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Tassazione redditi estero: la residenza fiscale vince

Un contribuente, pur lavorando in Kazakhstan per più di 183 giorni e pagando lì le imposte, è stato ritenuto fiscalmente residente in Italia e soggetto a tassazione anche nel nostro Paese. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5595/2024, ha chiarito che ai fini della tassazione dei redditi estero, la permanenza fisica non è l’unico criterio. Se il centro degli interessi vitali (famiglia, patrimonio) rimane in Italia, si configura la residenza fiscale italiana e una tassazione concorrente, mitigata dal meccanismo del credito d’imposta per le tasse già versate all’estero.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Tassazione redditi estero: la residenza fiscale in Italia è determinante

La globalizzazione del mercato del lavoro porta sempre più professionisti a svolgere la propria attività all’estero. Una delle questioni più complesse che ne deriva riguarda la tassazione redditi estero: dove si devono pagare le imposte? La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 5595 del 1° marzo 2024 offre un chiarimento cruciale, stabilendo che la residenza fiscale in Italia, determinata dal centro degli interessi vitali, prevale sul semplice dato della permanenza fisica all’estero per più di 183 giorni.

I fatti del caso: lavoro all’estero e la pretesa del Fisco

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente che aveva lavorato in Kazakhstan per un’azienda locale per l’intero anno fiscale in questione. L’Agenzia contestava l’omessa dichiarazione in Italia del reddito da lavoro dipendente percepito all’estero. Il contribuente si era difeso sostenendo di essere fiscalmente residente in Kazakhstan, avendo soggiornato lì per più di 183 giorni e avendo già pagato le imposte in quel Paese. Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano dato ragione al lavoratore, ritenendo che la lunga permanenza all’estero fosse sufficiente a escludere l’obbligo di dichiarazione in Italia.

La questione della residenza fiscale e la tassazione redditi estero

Il cuore della controversia risiede nella definizione di “residenza fiscale”. Secondo la normativa italiana (art. 2 del T.U.I.R.), una persona è considerata residente fiscale in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, soddisfa anche solo una delle seguenti condizioni:

1. È iscritta nelle anagrafi della popolazione residente.
2. Ha il domicilio in Italia (inteso come sede principale dei propri affari e interessi).
3. Ha la residenza in Italia (intesa come dimora abituale).

La Corte di Cassazione ha ribadito che questi criteri sono tra loro alternativi. Pertanto, la sola dimostrazione di aver soggiornato all’estero per più di 183 giorni non è sufficiente a escludere la residenza fiscale italiana se, ad esempio, il contribuente mantiene in Italia il proprio domicilio, ovvero il centro delle sue relazioni personali, familiari ed economiche.

L’interpretazione della Convenzione Italia-Kazakhstan

Un punto chiave analizzato dalla Corte è l’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Kazakhstan. La norma prevede due scenari principali:

* Se l’attività lavorativa è svolta nello Stato di residenza, le remunerazioni sono imponibili soltanto in detto Stato.
* Se l’attività è svolta nell’altro Stato (in questo caso, il Kazakhstan), le remunerazioni sono imponibili in quest’altro Stato.

La differenza linguistica è fondamentale. L’assenza dell’avverbio “soltanto” nel secondo caso indica che lo Stato della fonte (Kazakhstan) ha il diritto di tassare il reddito, ma non in via esclusiva. Questo apre la porta a una potestà impositiva concorrente da parte dello Stato di residenza (Italia).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando la decisione dei giudici di merito. I giudici hanno sottolineato che il contribuente non aveva mai negato di avere in Italia il centro dei propri interessi vitali: la sua famiglia risiedeva stabilmente in Italia, possedeva qui la sua unica abitazione e i compensi del lavoro estero venivano accreditati su conti correnti italiani. Questi elementi sono stati ritenuti sufficienti per radicare la residenza fiscale in Italia, a prescindere dalla sua assenza fisica dal territorio nazionale.

Di conseguenza, in base al principio della “worldwide taxation”, il contribuente era tenuto a dichiarare in Italia tutti i suoi redditi, compresi quelli prodotti in Kazakhstan. La Convenzione internazionale non esclude questo obbligo, ma prevede semplicemente che anche lo Stato dove il lavoro è stato svolto possa tassare quel reddito. Per evitare una penalizzante doppia imposizione, la normativa italiana (art. 165 del T.U.I.R.) prevede il meccanismo del credito d’imposta, che permette di scomputare dalle imposte dovute in Italia quelle già pagate a titolo definitivo all’estero.

Conclusioni: cosa cambia per i lavoratori italiani all’estero?

Questa sentenza consolida un principio di fondamentale importanza per tutti i cittadini italiani che lavorano all’estero. Non basta trasferirsi fisicamente in un altro Paese per più di sei mesi per non essere più considerati fiscalmente residenti in Italia. Se il “centro di gravità” della propria vita familiare, sociale ed economica rimane in Italia, permane l’obbligo di dichiarare al Fisco italiano i redditi ovunque prodotti. La corretta gestione della propria posizione fiscale internazionale, avvalendosi degli strumenti previsti dalle convenzioni per evitare le doppie imposizioni, diventa quindi essenziale per non incorrere in pesanti sanzioni.

Lavorare all’estero per più di 183 giorni mi esonera dal pagare le tasse in Italia su quel reddito?
No, non necessariamente. Secondo la sentenza, la permanenza fisica all’estero per oltre 183 giorni non è di per sé sufficiente a escludere la residenza fiscale in Italia se nel nostro Paese si mantiene il domicilio, inteso come centro principale degli interessi personali, familiari ed economici.

Come si determina la residenza fiscale di un cittadino italiano che lavora all’estero?
La residenza fiscale in Italia sussiste se per la maggior parte dell’anno si verifica almeno una di queste tre condizioni: iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, domicilio (centro degli interessi vitali) in Italia, o residenza (dimora abituale) in Italia. La presenza anche di una sola di queste condizioni è sufficiente a radicare la residenza fiscale in Italia.

Se il mio reddito estero viene tassato sia all’estero che in Italia, pago le tasse due volte?
No. La sentenza chiarisce che si tratta di una tassazione concorrente, non di una doppia imposizione punitiva. La normativa italiana, in linea con le convenzioni internazionali, prevede il meccanismo del credito d’imposta: le tasse pagate a titolo definitivo nello Stato estero possono essere detratte da quelle dovute in Italia sullo stesso reddito, evitando così di pagare due volte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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