Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30881 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30881 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
DINIEGO RIMBORSO -IRPEF 2006
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9232/2017 R.G. proposto da: NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO preso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 5773/37/2016, depositata il 5 ottobre 2016;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del l’11 settembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
1. In data 26 novembre 2009 NOME NOME presentava all’Agenzia delle Entrate Ufficio di Roma 2 istanza di rimborso IRPEF ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, chiedendo la restituzione della somma di € 10.569,09.
Deduceva, in particolare, che egli, assunto in data 2 maggio 1960 dalla Banca Commerciale Italiana, sede di Milano, sottoscrisse contestualmente un atto di iscrizione al Fondo RAGIONE_SOCIALE per il personale della stessa Banca, operante per le finalità di previdenza complementare in favore dei propri iscritti. In conseguenza di ciò, egli aveva dovuto obbligatoriamente versare a detto Fondo, dalla data di assunzione alla cessazione del rapporto, un contributo in percentuali crescenti (dal 4,50% al 7,75%); tali contributi avevano prodotto la prestazione di una pensione di reversibilità dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre 2003, alcune somme una tantum per gli anni 2004 e 2005, ed infine nel 2006 l’erogazione di un importo mediante pagamento di capitale in sostituzione della rendita originaria, conseguentemente alla trasformazione delle rendite in capitale come misura di riequilibrio ex art. 11 del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124.
Tali somme, erogate nel 2006, erano state assoggettate a tassazione separata; il contribuente, a tal proposito, riteneva che il Fondo in questione: i ) non avesse dedotto dall’imponibile dei contributi versati il limite del 4% della retribuzione annua, secondo quanto previsto dall’art. 17, comma 2, del d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi); ii ) non avesse tenuto conto del fatto che le somme versate erano rappresentative del provento sostitutivo del valore attuale di una prestazione periodica, ed erano state erogate in sostituzione delle rendite medesime, già tassate nei limiti dell’87,50%, e ch e quindi esse erano imponibili secondo i medesimi criteri, e dunque con l’applicazione della ritenuta del 12,50%.
Formatosi, sull’istanza di rimborso in questione, il silenzio-rifiuto, COGNOME NOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale, con sentenza n. 6806/04/2015, depositata il 27 marzo 2015, lo accoglieva, ordinando il rimborso richiesto e compensando le spese.
Interposto gravame dal l’ Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 5773/37/2016, pronunciata ll’11 luglio 2016 e depositata in segreteria il 5 ottobre 2016, accoglieva l’appello, rigettando il ricorso originario del contribuente e compensando le spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME sulla base di due motivi (ricorso notificato il 5 aprile 2017).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Con ordinanza interlocutoria n. 4646 del 15 febbraio 2019 la sesta sezione civile di questa Corte ha disposto la trattazione del ricorso dinanzi a questa sezione.
Con decreto del 24 maggio 2024 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza
in camera di consiglio dell’11 settembre 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso NOME NOME deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2696 c.c., 17 del d.P.R. n. 917/1986, 18 dello Statuto del Fondo di previdenza, del d.lgs. n. 124/1993, nonché degli artt. 47, comma 1, lett. h-bis ) del d.P.R. n. 917/1986, dell’art. 19 (già 17), comma 2, e 51 dello stesso d.P.R. n. 917/1986, dell’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e della circolare n. 96 del Fondo Pensioni per il personale della Banca Commerciale Italiana del 6 ottobre 1975, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.; omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della co ntroversia, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Rileva, in particolare, il ricorrente, l’erroneità della decisione impugnata, per non avere quest’ultima accolto la richiesta di deduzione, dall’imponibile versato dal Fondo di previdenza complementare, dei contributi versati fino al 1994 dai lavoratori eccedenti la misura del 4% rispetto alla misura del 7,50% dei contributi versati dal dipendente in costanza del rapporto di lavoro.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, invece violazione e falsa applicazione degli artt. 2696 c.c., 17 del d.P.R. n. 917/1986, 54 della legge 9 marzo 1989, n. 88, 18 dello Statuto del Fondo previdenziale, nonché violazione della circolare n. 96 del 6 ottobre 1975, violazione e falsa
applicazione del d.lgs. n. 124/1993, degli artt. 47, comma 1, lett. h-bis ) del d.P.R. n. 917/1986, 18 (già 17), comma 2, sempre del d.P.R. n. 917/1986 e dell’accordo del 10 dicembre 2004 tra Banca Intesa s.p.a. e le OO.SS.LL., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.; omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Rileva, in particolare, il ricorrente che la sentenza impugnata era errata, nella parte in cui non aveva accolto la richiesta di deduzione dal reddito imponibile dell’importo corrispondente al 12,50% dello stesso.
