Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 317 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 317 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
Rimborso ritenute IRPEF -Indennità di previdenza -Ex dipendenti ESSO -Erronea indicazione della parte intimata nel ricorso per cassazione -Inammissibilità – Esclusione -* Principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34202/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata in calce al ricorso incidentale , dall’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 2713/17/2018, depositata in data 27 aprile 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate ricorre, con un unico motivo, contro la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio n. 2713/17/2018 del 27/04/2018, che, a conferma della sentenza della Commissione t ributaria provinciale di Roma, rigettò l’appello dell’Ufficio, confermando l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO per il recupero di quanto rimborsato (Euro 7.132,92) al contribuente a titolo di ritenute IRPEF non dovute sulla indennità maturata quale ex dipendente della ESSO.
Con la sentenza impugnata la CTR confermava la decisione di primo grado, che aveva fatto corretta applicazione dei principi sanciti dalle Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia n. 13642/2011; richiamava, poi, l’orientamento di legittimità formatos i con riferimento a fattispecie analoga (Fondo PIA) secondo il quale alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applicava la ritenuta del 12,50%; concludeva, quindi, che correttamente l’Ufficio aveva effettuato il rimborso chiesto dal contribuente.
Il contribuente resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale, affidato a tre motivi. L’agente della riscossione è rimasto intimato.
Considerato che:
S’impone, in via preliminare, l’esame del ricorso incidentale, atteso che il contribuente eccepisce, ‘conclusivamente, ma in via preliminare’ l’inammissibilità del ricorso ex art. 366, comma primo, n. 1, cod. proc. civ., per essere stato indicato come parte resistente COGNOME NOME, ‘soggetto diverso dal contribuente interessato’, e per essere stato notificato non già a COGNOME NOME, bensì a COGNOME NOME, (pag. 27 del controricorso); con il primo motivo, inoltre, il ricorrente incidentale eccepisce l’inammissibilità del ricorso principale dell’Ufficio anche sotto altro profilo.
Orbene, la prima doglianza, pur se avanzata alla fine del controricorso, va delibata in via preliminare, investendo la regolarità del ricorso per cassazione proposto dall’Ufficio e della sua notifica.
L’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 366, comma primo, n. 1, cod. proc. civ., non ha pregio.
2.1. Secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte, infatti, il ricorso per cassazione è ammissibile, anche in caso di omessa o erronea indicazione della parte, quando dal contenuto complessivo del ricorso o persino dal riferimento agli atti dei precedenti gradi di giudizio sia agevole identificare con certezza la detta parte o si renda evidente che si sia trattato di un errore materiale: «il ricorso per cassazione è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., qualora l’identificazione delle parti contro cui è diretto manchi o sia assolutamente incerta, non essendo necessario, a tal fine, che le relative indicazioni siano premesse all’esposizione dei motivi di impugnazione o comunque esplicitamente formulate, ed essendo sufficiente (analogamente a quanto previsto dall’art. 164 c.p.c.) che esse risultino inequivocabilmente, anche se implicitamente, dal contesto del ricorso, ovvero dal riferimento ad atti dei precedenti gradi del giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza la parte intimata» (Cass. 28/03/2023, n. 8778; conf. Cass. 02/02/2016, n. 1989 nell’ipotesi in cui l’indicazione della parte nel ricorso venga completamente omessa; Cass. 27/10/2015, n. 21786 per l’ipotesi in cui il ricorrente venga indicato con il cognome della madre in luogo di quello paterno; Cass. 14/07/2015, n. 14662 per l’ipotesi in cui il ricorrente venga indicato con nome e cognome di altro soggetto); «il requisito dell’indicazione delle parti, previsto dall’art. 366, n. 1, c.p.c. a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, richiamato dall’art. 370 c.p.c. per il controricorso, deve intendersi nel senso proprio della norma generale dettata dall’ art. 163 n. 2, c.p.c., e pertanto l’inesatta indicazione della parte nella intestazione dell’atto non ne pregiudica l’ammissibilità, se il suo complessivo contenuto
rende evidente che si è verificato un mero errore materiale» (Cass. 10/01/2017, n. 240).
