sia conforme alle disposizioni della legge e non le contraddica.
E’ evidente che, nel caso in esame, il rinvio operato dal d.lgs. n. 346/1990 al d.m. del 23 dicembre 2015 abbia natura ricettizia, non solo per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 17 cit., ma anche in considerazione del testo stesso del d.m. che, a sua volta, rimanda all’allegato al testo del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, contenente il
prospetto dei coefficienti per la determinazione dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni vitalizie, stabilendo che . In altri termini, la disposizione rinviante si è ‘appropriata in modo definitivo’ del contenuto della rinviata, il che si inferisce dall’esame dell’intenzione del legislatore, deducibile dal testo della norma in esame; a favore della natura del rinvio dinamico, oltre che il riferimento alla lettera della legge, rileva il contenuto del decreto a cui essa rinvia, suscettibile di essere trasposto nell’ambito della prima. Dalla natura ricettizia del rinvio consegue il potere del giudice di merito di sollevare questione di costituzionalità della disciplina primaria rinviante, ma non certamente di disapplicare un decreto che è parte integrante di questa.
E’ poi indirizzo consolidato di legittimità (v. Cass.n.13726/2023; n. 10875/2022; n. 16960/2019 ed altre) che il giudice tributario non sia dotato di poteri di equità sostitutiva, dovendo fondare la propria decisione su giudizi estimativi di cui deve dar conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio conseguito, ma sempre nell’ambito di un giudizio in diritto, il che è del resto consono alla natura gius-pubblicistica ed imperativa del rapporto giuridico tributario.
La decisione del secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale esige un’attenta analisi del compendio normativo che regola il meccanismo di determinazione della base imponibile della rendita vitalizia, sulla quale applicare l’imposta di successione.
6.1. Nell’ambito civilistico la rendita vitalizia, che può essere costituita anche per testamento o per donazione, è disciplinata dagli artt. 1872 segg. cod.civ.
6.2. Ebbene, in tutti i casi in cui, a seguito di una successione mortis causa , si abbia l’attribuzione (testamentaria o ab intestato ) a un dato beneficiario del credito alla percezione di una rendita (perpetua, a tempo determinato o vitalizia), si pone il problema della tassazione di detta attribuzione.
6.3.La materia delle «rendite» (e delle «pensioni») «comprese nell’attivo ereditario» è regolamentata dall’articolo 17 del d.lgs. n. 346/1990 (la cui disciplina si applica ai sensi dell’articolo 56, comma 4, TUS, anche alle «rendite» e alle «pensioni» che siano costituite a titolo gratuito e, cioè, mediante donazione oppure in esecuzione di un vincolo di destinazione: ad esempio, dal trustee di un trust il cui disponente abbia programmato una rendita per il beneficiario), il quale, nel testo ratione temporis applicabile, prevede che «la base imponibile, relativamente alle rendite e pensioni comprese nell’attivo ereditario, è determinata assumendo: (…) c) Il valore che si ottiene moltiplicando l’annualità per il coefficiente applicabile, secondo il prospetto allegato al testo unico sull’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’età della persona alla cui morte essa deve cessare, se si tratta di rendita o pensione vitalizia; (…)». In detto settore impositivo ed analogamente in quello relativo all’imposta di registro disciplinato dall’art. 46 d.P.R. n. 131/1986, il valore della rendita vitalizia è, pertanto, pari all’ammontare calcolato moltiplicando l’annualità per il coefficiente indicato nel prospetto allegato al T.U.R., rapportato all’età della persona dalla cui morte dipende l’estinzione della rendita. Il suddetto prospetto viene modificato, con i decreti ministeriali
annualmente emanati, in ragione della misura del saggio legale degli interessi.
6.4.Difatti, a sua volta, l’art. 3, comma 164, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (poi abrogato dal d.lgs. n.139/24) prevedeva nella versione applicabile ratione temporis che .
6.5.Non assume rilevanza, nel presente giudizio, l’entrata in vigore, nelle more, dell’art.1 del d.lgs. 18 settembre 2024, n. 139 cit. il quale, al fine di evitare le distorsioni del meccanismo di determinazione della base imponibile, conseguenti alle oscillazioni del saggio legale di interesse, ha inciso sull’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 346/1990, prevedendo, per quel che qui interessa, che la base imponibile, relativamente alle rendite e pensioni comprese
nell’attivo ereditario, è determinata assumendo .
