SENTENZA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE N. 539 2025 – N. R.G. 00000789 2024 DEPOSITO MINUTA 01 10 2025 PUBBLICAZIONE 01 10 2025
In nome del popolo italiano
La Corte di Appello di Firenze
Sezione lavoro
nelle persone dei magistrati:
dr. NOME COGNOME
Presidente rel.
dr. NOME COGNOME
Consigliera
dr. NOME COGNOME
Consigliera
nella causa iscritta al n. 789/2024 RG promossa da
Avv. NOME
appellante
contro
Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
appellato
avente ad oggetto: appello della sentenza del Tribunale di Firenze – Sezione Lavoro n. 653/2024 pubblicata in data 19.6.2024
all’ udienza del 30.09.2025 , previa camera di consiglio, ha pronunciato dando lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
Il Tribunale di Firenze, con la sentenza oggi appellata, ha respinto le domande proposte da con la quale egli, cittadino italiano residente in Bulgaria, titolare di pensione privata a carico dell’ , ha chiesto al Giudice di accertare l’illegittimità dell’imposizione fiscale disposta dallo Stato italiano sulle somme percepite a titolo di pensione, in applicazione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica popolare di Bulgaria ratificata con legge 29.11.1990, n. 389 (ex art. 16) e per l’effetto di annullare il provvedimento di riliquidazione adottato dall’ ordinando all’Istituto la cessazione dell’applicazione delle trattenute e
conguaglio IRPEF ed il rimborso delle somme trattenute nelle more del presente giudizio.
Il Tribunale ha disatteso le eccezioni di difetto di giurisdizione e di difetto di legittimazione passiva sollevate dall’ , nonché la richiesta di integrazione del contraddittorio rispetto all’Agenzia . Tali decisioni non sono state impugnate e sono quindi divenute definitive.
Nel merito, ha respinto la domanda proposta in via principale ritenendo, in estrema sintesi, che ai fini della detassazione invocata dal ricorrente non sia sufficiente la mera residenza fiscale in Bulgaria, essendo invece necessaria la cittadinanza bulgara della quale il è sprovvisto. Ha richiamato in proposito l’art.16 della Convenzione, da leggersi in combinato con l’art.1 che, nel definire la nozione di residenza per lo Stato bulgaro, fa riferimento al concetto di ‘nazionalità bulgara’, a sua volta da intendersi quale cittadinanza in ragione della estrema evanescenza del termine, e ha evidenziato come lo stesso ricorrente non chiarisca quali siano le caratteristiche della ‘nazionalità bulgara’ e finisca per farla coincidere con la mera residenza stabile nello Stato, interpretazione smentita dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.21697/2023. Ha altresì motivato che tale interpretazione non è in contrasto con i principi costituzionali e sovranazionali, considerato che l’assoggettamento dei redditi del pensionato all’imposizione fiscale dello Stato italiano non lede la libertà di circolazione in ambito europeo, né risulta connotata da effetti discriminatori, in assenza di individuazione del fattore di discriminazione.
Ha respinto anche la domanda proposta dal pensionato in ipotesi, fondata sul principio del legittimo affidamento, richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo cui il legittimo affidamento non incide in ogni caso sulla debenza del tributo (Cass.10195/2016 e altre), semmai solo su sanzioni e interessi,
Ha infine compensato le spese di lite per la presenza di precedenti giurisprudenziali di segno opposto.
impugna la decisione de qua davanti a questa Corte e ne chiede l’integrale riforma sostenendo, con motivi variamente articolati, che la soluzione adottata dal Tribunale deriva da una errata interpretazione del trattato in essere tra Italia e Bulgaria e viola, sotto diversi profili, il trattato di Vienna, la Costituzione italiana, il diritto eurounitario e le leggi interne.
