Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8269 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8269 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DCOGNOMENOME NOMECOGNOME nato a Torino il 11 luglio 1995;
avverso la ordinanza n. 500088/2024 TPL del Tribunale di Torino del 16 maggi 2024;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 16 maggio 2024, i cui motivi sono stati resi pubblici tramite il loro deposito in Cancelleria il successivo 20 maggio 2024, i Tribunale di Torino, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti cautelari reali, ha rigettato – confermando, pertanto, il provvediment sottoposto al suo scrutinio – la richiesta di riesame presentata da COGNOME – soggetto sottoposto ad indagini preliminari in relazione ad una provvisoria imputazione avente ad oggetto la violazione dell’art. 4 del digs 74 del 2000, per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, indicato nelle dichiarazioni dei redditi da lui presentate quanto ag anni di imposta 2021 e 2022 elementi attivi d4 redditi in misura inferiore quella effettiva, in tal modo omettendo di versare le imposte sul reddit personale dovute in misura pari, quanto al primo degli anni indicati, ad eur 549.541,54 e, quanto al secondo di essi, pari ad euri 286.834,00, quindi i misura superiore alla soglia di punibilità prevista per tale reato – avente oggetto il provvedimento di sequestro preventivo emesso a carico del predetto dal Gip del Tribunale di Torino sino alla concorrenza della somma complessiva di euri 836.375,54.
Avverso la predetta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario il COGNOME avendo affidato le propr doglianze a due, sebbene articolati, motivi di impugnazione.
Con il primo di essi il ricorrente ha lamentato la violazione di legge, co riferimento, in particolare agli artt. 53, comma secondo, lettera b), e 54, comma ottavo, e 67 del Tuir a all’art. 2 cod. pen.
Afferma, infatti, il ricorrente che il Tribunale avrebbe errato nel ritene applicabili ai presunti redditi prodotti dal COGNOME attraverso la sua atti artistica (egli è, infatti, un autore di opere d’arte digitali, noto con i d’arte di Dangiuz, commercializzate attraverso la creazione e la rivendita d non fungible token -di seguito nft i cui pagamenti avvengono tramite l’utilizzo di monete virtuali – cosiddette “criptovalute” nella specie denomina Ethereum o Ether) i principi giuridici ed i criteri propri della ermeneutica dell’art. 53 del Tuir, a mente dei quali sono da considerare redditi da lavo autonomo, come tali tassabili, quelli derivanti, fra l’altro, dalla utilizza economica delle opere dell’ingegno; ha, infatti, osservato il ricorrente che n particolare ambito nel quale opera il COGNOME l’oggetto della transazione commerciale non è l’opera d’arte digitale ma è il suo nft, cioè n certificato digitale che ne certifica la proprietà e l’autenticità digitale a formare ogg
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di trasferimento; esulando, pertanto, esso linft dal concetto di opera dell’ingegno, il reddito prodotto tramite la sua commercializzazione non rientra fra i redditi tassabili ai sensi della citata disposizione.
Ritiene il ricorrente che in analoghi termini deve ritenersi per ciò ch attiene all’applicabilità alla fattispecie dell’art. 54, comma ottavo, del disposizione che prevede che i redditi imponibili conseguiti attraverso, fr l’altro, la commercializzazione delle opere dell’ingegno sono costituiti d proventi in danaro ovvero in natura percepiti nel periodo di imposta, abbattuti in misura variabile in base alla età anagrafica del contribuente in relazione a forfettizzazione delle spese di produzione.
Al riguardo il ricorrente ha, in sintesi, osservato che essendo espresso i criptovalute” il controvalore delle transazione aventi ad oggetto gli nft, si tratta nella occasione di “moneta virtuale” denominata Ether negoziata su di una piattaforma denominata Ethereum; il reddito prodotto attraverso tali valute, non essendo riconducibile né al concetto di danaro né al concetto di beni in natura, esulerebbe rispetto alla nozione di reddito imponibile per come veicolata tramite il citato art. 54, comma ottavo, del Tuir.
Infine, quanto a questo primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 2 cod. pen. in quanto il Tribunale del fornire u regolamentazione al conseguimento di redditi tramite “criptovalute” ha richiamato una circolare ella Agenzia delle entrate, la n. 30/E del 2023, l quale, per essere successiva alle annualità di imposta oggetto dell imputazione provvisoriamente elevata a carico del prevenuto, non poteva essere applicata, stante il divieto di irretroattività della norma penale ipotesi astrattamente definite delittuose verificatesi anteriormente alla s adozione.