6.6.Tale modifica è intervenuta per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. r), n. 3), d.lgs. n. 139 del 2024, a decorrere dal 3 ottobre 2024, ai sensi di quanto disposto dall’art. 11, comma 1, del medesimo d.lgs., con effetto a partire dal 1° gennaio 2025 e con l’applicabilità indicata nell’art. 9, comma 3, dello stesso d.lgs.>. Per effetto del rinvio contenuto nell’art. 14, comma 1, lett. c), del d.lgs. 346/1990, le nuove disposizioni si estendono ai diritti di usufrutto, uso e abitazione. Intervento analogo è stato operato dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. 139/2024 in relazione all’imposta di registro, ai fini della determinazione del valore delle rendite e delle pensioni (art. 46 del DPR 131/86) e dei diritti di usufrutto, uso e abitazione (art. 48 del DPR 131/86). Anche in tali casi è stata infatti prevista l’applicazione di un saggio di interesse legale minimo del 2,5%.
6.7.Per le rendite costituite anteriormente alla data del 3 ottobre 2024, nonché per le successioni aperte e le donazioni fatte
anteriormente a tale data, ai fini della determinazione della base imponibile delle rendite vitalizie di cui alla lett. c) dell’art. 17 cit., l’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 139 del 2024 prevede che «… ai fini della determinazione della base imponibile delle rendite vitalizie di cui all’articolo 46, comma 2, lettera c), del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 e di cui all’articolo 17, comma 1, lettera c), del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, relativamente alle quali i relativi rapporti non sono esauriti alla data di entrata in vigore del presente decreto, laddove il tasso di interesse legale risulta uguale o inferiore allo 0,1 per cento, si assumono i coefficienti risultanti dal prospetto allegato al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 21 dicembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2015».
6.8. La norma, nel regolare esclusivamente le ipotesi ivi indicate, implica l’applicazione della previgente disciplina normativa ai rapporti ancora sub iudice in cui il tasso di interesse da applicare non risulti uguale o inferiore allo 0,1 per cento.
6.9. Va, in altri termini, rilevato, vista la chiara dizione normativa, che la norma in rassegna ha previsto per il futuro l’applicazione di un preciso tasso di interesse, riferibile anche alle successioni apertesi in epoca antecedente alla entrata in vigore del d.lgs. n. 139/2024 che siano contraddistinte, tuttavia, dall’applicazione di un saggio di interesse uguale o inferiore allo 0,1 per cento.
6.10.Quest’ultima disposizione dettata per i rapporti non ancora esauriti non può, pertanto, trovare applicazione nella fattispecie sub iudice , come richiesto dalla Procura Generale, atteso che il tasso di interesse nell’anno di apertura della successione (2016)
era pari allo 0,2 per cento in ragione d’anno come individuato con d.m. 21 dicembre 2015, ai sensi dell’art. 1284 c.c. – , vale a dire né uguale né inferiore al saggio di interesse dello 0,1 per cento, individuato come criterio di sbarramento per applicare all’imposta di successione relativa alle rendite vitalizie ancora sub iudice il saggio individuato dal d.lgs. n. 139/2024.
Rileva, a questo punto, il rinvio operato dall’art. 17 d.lgs. n. 346/1990 al prospetto allegato al d.P.R. n. 131/1986 – il quale, a sua volta, specifica i coefficienti per la determinazione dei diritti di usufrutto a vita, delle rendite o pensioni vitalizie calcolati al saggio di interesse -e quello disposto dall’art. 3, comma 164, legge n.662/1996 che, nell’individuare i coefficienti di cui al prospetto allegato al cit. d.P.R., rinvia alla percentuale di interesse come determinato dai decreti ministeriali annuali. A tal ultimo riguardo, vale osservare come l’art. 1284 c.c. disponga che
7.1. Nella presente fattispecie, il summenzionato art. 17 con l’inciso rinvia ad una disposizione precisa ed univoca, la quale calcola il coefficiente in ragione del saggio di interesse legale (individuato alla data di applicazione dell’imposta), come individuato dall’art. 3, comma 164, legge n. 662/1996, ratione temporis vigente.
8. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 250/2014, ha confermato la propria giurisprudenza -che risale agli anni novanta ed è stata poi ribadita successivamente -che, recependo la differenza fra rinvio recettizio e rinvio formale, chiarisce che, mentre il rinvio formale concerne la fonte e non la norma, per aversi rinvio recettizio occorre che il richiamo sia indirizzato a norme determinate ed esattamente individuate dalla stessa norma che lo effettua. Il rinvio è recettizio solo quando «sia espressamente voluto dal legislatore o sia desumibile da elementi univoci e concludenti (sentenze n. 258 del 2014 e n. 80 del 2013)» (sentenza n. 93 del 2019), operando altrimenti una presunzione della sua natura formale. Secondo la giurisprudenza costituzionale «mentre il rinvio recettizio opera una novazione della fonte che eleva la norma richiamata al rango primario, la funzione del rinvio non recettizio non è quella di incorporare il contenuto della norma richiamata, bensì di indicare la fonte competente a regolare una determinata materia» (sentenza n. 250 del 2014; n. 44/2025). Il rinvio è recettizio solo quando «sia espressamente voluto dal legislatore o sia desumibile da elementi univoci e concludenti (sentenze n. 258 del 2014 e n. 80 del 2013)» (sentenza n. 93 del 2019), operando altrimenti una presunzione della sua natura formale.
8.1.La disposizione richiamata (il Prospetto allegato al d.P.R. n. 131/1986), come integrata dall’art. 3, comma 164, legge n. 662/1996, per effetto del rinvio operato dall’art. 17 d.lgs. n. 346/1990 è stata recepita e cristallizzata all’interno della norma richiamante, venendo a formare parte integrante di quest’ultima; dirimente è, difatti, il dato testuale: il legislatore ha precisato che, per la rendita vitalizia, la base imponibile si calcola applicando l’annualità per il coefficiente risultante dal prospetto allegato al d.P.R. n. 131/1986, il quale si intitola , coefficienti che, ai sensi della legge n. 662/1996, mutano al variare del tasso di interesse; ne consegue che la lettera della legge esprime in maniera inequivoca la volontà di “riportare’ nel d.lgs. n. 346/1990 le prescrizioni del prospetto di cui al d.P.R. cit., come integrato dall’art. 3, comma 164, cit., stabilendo che il prospetto dei coefficienti -che prende in considerazione anche l’età del beneficiario – muta in base alle variazioni del tasso legale come individuato dai decreti ministeriali.
8.2.Il corollario che si trae dalla natura recettizia del rinvio è l’inoperatività del potere disapplicativo incidentale del decreto ministeriale che stabilisce la misura del tasso legale – in quanto tasso applicabile in ragione dell’art. 3, comma 164, legge n. 662/1996 che integra le modalità di calcolo dei coefficienti del prospetto allegato al T.U.R. e del disposto dell’art. 1284 c.c., e, dunque, componente costitutivo del coefficiente individuato dal prospetto medesimo ai fini del calcolo della base imponibile -, non potendo il giudice , in violazione della previsione del cit. art. 3 e del disposto dell’art. 1284 c.c., il tasso di interesse che reputa più ‘ragionevole’ e più ‘equo’ tra quelli individuati anno per anno dai decreti ministeriali richiamati.
8.3. Nella presente fattispecie, a fronte di una rendita annua pari ad € 18.000,00, il coefficiente per l’anno 2016 anno del decesso del disponente risulta pari a 150 (considerata l’età 77 anni -della beneficiaria alla data di apertura della successione), derivando una base imponibile di € 2.700.000,00, su cui applicare l’aliquota dell’otto per cento. Dunque, un coefficiente così strutturato restituisce una base imponibile non corrispondente ad un valore economico reale, giacchè esige una sopravvivenza di 150 anni di una donna di 77 anni.
8.4.Ancora prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 139/2024, l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 51/E del 20 Gennaio 2021, interrogata in merito al calcolo della base imponibile di una rendita vitalizia costituita mortis causa , in cui ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni l’obbligo impositivo relativo all’onere a carico del legatario risultava abnorme, ha ritenuto che la rendita oggetto di eredità in realtà potesse essere intesa quale rendita a tempo determinato, e non quale rendita vitalizia, ciò al fine di evitare l’effetto distorsivo discendente dal costante calo del tasso di interesse legale, che a sua volta incide sui coefficienti utilizzati per calcolare il valore del bene (in questo caso la rendita vitalizia) e la relativa base imponibile ai fini dell’imposta.
