Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4833 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4833 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME del Foro di Milano, che ha indicato recapito PEC, avendo il contribuente dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del difensore, al INDIRIZZO in Milano;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 110, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Lombardia il 17.9.2020, e pubblicata l’11.1.2021;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
la Corte osserva:
OGGETTO: Dirigente Enel Fondo di previdenza integrativa aziendale PIA -Aliquota agevolata 12,50% Prova del rendimento dell’investimento sul mercato.
Fatti di causa
COGNOME NOME ex dipendente con qualifica di dirigente dell’E nel fino al 31.3.1999, ed iscritto al Fondo di Previdenza Integrativa Aziendale denominato ‘PIA’ quale ‘vecchio iscritto’ (già iscritto al 28.4.1993) a ‘vecchi fondi’ (controric., pp. 2 ss.), presentava all’Agenzia delle Entrate domanda di rimborso di quella che riteneva essere una maggiore ritenuta Irpef, indebitamente operata dal datore di lavoro. Il contribuente prospettava che le somme a lui corrisposte in conseguenza del trattamento di previdenza integrativa aziendale (PIA) avevano natura assicurativa, costituivano un reddito da capitale e dovevano perciò essere assoggettate all’aliquota del 12,50% e non del 30,16%, come invece applicata dal datore di lavoro. Il contribuente domandava perciò il rimborso di euro 59.842,11.
L’Amministrazione finanziaria opponeva il silenzio rifiuto all’istanza restitutoria, che era impugnato da NOME COGNOME innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Como, insistendo il contribuente, tra l’altro, nell’affermare la natura originariamente assicurativa del contratto integrativo aziendale (controricorso pag. 3). Resisteva l’Ufficio sostenendo che si trattava di una prestazione di natura pensionistica integrativa del trattamento previdenziale. La CTP accoglieva il ricorso e statuiva il rimborso della maggiore imposta.
L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la pronuncia adottata dai giudici di primo grado innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che confermava la decisione assunta dalla CTP.
Avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione. La Suprema Corte si pronunciava con sentenza Cass. sez. V, 8.7.2016, n. 14012, e richiamava il principio di diritto indicato dalle Sezioni Unite secondo cui sono assoggettate all’aliquota agevolata i soli importi che
costituiscono il ‘rendimento netto’, imputabile alla gestione sul mercato delle somme accantonate nel Fondo. Pertanto, il Giudice di legittimità cassava con rinvio la decisione impugnata, indicando i principi di diritto a cui la CTR avrebbe dovuto attenersi.
5. Il contribuente riassumeva la causa innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ed insisteva per l’accoglimento della propria domanda rideterminando il valore del rimborso in euro 54.193,24 euro riferendosi, in materia di quantificazione, ad una certificazione rilasciata dall’E nel (controric. p. 11 ss.), che illustrava la natura delle diverse somme versate al COGNOME in occasione della cessazione del rapporto di lavoro. La CTR affermava l’intenzione di uniformarsi ai principi esposti dalla Suprema Corte nel disporre il rinvio ed accoglieva l’istanza di rimborso come ridotta nell’ammontare dallo stesso ricorrente.
Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a due motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso il contribuente, che ha successivamente depositato memoria (14.1.2025).
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione censura la violazione dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. da parte del giudice dell’appello, in conseguenza della mancata attuazione del principio di diritto sancito nella sentenza di cassazione con rinvio e comunque di quanto ivi contenuto.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. l’Ente impositore lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, dell’art. 13 del Dl n. 669 del 1996, dell’art. 1 del D.P.R. N. 917 del 1986, degli artt. 16, 17, 42 (ora 45) della L. 482 del 1985, nonché dell’art. 6 e dell’art. 2697 cod. civ.
