Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6242 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6242 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 14578/2017, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, per procura a margine del controricorso, dall’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del medesimo
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 589/22/2016 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 4 maggio 2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, nei confronti di NOME COGNOME avverso la pronunzia indicata in epigrafe.
Con quest’ultima , la Commissione tributaria regionale del Piemonte, pronunciandosi in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 12490/2012, ha accolto l’appello del contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino, che ne aveva rigettato l’originario ricorso.
Il contenzioso, in particolare, traeva origine dal fatto che il COGNOME, dirigente in quiescenza di Enel s.p.a. e già iscritto al Fondo pensione denominato ‘ PIA ‘ -Previdenza Integrativa Aziendale, e successivamente ‘RAGIONE_SOCIALE‘, cui venivano trasferiti i fondi a partire dal 1998, aveva chiesto all’erario il rimborso della differenza tra quanto versato dal sostituto d’imposta in base alla cd. aliquota TFR e quanto dovuto in applicazione della minore aliquota del 12,5%, prevista per i redditi di capitale dall’ art. 42, comma 4, del TUIR e dell’art. 6 della l . n. 482/1985.
Il contribuente aveva poi impugnato il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta e la successiva sentenza della C.T.P. a lui sfavorevole.
Di qui una prima decisione della C.T.R., che ne aveva invece riconosciute le ragioni, poi cassata con rinvio da questa Corte con la pronunzia poc’anzi menzionata.
In tale ultima decisione era enunciato il principio di diritto al quale i giudici del rinvio avrebbero dovuto uniformarsi, in termini corrispondenti a quello già affermato con la sentenza n. 13642/2011
resa a Sezioni Unite, in particolare accertando « natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione del 12,50% ».
Nel confermare le ragioni del contribuente, la sentenza impugnata, emessa a seguito del giudizio di rinvio, ha ritenuto che il termine ‘rendimento’ impiegato dalle Sezioni Unite andasse inteso come la differenza fra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, a nulla rilevando quali fossero state le modalità di gestione delle somme confluite nel fondo ‘PIA’.
Il ricorso erariale sviluppa due motivi.
Il contribuente ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria depositata in prossimità dell’udienza .
Considerato che:
Con il primo motivo l’Amministrazione ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 e 384 cod. proc. civ.
Assume al riguardo che i giudici d’appello non si sarebbero uniformati al principio di diritto enunciato in sede di cassazione con rinvio, in particolare avendo omesso di considerare che questa Corte aveva espressamente statuito la necessità di applicare la ritenuta del 12,50% sulle sole ed eventuali somme rinvenienti dalla liquidazione del rendimento « imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato ».
Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In termini consequenziali alla precedente censura, l’Agenzia ricorrente assume che il contribuente avrebbe dovuto provare il conseguimento, nell’ambito del Fondo, del citato rendimento, individuato quale unico importo sottoposto all’invocata tassazione agevolata.
Osserva, al riguardo, che tale prova era stata fornita mediante la produzione di una ‘certificazione’ recante un importo calcolato per mera differenza, inidoneo ad individuare analiticamente gli incrementi della posizione del Blua e che, sul punto, i giudi ci d’appello avevano trascurato di considerare le nutrite eccezioni da lei formulate.
I motivi, meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione, sono fondati.
3.1. A decorrere dal 1° gennaio 1986 (in base al quarto comma dell’art. 12 del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel) venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo. Successivamente, sempre nel 1986 – a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti – tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (il ridetto Fondo ‘PIA’ ) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico, successiva dismessa con trasferimento al diverso Fondo ‘Fondenel’ di quanto accumulato.
Il nuovo fondo era chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, che dava diritto ai dirigenti Enel che vi avevano aderito e che ne facevano richiesta al
momento della cessazione del rapporto di lavoro, alla liquidazione dell’intero capitale accumulato in luogo della rendita vitalizia.
