Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14572 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14572 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20912/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA 00193 INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
-controricorrente-
avverso SENTENZA della C.T.R. della CAMPANIA n. 1096/2022 depositata il 28/01/2022 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Intesa Sanpaolo s.p.a. impugna la sentenza della C.T.R. della Campania, che ha respinto l’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza della C.T.P di Avellino di rigetto del ricorso per l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, nella misura di euro 17.955,00 relativo alla registrazione della sentenza del Tribunale di Avellino n. 1196/2017
La C.T.R., premessa la sussistenza di profili di inammissibilità dell’appello, per essersi l’appellante limitato a ribadire le deduzioni esposte con il ricorso in prima cura, in violazione dell’art. 53 d. lgs. 546 del 1992, nel merito, ha ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di liquidazione, in quanto riportante gli elementi identificativi dell’atto assoggettato a tassazione. Indi con riguardo alla contestata l’applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. B) della Parte prima della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986, ed alla mancata applicazione del principio di alternatività IVAImposta di registro, di cui all’art. 40 del d.P.R. 131 del 1986, ha rilevato che le somme che Intesa Sanpaolo s.p.a ‘è stata condannata a restituire non integrano prestazioni di servizi soggetti ad IVA, ma somme trattenute in forza di clausole contrattuali dichiarate nulle’. Infine, ha escluso l’applicabilità della lett. E) del medesimo art. 8, ‘atteso che nella specie il Tribunale non ebbe a dichiarare la nullità dell’intero contratto di apertura di credito bancario intercorso fra le parti,
ma soltanto la nullità delle clausole riguardanti determinazione degli interessi’.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Con memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ., la società ricorrente ribadisce le conclusioni assunte, formulando eccezione di inammissibilità del controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Intesa San Paolo s.p.a. formula quattro motivi di ricorso.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 d. lgs. 546 del 1992. Osserva che all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine all’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi non è seguita declaratoria di inammissibilità del gravame, avendo la C.T.R. comunque deciso nel merito. Assume che, comunque, non solo i motivi non potevano dirsi generici, avendo l’appellante contrapposto ciascuna doglianza alla statuizione impugnata, ma che, in ogni caso, secondo la giurisprudenza di legittimità in materia di rito tributario, l’atto di impugnazione non può ritenersi inammissibile laddove siano riproposte, a supporto dell’appello, delle ragioni poste a fondamento dell’originario ricorso ed il dissenso investa la decisione nella sua interezza.
Con il secondo motivo si duole, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 212 del 2000, per avere la C.T.R. ritenuto correttamente motivato l’avviso di liquidazione, in assenza dell’allegazione del provvedimento giudiziario oggetto di registrazione.
Con il terzo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione della nota II dell’art. 8 della Prima Parte della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986, per avere la C.T.R. ritenuto non applicabile il principio di alternatività di cui all’art. 40 del d.P.R. 131 del 1986 alle sentenze di condanna alla restituzione di somme addebitate al correntista in conseguenza dell’accertata nullità delle clausole contrattuali. Osserva che la disposizione si applica per tutti gli atti soggetti ad IVA, ancorché esenti, ivi comprese le operazioni di conto corrente o di finanziamento bancario, come chiarito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità. Richiama l’art. 90 della Direttiva 112/2006/CE e l’art. 26 d.P.R. 633 del 1972, nonché la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea C-63/92 (Lubbok), da cui si evince che debbono ritenersi compresi nel campo di applicazione dell’IVA tanto le somme pagate in dipendenza del contratto di conto corrente bancario, quanto quelle restituite in conseguenza della rideterminazione della misura delle prime.
5. Con il quarto motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1 lett. e) della Tariffa, Prima parte allegata al d.P.R. 131 del 1986. Rileva che l’impostazione adottata dalla C.T.R., secondo la quale il disposto dell’art. 8, comma 1 lett. e) cit., non sarebbe applicabile, non avendo la sentenza del Tribunale di Avellino dichiarato la nullità dell’intero contratto, ma solo di singole clausole, non solo appare contraria alla più recente giurisprudenza di legittimità, ma conduce ad un risultato illogico. Invero, avuto riguardo alle categorie di provvedimenti indicati dall’art. 8 cit. una declaratoria di nullità parziale, seguendo il ragionamento della C.T.R. che la esclude dalla pronunce di cui alla lett. e), resterebbe priva di disciplina, non rientrando né fra le sentenze traslative o costitutive di diritti
(lett. a), né fra quelle di condanna (lett. b), né fra le sentenze di mero accertamento (lett. c), né fra quelle non recanti trasferimento, condanna o accertamento di diritti a contenuto patrimoniale (lett. d), né fra quelle inerenti il matrimonio o la separazione (lett. f), né fra le sentenze di omologazione (lett. g). Assume che la sentenza del Tribunale si contraddistingue per la piena correlazione fra l’accertata nullità delle clausole e gli effetti restitutori a ciò conseguenti, rientrando pacificamente nel disposto di cui alla lett. e) dell’art. 8 della Prima parte della Tariffa.
