Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 35081 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 35081 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
Rimborso IRPEF – Ex dirigente RAGIONE_SOCIALE Fondo integrativo PIA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12443/2017 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 1977/13/2016, depositata in data 8 aprile 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME ex dirigente RAGIONE_SOCIALE ( d’ora in avanti solo RAGIONE_SOCIALE), iscritto al Fondo pensione denominato ‘PIA’ (previdenza integrativa aziendale), in quiescenza dal 31 gennaio 1993, presentò all’Amministrazione finanziaria istanza di rimborso IRPEF della
differenza tra quanto versato all’erario dal sostituto d’imposta Enel e quanto dovuto per effetto dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, prevista per i redditi di capitale dall’art. 42, comma 4, t.u.i.r., e dall’art. 6 l. 482/1985. Formatosi il silenzio-rifiuto, il contribuente impugnò il diniego chiedendo la condanna dell’erario al rimborso di Euro 39.776,61, oltre interessi. La Commissione tributaria provinciale di Lodi respingeva il ricorso, stante la natura previdenziale del Fondo PIA.
Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la decisione di primo grado ritenendo corretta l’applicazione, da parte dell’E nel, dell’aliquota prevista per la tassazione separata di cui agli artt. 16 e 17 t.u.i.r. atteso che , per effetto dell’esercizio del diritto di opzione, l’originario contratto riconducibile all’assicurazione sulla vita era stato sostituito con un ‘trattamento previdenziale integrativo, con caratteristiche diverse: assenza di rischio, diversità di calcolo delle somme da erogarsi, diversità di accollo’; inoltre, le erogazioni per la costituzione del fondo erano in gran parte a carico dell’Enel .
Il contribuente proponeva, quindi, ricorso per cassazione affidato a due motivi, ovvero: a) la violazione degli artt. 16, 17, comma 2 (vecchia numerazione) e 42, comma 4, t.u.i.r., 6 l. 482/1985, 1, comma 5, d.l. n. 669/1996 conv. con mod. dalla legge n. 30/1997, dovendo applicarsi l’aliquota del 12,50% trattandosi di rapporto assicurativo costituito prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 124/1993 e mai cessato; b) l’insufficiente motivazione su di un punto decisivo e controverso, ovvero l’accordo co llettivo del 16/4/1986 ENEL/FNDAI, al fine di valutare se fosse effettivamente intervenuta la conclusione di un nuovo contratto di natura previdenziale.
Con la sentenza n. 19572/2014 questa Corte, accolto il ricorso del contribuente, cassò con rinvio la pronuncia di appello e prescrisse al giudice del merito di attenersi ai principi statuiti dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13642/2011, per la quale la ritenuta del 12,50%,
prevista dall’art. 6 della legge n. 482 del 1985, va applicata solo sulle somme rinvenienti dalla liquidazione del cd. rendimento, dovendosi con tale espressione intendere «’il rendimento netto’ imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato».
Giova trascrivere, per quanto qui interessa, la motivazione della stessa sentenza: «…non è stato neppure compiuto un accertamento sulla natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e q uale sia stato) l’impiego dal parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi in ogni caso, alla luce dell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, so lo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%.
Il ricorso deve essere dunque parzialmente accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata nel senso indicato e con rinvio della causa, anche in punto di spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Commissione Tributaria della Lombardia, perché accerti, in coerente applicazione con il principio enunciato, sulla base delle norme contrattuali applicabili, la natura e la quantità del rendimento liquidato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale s ia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a q uest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50% secondo la disciplina dettata dalla L. n. 428 del 1985, art. 6; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 del testo unico delle imposte dei redditi».
Riassunto il giudizio dal contribuente, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, rigettava l’appello evidenziando che, come desumibile dalla stima depositata dallo stesso ricorrente, l’E nel aveva sempre finanziato il
programma PIA mediante una serie di accantonamenti effettuati a bilancio senza individuare uno specifico patrimonio di destinazione, ciò almeno fino all’accordo del 23 gennaio 1998, con cui la PIA si trasformava in RAGIONE_SOCIALE
Poiché il contribuente, assunto in data 1° gennaio 1947, era andato in pensione il 31 gennaio 1993, era stato, quindi, assoggettato al solo Fondo PIA ‘che non ha mai effettuato investimenti sul mercato mobiliare per cui non è individuabile nessun rendimento da sottoporre a tassazione al 12,50%’ (pag. 3 della sentenza).
