Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24617 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24617 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8357/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOMECODICE_FISCALE unitamente all’Avv. COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale – contro
COMUNE DI CROTONE rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’Avv. NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
– controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. Calabria n. 2946/2022 depositata il 04/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In giudizio su avvisi Imu 2016 relativi a tre piattaforme estrattive marine la CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello della contribuente;
ricorre per cassazione la società contribuente con venti motivi di ricorso, integrati da successiva memoria di replica;
il Comune si è costituito con controricorso, integrato da memoria, con richiesta di inammissibilità o di rigetto del ricorso; in via incidentale ha proposto un unico motivo di ricorso avverso la decisione di compensazione delle spese, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92, cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.);
la Procura Generale della Cassazione, Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, confermate in udienza, di rigetto del ricorso.
Con il primo motivo la ricorrente prospetta l’invalidità della sentenza relativamente alla violazione del contraddittorio in quanto la C.T.P. aveva ignorato la richiesta di udienza pubblica, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e art. 59, 33 e 34, d. lgs. 546 del 1992, art. 27, primo e secondo comma, d. l. 137 del 2000;
con il secondo motivo la ricorrente prospetta una violazione dell’accordo conciliativo tra le parti, del dicembre 2017, con violazione dei principi del legittimo affidamento, di buona fede e di
buona amministrazione (violazione degli art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., art. 48, d. lgs. 546 del 1992, art. 11 l. n. 241 del 1990, art. 3, 23 e 53 della Costituzione);
con i motivi da 3 a 8 la ricorrente prospetta l’assenza di legittimazione attiva e del potere di accertamento del Comune per le piattaforme marine , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;
con il motivo n. 9, la ricorrente prospetta la violazione dell’art. 38, d. l. 134 del 2019, e il regolamento di cui al D.M. 28 aprile 2022, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;
con i motivi da 10 a 17 la ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 8, d. lgs. n. 23 del 2011, art. 13, secondo comma, d. l. n. 201 del 2011 art. 1 e 2, d. lgs. n. 504 del 1992 e art. 4, R. d. l. n. 652/1939 e 812 cod. civ., art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;
con il motivo n. 18 la ricorrente prospetta un omesso esame ex art. 112 e 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., di un articolato motivo di appello;
con il motivo n. 19 la ricorrente prospetta una violazione di legge, rilevante ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., art. 7, primo comma, lettera B) d. lgs. n. 504 del 1992, in quanto le piattaforme marine, se mai fossero accatastabili, non andrebbero accatastate nella categoria D/7, ma in E/3, e sarebbero, in conseguenza, esenti da IMU;
Con l’ultimo motivo la ricorrente prospetta la violazione dell’art. 6, secondo comma, d. lgs. n. 472/1997 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) relativamente alle sanzioni per l’oggettiva incertezza del dato normativo e per la lesione del principio di affidamento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorsi, principale ed incidentale, risultano entrambi infondati e devono rigettarsi con la condanna delle spese liquidate in
euro 25.000,00 oltre accessori a carico dell’Eni ricorrente, con la compensazione di un quinto in considerazione della parziale -limitata – soccombenza del Comune, sul ricorso incidentale relativo alle sole spese compensate. Raddoppio del contributo unificato per la ricorrente principale e per quello incidentale.
2. Il primo motivo ( violazione dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e art. 59, 33 e 34, d. lgs. 546 del 1992, art. 27, primo e secondo comma, d. l. 137 del 2000) del ricorso principale risulta infondato. La ricorrente prospetta la nullità della decisione di primo grado in quanto la decisione è avvenuta in camera di consiglio nonostante specifica richiesta di pubblica udienza. L’udienza in primo grado è stata fissata per il 18 ottobre 2021.
Deve essere ribadito, con la conferma della giurisprudenza di questa Corte sul punto, che è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che abbia omesso di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado, qualora il vizio di questa, ove esistente, non avrebbe comportato la rimessione della causa al primo giudice, in quanto estraneo alle ipotesi tassative degli artt. 353 e 354 c.p.c., ed il giudice di appello abbia deciso nel merito su tutte le questioni controverse, senza alcun pregiudizio per il ricorrente conseguente alla omessa dichiarazione di nullità. (Sez. 3 – , Ordinanza n. 28744 del 16/10/2023, Rv. 669067 – 01) vedi anche Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 402 del 10/01/2019, Rv. 652572 -01 nonché Sez. 3, Sentenza n. 24612 del 03/12/2015, Rv. 637945 -01; 4.1.; vedi anche da ultimo Sez. 5. N. 20902 del 2024).