8.5.Quindi, già precedentemente al recente intervento legislativo che ha fissato nella misura del 2,5 per cento il tasso di interesse per calcolare i coefficienti di cui al prospetto allegato al d.lgs. n. 642/1990, la stessa amministrazione, almeno in un caso, sovrapponibile a quello in rassegna, ha escluso l’applicazione del criterio di attualizzazione per il calcolo della rendita vitalizia di cui all’art. 17 del medesimo d.lgs., reputando irragionevole e sproporzionata la base imponibile che si veniva a determinare a causa della variazione in ribasso del tasso di interesse.
8.6. L’unica spiegazione matematicamente sostenibile, quanto alla attualizzazione della rendita (nel nostro caso, per il 2016) è che il legislatore abbia ipotizzato oscillazioni del tasso di interesse che avrebbero determinato un valore attuale della somma percepita nettamente inferiore al valore futuro.
8.7. In concreto, il valore della rendita è il risultato della moltiplicazione dell’annualità di rendita per il coefficiente stabilito dalla legge, come determinato dall’art. 3, comma 164 della legge n. 662 del 1996, per stimare il numero di annualità che – in
relazione all’aspettativa di vita di colui alla cui morte la rendita cessa – il beneficiario della rendita avrà verosimilmente diritto ad avere, nonché della differenza esistente fra la percezione immediata di una somma (quello che si definisce ‘valore presente’) e la sua percezione in futuro. Il calcolo dell’attualizzazione è, ovviamente, influenzato in modo diretto sia dal coefficiente base (non ancorato ad alcuna formula matematica) sia dalla misura del tasso d’interesse che, dal 1986, dopo quaranta anni di tasso superiore al 3 per cento, è disceso rapidamente.
9.Il complesso di questa disciplina -costituito dalla norma richiamante e dal prospetto richiamato unitamente all’art. 3, comma 164, menzionato – appare palesemente irrazionale, in quanto se il primo elemento attiene alla stima del numero di annualità che, in relazione all’aspettativa di vita di colui alla cui morte la rendita cessa, il beneficiario della rendita avrà verosimilmente diritto ad avere, il secondo criterio di determinazione della rendita al fine di stabilire ‘il valore attuale’ dell’annualità, oscilla ogni anno, così determinando, quando si ha un notevole decremento del tasso di interesse, una base imponibile che risulta spropositata rispetto alla vita media, tanto da condurre a risultati incongrui, come accaduto nella presente fattispecie.
9.1.Per quanto la valorizzazione di una rendita vitalizia non possa che essere effettuata in maniera prospettica ed astratta, non essendo dato conoscere in anticipo con esattezza per quanti anni sarà erogata, è altrettanto vero che tale valutazione proiettiva debba necessariamente essere ragionevole e correlata al presupposto impositivo ed alle normali regole che presiedono alla formazione della base imponibile -considerando l’età media differenziata per uomini e donne, che non può ovviamente raggiungere i 227 anni – imponendo il rispetto, ex art. 53 Cost., di
una proporzionale corrispondenza tra entità dell’imposta e valore reale della base imponibile.
9.2. E’ motivo di irrazionalità che la normativa che regola la materia non abbia considerato che la flessione del tasso di interesse correlato al coefficiente di cui al summenzionato prospetto possa generare una base imponibile esorbitante e sproporzionata sia rispetto alla stessa volontà del legislatore che originariamente aveva previsto il calcolo dell’imposta proporzionale su una base imponibile congrua, in quanto calcolata su un tasso di interesse al tre per cento, sia rispetto alla prevedibile vita del beneficiario.
9.3. La salvaguardia dell’ambito di discrezionalità del legislatore non esime questa Corte dal dubitare della razionalità del metodo di calcolo, come dimostra anche il recente intervento legislativo del 2024 che ha voluto indicare una misura fissa del tasso di interesse per la determinazione del coefficiente proprio al fine di porre un limite alla lievitazione della base imponibile su cui calcolare l’imposta di successione (e quella di registro).