Con il secondo motivo di impugnazione la difesa del COGNOME ha lamentato la violazione di legge con riferimento sia all’applicazione dell’art del dlgs n. 74 del 2000 sia in relazione all’art. 5 cod. pen.
In particolare, il ricorrente si è doluto della rilevazione del fumus delicti sebbene la condotta dell’indagato non fosse assistita né dal dolo specifico posto che egli aveva omesso di dichiarare il reddito in ipotesi conseguito non al fine di evadere le imposte ma in quanto convinto che, in assenza di conversione in moneta corrente, quello espresso in “criptovalute” non fosse reddito imponibile, né dal dolo eventuale non sussistendo alcuno degli
indicatori che la giurisprudenza di legittimità ha individuato come sintomatici di esso.
Essendo esso correlato al vizio ora descritto, la difesa del COGNOME ha ritenuto sussistere anche quello di cui all’art. 5 cod. pen. essendo s riscontrati gli estremi dell’elemento soggettivo del delitto in provvisor contestazione, sebbene il ricorrente sì trovasse in una situazione incolpevole ignoranza sulla portata della norma extrapenale che prevede l’assoggettamento a tassazione anche dei redditi espressi in “criptovalute”.
In data 29 maggio 2024 la difesa del prevenuto ha redatto una memoria con la quale, oltre ad insistere per l’accoglimento del ricorso, ha segnala come, secondo i termini dell’art. 1, comma 1, lettera d), del dlgs n. 184 de 2021, è stato espressamente previsto che le valute virtuali non possano avere lo status giuridico di quelle correnti mentre in relazione alla già citat Circolare della Agenzia delle entrate n. 30/E del 2023, ne ha ribadito la natur non interpretativa ma meramente orientativa, tale da non vincolare, pertanto il contribuente, mentre, per ciò che attiene alla mancata indicazione da part del COGNOME del possesso di “criptovalute” in occasione della dichiarazione dei redditi, quale fattore sintomatico della volontà di evadere il Fisco, la difesa ricordato come tale dovere è stato introdotto solo a partire dall’anno imposta 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è risultato infondato e, pertanto, lo stesso dev essere rigettato.
In sostanza incontestato è lo sfondo fattuale sul quale si staglia presente vicenda: il ricorrente è un artista che pratica la cybergraphic, realizza, cioè, opere iconografiche che non hanno un supporto materiale ma sono raffigurate ed esistono solo in forma elettronico-digitale.
Esse, come precisato dal ricorrente, sono, data la lora particolare natura “virtuale”, in sostanza “incorporate” nel nft che, essendo dotato di un codice identificativo univoco, ne certifica la titolarità, la autenticità e, si aggiu unicità.
Stante la natura, si direbbe incorporea, di tale “beni” (cioé delle opere d cybergraphic) ad essere oggetto di mercato non sono direttamente queste ma, come appunto precisato in termini puntuali dallo stesso ricorrente, i certificati di autenticità contenuti negli nft, la cui disponibilità è l’elemento da
cui è desumibile, in capo al soggetto che lo detiene, anche la legittim titolarità dei diritti dominicali connessi alla “opera d’arte” in tale m realizzata.
Problema ulteriore, che sarà esaminato a suo tempo, è dato dal fatto che, in particolare quanto al caso di specie, la commercializzazione degli nft in cui sono incorporate le opere realizzate dal COGNOME, operante sotto il nome d’arte di COGNOME, avvenga attraverso pagamenti eseguiti tramite “criptovalute” aventi, nella fattispecie il leggiadro nome di Ether fruibili tramite la piattaforma digitale denominata a sua volta, in termini non meno aerei, Ethereum.
Questi essendo i fatti, ed essendo altrettanto pacifico sia il dato che COGNOME negli anni di imposta 2021 e 2022 non ha dichiarato al Fisco, ritenendo che gli stessi non costituissero reddito imponibile, i ricavi da realizzati attraverso la commercializzazione degli nft incorporanti le sue opere grafiche (redditi realizzati sia in occasione della prima cessione da lui ste operata di tali elementi digitali sia in occasione delle cessioni successi realizzate dai precedenti acquirenti, generanti anch’esse, sotto forma d royalties, dei benefici economici in favore dell’artefice dell’opera digitale incorporata nel nft) e sia che siffatti redditi, convertiti in valuta corrente, fossero ampiamente al di sopra delle soglie di punibilità stabilite d legislatore in tema di violazione del precetto fissato dall’art. 4 del dlgs n del 2000, osserva il Collegio che non ha colto nel segno il ricorrente allorch ha ritenuto che legittimamente siffatti redditi non dovevano essere inserit nelle dichiarazione dei redditi da lui predisposte in quanto non rientranti alcuna della categorie di reddito indicate dall’art. 53, comma 2, lettera b), del Tuir.