Nessuna rimessione al primo giudice nel caso in giudizio risulta violata.
La C.T.R. ha deciso nel merito tutte le questioni, nel contraddittorio pieno: «In tema di contenzioso tributario, la trattazione del ricorso in camera di consiglio invece che alla pubblica udienza, in presenza di un’istanza di una delle parti ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 546 del 1992, integra una nullità processuale che,
pur travolgendo la successiva sentenza per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la “retrocessione” del giudizio in primo grado, poiché tale ipotesi non rientra tra quelle tassativamente previste dall’art. 59 del detto d.lgs. l’appello costituisce, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 19579 del 24/07/2018, Rv. 649822 -01; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 3559 del 16/02/2010, Rv. 611764 -01 ; da ultimo, Sez. 5, n. 18656 dell’8 luglio 2024 ).
Relativamente all’accordo conciliativo, secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che il motivo è infondato in quanto il giudice del merito ha svolto una interpretazione dell’accordo conciliativo, non sindacabile in sede di legittimità, evidenziando che il 2016, anno di imposta del presente ricorso, non era ricompreso nell’accordo si sono conciliati gli anni di imposta dal 2010 al 2015 -; inoltre, il Comune aveva limitato nell’accordo il suo potere di emettere avvisi solo fino al 2019, per verificare se la giurisprudenza in materia subisse modifiche. L’avviso oggetto del presente processo, del resto, è stato notificato nel 2020, con il rispetto, peraltro, dell’accordo.
Con i motivi da 3 a 8 la ricorrente prospetta l’assenza di legittimazione attiva e del potere di accertamento del Comune per le piattaforme marine, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; con il motivo n. 9, la ricorrente prospetta la violazione dell’art. 38, d. l. 134 del 2019, e il regolamento di cui al D.M. 28 aprile 2022, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; con i motivi da 10 a 17 la ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 8, d. lgs. n. 23 del 2011, art. 13, secondo comma, d. l. n. 201 del 2011 art. 1 e 2, d. lgs. n. 504 del 1992 e art. 4, R. d. l. n. 652/1939 e 812 cod. civ., art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; i motivi possono analizzarsi unitariamente attenendo alla medesima questione giuridica della controversia.
Con i motivi di ricorso la contribuente rimette in discussione, con argomentazioni diffuse e specifiche, le decisioni di questa Corte di Cassazione in materia, anche in relazione alla normativa sopravvenuta, che dovrebbe essere significativa per l’insussistenza della tassazione IMU sulle piattaforme petrolifere, prima del 2020.
In via preliminare, relativamente alla possibilità di riunione con giudizi per altre controversie, aventi ad oggetto diversi anni di imposta e Comuni diversi, sempre proposti dalla ricorrente, in trattazione anch’essi alla odierna udienza, si rammenta come la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass. 20/01/2022, n. 1704). La riferibilità del contenzioso a diversi anni di imposta, così come la opportunità di non unificare il copioso materiale (atti processuali dei precedenti gradi di giudizio e relativi documenti) con cui la parte ha scelto di svolgere le proprie difese rende tuttavia preferibile, nel caso di specie, non procedere alla riunione. Del resto, la auspicata funzione della riunione viene di fatto raggiunta con la trattazione contestuale di tutte le cause interessate nell’ambito della medesima udienza.
Per la ricorrente il possesso di una piattaforma estrattiva, sita nel mare, non costituirebbe un presupposto di imposta ai fini IMU, a differenza di quanto sostenuto dalla Cassazione, con la sentenza n. 3618 del 2016.
6.1. I comuni sarebbero privi di legittimazione attiva ai fini dell’imposizione IMU e TASI, in relazione a beni dislocati in mare.
I motivi sono infondati ed in parte inammissibili.