Avverso questa decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a sette motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 1 2/12/2024.
Il ricorrente ha depositato, in data 29 novembre 2024, memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Con il primo strumento di impugnazione il contribuente deduce la «violazione o falsa applicazione degli artt. 6 della Legge n. 482 del 1985, 42, 4° comma del D.P.R. 22/12/1986, n. 917 (nel testo applicabile ratione temporis), 1, comma 5, DL. 31/12/1986 n. 669 (convertito dalla L. 28/02/1997, n. 30) e 16 e 17, del DPR 22/ 12/1986, n. 917 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ». Sostiene, in particolare, che con l’ordinanza di rinvio n. 19572/2014 la Suprema Corte aveva richiamato il principio affermato dalle Sezioni Unite nelle decisioni nn. 13642 e 13643 del 2011, ed osserva che in queste ultime il riferimento al ‘rendimento netto’ imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato era riferito alla fattispecie RAGIONE_SOCIALE. Secondo l’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 124/1993 i ‘rendimenti’ prodotti dalla gestione dei ‘vecchi fondi’, quali la PIA, non perdevano la loro caratteristica di rendimenti di origine assicurativa -pur se non prodotti da imprese assicuratrici -a condizione che ricorresse l’adozione, da parte degli stessi Fondi, delle
‘riserve matematiche’ e dei sistemi tecnico -finanziari della capitalizzazione tipici delle imprese assicurative. Nella specie la gestione delle risorse poteva essere affidata al datore di lavoro, il quale era quindi legittimato ad investire i fondi all’int erno della propria attività economica (come poi avvenuto, v. attestazione Enel a firma del dott. COGNOME e relazione tecnica, allegate al ricorso). Richiama, a sostegno del proprio assunto, alcune circolari dell’Agenzia delle entrate e sottolinea, poi, ulteriori argomenti, ovvero: a) l’inquadramento giuridico della PIA; b) il capitale della PIA; c) la ‘gestione del capitale sul mercato’; d) l’individuazione ed il calcolo del ‘rendimento netto’ liquidato al ricorrente.
In definitiva, la CTR avrebbe erroneamente proceduto alla ‘ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge applicabile al caso in esame’ e ‘ritenuto che il rendimento percepito dal contribuente non sia riconducibile al cosiddetto rendimento individuato dall’art. 6 della Legge n. 482/1995’ (pag. 31 del ricorso).
Con il secondo strumento di impugnazione il ricorrente lamenta la «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 167 c.p.c. e 7 del D. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.». Assume, in particolare, che l’ammontare e la tipologia del rendimento non erano stati contestati dall’Ufficio nei due gradi di merito, né nel (primo) controricorso per cassazione, per cui dovevano considerarsi fatti certi acquisiti al giudizio, da porre a base della decisione ai sensi degli artt. 115 e 167 cod. proc. civ.. Il ricorrente aveva, infatti, prodotto la certificazione dell’Enel rilasciata dal dott. COGNOME NOME (munito di tutti i poteri di gestione e rappresentanza della società), dalla quale era desumibile il rendimento netto.
Con il terzo strumento di impugnazione il contribuente lamenta la «violazione eo falsa applicazione degli artt. 7 e 63 del D. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. ». Assume, in particolare, di aver assolto al proprio onere probatorio mediante il
deposito della certificazione Enel a firma del dott. COGNOME e della perizia allegata al ricorso.
Con il quarto motivo lamenta la «violazione e/o falsa applicazione d ell’ art. 2697 c.c., 1 D. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 163 nn. 4 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 360 , n. 3 c.p.c.». Assume, in particolare, che, in virtù del principio di libertà della prova, la parte ha ‘diritto di proporre al Giudice i mezzi che ritiene più idonei a a provare il suo diritto’ (pag. 51 del ricorso).
Con il quinto motivo il contribuente deduce la «illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., del fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nella individuazione della tipologia di rendimento». In particolare, ribadisce di aver depositato ‘apposite certificazioni dell’ENEL attestanti l’ammontare del rendimento maturato’ ed una perizia di parte (a firma del dott. COGNOME ‘che spiegava le modalità attraverso le quali l’Enel ha individuato nel tempo gli accantonamenti a bilancio per il finanziamento della RAGIONE_SOCIALE, elaborato una proiezione a livello individuale di tali accantonamenti ed individuato, sempre a livello individuale, una stima dei rendimenti generati dagli accantonamenti effettuati ‘ (ancora pag. 51 del ricorso).