10.La Corte Costituzionale già da tempo ha argomentato sulla incostituzionalità di norme in riferimento alla percezione comune, esprimendo concetti ‘soggettivi’ e ‘relativi’, e vagliando il canone di ragionevolezza in rapporto alla conformità dell’ordinamento giuridico con i valori di giustizia ed equità (sentenze n. 264 del 1994 e n. 388 del 1995) o con la realtà fattuale quali dati condizionanti in modo oggettivo ed incontrovertibile (sentenza n. 114 del 1998: ‘ si appalesa irragionevole siccome non rispondente all’esigenza di conformità dell’ordinamento ai valori di giustizia ed equità connaturati al principio sancito dall’art. 3 della Costituzione …’).
10.1.Nel declinare detti principi generali al caso di specie, ritiene questa Corte che un prelievo fiscale come quello posto a base dell’atto impositivo impugnato producendo una base imponibile spropositata ed un arbitrario valore fiscale si ponga in contrasto -nella normativa ad esso sottesa – con i principi costituzionali citati.
10.2.La disciplina in commento appare in conflitto con il principio di ragionevolezza e proporzionalità posto a corollario di quello di eguaglianza recato dall’art. 3 Cost. in modo tale da risultare necessario che le distinzioni operate dal legislatore tributario non siano irragionevoli o arbitrarie o ingiustificate (cfr. Corte Cost. n. 201 del 2014), al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione.
10.3. L’ampia ed indiscussa discrezionalità del legislatore tributario nella scelta degli indici rivelatori di capacità contributiva ( ex plurimis , sentenza n. 269 del 2017) non si traduce in un potere d’arbitrio, sicchè, una volta identificato il presupposto d’imposta, quest’ultimo diviene il fondamento ed il limite delle successive scelte del legislatore.
10.4.È del resto principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale che il controllo «in ordine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., si riconduce a un «giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico» (sentenza 262/2020; sentenza n. 116 del 2013; ma anche, ex plurimis, sentenze n. 10 del 2015, n. 223 del 2012, n. 111 del 1997, nonché, in senso analogo, già sentenza n. 42 del 1980). Rimarcando il valore della inderogabilità del dovere
tributario, la Corte Cost. ha, del resto, precisato che « tale qualifica, dato il contesto sistematico in cui si colloca, si giustifica solo nella misura in cui il sistema tributario rimanga saldamente ancorato al complesso dei principi e dei relativi bilanciamenti che la Costituzione prevede e consente, tra cui, appunto, il rispetto del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.).Sicché quando il legislatore disattende tali condizioni, si allontana dalle altissime ragioni di civiltà giuridica che fondano il dovere tributario: in queste ipotesi si determina un’alterazione del rapporto tributario, con gravi conseguenze in termini di disorientamento non solo dello stesso sviluppo dell’ordinamento, ma anche del relativo contesto sociale» (sentenza n. 288 del 2019).
10.5. E’ evidente, inoltre, la violazione dell’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto all’imposta di successione sull’usufrutto.
10.6. L’art. 17 cit. stabilisce i coefficienti da utilizzare per il calcolo della rendita vitalizia oltre che per l’usufrutto vitalizio, con la conseguenza che vengono considerate uguali e disciplinate allo stesso modo due situazioni completamente diverse tra loro, tenuto conto che sono innegabilmente differenti i punti da cui si deve muovere per giungere a determinare il valore dell’imponibile da sottoporre a tassazione, ovvero: nel caso dell’usufrutto vitalizio, al valore imponibile si giunge partendo dal valore del capitale (vale a dire dal valore del bene sul quale l’usufrutto è impresso); – nel caso della rendita vitalizia, al valore imponibile si giunge muovendo dal valore della rendita periodicamente dovuta e operando la sua capitalizzazione mediante attualizzazione. Orbene, i coefficienti di moltiplicazione, così come previsti nel prospetto allegato al Testo Unico dell’imposta di registro, mentre appaiono ragionevoli laddove si tratta di calcolare il valore dell’usufrutto vitalizio, viceversa appaiono completamente incongrui ed arbitrari
allorquando si tratta di quantificare (in misura che risulta di molto superiore) la base imponibile della rendita vitalizia, generando disparità ragguardevoli in relazione alla entità dell’imposta dovuta.