Infatti, la disposizione dianzi ricordata prevede espressamente che sono redditi da lavoro autonomo, e come tali suscettibili di generare imposte, ” redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell’autore inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formul informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali”.
Indubbiamente fra le opere dell’ingegno debbono essere ricomprese le opere qualificabili, in senso lato, artistiche e, pertanto, anche le oper cybergraphíc realizzate dal ricorrente, destinate a circolare, avendo peraltro anche un discreto mercato, nel particolare settore commerciale destinato a tale tipo di prodotti dell’attività umana.
Non deve ritenersi che costituisca un ostacolo alla riconducibilità alla nozione di reddito imponibile derivante dalla utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno il fatto che oggetto della transazione commerciale sia non immediatamente l’opera ma linft in cui la stessa è incorporata; invero la particolare natura meramente “virtuale” (in quanto non riconducibile ad un sopporto materiale sul quale essa insista) dell’opera in questione comporta che la stessa, sebbene ciò possa avvenire per scelta elettiva e non per una necessità cogente ed ineludibile, risulti essere, per usare l’espressione che stesso ricorrente ha adoperato, “incorporata” nell’nft che, appunto, n costituisce certificato di proprietà e di autenticità.
Si tratta, in sostanza, si allude appunto all’nft e di uno strumento rappresentativo di un altro bene che, appunto, ne “incorpora”, seppure virtualmente, tutte le caratteristiche e tutte le specificità, di tal che l’eve reddito derivante all’autore dell’opera artistica dalla cessione dello strumen che la contiene (si immagini analogamente a quanto avviene per il supporto digitale sul quale è riprodotto un brano musicale) è indubbiamente un reddito che a quello deriva dalla commercializzazione dell’opera dell’ingegno da lui creata.
D’altra parte, così come non vi è dubbio che genera fonte di reddito imponibile la compravendita di titoli rappresentativi di merci, deve, parimenti, ritenersi che analoghi effetti abbia il traffico di altro, ma analogo, genere strumenti, ove gli stessi siano rappresentativi di altro, ma sotto il profilo interessa comparabile, genere di beni patrimonialmente valutabili, ove stesso commercio sia realizzato in termini economicamente rilevanti.
Anche il successivo profilo impugnatorio dedotto con il primo motivo di ricorso dalla difesa del COGNOME è privo di fondatezza; egli ha, infatti, taccia di erroneità giuridica l’assunto fatto proprio dal Tribunale subalpino secondo i quale non è possibile qualificare in alcuna delle categorie reddituali previs dall’art. 54, comma 8, del Tuir i proventi da lui conseguiti attraverso commercializzazione degli nft incorporanti le sue opere di cybergraphics in quanto le relative transazioni che sono state operate prevedono quale moneta di scambio una “criptovaluta”, nella specie quella già ricordata recante il nome di Ether.
Appare opportuno, dato il relativamente recente palesarsi di tali elementi di conto esprimenti valori, cercare, nei limiti in cui una tale oper funzionale alla presente attività giurisdizionale, fornirne una definizione.
L’espressione che meglio appare rappresentativa di quelle che vengono definite ordinariamente “criptovalute” e che meglio ne compendia le caratteristiche è quella di “valuta virtuale”, intendendosi per tale, secondo volontà del legislatore nazionale (si veda, infatti, al riguardo l’art. 1, l d) , del dlgs n. 184 del 2021, non casualmente rubricato sotto il titolo “Definizioni”), “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è legata necessariamente a una valuta legalmente istituita e non possiede lo status giuridico di valuta o denaro, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio, e che può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.
Ritiene il Collegio che – non diversamente da quanto si verifica nel caso in cui il reddito conseguito sia espresso non in termini monetari ma sia egualmente costituito da un bene avente un valore economico, per il quale sia possibile, attraverso una meccanismo di “stima monetaria”, la riconduzione ad un valore suscettibile di essere quantificato tramite il riferimento ad u moneta corrente – il relativo valore, una volta che sia stato conseguito s tale, una volta operata la sua conversione in moneta, da costituire reddit imponibile.