Con il sesto motivo il contribuente deduce la «illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., del fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nella quantificazione del rendimento». In particolare, afferma che dalla certificazione proveniente dall’Enel a firma dott. COGNOME risultavano quantificati il capitale, i contributi ed il rendimento conseguito. La CTR avrebbe omesso l’esame di detta certificazione.
Con il settimo (ed ultimo) motivo lamenta «la violazione dell’art. 63 D. Lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 384 e 392 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.». Deduce, in particolare, che la CTR avrebbe applicato in modo apparente ed errato il principio di diritto enunciato nell’ordinanza di rinvio, avendo rimesso in discussione l’ an
del rendimento, esimendosi dall’accertare il quantum . Il giudice del rinvio avrebbe omesso di considerare che la P.RAGIONE_SOCIALE. integrava una forma pensionistica non obbligata ‘a ricorrere ad una gestione assicurativa’, in cui la ‘gestione delle risorse poteva essere affidata al datore di lavoro’ (pag. 61 del ricor so).
I motivi sono tutti infondati.
Il primo, il terzo ed il settimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto aventi tutti ad oggetto la questione della natura del Fondo PIA e della relativa tassazione.
9.1. Per chiarire i termini della questione di diritto in esame occorre innanzitutto ricordare la fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 22/06/2011, n. 13645; conforme la coeva n. 13642), secondo cui «in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, solo per quanto riguarda la ‘sorte capitale’, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si ap plica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della l. 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a) e 17 del d.P.R. n. 917 cit.».
9.2. Con specifico riferimento al Fondo PIA (e all’analogo strumento finanziario Fondenel, cui sono stati trasferiti i fondi di PIA a partire dal 1998), questa Corte, anche di recente ( ex multis , Cass. 06/03/2019, n. 6514, da ultimo consolidata, tra le altre, da Cass.
13/05/2021, n. 12860; Cass. 19/07/2021, n. 20617; Cass. 21/10/2021, n. 29479; Cass. 19/07/2022, n. 22670; Cass. 14/07/2023, n. 20332), ha puntualizzato come la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6, della legge n. 482 del 1985, sulle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento, possa applicarsi solo agli importi derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, dovendo invece escludersi tale più favorevole tassazione rispetto alle somme versate dal contribuente ad un Fondo PIA che non abbia mai investito sul mercato finanziario (Cass. 29/12/2011, n. 29583; Cass. 12/01/2012, n. 280; Cass. 04/04/2012, n. 5376; Cass. 25/05/2012, n. 8320; Cass. 27/03/2013, nn. 7724-7728; Cass. 22/05/2013, nn. 12491-12496; Cass. 02/10/2013, n. 22492; Cass. 09/10/2013, n. 22950; Cass. 12/02/2014, n. 3132; Cass. 19/03/2014, n. 6380; Cass. 09/04/2014, n. 8310; Cass. 04/02/2015, n. 1977; Cass. 22/05/2015, n. 10604; Cass. 13/01/2017, n. 720; Cass. 15/06/2018, n. 15853; Cass. 19/06/2018, n. 16116).
Costituiscono, quindi, il ‘rendimento netto’, come ha ulteriormente precisato questa Corte, le «somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate» (Cass. 28/02/2020, n. 5487; Cass. 18/10/2017, n. 24525).
Nella prospettiva che qui rileva, pertanto, si deve escludere che possa considerarsi quale ‘rendimento’ ottenuto quello corrispondente alla redditività sul mercato dell’intero patrimonio Enel, poiché tale fattore costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti sul libero mercato (Cass. n. 5436/2018; Cass. n. 4941/2018). Si è anche rimarcato (come ampiamente argomentato in motivazione da Cass. n. 16116/2018 cit.) quale sia l ‘àmbito dell’indagine fattuale pertinente il principio di
diritto affermato dalle Sezioni unite (sent. n. 13642/2011), che impone la necessità di una «ricostruzione dell’impiego delle somme sul mercato finanziario», con apposita verifica se vi sia stato «l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accan tonato», e quale sia stato «il rendimento di gestione conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%». Inoltre, spetta al contribuente, che impugna il rigetto di un’istanza d i rimborso, quale attore in senso sostanziale, provare il fondamento della sua pretesa; l’interessato, pertanto, è tenuto a dimostrare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio al «conteggio proveniente dall’Enel, prodotto dal contribuente, che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato» (Cass. 21/12/2016, n. 720; Cass. 15/03/2017, n. 13278; Cass. 16/03/2017, n. 13281).