3.2. Circa il regime fiscale di tale prestazione, venne ben presto a crearsi un conflitto fra i contribuenti -i quali assumevano che il capitale richiesto, in quanto originato da un contratto assicurativo, doveva essere assoggettato a ritenuta nella misura del 12,50%, quantomeno sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi -e l’ Amministrazione finanziaria, secondo la quale, invece, l’erogazione in oggetto doveva considerarsi come reddito di lavoro dipendente, soggetto a tassazione separata ai sensi degli artt. 16, comma 1, lett. a ), e 17 TUIR.
Il nutrito contenzioso che è conseguito a tale divergenza interpretativa è stato infine composto dalle Sezioni Unite, con la sentenza più sopra richiamata; in essa, si afferma che le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 /1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 TUIR solo per quanto riguarda la ‘sorte capitale’, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica invece il richiamato regime di tassazione separata per intero.
3.3. Su tali basi, con specifico riferimento al Fondo ‘ PIA ‘ si è dunque consolidato, in seno alla giurisprudenza di questa Corte,
l’orientamento secondo cui la ritenuta del 12,50% può applicarsi solo agli importi derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, dovendo invece escludersi tale più favorevole tassazione rispetto alle somme versate dal contribuente ad un Fondo PIA che non abbia mai investito sul mercato finanziario.
Si tratta, per l’appunto, del principio espresso anche nella presente vicenda, in sede di cassazione con rinvio.
In particolare, si è affermato che «costituiscono ‘ rendimento netto ‘ le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico -attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate» (così Cass. n. 24525/2017).
Si deve escludere, viceversa, che possa considerarsi quale ‘ rendimento ‘ ottenuto quello corrispondente alla redditività sul mercato dell’intero patrimonio Enel, poiché tale fattore costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti sul libero mercato ( così Cass. n. 5436/2018).
3.4 . Questa Corte ha, altresì, chiarito che l’ambito dell’indagine fattuale pertinente al principio di diritto affermato dalle Sezioni unite, impone di ricostruire «l’impiego delle somme sul mercato finanziario», di verificare se vi sia stato «l’impiego da pa rte del Fondo sul mercato del capitale accantonato», e quale sia stato «il rendimento di gestione conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%». (cfr. Cass. n. 16116/2018).
Infine, è stato specificato che, sotto il profilo processuale, spetta al contribuente che impugna il rigetto di un’istanza di rimborso, quale
attore in senso sostanziale, provare il fondamento della sua pretesa; questi, pertanto, è tenuto a dimostrare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio al conteggio proveniente dall’Enel eventualmente versato in atti -ove non contenga alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (Cass n. 720/2016).
3.5. La sentenza impugnata non si è attenuta ai principii di diritto sopra enunciati e neppure alle prescrizioni della sentenza di rinvio, laddove, in particolare, ha ritenuto che il ‘rendimento’ soggetto a tassazione agevolata corrisponda alla differenza fra ammontare del capitale corrisposto e premi riscossi, senza che rilevi l’andamento della gestione e, sotto il profilo probatorio, ha accreditato quale prova di tale rendimento la certificazione prodotta dal contribuente.
Di quest’ultima, in particolare, questa Corte ha ripetutamente affermato l’inidoneità a fornire la prova della posizione individuale del beneficiario, con riferimento alla sua quota di capitale investita, poiché non viene indicata alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce ‘ rendimento ‘ , sì da chiarire se si tratti effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (così Cass. n. 28605/2024).
Tutti i principii sopra affermati sono oggetto di giurisprudenza consolidata della Corte, alla quale il Collegio intende dare continuità,
sì da non ravvisare i presupposti per il rinvio alle Sezioni Unite sollecitato dal contribuente con la memoria integrativa.
Pertanto, accolto il ricorso, la sentenza va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, poiché la vicenda fiscale è stata ampiamente scrutinata anche sul piano dell’apprezzamento del materiale probatorio, e in ossequio al principio della ragionevole durata del processo, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto dell’originario ricorso introduttivo.
La particolarità della fattispecie, che ha reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte e di successive pronunce chiarificatrici, induce a compensare integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e del primo giudizio di legittimità.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda di rimborso del contribuente.
Condanna il controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 2.000,00, oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito e del primo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025.