6.2. In tema di TASI e di IMU (TASI che qui non rileva, ma la materia è analoga sotto il profilo dei principi applicabili), la circostanza che una piattaforma situata entro 12 miglia dalla costa -in cui tra l’altro ha alloggio il personale si trovi dislocata in mare, non esclude che ivi si svolgano attività che determinano l’utili zzo dei servizi pubblici offerti dal comune, al quale invece, per vicinanza, almeno in via presuntiva, fanno finale riferimento territoriale sia le attività correlate alle persone che vi vivono e lavorano, sia i servizi e le attività ivi poste in essere, con la conseguente soggezione della stessa alle suddette imposte.
6.3. Invero, pur non essendo collocate nel territorio comunale, le piattaforme petrolifere traggono vantaggio da una rete di servizi e infrastrutture che il comune mette a disposizione per la gestione della costa e delle aree limitrofe, e per tale ragione devono essere considerate soggette ai tributi in questione, come forma di contribuzione per i costi sostenuti dal comune, quali ad esempio -a titolo meramente esemplificativo – le infrastrutture portuali e logistiche di cui si si avvalgono per il trasporto di materiali, attrezzature e personale ed a cui il comune costiero garantisce l’accesso (ed eventualmente ne gestisce la manutenzione e il funzionamento), i servizi connessi alla sicurezza e protezione civile (per la parte di connessa competenza dell’en te locale), le strade e le altre vie di comunicazione gestite dal comune, che consentono il movimento di mezzi pesanti e del personale necessario per (tutte) le operazioni offshore, o, ancora, i servizi amministrativi ed autorizzativi di competenza.
4 . Quanto, in special modo all’I.M.U. ed al suo presupposto patrimoniale, oggetto del ricorso odierno, non è condivisibile la tesi dell’assenza del potere impositivo comunale, in quanto l’I.M.U. è un tributo proprio derivato, ovvero un tributo istituito dallo Stato, ma gestito dai comuni, ai quali peraltro è attribuito il gettito. Non possono quindi esistere zone non assoggettate al potere impositivo,
pena la violazione dei principi di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione, tenuto conto che l’evoluzione della tecnica consente la costruzione di isole artificiali, ristoranti, abitazioni e piattaforme sul mare. D’altra parte, il presupposto del tribu to è dato dal possesso di immobili sul territorio «dello Stato», rientrando nella discrezionalità di questo la scelta di riferirne il gettito al Comune di assegnazione territoriale.
6. 5 . Con riferimento ai presupposti per l’inventariazione nel catasto urbano, l’art. 3 del R.D.L. 13 aprile 1939 n. 652, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 1939 n. 1239, concernente l’accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazion e del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano, stabilisce che l’accertamento generale degli immobili urbani è fatto per «unità immobiliare». Ai sensi dell’art. 4 del R.D.L. 13 aprile 1939 n. 652, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 1939 n. 1239, si considerano come «immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, diversi dai fabbricati rurali», ivi compresi «gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suo lo». L’art. 5 del R.D.L. 13 aprile 1939 n. 652, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 1939 n. 1239, prevede che costituisce «unità immobiliare urbana» «ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio». L’art. 1 del D.M. 2 gennaio 1998 n. 28 (‘Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale’) stabilisce al comma 1 che: «I l catasto dei fabbricati rappresenta l’inventario del patrimonio edilizio nazionale»; e al comma 2 che: «Il minimo modulo inventariale è l’unità immobiliare». A mente dell’art. 2 del D.M. 2 gennaio 1998 n. 28: «L’unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo
l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale». Sulla base di tali disposizioni, questa Corte ha affermato che l’accatastamento viene dalla normativa riferito non al fabbricato in quanto tale, bensì alla nozione di unità immobiliare urbana (UIU), a sua volta rapportata ad una componente immobiliare (rilevante ex art. 812 cod. civ.) suscettibile di autonoma funzionalità e redditività (Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2018, n. 12741; Cass., Sez. 5^, 18 gennaio 2022, n. 1404). Tali caratteristiche sono state valorizzate dalla giurisprudenza proprio ai fini dell’accertamento dei presupposti per l’accatastamento anche con specifico riguardo agli immobili aventi destinazione industriale o di produzione energetica (per le discariche pubbliche: Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2018, n. 12741; per le centrali elettriche: Cass.,, Sez. 5^, 11 febbraio 2015, n. 2621; Cass., Sez. 6^-5, 20 febbraio 2015, n. 3500; per i parchi eolici: Cass., Sez. 5^, 14 marzo 2012, n. 4028; Cass., Sez. 5^, 21 novembre 2014, n. 24815; Cass., Sez. 6′ -5, 23 febbraio 2015, n. 3354; per le centrali telefoniche: Cass., Sez. 5^, 6 dicembre 2016, n. 24924; per le piattaforme petrolifere: Cass., Sez. 5^, 24 febbraio 2016, n. 3618), sicché l’iscrizione in catasto di tali unità immobiliari è sempre stata riconosciuta (cfr. Cass. n. 2280/23, n. 27194/22, n. 22300/22 in materia di cave).