Con particolare riferimento all’erronea indicazione della parte intimata nel ricorso per cassazione, questa sezione, in fattispecie analoga a quella per cui è l’odierno giudizio, ha affermato che « ai fini della sussistenza del requisito della indicazione delle parti, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per Cassazione, dall’art. 366, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., non è richiesta alcuna forma speciale, essendo sufficiente che le parti medesime, pur non indicate, o erroneamente indicate, nell’epigrafe del ricorso, siano con certezza identificabili dal contesto del ricorso stesso, dalla sentenza impugnata, ovvero da atti delle pregresse fasi del giudizio, sicché l’inammissibilità del ricorso è determinata soltanto dall’incertezza assoluta che residui in esito all’esame di tali atti» (Cass. 03/01/2005, n. 57).
2.2. Ora, nella specie l’indicazione nel ricorso per cassazione proposto dall’Ufficio – quale parte intimata – e nella relata di notifica – quale destinatario della stessa – di COGNOME NOME non comporta alcuna inammissibilità dell ‘impugnazione .
Invero, l’errore materiale (consistente nell’indicazione errata di una vocale del cognome del contribuente) non ha impedito a COGNOME la ricezione del ricorso erariale, né la conoscenza di quest’ultimo, né, infine, la sua tempestiva contestazione capillare. Inoltre, l’errore non ha avuto alcuna incidenza sulla comprensibilità della vicenda processuale, dei soggetti in essa coinvolti e delle problematiche oggetto dello scrutinio della Corte.
2.3. È opportuno ribadire il seguente principio di diritto: «il ricorso per cassazione in cui manchino del tutto, o siano erroneamente indicati, il nome e/o il cognome della parte intimata, non è inammissibile ex art. 366, co. 1, n. 1), c.p.c.., se dal contenuto complessivo dello stesso ricorso, o dal suo riferimento agli atti dei precedenti gradi di giudizio, sia agevole identificare con certezza la detta parte».
Con il primo strumento di impugnazione il contribuente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 57, co. 1 e 2, D.Lgs 546/1992 e 345 c.p.c.. Improcedibilità / inammissibilità dell’appello spiegato dall’Agenzia delle Entrate in quanto fondato su ‘domande nuove’. Conseguente inammissibilità ed improcedibilità del ricorso per Cassazione proposto ai sensi dell’art. 360 e dell’art. 360 -bis c.p.c.» . Deduce che con l’appello l’Ufficio aveva proposto ‘eccezioni, difese, domande e conclusioni’ nuove, in quanto mai avanzate in primo grado e, quindi, inammissibili ex artt. 57, commi 1 e 2, d.lgs. 546/1992 e 345 cod. proc. civ.. Precisamente, l’Agenzia nel gravame si era limitata a richiamare quanto espresso nella propria risoluzione 275/E del 2009 in ordine alla tassazione separata sull’ammontare maturato sino al 31.12.2000 (stessa aliquota applicata al TFR per la sorte capitale, 12,50% per i redditi di capitale in capo al fondo comune di investimento). In primo grado, di contro, non aveva contestato i conteggi, né i documenti prodotti, anzi aveva implicitamente riconosciuto la correttezza dei conteggi (avendo in un primo momento erogato il rimborso) e si era limitata a sostenere che tutti gli importi dovevano essere assoggettati a tassazione separata.
Solo in sede di gravame l’Agenzia rilevava, invece, che la CTP avrebbe dovuto verificare l’importo del capitale e quello degli interessi, se questi ultimi fossero maturati da strumenti finanziari o meno.
L’appello, infine, era comunque inammissibile per aspecificità , non contenendo motivi, l’oggetto della domanda, la tipologia di riforma richiesta alla sentenza di primo grado e le conclusioni.
Il motivo è infondato.
3.1. È noto che il divieto di ius novorum in grado di appello è stato introdotto nel 1992 (art. 57 d.lgs. n. 546/1992), difettando, di contro, una espressa disciplina in tal senso nella pregressa normativa del processo tributario (d.P.R. n. 636/1972).