Secondo l’appellante l’ avrebbe dato degli artt. 1 e 16 della Convenzione un’interpretazione meramente letterale, contrastante con le regole di interpretazione dei trattati imposti dalla Convenzione di Vienna (secondo cui il criterio letterale dovrebbe essere coordinato con il criterio sistematico – assiologico – teleologico), con le norme superprimarie dell’Unione e con principi costituzionali. Tale interpretazione sarebbe inoltre stata assunta in violazione dei principi di certezza del diritto e del
legittimo affidamento delle parti private, a fronte di una diversa lettura della norma, alla quale l’ si era in precedenza attenuto per oltre 30 anni.
Più specificamente, secondo la prospettazione attrice, la tesi dell’ di far coincidere la nazionalità bulgara con la cittadinanza, determinerebbe la sostanziale inapplicabilità della convenzione stessa e la conseguente doppia imposizione fiscale dei pensionati italiani residenti in Bulgaria, il cui sistema tributario sarebbe incentrato sul criterio della residenza fiscale.
In tal modo tuttavia la convenzione contrasterebbe con il diritto dell’Unione, in particolare con il Regolamento n. 883/2004 in materia di sicurezza sociale, che impone di sottoporre le prestazioni di sicurezza sociale, percepite dalle persone che si spostano all’interno dell’Unione, a una sola legge nazionale, che dovrebbe identificarsi, secondo la tesi attrice, con quella dello Stato di residenza, intesa la residenza come il centro degli interessi di ciascuno.
In ogni caso la doppia imposizione, che seguirebbe all’adozione della soluzione ermeneutica dell’ , contrasterebbe, secondo l’appellante, con i principi fondamentali del diritto dell’Unione, in quanto limiterebbe di fatto la libera circolazione delle persone e rappresenterebbe una discriminazione sulla base della cittadinanza.
Per la stessa ragione le disposizioni della Convenzione, se interpretate nel senso inteso dall’ , contrasterebbero con gli artt. 9, 15, 20, 21, 41 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Secondo la tesi attrice, quindi, la nozione di nazionalità, contenuta nella convenzione, dovrebbe intendersi come appartenenza alla nazione bulgara e quindi come stabile presenza sul territorio bulgaro, condizione questa che sarebbe in effetti coincidente con la residenza fiscale. Una tale conclusione sarebbe imposta ancora dalle norme dell’Unione, in particolare il Regolamento 763/2008 sul censimento delle popolazioni e delle abitazioni e sarebbe l’unica conforme al contesto normativo in cui la Convenzione è inserita (a partire dalle norme fondamentali dell’Unione Europea), al suo scopo e anche alla prassi interpretativa da anni seguita dall’amministrazione italiana, che troverebbe peraltro conferma nei principi della legge delega 111/2023 (che espressamente assumerebbe la residenza fiscale come criterio di individuazione dell’imposizione fiscale).
L’interpretazione avallata dall’ impatterebbe a dire dell’appellante anche con il diritto derivato europeo, venendo in rilievo il punto 15 e 18 bis dei considerando del ‘ Regolamento (CE) N. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale’ , da cui si trae che il trattamento previdenziale (e quindi la pensione) va sottoposta alla legislazione dello
stato membro di residenza del soggetto e detta previsione deve sostituire ogni altra eventuale diversa previsione
Contrasterebbe inoltre con la Carta costituzionale (artt.11, 117, 3, 23, 35, 42, 97 Cost.) con la conseguenza che non potrebbe ritenersi interpretazione adeguatrice.
Parte appellante invoca poi l’art. 31 della Convenzione di Vienna, secondo il quale i termini di un trattato devono essere interpretati ‘in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo ‘, mentre l (e anche il primo giudice) avrebbe completamente ignorato i criteri ermeneutici dettati dal Trattato di Vienna, limitandosi ad una interpretazione meramente letterale e decontestualizzata, sovvertendo una interpretazione consolidata per ben 35 anni, che era invece in linea con le previsioni del Trattato, con l’intenzione opportunistica di potere riprendere a tassazione in Italia i redditi delle persone residenti all’estero (a carico del paese estero ed ivi già sottoposti a tassazione).