9.3. Così schematizzato il tema della causa, venendo ora all’esame congiunto dei motivi di ricorso, è evidente che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi ora enunciati, attenendosi alle prescrizioni della sentenza di rinvio, poiché, in sostanza, ha ritenuto, sulla base della documentazione in atti, non provati gli investimenti, da parte dell’Enel, degli importi di cui al Fondo PIA di spettanza dell’odierno ricorrente; sicché non è possibile individuare un rendimento da sottoporre a tassazione al 12,50%.
In particolare, secondo il costante orientamento sezionale va escluso che la prova del rendimento del capitale accantonato possa consistere nella certificazione Enel della redditività, sul mercato, dell’intero patrimonio netto dell’impresa, poiché tale evidenza esprime una mera operazione matematica e non è il frutto
dell’investimento di quegli accantonamenti sul libero mercato. Pertanto, nel solco della giurisprudenza di questa Corte, si rileva che dalla certificazione Enel, cui fa riferimento il ricorso in molteplici passaggi, non è possibile trarre elementi probatori idonei a dimostrare che il capitale accantonato tramite i versamenti del contribuente ha costituito una ‘posizione individuale’ ed è stato investito sul mercato di riferimento (finanziario, mobiliare, o altro mercato).
9.4. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che né la certificazione Enel né la consulenza di parte assolvono all’onere probatorio, gravante sul contribuente che agisca per vedere riconosciuto il suo diritto al rimborso, poiché non recano alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce ‘rendimento’, si da chiarire se si tratti effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (Cass. nn. 13278/2021 e 13281/2017 cit.; Cass. 03/04/2019, n. 9246; Cass. 28/04/2021, n. 11171; Cass. 04/05/2011 nn. 11611 e 11612; Cass. 28/03/2022, n. 9959). Il prospetto Enel certifica esclusivamente la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale. Quello indicato nella certificazione Enel, giova ricordarlo, è il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività conseguita sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel. D’altronde, la relazione attuariale, prodotta nel giudizio di merito e più volte menzionata nel ricorso (in disparte la considerazione che essa non è un mezzo di prova, ma mera allegazione difensiva), nulla dice circa l’incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato. In relazione a questo aspetto della lite è decisiva la sottolineatura di Cass. 21/10/2021, n. 29479, che ricorda come, con estrema chiarezza «nella nota del 28 aprile 2014 dell’Enel si afferma c he la PIA ‘non ha potuto né, tantomeno, avrebbe potuto svolgere quale Fondo interno con accantonamento a bilancio Enel -un’attività di
investimento sui mercati finanziari. Pertanto, nessun rendimento derivante dall’investimento, da parte del Fondo PIA, sui mercati finanziari è ipotizzabile’. La configurabilità di un ‘rendimento netto’ , imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato risulta incompatibile con il tenore dell’accordo Enel/Fndai del 16 aprile 1986 , in quanto l’importo della prestazione spettante al dirigente era predeterminato in anticipo sulla base del rapporto tra l’ultima retribuzione e la p ensione. Il rendimento altro non è che la mera differenza da quanto affluito nel Fondo PIA e quanto erogato in concreto ai dirigenti». Simili conclusioni, del resto, sono asseverate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti -sezione del controllo sugli enti -proprio sul bilancio consuntivo di Enel, relativo all’esercizio finanziario 1997 (Cass. n. 16116/2018 cit.; Cass. 23/11/2020, n. 26543).
9.5. I suddetti principi sono stati ribaditi da questa Corte in fattispecie perfettamente speculare a quella per cui è l’odierno giudizio (19/07/2022, n. 22670), con l’unica differenza che in quel caso la CTR, in sede di rinvio, aveva accolto la pretesa del contribuente con decisione poi nuovamente cassata da questa Corte (stavolta senza rinvio, con decisione nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. di rigetto dell’originario ricorso del contribuente).
Il secondo motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità ed infondatezza.