Il primo motivo è inammissibile.
La sentenza della C.T.R., infatti, benché censuri la mancanza di specificità dei motivi di appello, ciononostante decide nel merito. Sicché la doglianza qui proposta è estranea alla ratio decidendi della decisione gravata.
Il secondo motivo è per un verso inammissibile e, per altro verso, infondato.
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte ‘In tema di imposta di registro su atti giudiziari, l’obbligo di motivazione dell’avviso di liquidazione, gravante sull’Amministrazione, è assolto con l’indicazione della data e del numero della sentenza civile o del decreto ingiuntivo, senza necessità di allegazione dell’atto, purché i riferimenti forniti lo rendano agevolmente individuabile, e conseguentemente conoscibile senza la necessità di un’attività di ricerca complessa, realizzandosi in tal caso un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente’ (Cass. Sez. 5, 07/04/2022, n. 11283; Cass. Sez. 5, 29/09/2021, n. 26340; Cass. Sez. 6, 26/10/2021, n. 30084; Cass. Sez. 6, 07/04/2021, n. 9344; Cass. Sez. 5, 12/01/2021, n. 239).
Ora, da un lato, non è stato allegato dalla ricorrente che l’avviso di liquidazione non contenesse i dati identificativi del provvedimento giurisdizionale assoggettato a tassazione, dall’altro, la medesima parte non indica quali siano gli elementi omessi de ll’atto che hanno reso così complessa la sua conoscibilità, tanto da comportare un sacrificio dell’esercizio della difesa in giudizio- di qui il profilo di inammissibilità della censura. Mentre la sua infondatezza è ricavabile dall’orientamento giurisprudenziale supra richiamato.
Deve, a questo punto, esaminarsi il quarto motivo, la cui fondatezza comporta l’assorbimento del terzo.
Va, innanzitutto, richiamato il recente orientamento di legittimità -ripreso anche dalla parte ricorrente- secondo il quale ‘I provvedimenti giudiziari che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché di condanna alla restituzione di denaro o beni, o di risoluzione di un contratto, anche quando la dichiarazione di nullità riguardi singole clausole ex art. 1419, comma 2, c.c., e non l’intero contratto che sopravvive tra le parti con la sostituzione della disciplina legale alle clausole nulle (nella specie, clausole di capitalizzazione trimestrale di interessi debitori relativi a contratti bancari con condanna della banca alla restituzione di somme indebitamente riscosse), sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima – allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, essendo irrilevante che essi riguardino corrispettivi o prestazioni soggetti ad IVA, non trovando applicazione alla ripetizione di indebito oggettivo il principio di alternatività di cui all’art. 40 del d.P.R. citato, né l’art. 8, comma 1, lett. b), della suddetta tariffa, il quale postula la fisiologica validità ( in toto et in qualibet parte ) del contratto originante le obbligazioni per le quali si chiede al giudice di pronunciare la condanna al
pagamento o alla consegna’ (Cass. Sez. 5, del 31/08/2022, n. 25610; conf. Cass. Sez. 5, del 26/09/2024 n. 32476, richiamate anche dalla parte ricorrente).