Infine la condotta dell’ violerebbe il principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento dei privati nelle indicazioni e azioni della pubblica amministrazione, dato che per oltre trent’anni il requisito della nazionalità era stato inteso dalle pubbliche amministrazioni italiane come coincidente con la residenza.
La diversa interpretazione assunta dall’ avrebbe infine violato anche la previsione dell’art. 21 nonies della L. 241/1990, così che l’istituto non avrebbe avuto titolo a trattenere alcuna somma a titolo di imposizione fiscale sulla prestazione de qua.
L’appellante conclude quindi come segue: IN VIA PRINCIPALE: 1. Accertare e dichiarare – in via incidentale – l’applicazione, nel caso dell’odierno ricorrente, della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica popolare di Bulgaria intesa ad evitare le doppie imposizioni ed in particolare dell’art. 16 della citata Convenzione e la conseguente defiscalizzazione della pensione in Italia del ricorrente e per l’effetto annullare il provvedimento di riliquidazione ed ordinare all’ di non applicare ritenute IRPEF sulla pensione e di rimborsare al ricorrente tutte le somme trattenute, oltre gli interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo;
2.Accertare e dichiarare l’applicazione, nel caso dell’odierno ricorrente, del Regolamento (CE) N. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, che prevale sulle convenzioni e norme interne contrastanti, secondo cui la pensione deve essere sottoposta a tassazione soltanto nel paese di residenza e quindi in Bulgaria e/o in ogni caso disapplicare le disposizioni nazionali contrastanti con il diritto europeo per l’effetto annullare il provvedimento di riliquidazione ed ordinare all di non applicare ritenute IRPEF sulla pensione e di rimborsare al ricorrente tutte le somme trattenute, oltre gli interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo;
Nel caso in cui la Corte ritenesse di avere dubbi sulla interpretazione della Convenzione prospettata dalla parte appellante (e per 35 anni dalla p.a. italiana) rimettere la questione per pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ed alla Corte costituzionale, al fine di valutale se la nuova interpretazione proposta dall’ e in generale l’operato dell’ osta o meno al diritto eurounitario e Costituzione, con i conseguenziali provvedimenti di sospensione delle trattenute, nonché del presente giudizio.
IN INDIRIZZO: INDIRIZZO. Accertare e dichiarare la sussistenza dei criteri di applicazione dei principi di cui all’art. 21-nonies della L. 241/1990 che impedisce alla pubblica amministrazione di annullare un proprio atto dopo il decorso dell’anno e del principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento e conseguentemente annullare il provvedimento di riliquidazione ed ordinare all’ di non applicare ritenute IRPEF sulla pensione e di rimborsare al ricorrente tutte le somme trattenute, oltre gli interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo effettivo.
Nel caso in cui il presente appello dovesse essere ritenuto infondato, rinviare gli atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti, al fine di valutare in capo ai dirigenti ipotesi di danno erariale (per non avere trattenuto imposte per 35 anni, nonostante dovute.
In ogni caso: Con vittoria di spese e competenze per entrambi i gradi di giudizio, da liquidare ex DM. 55/2014, con attribuzione al procuratore antistatario’.
L’ , ritualmente costituitosi, eccepisce in via preliminare che le conclusioni formulate in appello sono difformi da quelle del primo grado, eccepisce inoltre l’inammissibilità di deduzioni, conclusioni e documenti nuovi prodotti dall’appellante (compresi i documenti già non ammessi in primo grado, prodotti con memoria del 24.11.2023, che il giudice aveva espunto espressamente dal fascicolo).
Nel merito richiama decisioni favorevoli di questa Corte (oltre a Corte Appello Torino n.146/2023 e n.503/2024 prodotta); reitera le difese del primo grado, fondate sul fatto che il ricorrente non ha provato di essere assoggettato a doppia imposizione, con documentazione comprovante che il proprio reddito pensionistico sia stato sottoposto a tassazione in Bulgaria, oltre alle ulteriori difese svolte in replica alle deduzioni e conclusioni avversarie.