10.7.Nel delineare la portata dell’art. 53 Cost., la Corte Costituzionale ha, invero, individuato tre requisiti essenziali (che vanno riguardati anche alla luce dell’art. 1 Protocollo 1 Cedu) della capacità contributiva: l’effettività, la certezza e l’attualità (cfr. Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 109; Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200; Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42; Corte Cost., 22 aprile 1980, n. 54; Corte Cost., n. 252/1992; Corte Cost., 29 gennaio 1996, n. 73; Corte Cost., 26 luglio 2000, n. 362).
10.8. In ordine al primo requisito, il nesso tra il fatto rivelatore di capacità contributiva e il tributo deve essere effettivo e non apparente o fittizio; l’effettività esprime, infatti, la concreta idoneità del presupposto rispetto all’obbligazione d’imposta, la quale dovrà avere ad oggetto una manifestazione economica reale, dovendo l’imposizione essere rapportata ad una forza economica realmente esistente, non meramente virtuale o presunta. Alla stregua dell’impostazione della Consulta (cfr. Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 109, cit., 223; Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200, cit.), va salvaguardato il diritto del contribuente ad essere chiamato a concorrere alle spese pubbliche solo in quanto in possesso di effettiva capacità contributiva, non potendo essere qualificata capacità contributiva un’idoneità economica che non si basi su fatti reali, ma abbia una base fittizia (cfr. Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42); la capacità contributiva deve essere effettiva nel senso di certa ed attuale, e non meramente fittizia (cfr. Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200, cit., 1254; Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42.; Corte Cost., n. 252/1992; Corte Cost., 29 gennaio 1996, n. 73; Corte Cost., 26 luglio 2000, n. 362, cit.). Infine, in forza del parametro dell’attualità, il tributo deve essere correlato ad una
capacità contributiva in atto, non ad una capacità contributiva passata o futura (cfr. Corte Cost., 22 aprile 1980, n. 54), ovvero la capacità contributiva deve sussistere nel momento in cui si verifica il prelievo; in tale ottica la capacità contributiva risulta, pertanto, inscindibilmente connessa ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza tributaria, atteso che, in forza del connubio normativo tra gli artt. 53 e 3 Cost., a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario differenziato (cfr. Corte Cost., 6 luglio 1972, n. 120).
In definitiva, il Collegio ritiene non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 d.lgs. n. 346/1990 (nel testo applicabile ratione temporis ), nella parte in cui, per il calcolo della base imponibile dell’imposta di successione , richiama il prospetto allegato al d.P.R. n. 131/1986, completato a sua volta dall’art. 3, comma 164, legge n. 662/1996 che àncora la variazione del coefficiente al variare del tasso di interesse, così determinando una base imponibile contraria al principio di realtà e produttiva di effetti praticamente confiscatori.
11.1.Né, per le ragioni già indicate e la natura stessa della disciplina censurata, informata a rigidi criteri attuariali, appaiono alternativamente praticabili interpretazioni costituzionalmente compatibili che esimano dal sollevare la relativa questione.
11.2. Questione che risulta all’evidenza rilevante ai fini della decisione della presente controversia, giacché l’eventuale declaratoria d’illegittimità costituzionale della summenzionata disposizione inciderebbe sul calcolo della base imponibile dell’imposta di successione dei rapporti non ancora esauriti. La decisione del ricorso richiede, invero, l’applicazione del citato art.
17, di qui la rilevanza del dubbio di legittimità costituzionale in considerazione della sussistenza di un effettivo e concreto rapporto di strumentalità fra la definizione del giudizio principale e la risoluzione della questione che viene oggi posta (cfr. Corte Cost. 21 dicembre 2021, n. 250).
Ai sensi dell’art. 23 della legge n. 87/1953, alla dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, segue la sospensione del giudizio e l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
P.Q.M.
La Corte
-visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
-dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3, primo comma ed all’art. 53, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (nella sua formulazione originaria, applicabile ratione temporis ), nella parte in cui rinvia al prospetto allegato al d.P.R. 26 aprile 1986, n.131 cui rimanda anche l’art. 3, comma 164, legge 23 dicembre 1996, n. 662;
-dispone che gli atti, comprensivi dei documenti relativi alle notificazioni e comunicazioni disposte, vengano immediatamente trasmessi alla Corte Costituzionale;
-dispone che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Procuratore Generale presso questa Corte, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica;
-sospende il giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di Cassazione,