Con la sentenza testé richiamata (Cass. Sez. 5, del 31/08/2022, n. 25610), questa Sezione si è pronunciata su un’ipotesi analoga a quella in esame. In quel caso, l’allora ricorrente Agenzia delle Entrate dubitava che ‘la mera affermazione in motivazione della nullità di una clausola contrattuale’ consentisse la sussunzione della fattispecie nell’art. 8 lett. e) della Tariffa, trattandosi di una disposizione applicabile soltanto in caso di nullità dell’intero contratto e non anche di singole. La Corte ha ritenuto che ‘la previsione dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 non possa essere limitata alla sola fattispecie della dichiarazione di nullità totale del contratto (art. 1418 cod. civ.), per quanto si tratti dell’ipotesi più frequente nella prassi, ma debba comprendere anche – per l’assoluta identità di ratio, che renderebbe illogica una difforme regolamentazione, in assenza di una differenza qualitativa tra le due pronunzie – la fattispecie della dichiarazione di nullità parziale del contratto (art. 1419 cod. civ.), allorquando la ripetizione delle prestazioni eseguite contra legem postula la ulteriore sopravvivenza del contratto adeguato mediante la sostituzione automatica delle clausole nulle con la disciplina legale (art. 1419, comma 2, cod. civ.)’. Infatti, prosegue la Corte ‘non vi è alcuna differenza tra l’azione di nullità parziale e l’azione di nullità totale del contratto sul piano della giustificazione e dell’efficacia delle pronuncia giudiziale, essendo comune la funzione di conformare secundum legem la regolamentazione dei rapporti fra le parti mediante la reciproca restituzione delle prestazioni o delle attribuzioni sine titulo ‘.
Quanto sin qui osservato permette di affermare che la pronuncia del giudice di merito assoggettata a tassazione riveste funzione restitutoria perché l’accertamento del saldo , e la condanna al pagamento delle somme indebitamente versate, passano attraverso il ripristino delle prestazioni adempiute e non dovute, per effetto della nullità delle clausole e dell’applicazione della relativa disciplina legale.
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Sezione in tema di imposta di registro, i provvedimenti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori o alla restituzione di denaro devono essere assoggettati, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ad imposta proporzionale, a meno che, oltre alla condanna al pagamento di una somma di denaro o all’imposizione di un obbligo restitutorio, non abbiano ad oggetto anche l’annullamento o la declaratoria di nullità di un atto: in quest’ultimo caso, infatti, l’imposta dovrà essere determinata in misura fissa, in applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (in questo senso: Cass., Sez. 5^, 7/07/2017, n. 16814; Cass., Sez. 6^-5, 23/08/2017, n. 20315; Cass., Sez. 5^, 20/12/2018, n. 32969; Cass., Sez. 5^, 8/101/2020, n. 21702; ed ancora Cass. Cass. Sez. 5, 31/08/2022, n. 25610; Cass. Sez. 5, 32476 del 26/09/2024).
La ratio di una simile impostazione, che esclude ogni proporzionalità dell’imposta assoggettando la pronuncia a misura fissa, sta proprio nell’assenza di trasferimento di ricchezza che connota l’effetto restitutorio dell’indebito conseguente alla declaratoria di nullità del contratto (o della sua parziale nullità) o al suo annullamento o alla sua risoluzione, perché, in siffatti casi, la decisione altro non fa che ripristinare lo status quo ante dei rispettivi patrimoni delle parti, in quanto le
prestazioni adempiute sono private ab origine di titolo giustificativo, ciò legittimando di per sé la ripetizione di quanto corrisposto.
Tirando le fila di quanto detto finora, va affermato che, nel caso in cui il pronunciamento del giudice di merito avente ad oggetto l’accertamento del saldo di conto corrente e la condanna alla restituzione di somme indebitamente percepite derivi dall’accertamento della nullità del contratto o delle sue clausole, provvedendo al ripristino della legalità del rapporto ed al computo del dare-avere fra le parti, in forza della sostituzione delle clausole nulle con la disciplina legale, allora la decisione rientra del disposto dell’art. 8 lett. e) della Prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. 131 del 1986.
L’accoglimento del quarto motivo esonera dalla trattazione del terzo, pur parendo opportuno ribadire quanto già affermato da questa Corte (cfr. supra ), secondo cui il principio dell’alternatività fra imposta di registro ed IVA di cui all’art. 40 del d.P.R. 131 del 1986 è irrilevante in relazione alle ipotesi di nullità delle clausole e sostituzione delle medesime con la disciplina legale, con conseguente applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo, ciò in quanto l’alternatività opera solo nei casi di cui all’art. 8 lett. c) cit., cui unicamente fa riferimento la nota II, siffatta ipotesi presupponendo la validità del contratto.
Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza – non essendo necessario alcun ulteriore accertamento- deve essere, cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 384, comma 2 cod. proc. civ., con decisione nel merito di accoglimento dell’originario ricorso, stante l’applicabilità dell’art. 8 lett. e) cit..
Le spese di lite dell’intero giudizio possono essere integralmente compensate, avuto riguardo al solo recente consolidamento degli orientamenti di legittimità sopra richiamati .
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della parte contribuente . Compensa le spese di lite dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, in data 8 aprile 2025 .