6. Le prospettate difficoltà tecniche per procedere all’operazione di accatastamento non possono comportare l’esenzione dall’imposta, in difetto degli specifici presupposti, tassativamente previsti dalla legge, che non ricorrono nel caso delle piattaforme in questione, e pertanto sono irrilevanti le indicazioni fornite dalla Risoluzione 3DF del 1° giugno 2016 del MEF e delle precedenti prassi dell’Agenzia del Territorio.
7. La questione, in ogni caso, è stata già definita dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 30/09/2016, n.19510), la quale ha affermato che: «Questa corte di legittimità ha già affrontato, decidendola in senso affermativo, la questione della
imponibilità ICI delle piattaforme petrolifere/estrattive; e ciò in una fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente, caratterizzata da piattaforme marine oggetto di provvedimenti statuali di concessione di coltivazione mineraria in specchio acqueo fronti stante la costa e ricompreso in un determinato territorio comunale.
Ciò è avvenuto con la recente sentenza n. 3618 del 24 febbraio 2016, Rv. n. 639035, la quale ha, in primo luogo, fatto applicazione del principio di diritto – che non pare confliggere con la sovranità assegnata allo Stato sulle acque territoriali dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare stipulata a Montego Bay, non escludendo quest’ultima che tale sovranità possa esprimersi, a limitati effetti amministrativi, anche mediante attribuzione di potestà impositiva ai comuni costieri – già stabilito da Cass. 13794/05, secondo cui “in tema di ICI, sono sottoposte all’imposta le piattaforme petrolifere per l’estrazione di idrocarburi di proprietà della società contribuente (nella specie, l’RAGIONE_SOCIALE quale concessionaria dello Stato) situate nel tratto di mare, facente parte del demanio statale, antistante il Comune interessato. Infatti, sull’intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, convivono e si esercitano i poteri dello Stato contestualmente ai poteri dell’Ente regione e degli Enti locali e, in assenza di un autonomo criterio di determinazione dei limiti del territorio comunale, valgono le stesse regole dettate in materia di demarcazione del territorio nazionale, atteso che non sussistono elementi che possono far ritenere che il territorio comunale sia un’entità diversa, dal punto di vista qualitativo, dal territorio nazionale».
Ed ha affermato, in secondo luogo, la sottoposizione ad Ici delle piattaforme petrolifere in ragione della loro classificazione catastale in categoria D7 – rilevando le speciali esigenze di un’attività industriale che, per quanto produttiva di indubbi e fondamentali riflessi sull’economia generale e sulle scelte energetiche nazionali,
risponde purtuttavia ai criteri tipici dell’imprenditoria privata – in base al principio per cui: “in tema d’ICI, sono sottoposte all’imposta e classificabili nella cat. D/7, attesa la loro riconducibilità al concetto d’immobile ai fini civili e fiscali, suscettibilità di accatastamento e idoneità a produrre reddito proprio, le piattaforme petrolifere, la cui base imponibile, in mancanza di rendita catastale, è costituita, secondo i criteri stabiliti nel D.L. n. 333 del 1992, art. 7, comma 3, penultimo periodo, convertito in L. n. 359 del 1992, dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili” (Cass. 30/09/2016), n.19510).