Così delineati i motivi di ricorso, questa Corte osserva quanto segue.
2.1. I due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono in parte infondati, ed in parte inammissibili.
Il Fondo RAGIONE_SOCIALE, nella fase iniziale, ha operato in regime sostitutivo del regime generale di previdenza obbligatoria per invalidità e vecchiaia per i dipendenti della Banca Commerciale Italiana. Inizialmente, dunque, la partecipazione di detti dipendenti al Fondo era obbligatoria, costituendo parte integrante del contratto di lavoro con la Banca Commerciale Italiana.
Successivamente, dal 1° gennaio 1955, a seguito della decisione governativa di estendere l’iscrizione dei dipendenti della banca all’assicurazione generale obbligatoria presso l’INPS, con attivazione dei corrispondenti obblighi contributivi, il Fondo, da funzione sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria, ha iniziato a svolgere la funzione di previdenza
complementare integrativa (sul punto, Cass. 28 dicembre 2016, n. 27079).
Il Fondo pensioni RAGIONE_SOCIALE, dunque, in quanto iscritto all’albo dei fondi presso la Covip e assoggettato alla sua vigilanza, costituisce una forma di previdenza complementare, concretizzandosi in una prestazione in forma di rendita realizzata in modo volontario, con lo scopo di integrare la pensione pubblica, al fine di garantire all’avente diritto un adeguato tenore di vita all’età pensionabile (in tal senso Cass. Cass. n. 27079/2016).
Per evitare una doppia trattenuta sulle retribuzioni, una a favore dell’Inps e l’altra a favore del Fondo, veniva applicato, sulla base di accordo tra la Banca ed organi di rappresentanza dei lavoratori, il meccanismo dell’incrocio contributivo (c.d. chassé-croisé ). Tale meccanismo, sorto come puro strumento di semplificazione contabile, imputava formalmente alla banca il contributo previdenziale obbligatorio gravante per legge sul lavoratore e destinato all’Inps, mentre imputava formalmente al lavoratore quello destinato al Fondo Comit. Pertanto, supponendo la corrispondenza dei due contributi, quello destinato all’Inps doveva ritenersi sostanzialmente a carico del lavoratore, in conformità alla previsione legislativa in materia; mentre quello destinato al Fondo doveva considerarsi, per il periodo compreso tra il 1955 e 1994, come posto sostanzialmente a carico della Banca; dal 1995 al 1999, poi, il contributo al Fondo era stato posto unicamente a carico della Banca.
Orbene, la questione dei presupposti dell’esenzione pro-quota di cui all ‘art. 17, comma 2, del d.P.R. n. 917/1986, vigente
ratione temporis , attiene sì all’individuazione del soggetto che ha effettivamente pagato i contributi al Fondo, ma si innesta inevitabilmente anche sulla natura obbligatoria o facoltativa dei contributi erogati al fondo di previdenza complementare.
Sulla questione, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente ribadito che «Questa Corte (Cass., sez. 6-5, 1 luglio 2020, n. 13353), con orientamento consolidato (Cass., sez. 6-5, 10 dicembre 2020, n. 28125; Cass., sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33828), ha ritenuto che la prestazione di capitale in Fondo di previdenza complementare per il personale di un istituto bancario (nella specie, il Fondo di previdenza complementare per il personale della Banca Commerciale Italiana), effettuata in favore di un ex dipendente, in forza di accordo risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo in godimento (“zainetto”), costituisce, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, reddito della stessa categoria della “pensione integrativa” cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la predetta forma di pensione. Ne consegue che la base imponibile su cui calcolare l’imposta è costituita dall’intera somma versata dal Fondo, senza che sia possibile defalcare da essa i contributi versati, in quanto, ai sensi del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 48, lett. a ), nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, gli unici contributi previdenziali e/o assistenziali che non concorrono a formare il reddito sono quelli versati in ottemperanza a disposizioni di legge (Cass., sez. 5, 8 maggio 2019, n. 1215; Cass., sez. 6-5, 4 gennaio 2018, n. 124; Cass., sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33827). Si è
chiarito che l’imponibile delle prestazioni erogate dei fondi di previdenza complementare per il personale degli istituti bancari include pertanto anche i contributi versati (d)al dipendente, attesa la natura facoltativa degli stessi (Cass. n. 27078 del 2016; Cass. n. 27079 del 2016). Sono dunque fiscalmente esenti a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 48 soltanto i contributi previdenziali obbligatori, quelli versati “in ottemperanza a disposizioni di legge”» (Cass. 16 settembre 2021, n. 25035, in motivazione, in particolare ai punti 1.4.,1.5 ed 1.6; in senso conforme, ex multis , Cass. 18 ottobre 2023, n. 28921; Cass. 12 marzo 2020, n. 7103; Cass. 11 febbraio 2020, n. 3330; Cass. 5 marzo 2018, n. 5144; Cass., sez. un., 22 giugno 2011, 13669).
