Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3201 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3201 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
Diniego rimb. IRPEF 2002
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28359/2016 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in INDIRIZZO, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 6211/10/2015, depositata in data 25 novembre 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Contro il rifiuto tacito relativo all’ istanza di rimborso per l’IRPEF relativo all’anno 2002 opposto dall’RAGIONE_SOCIALE di Roma ricorreva, dinanzi alla C.t.p. di Roma, NOME COGNOME ed instava
per una richiesta totale del rimborso (per € 289.555,47) sulla base della considerazione che, in virt ù di quanto previsto dal c.c.n.l. per i dirigenti di aziende industriali, le somme ricevute scaturivano da un contratto avente ad oggetto la tutela assicurativa sulla vita -e per una richiesta, in via subordinata, parziale (per € 189.955,66) in quanto sull’imponibile a lui liquidato come previdenza integrativa aziendale non era stata applicata l’aliquota del 12,50% ma una maggiore aliquota maggiore determinata in sede di liquidazione del trattamento di fine rapporto.
La RAGIONE_SOCIALE, innanzi alla quale non si costituiva l’ufficio finanziario, accoglieva la richiesta avanzata in via subordinata.
Contro tale decisione proponeva appello l’Ufficio finanziario dinanzi la C.t.r del Lazio e si costituiva il contribuente; tale Commissione, con sentenza n. 107/20/08 accoglieva l’appello.
Il contribuente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della C.t.r. sostenendo, in sintesi, la natura previdenziale e non assicurativa del fondo di previdenza integrativa aziendale (PIA) in seguito alle modifiche apportate dall’accordo del 16 aprile 1986.
La Corte di Cassazione, con ordinanza del 4 dicembre 2013, n. 27209 accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla C.t.r. del Lazio per un nuovo esame della controversia richiamando il principio statuito dalla sentenza del 22 giugno 2011, n. 13642 secondo la quale «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 23 aprile 2004 n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette a seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli articoli 16, comma I lett. a) del TUIR
solo per quanto riguarda la sorte capitale corrispondente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cosiddetto rendimento si applica la ritenuta del 12,50% prevista dall’art. 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, lett. a) e 17 del TUIR».
Il contribuente riassumeva il giudizio dinanzi la C.t.r. del Lazio chiedendo il riconoscimento di un rimborso di € 168.847,41, alla luce della natura assicurativa della previdenza integrativa aziendale PIA convertita in FONDRAGIONE_SOCIALE; si costituiva anche l’ufficio finanziario che instava per il rigetto del ricorso ritenendo fosse onere della parte provare che le somme per le quali pretendeva la tassazione ad aliquota agevolata rappresentassero effettivamente la liquidazione del rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato e contestando la sussistenza del preteso rendimento sulla base RAGIONE_SOCIALE disposizioni contrattuali di cui all’accordo RAGIONE_SOCIALE del 16 aprile 1986.
Con la sentenza n. 6211/2015, depositata in data 25 novembre 2015, la RAGIONE_SOCIALEtRAGIONE_SOCIALE accoglieva l’appello dell’ufficio finanziario.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
Questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 19979 del 2023, disponeva il rinvio a nuovo ruolo per consentire la fissazione di una nuova udienza, per come richiesto dal difensore, a cagione del mancato rispetto del termine di 60 giorni per la comunicazione dell’avviso di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio fissata per il giorno 24/05/2023, ex art. 380 bis.1 c.p.c nella formulazione riformata dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. “Riforma Cartabia”), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, applicabile ratione temporis anche al ricorso in oggetto .
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 15 dicembre 2023 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 63 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 384 e 392 ss cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; nonché 1362, 1363, 2729 cod. civ. in relazione all’art. 115 cod. proc. civ. ed ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» il ricorrente lamenta l’ error in iudicando e l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha erroneamente applicato il dictum della sentenza RAGIONE_SOCIALE SS.UU. n. 13642/2011, nonché per aver negato valore alle prove allegate.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1, comma secondo, 53, 54 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.» il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di pronunciarsi sulla censura relativa al diritto al rimborso degli interessi, ripresentata dal contribuente in sede di riassunzione del giudizio.
Va premesso che si controverte in relazione ad una richiesta di rimborso avanzata da un dirigente RAGIONE_SOCIALE in ordine alle trattenute sulle prestazioni erogate dalla medesima RAGIONE_SOCIALE in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, in aggiunta al trattamento di fine rapporto. In particolare, cessato il rapporto di lavoro, il contribuente riceveva dall’RAGIONE_SOCIALE la somma corrispondente alla liquidazione della propria rendita sulla quale era operata una ritenuta con applicazione della stessa aliquota applicata in sede di liquidazione dell’indennità di fine rapporto. La tesi del contribuente è che il prelievo fosse illegittimo perché la prestazione avrebbe dovuto essere assoggettata a ritenuta nella misura del 12,50%, in
particolare in ipotesi di erogazione a fronte di polizze di assicurazione sulla vita, stipulata in epoca antecedente al 28/04/1993, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 13, comma 9, d.lgs 21 aprile 1993, n. 124, 1, comma 5, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, art. 6 legge 26 settembre 1985, n. 482.