Conclude chiedendo ‘.. ogni contraria difesa, eccezione ed istanza, anche istruttoria, reietta e disattesa, – accertare e dichiarare l’inammissibilità delle nuove difformi conclusioni formulate con il presente ricorso in appello nonché della documentazione prodotta tardivamente come specificato in narrativa disponendone l’espunzione anche dal fascicolo di questo grado come da espresse istanze formulate in narrativa, cui si rinvia
rigettare, in ogni caso, l’appello avversario e le relative domande con conseguente conferma della sentenza impugnata, ovvero accogliere le conclusioni di cui al precedente grado ..’ (escluse eccezioni pregiudiziali).
All’udienza di discussione odierna la difesa dell’appellante ha richiamato le ‘note al verbale di udienza’ inserite nel fascicolo telematico nella giornata precedente (comprensive anche di nuove produzioni), note e produzioni del tutto irrituali e tardive, che pertanto non vengono ammesse.
*
Preliminarmente si rileva l’inammissibilità delle domande e deduzioni nuove proposte solo in questo grado con l’atto di appello, di cui al punto 4 delle conclusioni (esclusa solo la domanda fondata sulla assunta violazione del principio dell’affidamento, la sola già proposta in primo grado) e al punto 5 (richiesta della quale non si ravvisano peraltro i presupposti).
Sempre in via preliminare si rileva l’inammissibilità della produzione di nuovi documenti effettuata in questo grado con l’atto di appello, compresi i documenti prodotti dal ricorrente in primo grado con le note del 23.11.2023 già non ammessi dal Tribunale e dichiaratamente espunti dal fascicolo, nonché i documenti che erano stati prodotti con memoria del 29.5.2024 (esclusa giurisprudenza) perché tardivi, in assenza peraltro di alcuna argomentazione a supporto della produzione tardiva.
Nel merito, la Corte intende dare seguito ai propri precedenti in controversie analoghe alla presente (sentenze n.346/2025 e n.366/2025 dello scorso 20.5.2025, oltre successive analoghe) e pertanto di respingere l’appello perché infondato, confermando la decisione del Tribunale.
Sul punto merita innanzi rammentare come, secondo l’art. 3 del TUIR l’imposta sul reddito delle persone fisiche si applica ‘ sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato ‘. Quanto al reddito da pensione, che qui interessa, si considera prodotto in Italia se la prestazione è erogata da enti aventi sede sul territorio nazionale.
E’ quindi fuori discussione che, in mancanza di una regola convenzionale diversa, la pensione del ricorrente dovrebbe essere soggetta a tassazione in Italia, per quanto egli non vi risieda più dal 2020.
Assunto questo dato, devono essere richiamate le disposizioni di interesse della Convenzione tra Italia e Bulgaria, tesa ad evitare le doppie imposizioni in materia d’imposte sul reddito e a prevenire le evasioni fiscali, ratificata con legge n.389/1990. Si tratta:
dell’art. 1 (rubricato ‘ Soggetti e residenti ‘), secondo cui ‘ 1. La presente Convenzione si applica alle persone che sono residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti. 2. Ai sensi della presente Convenzione, l’espressione ‘residente di uno Stato contraente’ designa: a) per quanto riguarda la Repubblica Italiana, qualsiasi persona che, in virtù della legislazione italiana, è assoggettata ad imposte in Italia a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di agni altro criterio di natura analoga. b) per quanto riguarda la Repubblica Popolare di Bulgaria, qualsiasi persona fisica che possiede la nazionalità bulgara nonché qualsiasi persona giuridica che ha la propria sede in Bulgaria o che è ivi registrata ‘;
dell’art. 16 che, in tema di pensioni, dispone che: ‘ Fatte salve le disposizioni del paragrafo 2 dell’articolo 17, le pensioni e le altre remunerazioni analoghe, pagate ad un residente di uno Stato contraente in relazione ad un cessato impiego, sono imponibili soltanto in questo Stato ‘;
infine dell’art. 17 paragrafo 2, in tema di pensioni pubbliche, secondo cui: ‘ le pensioni corrisposte da uno Stato contraente o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da un suo ente locale, sia direttamente sia mediante prelevamento da fondi da essi costituiti, ad una persona fisica a titolo di servizi resi a detto Stato o a detta suddivisione o ente locale, sono imponibili soltanto in questo Stato. Tuttavia, tali pensioni sono imponibili soltanto nell’altro Stato contraente qualora il beneficiario sia un residente di detto Stato e ne abbia la nazionalità .’.