Con i suoi motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta correlazione, l’Agenzia delle Entrate contesta la decisione adottata dalla Commissione Tributaria della Lombardia per non essersi adeguata, nel giudizio di rinvio, al principio di diritto indicato da questa Corte, e comunque per non aver osservato quanto da questo statuito, avendo accolto le pretese del contribuente sebbene questi non abbia fornito alcuna prova dell’effettivo investimento sul mercato delle somme accantonate dal fondo di previdenza integrativa aziendale, e tantomeno del rendimento conseguito.
3.1. Il controricorrente ha affermato l’inammissibilità dei motivi di ricorso proposti dall’Amministrazione finanziaria, in quanto domanderebbe una revisione degli accertamenti di fatto operati dalla CTR della Lombardia (controric., p. 19, memoria, p. 1) ma, come si evidenzierà nel prosieguo, la censura appare infondata, perché la ricorrente propone questioni di diritto.
3.2. Tanto premesso, a seguito dell’esame degli atti di causa, deve ritenersi che la CTR sia effettivamente incorsa in un equivoco nel dare applicazione al principio di diritto espresso dalla Corte. Nel disporre il giudizio di rinvio scriveva questo Giudice che occorreva operare in riferimento ai principi espressi dalle Sezioni Unite con sentenza 22.6.2011, n. 13642, secondo cui ‘in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000 la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1 lett. a), e 17 del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, solo per il rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd.
rendimento si applica la ritenuta del 12,50% prevista dall’art. 6 della l. 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente in regione di tassazione separata di cui agli artt. 16 comma 1, lett. a) e 17 del d.p.r. 917 cit.’ Continuava questa Corte, ‘tale principio ha trovato plurime conferme successive (…) e deve essere qui ribadito, non essendo emersi elementi tali da giustificare un diverso orientamento. Sempre sul problema della natura ed individuazione della quota di rendimento tassabile, per i vecchi iscritti, al 12,50% (sulla differenza tra ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo), Cass. n. 3130/2014 ha esplicitato -nello stesso senso – la necessità dell’accertamento di merito sulla sussistenza del rendimento (effettivo investimento sul mercato del capitale degli accantonamenti imputabili ai contributi versati al fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore; risultati dall’investimento; modalità dell’assegnazione delle eventuali plusvalenze così ottenute alle singole posizioni individuali). Posto che è sulla scorta di tale indagine che il giudice di merito ‘qualificherà la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, si calcolerà l’imposta dovuta dal contribuente (e conseguentemente, del suo effettivo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5% (come sopra decrementata) secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, fermo restando per il residuo, il regime di tassazione separata di cui al d.p.r. 917 del 1986, art. 16, comma 1 lett. a) e art. 17′. Tali principi sono stati più recentemente recepiti anche da Cass. 5614/15’. L’impugnata sentenza non appare conforme al sopra richiamato consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, cui si intende dare senz’altro
continuità. In particolare non risulta provato che almeno parte degli importi liquidati in favore del contribuente per cui è causa siano stati ottenuti mediante l’investimento sul mercato delle somme accantonate.
La pronuncia del giudice che ha disposto il rinvio doveva infatti essere integrata con le statuizioni contenute nella pronuncia SS.UU 22.6.2011, n. 13642, cui il Giudice di legittimità aveva esplicitamente dichiarato di volersi conformare. Le Sezioni Unite avevano chiarito che il meccanismo impositivo di cui all’articolo 6, L. 482/85 (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale RAGIONE_SOCIALE da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31.12.2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale, per tale dovendosi intendere, come espressamente precisato dalle Sezioni Unite ‘ il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato ” (evidenza aggiunta, cfr. al riguardo Cass. 13302/2013; Cass. 14380 e 14381/2013; Cass. 10788/2013). L’impugnata sentenza non appare conforme al sopra richiamato consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, cui si intende assicurare senz’altro continuità.
