Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 139 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 139 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 19249/2019, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME NOME , rappresentate e difese, per procura in calce al controricorso, dall’Avv . NOME COGNOME ed elettivamente domiciliate presso il suo indirizzo di p.e.c. (avvEMAIL)
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1080/06/2018 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 21 giugno 2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 novembre 2023 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME dirigente Enel, richiese nell’anno 2004 la liquidazione di una quota del proprio fondo pensione fino ad allora maturato (cd. fondo ‘PIA’), in forza dell’accordo siglato con la società datrice.
Sull’importo corrisposto, quest’ultima operò una ritenuta Irpef pari al 35,39%. Il 19 aprile 2008 il contribuente presentò istanza di rimborso dell’imposta versata per la parte eccedente l’aliquota del 12,5 %, prevista dall’art. 6 della l. 26 settembre 1985, n. 482, relativamente alla liquidazione del capitale maturato come rendimento indicato nella certificazione datoriale, assumendo che l’erogazione aveva natura di reddito di capitale in dipendenza di contratto assimilabile a un rapporto assicurativo, e non di TFR.
Il diniego dell’Amministrazione fu impugnato vittoriosamente dal contribuente innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino, con sentenza successivamente confermata dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte, adìta con gravame dall’Agenzia delle entrate.
Quest’ultima impugnò la decisione d’appello innanzi a questa Corte, la quale, con sentenza n. 8146/2015, la annullò con rinvio richiamando il principio di diritto di cui alla decisione delle Sezioni Unite n. 13642 del 2011, in base al quale sono assoggettate all’aliquota agevolata le sole somme che
costituiscono il ‘ rendimento netto ‘ , imputabile alla gestione sul mercato del Fondo capitale accantonato.
Riassunta per le cure del contribuente, la causa fu nuovamente decisa dalla C.T.R. in senso a lui favorevole, sul rilievo del fatto che l’accordo istitutivo del fondo pensione era sorto come contratto di assicurazione sulla vita e tale natura non era mutata per effetto della sua conversione in ‘rapporto previdenziale integrativo’; in tale ottica, il datore aveva effettuato accantonamenti a bilancio sulla cui redditività era possibile calcolare il rendimento ordinario ipotizzabile -e soggetto a tassazione secondo l’aliquota del 12,50% come risultava da un elaborato peritale prodotto dal contribuente.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di due motivi. Resistono le eredi dell’intimato con controricorso, illustrato da successiva memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 384 cod. proc. civ., lamentando che la C.T.R. non si sarebbe uniformata al principio di diritto dettato dalla sentenza di questa Corte che ne aveva annullato il precedente decisum .
Osserva, in particolare, che il rinvio era stato disposto onde procedere all’accertamento dell’effettivo investimento sul mercato dei capitali rinvenienti dalla contribuzione, dei risultati di tale investimento e delle eventuali assegnazioni di plusvalenze ai singoli dirigenti contraenti; tale accertamento avrebbe poi consentito la quantificazione della parte di somma
erogata corrispondente al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato, sulla quale applicare l’aliquota del 12,5%.
Assume, quindi, che i giudici del rinvio non avrebbero compiuto alcun accertamento in tal senso, poiché non hanno proceduto ad alcuna verifica degli investimenti operati sul mercato dal fondo e dei conseguenti eventuali rendimenti.
Il secondo motivo, formulato in via di subordine, denunzia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Secondo l’Amministrazione, la C.T.R. avrebbe trascurato di considerare le controdeduzioni da lei svolte con riguardo all’elaborato peritale depositato dal contribuente, attinenti al fatto che lo stesso non consentiva l’individuazione degli investimenti effettuati e dei relativi rendimenti.
Il primo motivo è fondato.
3.1. Con la sentenza n. 8146/2015, questa Corte aveva cassato la prima sentenza d’appello, rinviando alla C.T.R. affinché accertasse «se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali, e, sulla scorta di tale indagine, quantifichi la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione, sul mercato, del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcoli l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, secondo la disciplina dettata
dall’articolo 6 1. 482/85; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma l lett. a) e 17 del TUIR».