Dottrina e giurisprudenza concorde di questa Corte ( ex multis , Cass. 26/03/2002, n. 4335 e Cass. 24/12/2020, n. 29526) ritengono che il divieto in esame, benché formulato in termini generali e quindi per entrambe le parti del processo, si applichi solo al contribuente. Questo perché, sebbene sia precluso all’Ufficio di introdurre nuove ragioni a sostegno della pretesa impositiva, ciò non discende dalla previsione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992 , bensì dal divieto di modificare, in sede giudiziale, la m otivazione dell’atto impositivo impugnato. Il predetto divieto costituisce la naturale e logica contropartita del principio per cui i motivi di nullità e/o illegittimità dell’atto impositivo devono necessariamente essere dedotti dal contribuente quali motivi del ricorso introduttivo; il contribuente, quindi, non potrebbe difendersi da contestazioni e motivazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle inserite nell’atto impositivo e presentate solo successivamente, in corso di causa, ed è per questo che è pr eclusa all’Amministrazione finanziaria l’introduzione di pretese nuove rispetto all’atto già nel processo di primo grado (a maggior ragione nel grado di appello) indipendentemente dal divieto contenuto nell’art. 57. In altri termini, l’oggetto del processo tributario è circoscritto ai presupposti di fatto e alle ragioni di diritto contenuti nell’atto impositivo ed ai motivi di ricorso proposti dal contribuente in primo grado (Cass. n. 29526/2020 cit.).
Si è correttamente affermato, quindi, che è soltanto il contribuente a poter in teoria presentare domande, con il ricorso introduttivo o con il ricorso in appello, per ottenere l’eliminazione dell’atto impugnato ovvero la riduzione delle sue conseguenze e, pertanto, è nei suoi confronti che opera effettivamente e propriamente il divieto di cui all’art. 57 cit.. Il giudizio tributario è volto esclusivamente a verificare la legittimità, formale e sostanziale dell’atto impositivo impugnato, per cui l’Amministr azione finanziaria convenuta in primo grado non può presentare domande riconvenzionali né, a maggior ragione, domande nuove in appello; l’indagine sul rapporto tributario è limitata al riscontro della
consistenza della pretesa fatta valere con gli atti impositivi indicati nell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 (Cass. 31/08/2022, n. 25635).
Questa Corte ha precisato che il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio a ssume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quanto riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi . Tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con detto atto alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati ed entro i limiti delle contestazioni mosse dal contribuente. Da tale principio discende che la novità delle difese dell’Amministrazione finanziaria che ha emesso l’atto impositivo impugnato deve essere necessariamente verificata in base, non solo (e/o non tanto), alle controdeduzioni di primo grado della stessa, ma, soprattutto, in stretto riferimento alla pretesa effettivamente avanzata con detto atto, ovvero alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati (Cass. 27/09/2019, n. 17231; Cass. 07/10/2024, n. 26214).
Quello che, pertanto, l’Amministrazione finanziaria non può mutare sono i termini della contestazione, deducendo motivi diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento ed avanzando nell’appello pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della causa petendi , da quelle recepite nell’atto impositivo, altrimenti ledendosi la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l’esternazione dei motivi di ricorso, i quali, necessa riamente, vanno rapportati a ciò che nell’atto stesso risulta esposto (Cass. 10/05/2019, n. 12467).
Nello stesso senso si è precisato che nel processo tributario la parte resistente la quale, in primo grado, si sia limitata ad una contestazione generica del ricorso, può rendere specifica la stessa in sede di gravame poiché il divieto di proporre nuove eccezioni in
appello, posto dall’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, riguarda solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine (Cass. 23/05/2018, n. 12651).
3.2. Nella specie, alla luce dei principi appena richiamati, deve ritenersi che l’Ufficio non abbia affatto proposto in appello domande e/o eccezioni nuove, avendo unicamente precisato la difesa svolta in primo grado e dedotto un presupposto di diritto (valutabile ex officio dal giudice del merito, ovvero l’effettivo investimento in titoli dei contributi versati) della pretesa del contribuente al rimborso di quanto versato dalla Cassa di Previdenza della ESSO in sede di erogazione dell’indennità.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale il contribuente deduce l’omessa pronuncia, da parte della CTR, sull’eccepita inammissibilità del gravame perché contenente domande nuove.
