Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8844 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8844 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29485/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, con sede in Collegno, al INDIRIZZO (C.F.: P_IVA; PEC: EMAIL), assistita dagli Avv.ti NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) del Foro di Torino ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Carmagnola, al INDIRIZZO come da procura speciale in calce al ricorso (fax: NUMERO_TELEFONO; PEC: EMAILlegaliditorinoEMAILit; EMAILpecEMAILordineavvocatitorino.it);
– ricorrente –
contro
Consorzio RAGIONE_SOCIALE (C.F. e P.IVA: P_IVA), con sede in Carignano (TO), alla INDIRIZZO, in persona del
Avviso accertamento Tari -Imballaggi terziari
presidente e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentato e difeso, come da procura speciale a margine del controricorso, giusta delibera del Consiglio di Amministrazione n. 80 del 30.10.2019 (C.F.: CODICE_FISCALE, dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE sito in Roma, al INDIRIZZO;
– controricorrente –
-avverso la sentenza 330/4/2019 emessa dalla CTR Piemonte il 12/03/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE impugnava, dinanzi alla CTP di Torino, un avviso di accertamento con il quale le era stato richiesto il pagamento della somma di euro 13.827,10 a titolo di Tari per l’anno 2017, deducendo, tra l’altro, il difetto di motivazione dell’avviso, la circ ostanza di produrre prevalentemente rifiuti non assimilabili (imballaggio terziario) smaltiti in proprio e la necessità di escludere le superfici del capannone occupate dagli scaffali e dal magazzino, perché improduttive di rifiuti per loro natura.
L’adìta CTP rigettava il ricorso, rilevando che i rifiuti avviati dalla contribuente al recupero a proprie spese erano da considerarsi esclusivamente rifiuti da imballaggio secondario, legittimamente assimilati a quelli urbani dal regolamento comunale, e che le aree adibite a magazzino erano tassabili.
Sull’impugnazione della contribuente, la CTR del Piemonte rigettava il gravame, evidenziando che l’avviso era sufficientemente motivato, che i rifiuti da imballaggio prodotti nel sito erano sicuramente di natura secondaria ed assimilati agli urbani in virtù della deliberazione del Consiglio Comunale n. 42 del 2011, che la zona adibita a magazzino e scaffalatura era tassabile, essendo i magazzini destinati al ricovero dei beni strumentali
o delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio, e che, quanto alle altre aree dello stabilimento, la società non aveva fornito alcuna prova dell’effettiva loro destinazione ad attività non produttive di rifiuti urbani o ad essi assimilabili.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi. Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE -Covar 14 ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 218 e 226 d.lgs. n. 152/2006, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR ritenuto che i rifiuti da essa prodotti fossero da considerare imballaggi terziari, siccome formati nell’esercizio dell’attività di stoccaggio della merce in entrata e spedizione della merce in uscita.
Il motivo è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25182
del 19/09/2024).
L’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è, dunque, mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ed inerisce, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Orbene, nel caso di specie, la contribuente, a fronte di una categorica affermazione resa dalla CTR, secondo cui i rifiuti da imballaggio prodotti nel sito erano ‘sicuramente di natura secondaria’ (<>) ed assimilati agli urbani in virtù della deliberazione del Consiglio Comunale n. 42 del 2011, ha sostenuto che i rifiuti da essa prodotti dovrebbero essere considerati, invece, imballaggi terziari, siccome formati nell’esercizio dell’attività di stoccaggio della merce (Facet o inviata da altri fornitori) in entrata e spedizione della merce in uscita.
E’ la stessa contribuente ad ammettere (cfr. pag. 17 del ricorso) che una scatola di cartone può essere un imballaggio addirittura primario ‘se costituisce l’imballo venduto al consumatore finale insieme al prodotto.
Premesso che lo stabilire se determinati locali di uno stesso edificio, benché destinati ad uffici, depositi, mostre ecc. e non propriamente all’attività produttiva, siano parimenti idonei a produrre “rifiuti speciali”, costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1242 del 17/02/1996; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4841 del 30/05/1997, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7387 del 08/08/1997, Sez. 5, Sentenza n. 15517 del 11/08/2004), in tal guisa ragionando la ricorrente altro non fa che sollecitare una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede.