6. 8. La stima delle piattaforme petrolifere, prive di un mercato di riferimento, non può, infatti, avvenire in forma direttacomparativa, ma esclusivamente in base ai valori contabili. Fino al momento della richiesta dell’attribuzione della rendita catastale, il valore è determinato: alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione; sulla base dell’ammontare (costo storico di acquisto o di costruzione), al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili, secondo i criteri stabiliti nell’art. 3, comma 3, penultimo periodo del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito in legge n. 359 del 1992; applicando per ciascun anno di formazione gli appositi coefficienti di adeguamento, aggiornati ogni anno con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze. Il costo di acquisto o di costruzione rilevante va inteso come valore iscritto in bilancio ovvero: il costo originario di acquisto o di costruzione, comprensivo del costo del terreno; i costi incrementativi sostenuti; le rivalutazioni previste da specifiche disposizioni di legge; le rivalutazioni effettuate dalle imprese di assicurazione (art. 36 della legge 10 giugno 1978 n. 295); le rivalutazioni economiche comunque effettuate; delle valutazioni effettuate in sede di fusione. Tutto ciò come risultante dalle scritture contabili al 1° gennaio dell’anno in riferimento per il quale è dovuta l’IMU.
9. Alla luce dei precedenti giurisprudenziali sopra menzionati, che si intende richiamare e rispetto ai quali non vi è ragione di discostarsi (anche con riferimento al ricorso al criterio contabile per la determinazione della base d’imposta), tutti i motivi dedotti risultano quindi infondati.
10. Né a tal fine potrebbe rilevare l’eventuale distanza dal confine terrestre di alcune piattaforme.
Sul punto vanno infatti richiamati i principi già espressi da questa Corte, la quale ha evidenziato (Cass. 27/06/2005, n. 13794) che: ‘Sull’intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, convivono e si esercitano i poteri dello Stato contestualmente ai poteri dell’Ente regione e degli Enti locali. Non è configurabile, quindi, che su una porzione “del territorio inteso in senso lato su cui si esercita la sovranità dello Stato” non convivano i poteri delle autorità regionali e locali. Se infatti, per assurdo, su parte di questo territorio, ricoperto dal mare territoriale, non venissero esercitati i poteri amministrativi della Regione e del Comune, ne deriverebbe la necessaria conseguenza che, nell’ipotesi di costruzione su palafitte nel mare territoriale, i Comuni non avrebbero nessuna possibilità di esercitare le funzioni amministrative loro proprie.
Fermo restando che concettualmente è sempre esistita una potestà dell’esercizio dei poteri degli Enti locali nell’ambito del mare territoriale perché non può che esserci coincidenza fra sovranità dello Stato e concorrente esercizio dei poteri degli Enti regionali e locali, sarebbero comunque inconcepibili delle zone franche nelle quali mentre sussiste il potere dello Stato non sussiste il concorrente potere ai fini amministrativi degli Enti locali e regionali.
L’art. 118 della Costituzione recita: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
Il territorio nazionale – intesa tale espressione come spazio nell’ambito del quale si esercita la potestà d’imperio dello Stato comprende, oltre la terraferma, anche il mare territoriale. Non si può quindi negare che, in assenza di un autonomo criterio di determinazione dei limiti del territorio comunale, debbono valere al riguardo le stesse regole dettate in materia di demarcazione del territorio nazionale, atteso che non sussistono elementi che possono far pensare che il territorio comunale sia un’entità diversa, dal punto di vista qualitativo, dal territorio nazionale. Né, d’altra parte, il fatto che siano stati espressamente conferiti allo Stato determinati poteri autoritativi aventi ad oggetto attività che si svolgono sul mare territoriale può significare che si sia voluto impedire ad altre autorità amministrative di esercitare il loro potere sul medesimo bene.
È incontrovertibile che nella stessa circoscrizione territoriale statuale agisce anche il Comune, quale ente pubblico autonomo e autarchico, e che tutto il territorio della Repubblica è diviso in Comuni, per cui non possono sussistere parti di territorio dello Stato italiano, e aggregati di persone viventi sullo Stato italiano, che non appartengano ad un Comune.