Il motivo è infondato atteso che nella specie ricorre l’ipotesi di pronuncia implicita sulla detta eccezione (avendo la CTR deciso nel merito del gravame, ciò che all’evidenza presuppone il superamento dell’avversa eccezione in rito), non già l’omessa pronuncia e, in ogni caso, il rigetto implicito dell’eccezione va confermata alla luce di quanto esposto in sede di esame del primo motivo.
Con il terzo strumento di impugnazione il contribuente lamenta l’omessa pronuncia, da parte della CTR, sulla eccepita inesistenza/nullità dell’atto impugnato e/o della sua notifica. La doglianza viene proposta sotto 3 profili: violazione di legge (art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.), ovvero degli artt. 3 l. 890/1982 e 26, comma 1, d.P.R. n. 602/1973; omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.); nullità della sentenza (art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.). La CTP aveva, invero, affermato la legittimità della notificazione della cartella di pagamento, eseguita a mezzo posta, con decisione in parte qua impugnata con appello incidentale.
Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
5.1. Sotto il primo profilo il motivo sovrappone inestricabilmente nell’esposizione l’omessa pronuncia, la nullità della sentenza e la violazione di legge; integra, in altri termini, un motivo cd. coacervato, senza possibilità di distinguere (salvo quanto a breve si dirà infra ) i vari vizi sostanzialmente denunciati, anche in contrasto logico tra loro, che danno luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass, 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793) o a pretesi vizi processuali.
5.2. La doglianza è, comunque, infondata atteso che nella specie ricorre l’ipotesi di pronuncia implicita sulla detta eccezione (avendo la CTR deciso nel merito del gravame, ciò che all’evidenza presuppone il superamento delle avverse eccezioni in rito).
Con il quarto strumento di impugnazione il contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., «ulteriori vizi formali dell’atto impugnato e carenza di motivazione. Violazione e falsa applicazione degli art. 3 e 21 septies Legge N. 241/90», ovvero la mancanza, nella cartella, della sottoscrizione originale del pubblico ufficiale, nonché dei timbri di congiuntura e della motivazione.
Il motivo è inammissibile, in quanto pone questioni nuove, non avanzate nei gradi di merito e, in particolare, nell’appello; dalla sentenza e dal gravame riprodotto nel controricorso non risulta, infatti, che le questioni esposte nel motivo in esame siano state oggetto specifico dell’appello incidentale del contribuente.
Con il quinto strumento di impugnazione il contribuente deduce, sempre ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’ «illegittimità dell’accertamento operato ex art. 36-bis del
D.P.R. 600/1973. Intervenuta decadenza del diritto all’accertamento tributario effettuato. In realtà la C.T.R. sembra aver dichiarato l’illegittimità della procedura adottata dall’Ufficio e tale pronunzia non è stata impugnata in Cassazione. In ogni caso violazione e/o falsa applicazione degli art. 36-bis e 42 del D.P.R. 600 del 1973, nonché dell’art. 43 del D.P.R. 602/1973 ». Deduce, in particolare, l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo, in quanto effettuata sulla base di un controllo automatizzato della dichiarazione modello Unico/2010, senza la preventiva notifica (entro il 31 dicembre 2009) di un avviso di accertamento ex art. 42 d.P.R. n. 600/1973, nonché ‘l’assurdità delle motivazioni per cui risulterebbe essere stato emesso il ruolo’ (pag. 17 del controricorso). Richiama, poi, diverse pronunce della CTP di Roma e della CTR del Lazio, rese in fattispecie analoghe, nelle quali erano state condivise le ragioni dei contribuenti.
Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una mera argomentazione priva di qualsiasi censura alla sentenza appellata. Premesso che nel titolo il ricorrente adombra, addirittura, un giudicato per non avere l’Ufficio impugnato con il ricorso per cassazione la statuizione di illegittimità, resa dalla CTR, circa l’illegittimità della procedura seguita dall’Amministrazione finanziaria (statuizione, a ben vedere, della cui esistenza lo stesso ricorrente incidentale dubita -cfr. l’ incipit ‘sembra’), nella parte espositiva della doglianza manca qualsiasi riferimento al decisum della CTR e, per l’effetto, manca una censura allo stesso.