Del resto, non sarebbe ammissibile una eventuale doglianza sul piano motivazionale, atteso che si è in presenza di una cd. doppia conforme e né la ricorrente ha dedotto che le decisioni dei gradi di merito si fondassero su differenti ragioni inerenti ai fatti.
Inoltre, la CTR ha altresì, da un lato, riportato una precisazione formulata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE e, dall’altro, evidenziato che <>.
Ebbene, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), un’area che non sia destinata a lavorazioni artigianali e, dunque, alla produzione di rifiuti speciali, ma sia usata come magazzino dei rifiuti prodotti in altri locali dell’unico complesso aziendale, va compresa nel calcolo della superficie tassabile, ai sensi dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, atteso che i residui prodotti in un deposito o magazzino non possono essere considerati residui di un ciclo di lavorazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26725 del 22/12/2016).
Nella fattispecie in esame, mentre il locale oggetto di tassazione è ubicato nel Comune di Orbassano (alla INDIRIZZO, quello in cui si producono i rifiuti speciali è situato nel Comune di Collegno.
Senza tralasciare che la produzione di imballaggi terziari non comporta la totale detassazione dei locali quando questa si accompagna a quella di rifiuti assimilati, ma attribuisce, semmai, un beneficio fiscale che dà luogo ad una riduzione della superficie soggetta ad imposizione per la formazione di rifiuti speciali ovvero ad una riduzione tariffaria, sulla base di un diverso modello operativo introdotto dal regolamento comunale, prevista in un limite massimo percentuale del tributo relativo alla predetta superficie, al fine di non gravare il contribuente, che provvede allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali, del costo ulteriore della relativa tassazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21146 del 29/07/2024).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 649, l. n. 147/2013, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver considerato che essa svolge
un’attività d’impresa produttiva di rifiuti speciali non assimilabili, perché derivanti da attività industriale.
2.1. Il motivo, invocando il riconoscimento della natura non assimilabile agli urbani dei rifiuti prodotti in via asseritamente continuativa e prevalente, incorre nel medesimo rilievo di inammissibilità evidenziato nell’analisi del primo motivo.
Del resto, non viene neppure indicato, e men che meno provato, da quali elementi probatori oggettivi si dovrebbe desumere che nel magazzino di INDIRIZZO si producono rifiuti speciali non assimilabili (vale a dire, imballaggi terziari), fermo restando che, in siffatta evenienza, la censura eventualmente da muoversi alla sentenza impugnata sarebbe dovuta essere l’omesso esame di un fatto decisivo che, essendosi al cospetto, come detto, di una cd. doppia conforme, è preclusa nella presente sede di legittimità.
Va, in proposito, ricordato che il presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani, secondo l’art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti: l’esenzione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate perché ivi si producono rifiuti speciali, come pure l’esclusione di parti di aree perché inidonee alla produzione di rifiuti, sono subordinate all’adeguata delimitazione di tali spazi ed alla presentazione di documentazione idonea a dimostrare le condizioni dell’esclusione o dell’esenzione; il relativo onere della prova incombe al contribuente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17703 del 02/09/2004; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 13086 del 01/06/2006, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17599 del 29/07/2009; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11351 del 06/07/2012, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5377 del 04/04/2012, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4793 del 11/03/2016). In particolare, i rifiuti degli imballaggi terziari e di quelli secondari, per i quali non sia stata attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati ai rifiuti solidi urbani, ma sono assoggettati ad una speciale disciplina che prevede il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, con la conseguenza che i regolamenti comunali che abbiano proceduto ad una
tale assimilazione, vanno disapplicati, in parte qua , dal giudice tributario. Ciò non comporta, però, che tali categorie di rifiuti siano esenti dal tributo, dovendosi applicare ad esse la disciplina per i rifiuti speciali dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, per cui potranno essere escluse dalla superficie imponibile quelle parti dell’immobile nelle quali il contribuente provi essere esclusivamente prodotti gli imballaggi medesimi (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 627 del 18/01/2012).
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, l. n. 147/2012 e 15, punto 4, regolamento UIC, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che l’area magazzino dove era stoccata la merce doveva essere esclusa dalla tassazione, perché inidonea a produrre rifiuti.
3.1. Il motivo è infondato.
Nel ribadire che anche con il presente motivo la contribuente sollecita, a ben vedere, una rivalutazione delle risultanze istruttorie, va qui confermato che, in tema di tasse per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), vanno assoggettati all’imposta, ai sensi dell’art. 62 del d.lgs. 16 novembre 1993, n. 507, i magazzini destinati al ricovero dei beni strumentali o delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio di beni produttivi (non potendo considerarsi residui di un ciclo di lavorazione), che concorrano all’esercizio dell’impresa, e vanno conseguentemente riguardati come aree operative idonee a produrre rifiuti, al pari degli stabilimenti o dei locali destinati alla vendita ove si producono rifiuti solidi urbani (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2814 del 11/02/2005; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19720 del 17/09/2010), non rientrando la funzione – generica ed operativa – di magazzino nelle esenzioni previste dall’art. 62 d.lgs. n. 507 del 1993 (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 34299 del 15/11/2021).
Nel caso di specie, peraltro, la società non indica alcun elemento istruttorio oggettivo dal quale, secondo il suo assunto, dovrebbe desumersi l’assenza di superficie calpestabile per via della presenza di scaffalature e la meccanizzazione del magazzino, con conseguente esclusione pressochè
integrale della presenza umana.
Come correttamente evidenziato dalla CTR, del resto, la condizione di impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti, e non dalla contingente modalità di utilizzazione dei locali, laddove la funzione di magazzino, deposito o ricovero è una funzione operativa generica, come tale non rientrante nella previsione legislativa di cui all’art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993.
In quest’ottica, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 8753 del 28/03/2023 ha affermato che la superficie destinata ad autorimessa o a magazzino, essendo potenzialmente idonea alla produzione di rifiuti urbani, va computata ai fini della determinazione della parte fissa dell’imposta, a prescindere dalla mancata produzione in concreto dei rifiuti o dalla mancata fruizione del servizio pubblico ad essi dedicato, condizioni che è il contribuente a dover provare.
Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 649, l. n. 147/2012 e 15, punto 4, regolamento UIC, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR ritenuto assoggettabili a Tari anche le ulteriori (rispetto al magazzino) aree specificamente da essa individuate sia nella denuncia di inizio attività del marzo 2015 sia negli atti di impugnazione davanti al giudice tributario, nonostante fossero improduttive di rifiuti perché occupate da locali tecnici.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Come si è anticipato nell’analizzare i precedenti motivi, il presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani, secondo l’art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti: l’esenzione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate perché ivi si producono rifiuti speciali, come pure l’esclusione di parti di aree perché inidonee alla produzione di rifiuti, sono subordinate all’adeguata delimitazione di tali spazi ed alla presentazione di documentazione idonea a dimostrare le condizioni dell’esclusione o dell’esenzione; il relativo onere della prova incombe al contribuente.
Ebbene, a fronte dell’affermazione della CTR secondo cui <>, la ricorrente, piuttosto che denunciare una violazione di legge, ha sostenuto l’omesso esame di elementi istruttori (la denuncia iniziale di nuova utenza non domestica del marzo 2015 e la perizia asseverata volta a ricostruire il ciclo produttivo dei rifiuti, nonché a riepilogare le superfici e la destinazione dei singoli locali) che avrebbe potuto far valere solo attraverso un vizio motivazionale, non consentito in presenza di una cd. doppia conforme.
D’altro canto, il Consorzio resistente ha ammesso (cfr. pag. 17 del controricorso) di aver calcolato la superficie imponibile di cui all’avviso di pagamento già al netto di quelle dedicate in via esclusiva al transito di veicoli ed al magazzino meccanizzato.
Senza tralasciare che, in violazione del principio di autosufficienza, la contribuente ha altresì omesso di trascrivere, almeno nei loro passaggi maggiormente significativi, i detti documenti il cui esame asserisce essere stato omesso, precludendone anche una valutazione in termini di decisività.
5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita di essere accolto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 3.376,00 per compensi ed € 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cap;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 27.3.2025.