Ulteriore conferma la troviamo nelle autorizzazioni che debbono essere rilasciate dalla Capitaneria di porto, nelle quali si precisa che le concessioni comunali relative alle strutture che insistono sui lidi demaniali vengono individuate nel Comune di appartenenza, e quindi l’ambito del territorio comunale, per i poteri di sua competenza, deve essere necessariamente esteso anche al mare territoriale che lambisce detto territorio.
Qualsivoglia provvedimento amministrativo, per l’indicazione dell’ubicazione di un bene, deve infatti darsi carico di indicare il Comune in cui detto bene si trova, non potendo esistere beni immobili non facenti parte di alcun Comune’.
Ai fini fiscali, la piattaforma marina è quindi pur sempre riferibile, quanto ai servizi, all’amministrazione comunale, con la
conseguenza che l’ambito territoriale su cui questa esplica il proprio potere, per quanto sopra detto, coinvolge anche l’area occupata dalle piattaforme, che, in conseguenza, sono soggette ai relativi tributi (nella fattispecie IMU).
11 . Del resto, la giurisprudenza, ai fini dell’applicazione dell’imposta, ha già chiarito, ad esempio, che sono tassabili anche gli specchi d’acqua destinati ad ormeggio e nautica da diporto (Cass. n. 11669/21), dovendosi fare riferimento ad un concetto esteso di immobile, comprensivo anche degli edifici galleggianti ancorati, ex art. 812 cod. civ.
Resta quindi confermata la riferibilità dell’imposta al territorio del Comune controricorrente.
Le censure vanno, dunque, respinte.
Per il motivo n. 18 (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. per omessa pronuncia sul motivo di appello concernente l’applicazione dell’art. 1, comma 21 e ss., l. n. 208 del 2015, a partire dall’anno di imposta 2016) deve rilevarsi che si tratta di un motivo di diritto e la Cassazione deve pronunciarsi anche in presenza di omesso esame da parte della Corte di secondo grado: «Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto» (Cass. Sez. 3, 16/06/2023, n. 17416, Rv. 668197 – 01).
Il motivo risulta infondato.
Il disposto dell’art. 1, commi 21 e ss. della legge n. 208/2015 prevede che -a partire dal 1° gennaio 2016 -siano esclusi da tassazione gli impianti funzionali alla attività produttiva, anche a
prescindere dalla loro natura immobiliare (cfr. Cass. nn. 20726, 20727, 20728, 21287 del 2020). La contribuente ritiene, subordinatamente, che la disposizione si applichi a tutti gli immobili suscettibili di accatastamento, tra cui figurerebbero anche le piattaforme marine.
7.1. Il motivo non può essere accolto. Lo stesso presuppone, in realtà, che il bene sia stato iscritto al catasto, sicché in tale sede potrebbe operarsi la eventuale decurtazione dei c.d. impianti imbullonati . Tuttavia, nel caso di specie è stato adottato un criterio diverso per la quantificazione dell’imposta, quindi, la norma in questione, non può trovare applicazione.
7.2. L’art. 1, commi da 21 a 23, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, così dispone:
’21. A decorrere dal 1° gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo.
A decorrere dal 1° gennaio 2016, gli intestatari catastali degli immobili di cui al comma 21 possono presentare atti di aggiornamento ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti nel rispetto dei criteri di cui al medesimo comma 21.
Limitatamente all’anno di imposizione 2016, in deroga all’art. 13, quarto comma, del decreto -legge 6 dicembre 2011, n. 201 per gli atti di aggiornamento di cui al comma 22 presentati
entro il 15 giugno 2016 le rendite catastali rideterminate hanno effetto dal 1° gennaio 2016′.
Parte contribuente ritiene che la disposizione si applichi a tutti gli immobili suscettibili di accatastamento, tra cui figurerebbero (in denegata ipotesi) anche le piattaforme marine.
Dirimente è però il dato letterale di cui al comma 22, che dispone che i contribuenti possono ‘presentare atti di aggiornamento ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti’. La locuzione ‘rideterminazione della rendita catastale’ esclude ex se la possibilità di una applicazione della disposizione agli immobili che non siano stati ancora accatastati.
Né, sotto tale profilo, la società contribuente ha dato conto della (eventuale) presentazione di istanza di aggiornamento per nuovo accatastamento, che costituisce un presupposto per l’applicazione della disposizione invocata, quand’anche la si volesse rif erire agli immobili non ancora accatastati.