10.1. Sotto il primo profilo, secondo il Collegio l’interpretazione del principio di non contestazione propugnata dal ricorrente non è condivisibile in diritto.
Questa Corte costantemente afferma, in termini generali, che il principio di non contestazione «può sopperire alla mancanza di prova d’un fatto, ma non può essere utilizzato per risolvere questioni di diritto» (da ultimo, Cass. 30/01/2024, n. 2844).
Il processo tributario è caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati
allegati. Entro questo perimetro, il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. (che si applica anche al processo tributario, Cass. n. 1540/2007) non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnaz ione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato (Cass. 14/06/2023, n. 16984). Il principio di non contestazione non può neppure operare con riferimento agli atti sottostanti l’atto impositivo autonomamente ed obbligatoriamente impugnabili ex art. 21 d.lgs. n. 546/1992, quali le cartelle di pagamento (Cass. 09/08/2024, n. 22616).
Questa Corte ha avuto modo di precisare, inoltre, che il principio in esame, operando sul piano della prova, non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non può restringere il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda.
In ipotesi di domanda di rimborso del contribuente (ipotesi ricorrente nella specie) questa Corte ha precisato che «il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore -contribuente, che abbia articolato istanza di rimborso di un tributo, allorché il convenuto abbia negato l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull’ an debeatur » ( ex multis , Cass. 24/11/2022, n. 3630).
Alla luce dei sopra riportati principi deve, quindi, ritenersi inammissibile il motivo in esame, atteso che l’idoneità dei conteggi ad assurgere a prova del rendimento nei termini supra delineati, non costituisce un fatto storico, bensì, un presupposto giuridico del diritto al rimborso, la cui valutazione è rimessa al giudice tributario.
10.2. Inoltre, sotto un concorrente profilo di infondatezza, il Collegio osserva che sia in primo grado sia in appello sia in sede di rinvio l’Agenzia ha chiesto il rigetto del ricorso, del gravame e del
ricorso in riassunzione, in tal modo contestando la pretesa del contribuente.
Il quarto motivo è parimenti infondato. Se è vero, da un lato, come sostiene il ricorrente, che la parte può addurre qualsiasi mezzo di prova a sostegno della propria domanda e/o eccezione, è parimenti vero, dall’altro, che spetti al giudice la valutaz ione delle dette prove. Nella specie la CTR ha ritenuto la documentazione prodotta dal contribuente inidonea a provare il ‘rendimento netto’ delle somme accantonate nel Fondo PIA, per cui nessuna violazione della normativa indicata dal ricorrente (artt. 2697 cod. civ. e 1 d.lgs. n. 546/1992) è configurabile.
Infondati, infine, sono il quinto ed il sesto motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per la medesimezza della violazione censurata, ovvero l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia.
12.1. L’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012) ed applicabile ratione temporis , prevede, per quanto qui rilevi, che le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
…5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti .
Nonostante la ratio della riforma fosse chiara, ovvero, da un lato, evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, dall’altro, limitare il sindacato sul fatto in Cassazione, la formulazione della norma, molto criticata in dottrina, ha generato numerose questioni interpretative e questa Corte è stata chiamata a delimitare l’ambito di applicazione del motivo de quo .
In termini generali, si è affermato che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo l’anomalia motivazione che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a
prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 7/4/2014 n. 8053, Cass. Sez. U. 21/12/2022 n. 37406, Cass. n. 12111/2019).
Al di fuori di queste ipotesi, quindi, è censurabile ai sensi del n. 5) soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso , che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo ; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 2474/2017).
Per ‘fatto decisivo’ deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. n. 9637/2017).
12.2. Ciò premesso, pur volendo nella specie considerare la certificazione rilasciata dall’Enel e la perizia di parte quali ‘fatti’ nella prospettiva di cui alla norma in commento, deve rilevarsi che la perizia di parte è stata esaminata dalla CTR (che ne ha negato qualsiasi valenza probatoria perché contenente mere ipotesi di rendimento), mentre le certificazioni rilasciate dall’Enel, in particolare quella a firma del dott. COGNOME, non sono decisive (nel senso che il loro esame avrebbe comportato una diversa decisione), per quanto ampiamente argomentato supra in sede di esame congiunto dei motivi primo, terzo e settimo.
13. In base alle considerazioni svolte il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna NOME al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024.