A fronte delle chiare indicazioni provenienti da questa Corte, la Commissione Tributaria Regionale lombarda si è limitata ad osservare che ‘in epoca risalente, in un contesto in cui la previdenza complementare non aveva una compiuta regolamentazione normativa (come nel caso di specie) è stato lo stesso datore di lavoro (RAGIONE_SOCIALE) a gestire a lungo -in base ad un accordo collettivo -la previdenza integrativa aziendale (PIA) in via
‘diretta’, e non mediante un ente dotato di autonoma personalità giuridica e risorse proprie’ (pag. 5 sentenza CTR). Ritenendo che ‘siano rispettati i criteri dettati dalla sentenza di rinvio e delle Sezioni Unite, anche all’allorquando in una situazione peculiare come quella di specie -in difetto di investimento in un specifico e determinato ‘veicolo’ finanziario (e di conseguente plusvalenza ad es. di azioni, di altri beni mobili o immobili, di remunerazione di depositi bancari) il rendimento vada rapportato -come effettuato dai tecnici di parte ricorrente e dalle consulenze contabili -alla redditività espressa dal patrimonio aziendale nel quale sono stati impiegati i capitali’.
Una volta affermato il principio per cui il regime agevolativo possa essere applicato anche ai rendimenti derivanti da operazioni diverse dall’investimento del capitale sul mercato finanziario, il Giudice d’appello sostiene che ‘ciò che rileva, nell’ambito dei trattamenti PIA, è il differenziale tra capitale versato e maggior importo liquidato al contribuente , in quanto’, come ripetutamente affermato dai giudici di merito, ‘se la somma liquidata a fini previdenziali con la cessione del rapporto di lavoro è superiore a quella accantonata nel tempo come capitale, la differenza attiva tra importo accantonato e importo liquidato (non potendosi in natura l’importo accantonato modificare in aumento per autogenesi) non può che essere derivata da un impiego sotto forma di investimenti di rendimento’ (sent. CTR, p. 7).
6. L’argomentare del giudice del rinvio si rivela evidentemente lacunoso e comunque irrispettoso dei principi espressi dalla Suprema Corte nel disporre il rinvio. La Cassazione, infatti, aveva richiesto al Collegio di accertare se vi fossero somme accantonate dal fondo ed investite sul mercato. Ove l’esistenza di tale somme fosse stata accertata, occorreva poi verificare quale fosse il rendimento conseguito dall’investimento sul mercato delle specifiche somme accantonate riferibili al contribuente, ed a queste
sole avrebbe dovuto essere applicata la tassazione del 12,5%. La CTR ritiene, invece, che il rendimento a cui applicare la tassazione agevolata possa essere dato dalla differenza tra capitale versato ai fini previdenziali e maggior importo liquidato in sede di liquidazione, in quanto lo stesso può anche essere frutto, tra le altre cose, della ‘remunerazione di un prestito aziendale (iscrizione di poste a bilancio ENEL)’.
6.1. In sintesi, la CTR ha, da un lato, ritenuto sussistenti i presupposti applicativi della tassazione agevolata senza verificare l’effettivo impiego dei capitali accantonati sul mercato finanziario, sostenendo che il diritto al rimborso sussiste anche laddove i capitali, non risultando investiti sul mercato, vengano trattenuti nel patrimonio operativo dell’E nel . Dall’altro lato, ha fatto sue le conclusioni della consulenza tecnica di parte, la quale non conteneva alcun accertamento concreto sull’ammontare del rendimento derivante dall’investimento sul mercato del capitale accantonato, determinandolo sulla base di modalità matematico attuariali. Anche sul punto, questa Corte ha dato indicazioni sull’accertamento che il Giudice del rinvio doveva osservare. Le SS. UU., infatti, affermarono che ‘può essere riconosciuta l’applicazione della ritenuta nella misura del 12,5% (percento) limitatamente alla quota che, sulla base di specifica certificazione rilasciata dal fondo, risulti essere costituita dal ‘rendimento netto” quale risultato dell’effettivo impiego del capitale accantonato sul mercato finanziario.