Sembra alla Corte, in accordo con i propri precedenti, che da una piana lettura delle norme si desuma che le pensioni private, pagate a un residente di uno Stato contraente, siano soggette alla tassazione dello Stato di residenza, ma che la nozione di residenza, ai fini convenzionali, per la Bulgaria si identifichi con la nazionalità, quindi necessariamente con la cittadinanza bulgara.
Questa interpretazione è stata di recente confermata dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto l’infondatezza dell” assunto in base al quale l’ottenimento dei benefici riconosciuti dalla Convenzione ai percettori di reddito pensionistico italiano presupporrebbe unicamente la residenza fiscale di costoro in Bulgaria, ciò che varrebbe ad attestarne … «il possesso della nazionalità (ovvero l’appartenenza alla nazione) bulgara in considerazione del ‘centro degli interessi vitali’ della persona fisica stessa in quello Stato» ‘. In contrario il giudice di legittimità ha chiarito che: ‘ l’art. 1 della Convenzione fissa l’ambito di applicazione soggettiva della stessa, individuandolo nelle «persone che sono residenti di uno o di entrambi gli stati contraenti», poi definite, per quanto riguarda la Bulgaria, come «qualsiasi persona fisica che possiede la nazionalità bulgara nonché qualsiasi persona giuridica che ha la propria sede in Bulgaria o che è ivi registrata». Il concetto di «residenza» ai fini applicativi della Convenzione è dunque fatto coincidere dal legislatore con il possesso della nazionalità; ciò vale ad escludere che, a detto fine, sia sufficiente la residenza
fiscale’ (Cass. Sez. Trib. n.21697/2023, che richiama, per condividerla la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, in risposta all’interpello n. 244 dell’8.3.2023, secondo cui ‘ Ai fini dell’applicazione delle disposizioni convenzionali, una persona fisica può essere, dunque, considerata residente in Bulgaria solo se risulta in possesso della cittadinanza di tale Stato ‘).
Si tratta, ad avviso del collegio, dell’unica interpretazione delle norme della Convenzione consentita dalla sua lettera e dalla materia che essa regola. Infatti la nazionalità, che rappresenta, secondo quelle norme, il criterio di collegamento con la potestà impositiva dello Stato bulgaro, deve necessariamente essere intesa nell’accezione giuridica di cittadinanza, considerato il carattere del tutto evanescente e generico del concetto di nazionalità, se assunto nel senso di appartenenza a una nazione come entità etnica o politica.
L’interpretazione aderente al dato letterale è peraltro quella adottata anche dalle autorità tributarie dello Stato bulgaro, che nella risposta del 10.12.2018 avevano già chiarito (ex art. 31 comma 4 della Convenzione di Vienna) che la Convenzione italobulgara ‘ prevede che per la Bulgaria risulta residente fiscale ogni persona fisica che ha la cittadinanza bulgara ‘ (dato desunto dalla sentenza n.503/2024 della Corte d’Appello di Torino, depositata dalla difesa di ).
Né in contrario appare dirimente l’art.17 della Convenzione, relativo alle pensioni pubbliche, per le quali il requisito della nazionalità è espressamente indicato nella stessa disposizione unitamente a quello della residenza. La norma infatti ha una sua ragione -in relazione agli artt.1 e 16 – in quanto richiede, anche per l’Italia, il doppio requisito ai fini della detassazione delle pensioni pubbliche, che altrimenti sarebbe possibile solo in ragione della residenza (cfr. sentenza n.503/2024 della Corte Appello di Torino già citata).