Deve quindi concludersi che l’art. 1, commi da 21 a 23, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, nella parte in cui prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento, e che sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo, presuppone, ai sensi del successivo comma 22, che il contribuente presenti una richiesta di aggiornamento dei dati catastali di immobile iscritto.
L a disposizione dell’art. 1, commi 21 ss., l. n. 208/15 non può essere applicata al caso di specie, in quanto il bene non risulta ancora iscritto in catasto e, quindi, non vi è alcuna rendita, ma solo il computo su una rendita stimata o presunta secondo il metodo dei valori contabili (come qui forniti dalla stessa società contribuente) secondo quanto previsto, per gli immobili non accatastati di categoria D, dall’art. 5 co. 3^ d. lgs. 504/92 richiamato anche per l’Imu. La norma invocata non può dunque trova re applicazione perché nella specie si tratta di stima in base ai valori contabili, e non di rendita. Ulteriore ragione confermativa della non escludibilità, dalla determinazione della base imponibile, della parte impiantistica, emerge anche dall’art. 38, comma 1, del decreto-legge n. 124 del 2019 conv. in legge 157/19, in materia di IMPi, come correttamente interpretato dalla risoluzione del Ministero dell’economia e delle finanze n. 8/DF del 16 dicembre 2020.
Del resto, oltre a quanto detto, deve convenirsi con la difesa del Comune che prospetta l’insussistenza in concreto di elementi imbullonati (rilevanti per la normativa citata), trattandosi, invece, di strutture fissate in mare come i pali di Venezia, non di accessori ‘imbullonati’ .
Il motivo va quindi rigettato.
8 . Per quanto riguarda l’art. 38, d. l. n. 124 del 2009, che innova in materia dal 2020 (istituendo una tassazione specifica: «A decorrere dall’anno 2020 è istituita l’imposta immobiliare sulle piattaforme marine (IMPi) in sostituzione di ogni altra imposizione immobiliare locale ordinaria sugli stessi manufatti. Per piattaforma marina si intende la piattaforma con struttura emersa destinata alla coltivazione di idrocarburi e sita entro i limiti del mare territoriale come individuato dall’art. 2, del Codice della Navigazione»), deve rilevarsi che la norma non incide sulla pregressa disciplina (come interpretata dalle decisioni della Corte di legittimità, richiamate) in quanto espressamente la nuova imposta va a sostituire ‘ogni altra
imposizione immobiliare locale ordinaria’. La nuova norma rafforza e consolida la precedente imposizione per IMU, la sostituisce, ma, certamente, non la esclude.
Con il motivo n. 19 la ricorrente prospetta la violazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli art. 13, d. l. n. 201 del 2011, art. 7, lett. B, d. lgs. n. 504 del 1992, art. 32, R. d. n. 1443/27, 31 l. 613 del 1967, 23, l. 136/1953 e 14 d. l. n. 33/9; le piattaforme se mai fossero accatastabili andrebbero accatastate nella categoria E/3 e non in quella D/7, e sarebbero comunque esenti da IMU.
Oltre a quanto già evidenziato in precedenza deve rilevarsi che non può sostenersi che i beni immobili in questione vadano esenti da imposta perché, a detta della ricorrente, sarebbero accatastabili in categoria E/3, in quanto attività strumentale al servizio pubblico di approvvigionamento e di distribuzione degli idrocarburi. Da un lato, infatti, trattasi di immobili funzionali allo svolgimento di attività, svolta in regime imprenditoriale e produttiva di reddito, dall’altro, non si tratta di beni privi di autonomia funzionale e reddituale, né essi risultano immediatamente destinati ad un servizio pubblico (sui limiti residuali di riconoscibilità della categoria catastale E, si rinvia alla costante giurisprudenza in materia: «In tema di classamento catastale, l’inquadramento di un immobile nella categoria E/1 presuppone non solo che lo stesso sia privo di autonomia funzionale e reddituale, ma anche che sia strumentale al servizio pubblico. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto corretta l’inclusione nella categoria E/1 di aree scoperte all’interno di un interporto, utilizzate per lo stoccaggio di merci e container, pur non essendo strettamente strumentali al servizio pubblico ivi svolto)» Cass. Sez. 5, 23/10/2024, n. 27544, Rv. 672730 – 01; n. 5070/19; n. 12741/18; vedi da ultimo Sez. 5, n. 14542 del 30 maggio 2025).
