Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2164 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2164 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28014/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende, unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè
contro
AVELLINO
COMUNE
DI
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA – SEZ.DIST. SALERNO n. 3639/2021 depositata il 30/04/2021, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di accertamento avente ad oggetto la t.o.s.a.p. (annualità 20132018) per l’occupazione, mediante cavalcavia, dello spazio sovrastante il suolo pubblico nel comune di Avellino, ritenendo errata l’applicazione degli artt. 38 ss. del d.lgs. n. 507 del 1993, stante la peculiarità dell’occupazione riconducibile a concessione statale ed alla realizzazione di un’opera pubblica, e, comunque, applicabile l’esenzione di cui al successivo art. 49.
Il ricorso è stato accolto in primo grado, con sentenza confermata in appello. La Commissione tributaria regionale ha escluso i presupposti impositivi di cui agli artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 507 del 1993, osservando che RAGIONE_SOCIALE non è concessionario del Comune, bensì dello Stato, la cui concessione ha ad oggetto non il suolo comunale, ma la realizzazione e gestione dell’opera pubblica, e non è neppure un occupante di fatto abusivo, visto che la localizzazione della rete autostradale, inidonea a sottrarre lo spazio pubblico all’interesse generale ed a destinarlo all’interesse esclusivo privato, è disposta tramite legge, per cui l’ente territoriale non ha alcun potere di rimuoverla o spostarla. Nella sentenza si è anche
osservato che, ad ogni modo, vi sarebbero i presupposti applicativi dell’esenzione di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993, dovendosi individuare nello Stato il soggetto concessionario dell’area, su cui grava in primis l’obbligazione tributaria, in base all’interpretazione delle Sezioni Unite n. 8628/2020, e difettando RAGIONE_SOCIALE di una piena autonomia, in considerazione dei poteri pubblici a cui è soggetta, che si estendono finanche alla determinazione della tariffa di pedaggio autostradale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE (ente per la riscossione).
Si è costituita con controricorso RAGIONE_SOCIALE, sostenendo l’inammissibilità ed infondatezza dei motivi ed evidenziando la incompatibilità della denuncia di omessa motivazione con quella di violazione di legge e l’irrituale formulazione dell’ultimo motivo (non riferito all’omesso esame di una circostanza di fatto, ma al richiamo di un precedente). Risulta depositata ulteriore memoria difensiva di RAGIONE_SOCIALE, in cui è citata giurisprudenza di merito e del Consiglio di Stato.
5. Il Comune, pur regolarmente evocato in giudizio, non si è costituito.
6. La causa è stata trattata all’adunanza camerale del 16 gennaio 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente ha dedotto: 1) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., dell’art. 112 cod.proc.civ., non rinvenendosi nella sentenza impugnata alcun esame delle disposizioni normative invocate (artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 507 del 1993); 2) la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., per omessa o apparente motivazione, atteso che le considerazioni svolte prescindono completamente dalle qestioni sollevate dall’appellante; 3) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 38 e 39
del d.lgs. n. 507 del 1993 per disapplicazione dei presupposti impositivi della RAGIONE_SOCIALEo.s.aRAGIONE_SOCIALEp., essendo pacifica che il cavalcavia sovrasta la INDIRIZZO comunale e, dunque, che vi è stata un’occupazione di fatto, non autorizzata dal Comune, di un bene del suo demanio, da parte di un soggetto privato, che, sebbene titolare di una concessione statale, persegue fini di lucro, tipici dell’attività imprenditoriale; 4) la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., per omessa o apparente motivazione in ordine all’applicazione dell’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993, facendosi discendere l’applicazione dell’esenzione, in modo apodittico, dalla esistenza di controlli pubblici e dalla carenza di piena autonomia del concessionario, senza un effettivo confronto con le censure svolte in appello; 5) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993, essendosi riconosciuta l’esenzione prevista in assenza dei relativi presupposti e, cioè, a favore di una società RAGIONE_SOCIALE che svolge una tipica attività di impresa e non un’attività di valenza socio -cultarale, riconducibile a quelle indicate dal legislatore, in base ad una interpretazione estensiva della norma agevolativa; 6) il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., per insanabile contraddittorietà nel richiamo alle Sezioni Unite n. 8628/2020, che si occupava di questione completamente diversa e, cioè, della individuazione del soggetto passivo.
Il primo, il secondo ed il quarto motivo, con cui si è denunciata la violazione degli artt. 112 e 132 cod.proc.civ., sono infondati, in quanto la sentenza impugnata presenta una motivazione puntuale e diffusa, che consente di individuare con precisione i presupposti di fatto (peraltro, pacifici) della fattispecie e le argomentazioni giuridiche della decisione, confrontandosi, in conformità all’art. 112 cod.proc.civ., con tutte le questioni sollevate dall’appellante.
L’ultimo motivo, con cui si è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, è inammissibile, non solo perché ci troviamo in presenza di una doppia conforme, ma anche perché formulato riguardo non ad una circostanza di fatto, ma ad una argomentazione giuridica, consistente nel riferimento ad precedente di questa Corte. Del resto, come evidenziato dalla controricorrente, la censura di omessa motivazione è contraddetta da quella di violazione di legge, prospettata nel terzo e quinto motivo.
In proposito va ricordato che nell’ipotesi di “doppia conforme” (che ricorre nel caso di specie), il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile, ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod.proc.civ., se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947; v. anche Cass., Sez. 1, 22 dicembre 2016, n. 26774, secondo cui nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, c.p.c., il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse). A ciò si aggiunga che l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione attuale, prevede l’omesso esame come riferito ad un fatto decisivo per il giudizio ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., Sez. 6-1, 26 gennaio 2022, n. 2268).
Il terzo motivo è fondato e merita accoglimento.
Ai sensi dell’artt. 38, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993 (d.lgs. oggi abrogato e sostituito dalla l. 27 dicembre 2019, n. 160 -in particolare, per quanto concerne la t.o.s.a.p. v. art. 1, commi 837 e ss.), sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province. Il successivo art. 39 precisa che la tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio.
Il tributo è, dunque, dovuto in caso di qualsiasi occupazione di una strada riconducibile al demanio o patrimonio indisponibile di comuni e province: sia in caso di occupazione fondata su un provvedimento amministrativo, sia, come precisano le disposizioni in esame, di occupazione di fatto, che avvenga in assenza di una autorizzazione o concessione, a prescindere dal carattere abusivo oppure legittimo, come desumibile dall’avverbio «anche», prima dell’aggettivo «abusivo» nell’art. 39. Il riferimento all’occupazione di qualsiasi natura consente, pertanto, di comprendere nella fattispecie impositiva anche quelle occupazioni che, come nel caso di specie, trovino il loro fondamento nella legge, a cui è effettivamente riconducibile la realizzazione dell’opera pubblica e l’individuazione del tracciato della rete autostradale.
Le leggi de quibus , relative alla realizzazione dell’autostrada ed invocate da RAGIONE_SOCIALE, sono, del resto, anteriori al d.lgs. n. 507 del 1993, che non vi ha fatto alcun riferimento e non ha, dunque, affatto escluso dalla fattispecie impositiva l’occupazione delle strade comunali e provinciali avvenuta per la realizzazione della rete autostradale. Né è dirimente l’assenza di poteri di rimozione o riappropiazione da parte del Comune, che caratterizza
anche le occupazioni avvenute in base a provvedimento concessorio, nell’ipotesi di fisiologico espletamento del rapporto.
A ciò si aggiunga che, sebbene la realizzazione della rete autostradale sia stata prevista ed approvata con provvedimenti legislativi, ciò non ha comportato automaticamente il trasferimento della proprietà delle strade interessate allo Stato ed il conseguente passaggio di quelle comunali e provinciali nel demanio statale. L’art. 822 cod.civ. prevede, del resto, che le strade, le autostrade e le strade ferrate fanno parte del demanio pubblico se appartengono allo Stato e, cioè, rientrano nel demanio pubblico statale meramente eventuale, sicché è ben possibile che la strada su cui insiste il cavalcavia dell’autostrada appartenga ad altro ente. Infine, l’art. 12, ultimo comma, della l. n. 729 del 1961, vigente ratione temporis , nel prevedere che gli enti proprietari potranno prescrivere esclusivamente le cautele da osservare e le opere provvisionali da eseguire durante la costruzione delle opere, conferma la possibile appartenenza del tratto di strada ad Amministrazioni diverse dallo Stato, quali gli enti territoriali.
In definitiva, occorre distinguere la proprietà della strada su cui insiste il pontone o cavalcavia dell’autostrada da quella di quest’ultimo manufatto: la prima resta di titolarità dell’ente territoriale, in assenza di un atto di trasferimento, pur essendo la seconda di proprietà statale. Non si configura, infatti, una ipotesi di accessione invertita a favore dello Stato, che non è contemplata dalla legge.
Infine non può escludersi, nel caso di specie, la condotta dell’occupazione, in considerazione della destinazione del bene. A prescindere dalla considerazione che l’uso dell’autostrada è subordinato al pagamento di una tariffa al gestore dell’opera e, quindi, non è libero, sicché il bene non è più nella disponibilità della collettività, l’occupazione di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 507 del 1993
consiste semplicemente nella sottrazione dell’area agli enti territoriali che ne sono titolari per qualsiasi finalità avvenga, essendo attribuita rilevanza alla natura del soggetto occupante o al perseguimento di determinati interessi sociali tramite la previsione di una serie di esenzioni all’art. 49 e non tramite la delimitazione e riduzione della fattispecie impositiva. Del resto, questa Corte ha già affermato che la società, concessionaria statale, che abbia realizzato e gestito un’opera pubblica, occupando di fatto spazi rientranti nel demanio comunale o provinciale, è tenuta al pagamento del canone, non assumendo rilievo il fatto che l’opera sia di proprietà statale, poiché la condotta occupativa è posta in essere dalla società nello svolgimento, in piena autonomia, della propria attività d’impresa (Cass., Sez. 1, 10 giugno 2021, n. 16395). E’, dunque, sufficiente l’utilizzazione del bene da parte di un soggetto diverso dall’ente pubblico titolare, mentre risulta indifferente la strumentalità di tale utilizzazione alla realizzazione di un pubblico interesse, in assenza di una specifica ipotesi di esenzione.
Non pertinente è, infine, la pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 7 maggio 2020, n. 8626), che si sono limitate ad affermare che, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), la legittimazione passiva del rapporto tributario, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciato dall’ente locale, spetta, ex art. 39 del d.lgs. n. 507 del 1993, esclusivamente al soggetto titolare di tale atto, e solo in mancanza di questo, all’occupante di fatto, rimanendo irrilevante, ai fini passivi di imposta, l’utilizzazione del suolo pubblico consentita a soggetti terzi in virtù di atto di natura privatistica. Al contrario, il riconoscimento della soggettività passiva del tributo al concessionario, anche in assenza di un beneficio economico, conferma l’indifferenza dell’obbligazione tributaria alla destinazione del bene ed alla sua eventuale utilizzazione in modo non
pienamente imprenditoriale, in conformità con i limiti connessi alla realizzazione e gestione di un’opera pubbli ca.
Il motivo deve, dunque, essere accolto in applicazione del seguente principio di diritto: in tema di t.o.s.a.p., l’occupazione dello spazio sovrastante strade comunali o provinciali tramite manufatti necessari per la realizzazione della rete autostradale (nella specie, cavalcavia), quando sia posta in essere non direttamente dallo Stato, ma dal concessionario dell’opera pubblica, ricade nell’art. 38 del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto tali strade continuano a far parte del demanio comunale o provinciale e sono occupate, sia pure legittimamente, da un soggetto diverso dall’ente territoriale titolare.
Pure fondato è il quinto motivo, avente ad oggetto la violazione dell’art. 49 del d.lgs. n. 507 del 1993.
Si è, difatti, già affermato che l’esenzione prevista per lo Stato e per gli altri enti pubblici dall’art. 49, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 507 del 1993, postula che l’occupazione sia ascrivibile al soggetto esente, sicché ove la stessa avvenga ad opera della società RAGIONE_SOCIALE, in qualità di concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica, alla stessa non spetta l’esenzione, senza che assuma rilevanza che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione, tenuto conto delle finalità lucrative dell’attività d’impresa svolta da una società per azioni (così Cass., Sez. 6-5, 25 luglio 2018, n. 19693 riguardo proprio all’attraversamento da parte di un viadotto autostradale del suolo comunale). Si è anche precisato che l’esenzione prevista per lo Stato e gli altri enti dall’art. 49, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 507 del 1993, postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia ascrivibile al soggetto esente, sicché, nel caso di occupazione di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile dello Stato da parte di
una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica (nella specie, un tratto di rete autostradale inclusiva di un viadotto sopraelevato), alla stessa non spetta l’esenzione in quanto è questa ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione (Cass., Sez. 5, 12 maggio 2017, n. 11886; v. anche Cass., Sez. 1, 29 maggio 2023, n. 15010, secondo cui il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche è sempre dovuto dalla concessionaria incaricata della gestione del servizio autostradale in relazione al viadotto ricompreso nell’infrastruttura, poiché il fine e il vincolo di natura pubblicistica che pur contrassegnano l’opera gestita non valgono a rendere la concessionaria – che persegue in autonomia un proprio fine di lucro – una mera longa manus dell’amministrazione statale, non potendo perciò fruire delle esenzioni riservate alle occupazioni di suolo attuate da parte di quest’ultima).
Sul punto deve sottolinearsi che il concessionario può essere considerato longa manus dell’Amministrazione pubblica solo laddove ricorrano i requisiti dell’ in house providing , come configurati dalla giurisprudenza e dalle direttive comunitarie e come recepiti dalla nostra legislazione – e, cioè, i requisiti del controllo analogo (ovvero di un controllo pubblico analogo a quello esercitato dall’amministrazione sulle proprie strutture) e della destinazione dell’oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata allo svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da soggetti dalla stessa controllati.
A ciò si aggiunga che, anche laddove RAGIONE_SOCIALE fosse una società in house , la scelta della forma privata comporta la necessaria applicazione del regime previsto per gli altri soggetti privati, al fine di non alterare il regime della concorrenza, con
l’applicazione delle sole deroghe necessarie all’espletamento del compito pubblico assegnato (vedi art. 106, comma 2, del TFUE, che stabilisce che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata) o di quelle connesse alla sostanziale soggettività pubblica (ad es., applicazione delle regole sul reclutamento del personale; possibilità di attribuzione dei lavori senza ricorrere al procedimento di evidenza pubblica, salvo che nei settori speciali).
Difatti, sebbene i trattati lascino del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri, come precisa l’art. 345 del Tratto sul funzionamento dell’Unione eu r opea, l’art. 106 vieta agli Stati membri di emanare o mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche o delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusiva, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, sicché RAGIONE_SOCIALE, anche laddove fosse una società in house, non potrebbe beneficiare dell’esenzione riconosciuta allo Stato.
Per mera completezza deve evidenziarsi che non deve trarre in inganno la circostanza che il pontone/cavalcavia è riconducibile al demanio statale, posto che il soggetto che ha realizzato e attualmente utilizza tale struttura non è, comunque, lo Stato, ma una società e, dunque, un soggetto formalmente privato. Né può procedersi ad una soggettivizzazione del bene demaniale (pontone/cavalcavia), che va tenuto distinto dall’utilizzatore, soggetto passivo dell’obbligazione pecuniaria nei confronti dell’ente territoriale titolare della strada.
In conclusione, vanno accolti il terzo ed il quinto motivo, rigettati gli altri. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere
cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con rigetto dell’originario ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, mentre quelle del giudizio di merito devono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il terzo ed il quinto motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso; dichiara integralmente compensate le spese di lite dei gradi di merito; condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 3.500,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16/01/2024.