3.2. Il principio di diritto così affermato, ribadito da questa Corte in numerosissime altre occasioni, vale a significare che il meccanismo impositivo di cui all’art. 6 della l. n. 482 del 1985 ( che prevede l’ aliquota del 12,5% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale (variamente denominato ‘PIA’ o ‘FONDENEL’) da epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993, sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31.12.2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale.
Inoltre, vale la pena rimarcare che per “rendimento del capitale” deve intendersi, come espressamente precisato nella pronunzia n. 13642/2011 delle Sezioni Unite, il «rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato», la cui quantificazione va compiuta dal giudice di merito sulla base di una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, che accerti natura e quantità del rendimento che sarebbe stato erogato a favore del contribuente, «verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al
12,5%» (così, da ultimo, questa Corte con l’ordinanza n. 30696/2023).
3.3. La stessa pronunzia delle Sezioni Unite aveva ulteriormente specificato che «il trattamento tributario delle prestazioni erogate» dal fondo PIA per i dirigenti Enel «non è, e non può essere, indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse, che, nel caso concreto, trattandosi di un Fondo di previdenza complementare, aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale pr evalente, sono composte da una ‘sorte capitale’ , costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un ‘rendimento netto’ , imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato», dal che deve dedursi la tassazione in modo analogo al TFR esclusivamente delle somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza si applica la tassazione nella misura del 12,50%.
Infine, questa Corte, con l’ultima ordinanza richiamata (nonché, fra le altre, con la sentenza n. 7223/2020), ha precisato che il criterio impositivo più favorevole della tassazione secca del 12,5% riguarda soltanto le somme che costituiscono il rendimento di gestione conseguito dall’effettivo impiego, da parte del Fondo, sul mercato del capitale accantonato, la cui prova grava sul contribuente, quale attore sostanziale del preteso rimborso Irpef.
3.4. Tale essendo l’articolato contenuto del principio affermato in sede di annullamento con rinvio, corredato del quadro interpretativo nel quale esso si colloca, è evidente come dallo stesso si siano discostati i giudici d’appello.
Questi ultimi, infatti, hanno applicato il beneficio sul l’intero rendimento netto del fondo previdenziale, in forza della sua affermata natura ‘assicurativa’, e hanno fatto riferimento, al riguardo, ad un elaborato peritale prodotto dal contribuente, che ha ricostruito in termini ipotetici la redditività degli accantonamenti effettuati a bilancio dall’Enel.
Del resto, è la stessa parte controricorrente a significare espressamente -con richiamo ad una ‘relazione tecnica’ già prodotta -di aver calcolato il rendimento netto sul quale operare la tassazione agevolata non già sulla quota di capitale investita, ma sull’intero patrimonio operativo dell’Enel, mediante applicazione di un criterio di computo attuariale (v. controricorso, pagg. 49-51).
3.5. Siffatto criterio, tacendo d’ogni altra considerazione , non consente di accertare, così come richiesto in sede di rinvio, l’effettivo incremento della quota individuale del Fondo.
Questa Corte, d’altro canto, ha più volte affermato, in occasioni analoghe, che il requisito dell’imputabilità del rendimento alla gestione sul mercato del capitale accantonato non può considerarsi soddisfatto dall’esser lo stesso corrispondente alla redditività sul mercato dell’intero patrimonio Enel (si vedano, fra le altre, Cass. n. 7728/2019; Cass. n. 4943/2018).
La coerenza del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’Enel costituisce, infatti, comunque «un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perché abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso
dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale» ( così, testualmente, l’ultima delle pronunzie poc’anzi citate ).
Sulla base di tali rilievi, il motivo va ritenuto fondato; consegue l’accoglimento del ricorso senza necessità di scrutinio della restante censura, formulata in via di subordine.
Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata.
Non appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto, poiché la vicenda fiscale è stata ampiamente scrutinata anche sul piano dell’apprezzamento del materiale probatorio da parte dei giudici di merito; pertanto, in ossequio al principio della ragionevole durata del processo e come statuito in relazione ad analoghi precedenti, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto dell’originaria domanda di rimborso del contribuente.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo; possono integralmente compensarsi le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, assorbito il restante, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda di rimborso del contribuente; condanna le parti controricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 7.300,00, oltre spese prenotate a debito; compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2023.