Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16479 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16479 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito Pec, ed elettivamente domiciliato presso lo studio NOMERAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 8071, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 26.9.2018, e pubblicata il 19.11.2018;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
la Corte osserva:
Fatti di causa
OGGETTO: Irpef 2010 – Proventi da reato – Imposizione.
A seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza e concluse con Processo Verbale di Costatazione, avente ad oggetto la percezione di redditi quale profitto del reato di corruzione, l’Agenzia delle Entrate notificava il 19.11.2015 a COGNOME NOME l’avviso di accertamento n. TK501F201653/2015 (ric., p. 5), ricomprendente anche la ripresa a tassazione di redditi di lavoro autonomo (Euro 24.880,00).
L’Amministrazione finanziaria, sulla base delle risultanze investigative, recuperava a tassazione per l’anno 2010, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, l’importo di euro 400.000,00, conseguendone maggiori tributi per l’importo di Euro 351.650,00, inclusi accessori e sanzioni. Il contribuente, che aveva rivestito l’incarico di Presidente del magistrato delle acque di Venezia, veniva quindi ritenuto, con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. pen. il 16.10.2024, passata in giudicato, responsabile di vari atti corruttivi, ed assoggettato anche a confisca per equivalente (art. 322 ter cod. pen.).
Avverso l’atto impositivo proponeva ricorso il contribuente, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma contestando, tra l’altro, la nullità dell’avviso di accertamento a causa della carenza di motivazione e la violazione del diritto di difesa. L’Ente impositore si costituiva in giudizio deducendo l’infondatezza del ricorso. La CTP rigettava il ricorso ed affermava la correttezza dell’operato dell’Ufficio.
Spiegava appello il contribuente, avverso la pronuncia dei primi giudici, prospettando una pluralità di censure, procedimentali e di merito, tra cui la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della legge n. 537 del 1993. Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate sostenendo la correttezza delle statuizioni dei giudici di primo grado, ed evidenziando che ‘l’ufficio ha preso le proprie conclusioni quantitative sulla scorta sia dell’analitico e articolato PVC del 15.01.2015 sia sulle risultanze del procedimento penale
esposte nell’ordinanza cautelare del GIP di VENEZIA e fondate su coerenti dichiarazioni rese su soggetti informati sui fatti idonee a fondare l’esito istruttorio fiscale’ (ric., p. 10). La CTR del Lazio accoglieva il ricorso del contribuente, ritenendo che nonostante il giudicato penale non possa trovare una automatica applicazione nel giudizio tributario, in virtù del principio di autonomia, l’Ufficio non abbia chiarito le ragioni per cui la pretesa impositiva si fosse ampiamente distaccata dalle valutazioni del giudice penale accertando un reddito complessivo, per più anni, pari ad Euro 2.100.00,00, di cui Euro 400.000 nel 2010.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrata affidandosi ad un unico motivo di impugnazione. Resiste il contribuente mediante controricorso, ed ha pure depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il suo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Ente impositore contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4, della legge n. 537 del 1993, nonché degli artt. 2697, 2727, 2792 e 2730 cod. civ., per aver erroneamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria non abbia adeguatamente chiarito le ragioni dello scostamento dalle valutazioni del giudice penale nella determinazione quantitativa della pretesa impositiva.
Il controricorrente ha affermato l’inammissibilità del ricorso introdotto dall’Amministrazione finanziaria, perché in realtà non propone contestazioni di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, bensì domanda una rivalutazione nel merito dei fatti processuali. La censura non appare condivisibile, perché l’Amministrazione finanziaria pone questioni di diritto, attinenti alla corretta applicazione delle regole vigenti in tema di valutazione della prova, come si evidenzierà nel prosieguo.