Ove anche si ritenga che dette doglianze siano state proposte in primo grado, assorbite dalla decisione della CTP, e riproposte con l’appello incidentale (ma ciò non emerge dal contenuto della sentenza, né dal contenuto del controricorso, che in parte qua non riporta passi dell’appello incidentale), andava censurato il rigetto implicito delle stesse, da parte della CTR, censura non proposta nella specie.
Con il sesto strumento di impugnazione il contribuente lamenta , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.,
la « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, co. 1, del Decreto Ministero, Giustizia 10/03/2014 n° 55 e del n. 24 della Tabella allegata al medesimo D.M. Giustizia N. 55/2014», per avere sia la CTP sia la CTR erroneamente compensato le spese di lite.
Il motivo presuppone, all’evidenza, la conferma della sentenza gravata e, quindi, il rigetto del ricorso principale. Su di esso, quindi, si ritornerà infra , dopo l’esame dell’impugnativa principale.
Può passarsi, ora, all’esame del ricorso principale dell’Ufficio.
Con l’unico strumento di impugnazione l’Agenzia delle Entrate deduce la «violazione e falsa applicazione degli artt. 16 comma 1, lett. a e 17 comma 2 e 48 lett. a) TUIR vigente ratione temporis (ora 19 e 51 TUIR), art. 2697 c.c., in relazione all’art . 360, comma 1 n. 3) cpc».
La CTR avrebbe, invero, erroneamente ritenuto provata dal contribuente la natura ed entità dei rendimenti da assoggettare all’aliquota del 12,50%, in assenza di idonea documentazione. Ha omesso, in definitiva, di indagare la natura e la quantità del rendimento (conseguito per effetto dell’investimento sul mercato) che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente.
Il motivo è fondato.
10.1. Giova premettere che « in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124/1993, ad un fondo di previdenza complementare, aziendale, a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione, separata, di cui agli artt. 16, comma primo, lettera a) e 17 del D.P.R. n. 917/1986, solo per quanto riguarda la ‘sorte capitale’, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d.
rendimento, si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della L. n. 482/1985; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lettera a) e 17 del D.P.R. n. 917 » (Cass. Sez. U. n. 13642/2011).
In sostanza, il rendimento cui applicare la ritenuta del 12,50% è quello netto ‘imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato’, la cui quantificazione deve essere compiuta dal giudice di merito sulla base di una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, che operi l’accertamento della natura e quantità del rendimento che sarebbe stato erogato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) da parte del Fondo l’impiego sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego ( ex multis , Cass. 28 febbraio 2020, n. 5487).
In fattispecie analoghe a quella per cui è l’odierno giudizio questa Corte ha affermato che l’onere del contribuente di provare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, non può ri tenersi assolto mediante il mero rinvio al conteggio proveniente dal datore di lavoro o dal fondo di previdenza, quando non contengano alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce ‘rendimento’, così da chiarire se si tratt i effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (Cass. 20/03/2019, n. 7728).
10.2. Orbene, nella specie la CTR non ha fatto corretta applicazione dei principi appena enunciati, omettendo qualsiasi verifica sul rendimento conseguito in relazione al concreto impiego sul mercato, da parte del fondo, del capitale accantonato. La dimostrazione dell’effettivo investimento dei capitali sul mercato finanziario e dei risultati ottenuti è, infatti, a carico del contribuente
che voglia avvalersi della ritenuta, più favorevole, pari al 12,50% e di essa, nella sentenza gravata, non c’è traccia alcuna.
L’accoglimento del ricorso principale comporta l’assorbimento del sesto motivo del ricorso incidentale, relativo alla illegittima compensazione delle spese di lite, atteso che la statuizione sulle spese viene giocoforza travolta dall’annullamento con rinvi o della sentenza gravata.
11 . S’impone, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Giustizia di secondo grado del Lazio, affinché, in diversa composizione, proceda a verificare se una parte delle somme derivasse dal rendimento conseguito, fino al 31.12.2000, dall’impiego sul mercato dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore, applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,50%, secondo il meccanismo impositivo dettato dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, nonché provveda alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale proposto dall’Agenzia delle Entrate, rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, dichiara inammissibili il terzo, il quarto ed il quinto motivo, assorbito il sesto, e cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo e motivato esame in relazione alla censura accolta e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità. Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024.