I due motivi, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono fondati.
Come sopra evidenziato, il principio di diritto affermato dall’ordinanza con la quale questa Corte ha disposto il rinvio era lo stesso di quello affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.13642 del 2011 (ovvero applicazione della ritenuta del 12,50% alle somme rinvenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, per tale dovendosi intendere il rendimento netto imputabile alla gestione del Fondo sul mercato del capitale accantonato) e va rilevato che, questa Corte, con numerose pronunce sulla res controversa , sempre in continuità di quel principio, (Cass. 10/06/2016, n. 11941, Cass. 18/10/2017, n. 24525, Cass. 15/06/2018, n. 16116) ha chiarito che le somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento sono le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non necessariamente finanziario, ma non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate; nel caso in esame, non sussistendo contestazione sulla circostanza che la prestazione oggetto di controversia sia stata interamente erogata dal Fondo RAGIONE_SOCIALE, la sentenza impugnata, nel riconoscere la sussistenza dei rendimenti sulla base della mera certificazione RAGIONE_SOCIALE dalla quale, per come riportata dalla stessa sentenza impugnata, non si rinvengono somme investite sul mercato, ha malamente applicato il principio cui doveva uniformarsi. Inoltre, con
riferimento al basilare concetto di “rendimento”, le Sezioni Unite precisano in motivazione che: a) si tratta del rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. Tale rilievo, riguardante specificamente la previdenza complementare aziendale per i dirigenti dell’RAGIONE_SOCIALE (disciplinata dagli accordi sindacali del 1986 e del 1998), chiarisce e integra la RAGIONE_SOCIALE portata regolatrice del principio di diritto; b) che il prospetto RAGIONE_SOCIALE certifica esclusivamente la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale: sul punto Cass. 21/10/2021, n. 29479 ricorda come, con estrema chiarezza, che la PIA non ha potuto né, tantomeno, avrebbe potuto svolgere – quale Fondo interno con accantonamento a bilancio RAGIONE_SOCIALE – un’attività di investimento sui mercati finanziari. Pertanto, nessun rendimento derivante dall’investimento, da parte del Fondo PIA, sui mercati finanziari è ipotizzabile. La configurabilità di un rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato risulta incompatibile con il tenore dell’accordo RAGIONE_SOCIALE del 16 aprile 1986, in quanto l’importo della prestazione spettante al dirigente era predeterminato in anticipo sulla base del rapporto tra l’ultima retribuzione e la pensione. Il rendimento altro non è che la mera differenza da quanto affluito nel Fondo PIA e quanto erogato in concreto ai dirigenti (conf. Cass., 03/05/2022, n.13838); c) che simili conclusioni, del resto, sono asseverate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti – sezione del controllo sugli enti -proprio sul bilancio consuntivo di RAGIONE_SOCIALE, relativo all’esercizio finanziario 1997 (Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 13/11/2019, n. 29396; Cass. 23/11/2020, n. 26543). Ancora, più di recente, è stato ribadito (Cass. 14/09/2023, n. 26594) che dal punto di vista processuale, il contribuente che impugna il rigetto dell’istanza di rimborso è attore in senso sostanziale, come tale onerato di provare il fondamento della pretesa azionata, cioè a dire tenuto a dimostrare: i) se il fondo abbia impiegato sul mercato il
capitale accantonato; ii) quale (e quanto) sia stato il rendimento di gestione conseguito da tale impiego; iii) in qual modo sia stata determinata l’assegnazione RAGIONE_SOCIALE eventuali plusvalenze alle singole quote individuali del fondo attribuite al dipendente, onde individuare la parte dell’indennità ricevuta da ascrivere a rendimenti da investimenti sul mercato (Cass. 02/04/2020, n. 7660; Cass. 28/02/2020, n. 5494; Cass. 18/11/2020, n. 26198; Cass. 23/11/2020, n. 26543). E, come ha espressamente precisato questa Corte, siffatto onere probatorio non può ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio «al conteggio proveniente dall’RAGIONE_SOCIALE, prodotto dal contribuente, che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato»
3.1. Sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha fatto applicazione dei superiori principi con una motivazione ampia ed esaustiva essendosi attenuta ai princìpi di diritto enunciati dalla precedente sentenza di questa Corte, che aveva annullato la precedente sentenza di appello e rinviato alla C.t.r. del Lazio affinché accertasse «il rendimento derivante dall’impiego sul mercato del capitale costituito dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati a fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore. In particolare, il giudice di rinvio dovrà effettuare un accertamento sulla natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%».
La negazione del diritto al rimborso comporta logicamente anche ila negazione degli accessori sulla relativa sorte.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese di giudizio che liquida in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a ti tolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 15 dicembre 2023.