Infatti una tale operazione è evidentemente accessibile ove il bene costituente incremento patrimoniale sia costituito da un bene in natura, ma ciò non solo a condizione che questo sia stato il frutto immediato della attivi svolta dal soggetto che tale reddito abbia conseguito; si vuole con ci intendere che — per rendere meglio il concetto con un esempio – tale operazione è legittimamente realizzata non soltanto nelle ipotesi in cui reddito in natura sia il frutto diretto della attività materiale svolt contribuente, costituendo, pertanto, reddito imponibile non solamente il danaro che il lavoratore, sia dipendente che autonomo, percepisce attraverso la corresponsione del suo compenso reso in moneta, ma anche in rapporto al diverso tipo di beneficio che egli possa conseguire in quanto, ad esempio, venga posta a sua disposizione anche una residenza di servizio (in tale senso, infatti: Corte di cassazione, Sezione V civile, 25 novembre 2015, n. 24007, rv 637509) ovvero consegua, per la sua opera, una diversa tipologia di compenso che non la moneta corrente.
Accertato, quindi, che nell’ambito del concetto di “provento in natura”, atto a costituire reddito imponibile, deve essere iryttso ricompreso ogni alt beneficio patrimonialmente valutabile riveniente al contribuente in quanto
frutto, in questo caso, della utilizzazione economica delle opere dell’ingegno prodotte dal medesimo, e dato per assodato che la commercializzazione degli nft rappresentativi delle opere d’arte realizzate dal COGNOME avviene, tramite la piattaforma Ethereum, attraverso l’accreditamento in favore del “conto” intestato all’autore dell’opera di un certo numero di Ether; si tratta di valutare se siffatte “valute virtuali” siano beni, ancorché immateriali, dotati di u rilevanza patrimoniale.
La circostanza, non oggetto di contestazione quanto alla sua rilevanza storica, che la “criptovaluta” utilizzata sulla piattaforma Ethereum abbia a sua volta un mercato nel quale la stessa riceve una valutazione, questa volta espressa in moneta corrente (è circostanza indifferente che tale moneta sia costituita da una divisa estera ovvero da una unità di conto ordinariamente in uso per le attività commerciali svolte all’interno del territorio dello Stato quanto il valore della prima è eventualmente facilmente convertibile nel valore della seconda), fa sì che indubbiamente il valore della “criptovaluta” abbia una rilevanza economica e che, pertanto, il suo ammontare conseguito dal singolo contribuente sia idoneo a costituire reddito . imponibile prodotto da quest’ultimo, soggetto, pertanto, dapprima a dichiarazione e, poi, a tassazione.
Potrebbe essere posta in contestazione – attesa la “volatilità” dei valor espressi in “criptovalute” e pertanto la loro variabilità nel tempo assai p spiccata di quelle propria di altro genere di valute – la determinazione, e congruenza delle modalità del suo accertamento, del valore normale dell’Ether indicativo dell’ammontare della somma imponibile che il contribuente avrebbe dovuto indicare nella sua dichiarazione dei redditi (contestazione che, peraltro, non risulta essere stata formulata dalla difesa del D’Angelo), ma non il fatto che la sommatoria di tale genere di beni (le “criptovalute accreditate sul suo conto virtuale), espressa secondo il loro valore normale i valuta corrente, ove gli stessi siano stati conseguiti attraverso una de attività produttive di reddito imponibile, non costituisca, a sua volta, provent soggetto a tassazione secondo i temini normativi fissati dal Tuir.
Deve, a conclusione dell’esame del primo dei motivi di ricorso formulati dalla difesa del COGNOME, formularsi, pertanto, il seguente principio di diritt secondo il quale, in linea astratta, integra gli estremi del fumus delicti, nella specie si tratta dell’art. 4 del dlgs n. 74 del 2000, legittimante la adoz delle opportune misurt cautelari reali, la omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi dei proventi, conseguiti tramite l’accredito
“criptovalute”, derivanti dalla cessione di opere d’arte, o comunque dell’ingegno, digitali, costituendo l’ammontare di siffatto accredito reddit imponibile ai sensi degli artt. 53 e 54 del dPR m. 917 del 1986, recante “Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi”, ove il valore normale degli stessi, convertiti in valuta corrente, superi le soglie di punibilità pre dal citato art. 4 del dlgs n. 74 del 2000.
Venendo, a questo punto, all’esame del secondo dei motivi di impugnazione formulati dalla ricorrente difesa, si rileva come io stesso, avendo ad oggetto la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo del reato in provvisoria contestazione all’indagato, sia in questa sede inammissibile.