In particolare, in ordine alla natura volontaria e non obbligatoria della contribuzione al fondo per cui è causa, è stato rilevato (v. le citate Cass. n. 27078 e 27079 del 2016, in motivazione) che «il Fondo pensione RAGIONE_SOCIALE, in quanto iscritto all’Albo dei fondi presso la COVIP e assoggettato alla sua vigilanza, costituisce una forma di previdenza complementare, concretizzandosi in una prestazione in forma di rendita realizzata in modo volontario, con lo scopo di integrare la pensione pubblica». E si è aggiunto che «proprio per il fatto che – come deduce lo stesso ricorrente – l’iscrizione al fondo di previdenza complementare in oggetto trova titolo nella convenzione tra datore di lavoro e lavoratore e non anche nella legge ed è, quindi, facoltativa, la base imponibile delle prestazioni effettuate dal suddetto fondo non può che essere costituita dall’intera somma da esso erogata, comprensiva dei contributi versati dal lavoratore, laddove gli unici contributi
previdenziali che non concorrono a formare il reddito e restano fiscalmente esenti (o, comunque, assoggettati a diverso regime di computo della base imponibile, come in materia di applicazione della franchigia per cui è causa) sono quelli di carattere obbligatorio, versati in ottemperanza a disposizioni di legge (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33827)». (Cass. n. 28125 del 2020, cit., in motivazione).
La natura non obbligatoria della contribuzione esclude pertanto, a sua volta, l’applicabilità dell’esenzione pro quota di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17, comma 2.
Peraltro, al medesimo risultato porta comunque la non riconducibilità sostanziale (a prescindere dalla formale risultanza contabile conseguente allo chassé-croisé ) allo stesso contribuente dei relativi versamenti, secondo il già richiamato meccanismo di alimentazione del Fondo, chiarito dal consolidato orientamento di questa Corte (adde , da ultimo, Cass. 25 maggio 2023, n. 14664; Cass. 19 luglio 2023, n. 21441; Cass. 31 agosto 2023, n. 25508).
In considerazione dell’imputazione effettiva dei contributi, e della natura facoltativa e non obbligatoria della contribuzione, e comunque in relazione all’erogazione della prestazione in un’unica soluzione, capitalizzata, e non periodica, l’importo erogato è poi imponibile interamente a titolo di tassazione separata (così come ha operato il Fondo in sede di liquidazione dell’intero capitale), senza che ricorrano i presupposti per la detrazione del 12,5 per cento dall’imponibile (cfr., in materia di fondi di previdenza complementare per il personale di istituto bancario, Cass. 10 giugno 2014, n. 13101; Cass. 17 giugno 2014, n. 13779, alla cui motivazione si rimanda per la citazione
di ulteriori precedenti, anche in termini di differenziazione da Cass., sez. un., n. 13642 del 2011; Cass. 20 gennaio 2017, n. 1521; Cass. 4 gennaio 2018, n. 124; Cass. 19 dicembre 2019, n. 33827), non rilevando che la capitalizzazione sia conseguita a liquidazione coattiva del fondo (cfr. Cass. n. 28921/2023).
2.2. Come già detto, i motivi in questione sono anche inammissibili, nella parte in cui lamentano ‘omessa’ o ‘insufficiente’ motivazione della sentenza impugnata, in relazione alle questioni sollevate dal contribuente, trattandosi di motivo formulato secondo la previsione dell’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c., nel testo previgente rispetto alle modifiche introdotte dall’art. 54, comma 1, lett. b ) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabili al caso di specie, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata oltre il trentesimo giorno suc cessivo all’entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge (art. 54, comma 3, d.l. n. 83/2012, conv. dalla l. n. 134/2012).
Il ricorso deve quindi essere integralmente rigettato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna COGNOME NOME alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate , delle spese del presente giudizio,
che si liquidano in € 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dov uto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, l’11 settembre 2024.