10. Con l’ultimo motivo la ricorrente prospetta la violazione dell’art. 6, secondo comma, d. lgs. n. 472/1997 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) relativamente alle sanzioni, ritenute non applicabili per l’oggettiva incertezza del dato normativo e per la lesione del principio di affidamento.
Sul punto deve osservarsi che nessuna incertezza normativa sussiste per l’applicazione dell’IMU , in quanto la Corte di Cassazione è stata sempre uniforme nel ritenere dovuta l’imposta nei casi in giudizio («In tema di sanzioni amministrative per la violazione di obblighi tributari, deve escludersi la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza nell’interpretazione delle norme violate, nel caso in cui la giurisprudenza della S.C., alla quale soltanto spetta assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, ai sensi dell’art. 65 del R.d. n. 12 del 1941, sia consolidata, senza che assumano rilevanza eventuali contrasti nella giurisprudenza di merito» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 3431 del 06/02/2019, Rv. 652523 -01; vedi anche Sez. 5 – , Ordinanza n. 15866 del 08/06/2021, Rv. 661426 – 01).
La sentenza di secondo grado, infatti, esclude l’incertezza normativa in relazione alle costanti decisioni della Cassazione e alla Risoluzione del 2016 del MEF, nonché per la ‘definizione della nuova imposta da parte del legislatore, tutte circostanze precedenti la proposizione del ricorso’.
Inoltre, non può certo costituire affidamento ed elemento di incertezza normativa l’accordo raggiunto per le altre annualità, richiamandosi in proposito le già svolte considerazioni sulla reale natura e portata dell’accordo in questione.
L’incertezza normativa, del resto, deve essere oggettiva e non soggettiva: «In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva -causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 212 del
2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 – postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, sono capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il poteredovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione; ne consegue che la condizione di obiettiva incertezza normativa consiste, pertanto, in un’oggettiva impossibilità, accertabile esclusivamente dal giudice, d’individuare la norma giuridica in cui sussumere un caso di specie, mentre resta irrilevante l’incertezza soggettiva, derivante dall’ignoranza incolpevole del diritto o dall’erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa» (Cass. Sez. 5, 06/06/2025, n. 15144, Rv. 675086 – 02).
11. Infondato il ricorso incidentale sulla disposta compensazione delle spese da parte della decisione di secondo grado.
La C.T.R. ha disposto la compensazione delle spese evidenziando la sopravvenuta normativa ‘per alcuni versi più favorevole alla società contribuente in tema di tassazione delle piattaforme marine’.
In materia di compensazione delle spese questa Corte di legittimità ha poteri limitati: «In tema di spese legali, la compensazione per “gravi ed eccezionali ragioni”, sancita dall’art. 92, comma 2, c.p.c., come riformulato dalla l. n. 69 del 2009 (“ratione temporis” applicabile), nei casi in cui difetti la reciproca soccombenza, riporta a una nozione elastica, che ricomprende la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso e che può essere conosciuta dal giudice di legittimità ove il giudice del merito si sia limitato a una enunciazione astratta o, comunque, non puntuale, restando in tal caso violato il precetto di legge e versandosi, se del caso, in presenza di motivazione apparente.
Tuttavia, il sindacato della Corte di cassazione non può giungere sino a misurare “gravità ed eccezionalità”, al di là delle ipotesi in cui all’affermazione del giudice non corrispondano le evidenze di causa o alla giurisprudenza consolidata» (Cass. Sez. 2, 16/05/2022, n. 15495, Rv. 664877 -01; vedi anche Cass. Sez. 6, 26/11/2020, n. 26912, Rv. 659925 – 01).
La motivazione della decisione impugnata sulla compensazione delle spese, infatti, non può qui ritenersi apparente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.
Compensa in ragione di un quinto le spese del giudizio di legittimità, liquidate per l’intero in euro 25.000,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, con condanna della ricorrente principale RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei restanti quattro quinti;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del Comune ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12/03/2025.