Invero, con riferimento al motivo di ricorso afferente alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato provvisoriamente contestato in capo al COGNOME, ritiene la Corte di dovere dare piena continuità alla consolidata giurisprudenza di questo giudice della legittimità laddove è stato in ess precisato che – in materia di impugnativa dei provvedimenti cautelari di carattere reale volti ad assicurare la piena effettività della misura di sicure della confisca, nelle sue diverse declinazioni, conseguente alla eventuale futura affermazione della penale responsabilità dell’indagato per il reato i provvisoria contestazione, derivante dalla verificata sussistenza degli elementi astratti riconducibili alla figura di reato in questione (il cosiddetto fumus delicti), nella fattispecie si tratta della violazione dell’art. 4 del dlgs n. 74 2000, che ha in questo caso portato a rilevare, sulla base di quanto dianz rilevato in ordine al rigetto del primo motivo di impugnazione da quello presentato avverso il provvedimento del Tribunale del riesame confermativo del sequestro preventivo disposto a suo carico, che il COGNOME ha omesso di dichiarare redditi imponibili in relazione agli anni di imposta 2021 e 2022 – lo spazio riservato, in sede cautelare, alla verifica della sussistenza dell’elemen soggettivo, in questo caso il dolo specifico di evasione, è esclusivamente relativo all’esame dell’eventuale manifesta insussistenza di tale elemento del reato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si deve trattare, in altre parole, di una carenza che, per esser significativa nella presente fase del procedimento, deve emergere, per come si usa dire, ictu ocull (si veda, infatti, Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 giugno 2019, n. 26007, rv 276015; Corte di cassazione, Sezione II penale, 3 maggio 2016, n. 18331, rv 266896).
Circostanza questa ultima che indubbiamente non risulta nella fattispecie, non essendo sufficiente osservare, onde farla risultare, ch
l’imputato abbia in buona fede ritenuto non soggetti ad imposizione fiscale gli introiti a lui rivenienti attraverso transazioni commerciali avvenute tramit l’utilizzo di “criptovalute”, essendo siffatta tesi difensiva svilupp esclusivamente in relazione ad un preteso errore in cui il ricorrente sarebbe incorso in materia di interpretazione di una norma integrativa del precetto penale che, come tale, costituisce fattore irrilevante ai fini della esclusione dolo (fra le tante: Corte di cassazione, Sezione VII penale, 31 maggio 2019, n, 24231, rv 276481, ord.), laddove non si tratti di errore inevitabile (Corte cassazione, Sezione VII penale, 26 settembre 2017, n. 44293, rv 271487, o rd .).
Cosa che nella fattispecie non è dato riscontrare, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente né in funzione della esistenza della circolar della Agenzia delle entrate n. 30/E del 2023, richiamata dal ricorrente, proprio perché, a tacere della discutibile rilevanza scriminante che può essere attribuita al contenuto di una circolare emessa da un’Autorità amministrativa (cfr. infatti, in tale senso, fra le altre: Corte di cassazione, Sezione III pe 23 ottobre 2015, n. 42675, rv 265493), trattandosi di una circolare meramente orientativa, come sostenuto dallo stesso ricorrente, essa avrebbe semplicemente puntualizzato il preesistente significato da attribuire all espressioni utilizzate dal legislatore, circostanza questa che esclude anche l’eventuale vizio, adombrato dal ricorrente, di violazione del principio d irretattività della norma pena sanzionatoria, posto che nella fattispecie non v è stata la introduzione di alcuna disposizione ampliativa dello spettro d applicabilità di alcuna norma precettiva ma, semmai, si è ritenuto ricompreso in un già collaudato paradigma normativa un fenomeno economico prima non manifestatosi.
Parimenti anche la circostanza che la dichiarazione del possesso di “criptovalute” in occasione della compilazione della dichiarazione dei redditi sia stata segnalata come doverosa da parte del contribuente solo a partire da una epoca successiva all’epoca della commissione delle condotte oggetto delle contestazioni mosse al COGNOME, cosa che il ricorrente ha evidenziato ìn occasione della redazione della memoria illustrativa del 29 maggio 2024, è anch’essa non significativa, posto che l’obbligo, provvisoriamente contestato siccome violato da parte del ricorrente, cioè quello di indicare gli eventual redditi in natura da lui prodotti, non è certo stato istituito con la, d ricordata, legge di bilancio per il 2023, ma era ben preesistente ai fat oggetto di contestazione.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente va, conseguentemente, condannato al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente