Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21199 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21199 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16893/2023 proposti da:
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. e numero d’iscrizione al Registro delle Imprese di Napoli: P_IVA), in persona dell’Amministratore unico e legale rappresentante NOME COGNOME, con sede in Napoli, alla INDIRIZZO difesa -giusta procura speciale alle liti rilasciata su foglio separato, da intendersi in calce al controricorso dall’Avv. NOME COGNOME (C.F..: CODICE_FISCALE) del Foro di Napoli, con studio in Napoli (80122), al INDIRIZZO, con il quale è elettivamente domiciliato
Avviso liquidazione imposta registro -Terzo assuntore concordato fallimentare -Beni strumentali
presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione (numero di telefax: NUMERO_TELEFONO; l’indirizzo e -mail -p.e.c. -: EMAIL);
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 2943/2023 emessa dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in data 05/05/2023, e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La CTP di Napoli rigettava il ricorso avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta e irrogazione di sanzioni inerente l’imposta principale di registro, ipotecaria e catastale, dovute per la liquidazione del decreto di omologa del 28 aprile 2020 n. 10 emesso dal Tribunale di Torre Annunziata con riferimento al concordato fallimentare proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in relazione al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata il 19-20/10/2016.
La CTP affermava che al decreto di omologa del concordato fallimentare, con intervento di terzo assuntore, producendo lo stesso effetti traslativi immediati, andava applicato il criterio di tassazione correlato all’art. 8, lett. a), della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, con l’applicazione, così, dell’imposta di registro in misura proporzionale sul valore dei beni e dei diritti fallimentari trasferiti. Aggiungeva che: a) la tassazione del decreto di omologa non era stata calcolata s ull’accollo dei debiti, bensì con l’imposizione gravante sui beni dell’attivo fallimentare trasferiti al terzo assuntore per effetto del concordato, cui erano state applicate le aliquote proprie dei singoli beni trasferiti; b) corretta, quanto alla base imponibile, era stata la valutazione oggettiva effettuata dall’Ufficio, riferita al prezzo-valore acquisito sulla base della rendita catastale rivalutata; c) non risultava che la parte ricorrente avesse mai richiesto la tassazione degli immobili secondo il principio di alternatività Iva/Registro e, comunque, sebbene una parte degli immobili in questione fosse qualificata in categoria D/1, non vi era prova che quegli stessi fossero
stati contabilizzati come beni strumentali nella contabilità della società fallita; d) l’accollo dei debiti andava considerato come il corrispettivo pagato per ottenere la proprietà dei beni o degli ‘asset’ fallimentari.
Sull’impugnazione della contribuente, la CTR della Campania accoglieva il gravame, affermando che: a) il decreto di omologazione del concordato fallimentare con intervento di terzo assuntore deve essere tassato in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8, lett. a), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in ragione degli effetti immediatamente traslativi del provvedimento, con il quale il terzo assuntore acquista i beni fallimentari; b) risultava, invece, illegittima l’applicazione dell’imposta di registro ad aliquota del 9%, in quanto gli immobili trasferiti rientravano (tutti) nella categoria D1 ed, avendo tali immobili carattere di strumentalità per natura, erano soggetti all’Iva, per cui il trasferimento, in virtù del principio di alternatività, risultava soggetto ad imposta di registro in misura fissa di € 200,00 e ad imposte ipotecarie e catastali nella misura complessiva del 4%; c) ai fini della applicazione delle imposte ipotecarie e catastali, il valore del trasferimento dei beni immobili doveva essere quello del prezzo-valore di mercato, per cui andava dato rilievo sempre alla perizia giurata disposta dal Tribunale che attribuiva al complesso degli immobili un valore di € 3.410.000,00.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 36 n. 4 del d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., per essere la sentenza della CTR caratterizzata dalla mera apparenza motivazionale, avuto riguardo ai profili dell’applicazione del principio di alt ernatività IVA/Registro e, quanto alla determinazione del valore del compendio immobiliare, dell’applicazione del valore catastale in luogo di quello effettivamente pagato dall’assuntore per estinguere i debiti ammessi al passivo.
1.1. Il motivo è infondato.
Con riferimento alla questione dell’applicazione del principio di alternatività IVA/Registro consistendo i beni ceduti all’assuntore in beni strumentali, la motivazione resa dalla CTR si pone senz’altro ben al di sopra del cd. minimo costituzionale.
Invero, i giudici di secondo grado hanno reputato <>.
La CTR ha altresì aggiunto che <<L'art. 40 del Decreto Presidente della Repubblica 26/04/1986, n. 131 dispone, infatti, che <>, rientrando, quindi, in tale regime di alternatività iva rispetto all’imposta di registro le cessioni di immobili strumentali di cui all’art. 10 numero 8 ter che prevede che sono esenti da iva : <>. In proposito <> (Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 19/01/2021) 11/06/2021, n. 16664).>>
E, infine, ha concluso nel senso che <<non vi è dubbio che i beni immobili trasferiti, come descritto nella perizia di stima disposta dal Tribunale agli atti del giudizio, consistano in un <> (vedi pag. 13 Perizia giurata All. 4 – Relazione di stima del l’azienda resa ai sensi dell’art. 124 comma 3 l. fall.), per cui l’imposta di registro va applicata in misura fissa.>>
Del resto, se da un lato priva di riscontri oggettivi è l’affermazione dell’Agenzia secondo cui non tutti gli immobili trasferiti erano accatastati con categoria D/1 (e quindi potevano essere considerati automaticamente ‘strumentali per natura’; di contro, la contribuente ha attestato, con il decreto di trasferimento, che solo un immobile rientra nella categoria F/3, trattandosi di unità in corso di costruzione), dall’altro, ai fini dell’inquadramento di tali immobili nella categoria D1, l’unico criterio oggettivo per individuare la strumentalità è rappresentato dalla categoria catastale di appartenenza al momento del trasferimento (Cass. n. 30157 del 2017, Cass. n. 22765 del 2016 e Cass. 18 febbraio 2020, n. 4074).
1.2. A differenti conclusioni dovrebbe, invece, pervenirsi per quanto concerne la questione dell’applicabilità del valore catastale in luogo del valore venale in comune commercio.
Sul punto, la CTR ha accolto la doglianza della contribuente, limitandosi apoditticamente ad affermare che <>
Tuttavia, in applicazione del principio generale di economia processuale (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 2731 del 02/02/2017, secondo cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame; in tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo , quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto), la censura alla base si sarebbe comunque rivelata infondata, se si considera che l’ordinamento tributario attribuisce alla rendita catastale funzione strumentale immediata nell’individuazione della capacità contributiva, mentre la proprietà di un’unità immobiliare è direttamente assunta dal giudice ad indice di capacità contributiva. Invece, quando la capacità contributiva è correlata al valore o all’incremento di valore dell’immobile – come si verifica in materia di imposte indirette – la rendita non esplica effetti immediati, ma serve solo per delimitare il potere accertativo dell’Amministrazione, essendo la base imponibile costituita dal valore venale in comune commercio (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9056 del 02/05/2005; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27980 del 21/12/2011). Solo in tema di base imponibile dell’ICI il criterio esclusivo, non suscettibile di deroga, per la determinazione del valore dei fabbricati iscritti in catasto, a norma dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è imperniato sulla rendita catastale, senza che possa farsi ricorso a criteri diversi, potendo il prezzo di aggiudicazione del bene in sede di esecuzione forzata assumere rilievo per la determinazione della base imponibile nella differente ipotesi delle aree fabbricabili, per le quali, ai sensi del successivo comma 5, “il valore è costituito da quello venale in comune commercio”.
Tuttavia, mentre l’imposta di registro è un’imposta sui trasferimenti, in un’imposta sul patrimonio quale era l’ICI viene meno l’esigenza di rapportare la base imponibile al valore di mercato, mentre trova giustificazione la tendenza, espressa dal detto art. 5, comma 2, a parametrare l’imposizione su un valore, come quello determinato sulla base della rendita catastale, forse più astratto e virtuale, ma certamente più omogeneo nei confronti della generalità dei contribuenti, e come tale maggiormente idoneo ad esprimere la consistenza del rispettivo patrimonio, considerato in maniera “statica” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6314 del 23/03/2005).
Pertanto, in tema di imposta di registro e con riguardo alla determinazione della base imponibile nel caso di contratti a titolo oneroso aventi per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari (nonché aziende o diritti reali su di esse), l’accertamento del “valore venale in comune commercio”, cui fa riferimento a tal fine l’art. 51, secondo comma, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, non può prescindere dal prezzo effettivo pattuito dalle parti (se dichiarato nell’atto) – il quale rappresenta, ordinariamente e per sua natura, il valore venale del bene, che non è altro che quanto può ricavarsi dalla sua vendita in condizioni di normalità -, non potendo riconoscersi alle parti il potere di indicare un diverso valore ai soli fini fiscali (che prescinda dal prezzo, pur esso dichiarato), anche perché il valore cosiddetto catastale o automatico, determinato ex art. 52, quarto comma, del citato d.P.R. n. 131 del 1986, non costituisce la base imponibile, ma pone soltanto un limite al potere accertativo dell’Ufficio (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18150 del 09/09/2004; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20689 del 30/07/2008, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20691 del 30/07/2008, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21310 del 07/08/2008).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 40 del d.p.r. n. 131/1986, 43 d.p.r. del 22/12/1986, n. 917, e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR ritenuto l’illegittimità dell’applicazione dell’imposta di registro in misura percentuale in considerazione del fatto che i beni trasferiti
sarebbero stati ‘strumentali per natura’ e quindi la cessione sarebbe assoggettabile ad IVA per il principio di alternanza IVA/Registro.
2.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
L’Ufficio, da un lato, reitera la doglianza già formulata con il primo motivo (secondo cui non tutti gli immobili trasferiti con il decreto di omologa erano accatastati con categoria D/1 e, quindi, potevano essere considerati automaticamente ‘strumentali per natura’ ed inoltre anche per gli immobili rientranti in questa categoria non era stato dimostrato che essi fossero stati contabilizzati come ‘beni strumentali’, né dalla società in fallimento né da quella acquirente) e, dall’altro, sostiene che i beni t rasferiti (o taluni di essi) non erano ‘strumentali per natura’ (trattandosi di avviamento, marchi, stampi, impianti ed attrezzature varie, giacenze di magazzino, eccetera, che possono costituire anche merci poste singolarmente in vendita).
Nel richiamare nella presente sede le considerazioni già espresse nell’analizzare il primo motivo e nel ribadire che l’unico criterio oggettivo per individuare la strumentalità dell’immobile è rappresentato dalla categoria catastale al momento del trasferimento (cfr., fra le tante, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 15192 del 01/06/2021), va qui aggiunto che dal provvedimento di omologa del concordato fallimentare trascritto a pagina 18 del ricorso si evince che tutti gli immobili trasferiti rientrano nella categoria D1 -ad eccezione dell’immobile rientrante nella categoria F/3, trattandosi di unità in corso di costruzione (cfr. il decreto di trasferimento), sicché, trattandosi di immobili aventi carattere di strumentalità per natura, gli stessi sono soggetti all’Iva (sia pure in regime di esenzione in base all’art. 10 n. 8 ter del D.P.R. n.633/72).
2.2. A differenti conclusioni deve pervenirsi per quanto concerne gli altri (rispetto agli immobili) beni trasferiti, in relazione ai quali va tenuto presente che, mentre i beni strumentali per destinazione sono funzionali, secondo un’interpretazione restrittiva, allo svolgimento di attività tipicamente imprenditoriali e inidonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sono inseriti, quelli strumentali per natura sono caratterizzati da una strumentalità
oggettiva senza che rilevi la loro utilizzazione per l’esercizio dell’impresa. Orbene, premesso che incombe sul contribuente che intenda far valere la natura strumentale dell’immobile l’onere di provare la destinazione esclusiva dello stesso all’attività propria dell’impresa, in difetto di tale prova, non può riconoscersi la natura s trumentale all’avviamento, ai marchi, agli stampi, agli impianti ed attrezzature varie, alle giacenze di magazzino.
E, in ordine a tali beni, la Corte di merito non ha preso posizione.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 del d.p.r. n. 131/1986 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR ritenuto che la determinazione dell’imposta ipot ecaria e catastale dovesse avvenire sulla base del valore di mercato dei beni trasferiti per effetto del decreto di omologa, in luogo del valore catastale.
3.1. Il motivo è infondato per le ragioni già espresse nell’analizzare il primo motivo.
Quanto agli ulteriori profili, lo stesso è inammissibile, se si considera che, da un lato, la ricorrente ha omesso, in violazione del principio di autosufficienza, di trascrivere (se non limitatamente ad uno stralcio decontestualizzato a pagina 18 del ricorso) il decreto di omologazione del concordato fallimentare (onde consentire a questo Collegio di verificare se il proponente avesse o meno operato la scelta di avvalersi della valutazione dei beni immobili attraverso il valore di mercato) e, dall’altro, c he la violazione del precetto di cui all ‘ art. 2697 c.c. si configura nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull ‘ esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all ‘ art. 360, n. 5, c.p.c..
Del resto, nel caso di specie, tenuto conto che nel decreto di omologa non
era stato indicato il criterio di valutazione del compendio immobiliare, l’Amministrazione finanziaria ha necessariamente dovuto applicare il criterio oggettivo della rendita catastale; il contribuente, dal canto suo, avrebbe dovuto dimostrarne l’erroneità.
In accoglimento, per quanto di ragione, del secondo motivo, la sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania.
P.Q.M.
La Corte, accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo di ricorso, e rigetta i residui motivi; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 10.4.2025.