6.2. Risulta altresì opportuno osservare, in relazione alle censure proposte dal contribuente circa l’applicabilità dei riassunti principi in materia di gestione RAGIONE_SOCIALE, e non di gestione Pia (controric. p. 21 ss.), come questa Corte regolatrice abbia già avuto modo di chiarire che ‘le somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore a titolo di conversione del trattamento pensionistico integrativo aziendale (cd. PIA), per la parte costituita dalla
remunerazione del capitale investito, sono soggette all’aliquota fissa del 12,5 per cento, ai sensi dell’art. 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482, e non alla tassazione separata del trattamento di fine rapporto di cui all’art. 17, comma 2, del d.P.R. 22 novembre 1986, n. 917, non solo quando il suddetto trattamento pensionistico integrativo sia dovuto per effetto della stipula di un’assicurazione sulla vita o di un piano di capitalizzazione, ma anche quando esso spetti per effetto della stipula di un contratto con soggetti diversi da una società di assicurazione, giacché quel che rileva, ai fini suddetti, è che sia stato applicato dal soggetto obbligato al pagamento un modello gestionale di tipo assicurativo. (In applicazione dell’anzidetto principio, con riguardo ad un impiego sul mercato finanziario degli accantonamenti imputabili ai contributi versati al Fondo, la S.C. ha delimitato l’applicazione dell’aliquota del 12,5 per cento alla quota parte della somma complessivamente erogata al contribuente corrispondente al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato)’, Cass. sez. V, 20.3.2015, n. 5614.
Non si è peraltro mancato di statuire più di recente, con estrema chiarezza, che ‘in tema di fondi previdenziali integrativi, il criterio impositivo più favorevole della tassazione secca del 12,5 per cento, ex art. 6 della l. n. 482 del 1985, riguarda soltanto le somme costituenti il rendimento di gestione conseguito dall’effettivo impiego, da parte del Fondo, sul mercato del capitale accantonato, la cui prova grava sul contribuente, quale attore sostanziale del preteso rimborso IRPEF ‘, Cass. sez. VI -V, 13.3.2020, n. 7223 (evidenza aggiunta); e si è pure specificato che ‘in tema di fondi di previdenza complementare aziendale, il meccanismo impositivo di cui all’art. 6 della l. n. 482 del 1985 si applica sulle somme percepite dai soggetti iscritti, maturate fino al 31 dicembre 2000, provenienti dalla liquidazione del “rendimento
netto”, imputabile alla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato da parte del Fondo, il quale non corrisponde alla redditività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio Enel – ovvero il rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito -, per essere quest’ultima dipendente da predeterminati calcoli di matematica attuariale e non già frutto di investimento di accantonamenti sul libero mercato ‘, Cass. sez. V, 26.2.2020, n. 5152.
Occorre ancora rilevare che l’orientamento ormai consolidato e condivisibile, espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte sulle materie esaminate, in assenza di contrasti, induce a non accogliere il sollecito, proposto dal controricorrente in memoria, a sottoporre nuovamente le questioni oggetto di causa alla valutazione delle Sezioni Unite di questa Corte.
In definitiva nel presente giudizio il contribuente, attore anche in senso sostanziale in una controversia sorta in conseguenza del diniego opposto dall’Ente impositore avverso una sua istanza di rimborso, non è stato in grado di provare il giusto fondamento della propria pretesa, e cioè se vi sia stato investimento sul mercato delle somme accantonate per suo conto nel Fondo di Previdenza Integrativa aziendale Enel.
In conseguenza il ricorso deve essere accolto, la decisione impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, pronunciando ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., questa Corte di legittimità può decidere nel merito rigettando il ricorso proposto dal contribuente.
Le spese di lite dei gradi di merito del giudizio sono state già opportunamente compensate dalla CTR. Le spese processuali del giudizio di cassazione seguono invece l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni affrontate e del valore della causa.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie il ricorso proposto da Agenzia delle Entrate , cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., rigetta l’originario ricorso proposto dal contribuente.
Condanna COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 22.1.2025