Dai principi appena esposti deriva che la parte privata potrebbe beneficiare della detassazione della pensione in Italia solo se in possesso della cittadinanza bulgara, requisito invece pacificamente insussistente.
Sono poi infondati gli ulteriori argomenti dell’appellante.
In primo luogo non assume nella specie ex se alcun rilievo la posizione assunta sulle questioni di interesse dall’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello del marzo 2023, sopra citata. La decisione della Corte discende infatti dall’interpretazione della Convenzione e prescinde quindi dalla vincolatività per di quel parere dell’Agenzia delle Entrate e dall’inidoneità dello stesso a valere al di là del caso specifico del richiedente.
L’interpretazione qui preferita non si pone poi in contrasto con il Trattato di Vienna sul diritto dei trattati, in specie con il suo art. 31 (sulle regole di interpretazione), che
non appare violato (anche alla luce della risposta delle autorità bulgare del 10.12.2018 sopra citata), ma neppure con il Regolamento CE n. 883/2004, che non disciplina il regime dell’imposizione fiscale delle prestazioni di sicurezza sociale.
Del pari deve escludersi la violazione dei principi generali del diritto dell’Unione, che presidiano la libera circolazione delle persone e vietano le discriminazioni. Un simile contrasto potrebbe infatti prospettarsi solo ove, all’inapplicabilità della convenzione, seguisse l’assoggettamento della pensione dell’appellante a una doppia imposizione, circostanza questa che l’ ha sempre contestato e che non risulta né precisamente allegata né comunque dimostrata.
Sul punto invero deve rilevarsi come non vi sia traccia in atti della concreta tassazione della pensione di COGNOME in Bulgaria, ma neppure della dichiarazione di quel reddito al fisco bulgaro da parte dell’appellante (sul punto egli aveva depositato un documento in primo grado, in allegato alla memoria 29.5.2024, come detto da ritenersi inammissibile perché prodotto tardivamente).
Se quindi la sottoposizione della pensione dell’appellante alla potestà impositiva dello Stato bulgaro non può desumersi dalla circostanza che in effetti egli abbia subito una qualche forma di tassazione in Bulgaria, essa neppure risulta altrimenti. Si è detto infatti che, secondo la convenzione Italia – Bulgaria, come interpretata anche dalle autorità bulgare, egli non è soggetto a imposizione in Bulgaria in quanto non ha la cittadinanza bulgara. Per contro non risulta la diversa normativa nazionale bulgara, specificamente in materia di regime fiscale delle pensioni prodotte all’estero, così che non vi è la minima evidenza che esse siano soggette al potere impositivo di quello Stato.
In difetto di ogni prova dell’assunta doppia imposizione, non vi è alcun motivo di dubitare della conformità comunitaria dell’interpretazione della convenzione qui preferita. I principi UE garantiscono infatti la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione, ma non incoraggiano certo fenomeni di dumping, che finiscono per tradursi nella totale elusione del dovere, che nell’ordinamento italiano è anche costituzionale, di contribuire con una frazione del proprio reddito alle necessità collettive.
Quanto alla domanda in ipotesi relativa all’assunta violazione del principio del legittimo affidamento, si rileva che l’appellante non ha minimamente contrastato la decisione del primo giudice, fondata sulla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui il legittimo affidamento non incide in ogni caso sulla debenza del tributo (Cass.10195/2016, Cass.5934/2015, Cass.25966/2013, Cass.19479/2009, Cass. 3757/2012).
La complessità delle questioni di causa impone la compensazione delle spese del grado.
A norma del comma 17 dell’art. 1 legge 29.12.2012, n.228 dà atto che sussistono i presupposti processuali per l’applicazione all’appellante della disposizione dell’art. 13 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Il Collegio, definitivamente pronunciando,
-respinge l’appello, confermando la sentenza impugnata;
-compensa le spese processuali del grado;
-dichiara che a carico dell’appellante sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24.12.2012 n. 228, per l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Firenze, 30.9.2025
La Presidente rel.
dr. NOME COGNOME