Appare opportuno evidenziare, come già in parte segnalato, che la sentenza di patteggiamento passata in giudicato nei confronti del contribuente, ha riconosciuto la sua responsabilità penale per essersi reso responsabile del delitto di corruzione, ha irrogato pena detentiva ed ha disposto la confisca per equivalente di Euro 750.000,00 per gli anni dal 2008 al 2013. L’Amministrazione finanziaria ha invece ritenuto, sul fondamento delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza che sono state poste a fondamento anche del procedimento penale, che il reddito illecito conseguito fosse risultato pari ad Euro 2.100.000,00, dei quali Euro 400.000,00 imputabili all’anno 2010 ora in esame.
3.1. Tanto premesso, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha accolto il ricorso del contribuente. Dopo aver ricordato la differenza dei presupposti tra l’accertamento penale e quello tributario, ha poi osservato che ‘non può il giudice tributario ritenere sufficiente il puro e semplice richiamo operato dall’Ufficio a quanto deciso con sentenza del giudice penale. Tale conclusione appare a questa Commissione tanto più valida nell’odierna controversia, dato che essa appare caratterizzata dal rilievo che il recupero a tassazione è stato proposto dall’Ufficio sulla base di componenti positive del reddito derivanti da illecito. Nel fare ciò lo stesso Ufficio è pervenuto ad una loro quantificazione non mediante il richiamo alle risultanze conclusive del procedimento penale iscritto al nome del COGNOME, vale a dire in forza della sentenza a suo carico emessa dal GIP di Venezia, ma in forza di elementi indiziari che nella fase delle indagini preliminari avevano consentito l’emissione di un provvedimento cautelare limitativo della sua libertà personale. … emerge come l’Ufficio abbia mancato nel rispondere all’esigenza, peraltro ineludibile, di dettagliare e precisare nell’atto impositivo le ragioni del quantum del recupero a tassazione; così in particolare da spiegare perché la pretesa impositiva si sia discostata, ed in modo davvero significativo, dalle
valutazioni cui il giudice penale è pervenuto in sentenza’ (sentenza CTR p. IV ss.). Il giudice del gravame ha quindi ricordato che il giudice penale ha disposto la confisca, ai sensi dell’art. 322 ter codice penale, quantificando il ‘prezzo del reato ascritto all’imputato in € 750.000,00 per l’intero periodo intercorrente tra l’anno 2008 e l’anno 2013’, mentre la Guardia di Finanza ‘aveva ipotizzato che il Cuccioletta avesse conseguito la ben maggiore somma di € 2.100.000,00’ ( ibidem ).
3.2. Il giudice del gravame, pertanto, nonostante la sua premessa, ha ritenuto di disconoscere del tutto la rilevanza probatoria delle risultanze delle indagini preliminari per la determinazione dei redditi derivanti da reato, ritenendo di fondare la propria decisione sulle risultanze di una sentenza di patteggiamento, che non illustra peraltro in alcuna misura perché addivenga ad una determinata quantificazione del provento da reato di cui ha disposto la confisca nei confronti del Cuccioletta.
3.3. Tuttavia l’Amministrazione finanziaria evidenzia nel suo ricorso, anche mediante la riproduzione di stralci degli atti rilevanti, i numerosi elementi emergenti dall’avviso di accertamento, e dal richiamato PVC, che forniscono indizi circa la corretta quantificazione del provento da reato ritenuto ascrivibile al contribuente. Basti in questa sede operare riferimento alle dichiarazioni confessorie dello stesso NOME COGNOME nonché alle dichiarazioni rese alla P.G. dal teste COGNOME utilizzabili in questa sede, il quale ha riferito di avere corrisposto al contribuente proprio Euro 400.000,00, per più anni.
La CTR non ha tenuto conto di questi elementi, specifici e circostanziati, ed il contestato vizio della pronuncia si rivela perciò effettivamente sussistente. Tra l’altro non è neppure ipotizzabile una comparazione implicita effettuata dalla CTR tra la pronuncia penale e gli elementi indiziari assicurati dall’Amministrazione finanziaria, perché la decisione assunta in sede penale non
ricostruisce in nessuna misura i fatti di causa, e non illustra affatto le ragioni che hanno indotto a quantificare l’importo di cui è stata disposta la confisca per equivalente.
Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha accolto il gravame, ascrivendo valore privilegiato alla sentenza di patteggiamento in ragione della sola difformità in ordine al quantum dei proventi illeciti tra le risultanze delle indagini preliminari ed i termini del patteggiamento, in difformità ai principi enunciati e non tenendo conto degli elementi probatori emersi nella fase delle indagini preliminari che l’Ente impositore ha utilizzato ai fini della ricostruzione della maggiore pretesa tributaria.
3.4. Per completezza può ancora rilevarsi come la giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità afferma che nel giudizio tributario, il materiale probatorio acquisito nella fase delle indagini preliminari con strumenti propri del procedimento penale è ben utilizzabile ai fini della prova della maggior pretesa tributaria (cfr., ex multis , Cass., sez. VI-V., 14.10.2021 n. 28106; Cass., sez. V, 5.4.2019, n. 9593; Cass., V sez. civ., 30 luglio 2020, n. 16375), ed è pertanto compito del giudice tributario che intenda discostarsi da simili emergenze illustrare le ragioni della sua valutazione.
3.5. Deve ancora evidenziarsi che il processo tributario è un giudizio di impugnazione-merito, ed il giudice tributario che ritenga indimostrata la pretesa fiscale nel suo solo ammontare non deve annullare l’atto impositivo, bensì confermarlo nel suo ridotto valore. Il giudice del gravame ha invece trascurato che, anche qualora dovesse ritenersi attendibile la quantificazione del provento da reato desumibile dalla molto sintetica sentenza di patteggiamento emessa dal giudice penale, quest’ultimo ha comunque riconosciuto che il contribuente ha conseguito un provento da reato che di per sé, ove non ricorrano specifiche ragioni ostative che è compito del
giudice individuare ed indicare, deve comunque sottoporsi ad imposizione.
3.6. Occorre ancora sottolineare che, come correttamente segnalato dal controricorrente nella sua memoria, in analogo processo svoltosi tra le stesse parti in ordine ai medesimi fatti, ma in relazione ad anno diverso, questa Corte ha indicato il principio di diritto secondo cui: ‘l’art. 14, comma 4, della L. n. 537 del 1993, nella formulazione in vigore ratione temporis, ha la funzione di evitare che, ove sequestro e confisca non abbiano possibilità di operare per le più diverse ragioni, si realizzi la situazione – non voluta dall’ordinamento – per cui redditi normalmente assoggettati a tassazione, in quanto provenienti da attività espressive di capacità contributiva, ne vadano esenti perché quelle stesse attività sono state connotate da illiceità, in palese violazione del principio di eguaglianza rispetto alla medesima capacità contributiva ex art. 53 Cost. Ne deriva che quando invece la confisca viene effettivamente disposta dall’Autorità giudiziaria e concretamente realizzata , con spossessamento del contribuente il quale viene a essere così inciso nella propria effettiva forza economica o dall’atto ablatorio della confisca disposta dal giudice penale o dalla materiale restituzione necessitata anch’essa dagli esiti del processo penale – del provento di fonte illecita che ha generato il reddito in argomento, viene meno il presupposto dell’imposizione personale in capo al contribuente, nei confronti del quale difetta la relazione diretta con la novella ricchezza che legittima il prelievo tributario’, Cass. sez. V, 23.12.2024, n. 33967 (evidenza aggiunta).
Nel presente giudizio deve allora osservarsi che non risulta allegata prova che la confisca disposta con la sentenza di patteggiamento sia stata concretamente realizzata.
In definitiva il ricorso introdotto dall’Amministrazione finanziaria deve essere accolto, cassandosi la decisione impugnata
con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché proceda a nuovo esame.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M .
accoglie il ricorso proposto dall’ Agenzia delle Entrate , cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 3 aprile 2025