Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34383 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34383 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
un’ulteriore ragione di inammissibilità, in quanto spingono la Corte verso un’inammissibile rivalutazione delle questioni di merito oggetto di controversia.
Come si diceva, sussistono anche ragioni di inammissibilità dei singoli motivi, che ora si passano ad esaminare.
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, 4 e 5, c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, nonché « l’errore di diritto circa un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti e travisamento della prova» (v. pagina n. 22 del ricorso) per non avere la Commissione ritenuto l’inesistenza dell’atto di compravendita del 27 settembre 2007 posto alla base dell’avviso di liquidazione e di irrogazione delle sanzioni, nonché per l’erronea qualificazione sostanziale dello stesso come vendita, senza considerare la sua sostituzione avvenuta attraverso la stipulazione di un successivo contratto preliminare di compravendita datato 30 settembre 2007, eccependo altresì la nullità della sentenza per violazione falsa applicazione degli artt. 2, 3, 24, 97 e 111 Cost., 7 e 10 della legge n. 212/2000, oltre che degli artt. 10, 11, 15 e 20 d.P.R. 131/1986 (cd. TUR) e 214 e 215 c.p.c.
4.1. Nello specifico, la società ha lamentato l’errata qualificazione della scrittura tassata come vendita, invece che come preliminare di compravendita, assumendo che l’atto del 27 settembre 2007,
privo di data certa, era stato poi annullato con restituzione degli effetti e sostituito da quello del 30 settembre 2007, registrato in data 25 maggio 2012.
Secondo la contribuente, sia dal contenuto dell’esposto presentato da NOME COGNOME, legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, acquirente il bene immobile (con cui veniva lamentato il fatto che la ricorrente, nonostante avesse incassato la somma di 2.500.000,00 €, si rifiutava di dar seguito all’obbligo contratto con il citato preliminare), che dalla querela di falso dallo stesso COGNOME presentata contro la firma di detto esposto, emergeva il chiaro riferimento al preliminare di vendita registrato, evidentemente riguardante la successiva scrittura del 30 settembre 2007, unica ad essere stata registrata il 25 maggio 2012, come confermato dall’invito a presentarsi innanzi al notaio per il rogito.
4.2. Inoltre, la ricorrente ha segnalato la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, da un lato, ha ritenuto di dover esaminare l’atto del 27 settembre 2007 con « l’eventuale documentazione a corredo necessaria» (v. pagina n. 28 del ricorso), per poi assumere che l’imposizione fiscale della scrittura prescindeva da elementi extratestuali e da atti ad esso collegati, lamentando, altresì, la carenza di motivazione della stessa pronuncia con riferimento al motivo di appello con cui era stata censurata la sentenza di primo grado per non aver considerato la suindicata duplicità degli atti.
4.3. Per altra via, l’istante ha eccepito l’illegittima registrazione dell’atto del 27 settembre 2007, presentato all’Ufficio in fotocopia, sottoposto a querela di falso e disconosciuto in sede di contraddittorio, osservando che l’art. 15, comma 1, lett. b ), TUR richiede la presa in visione da parte dell’Ufficio dell’atto in originale, laddove, nella specie, il Giudice regionale non avrebbe considerato che l’atto sottoposto (a registrazione ed) a tassazione, inesistente
nella sua forma originale, era stato espressamente e chiaramente disconosciuto con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed era stato sostituto da altro atto registrato (quello del 30 settembre 2007).
Ha, quindi, concluso sul punto nel senso della « palese sussistenza dei presupposti idonei a determinare l’inesistenza e l’annullabilità del contratto del 27.9.2007, ravvisabili nella stipulazione di un contratto preliminare successivo datato 30.09.2007; nell’incasso delle somme pattuite a titolo di caparra confirmatoria solo successivamente a detta data; nella qualificazione di preliminare dell’atto esistente in tutte le comunicazioni intercorse tra le parti e l’Agenzia e tra le parti stesse; nella permanenza della proprietà dell’immobile in capo alla società RAGIONE_SOCIALE anche successivamente al 27/09/2007 per mancato perfezionamento dell’operazione nella registrazione seppur tardiva di diverso atto avente ad oggetto la medesima operazione e, su tutto, nel mancato incasso dell’intera somma pattuita per l’acquisto pari ad euro 5.000.000,00 da parte della società venditrice sulla base della quale veniva calcolata l’imposta di registro da parte dell’Agenzia delle Entrate » (così alle pagine nn. 30 e 31 del ricorso).
4.4. Detti argomenti risultano doppiamente inammissibili.
Intanto, perché la considerazione di un secondo atto, adottato in sostituzione del primo, coinvolge un profilo fattuale non proponibile innanzi alla Corte di legittimità.
In secondo luogo, perché il Giudice regionale ha chiaramente e correttamente premesso di dover prendere in considerazione solo l’atto tassato, suscettivo di interpretazione ai sensi dell’art. 20 TUR (secondo cui «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se
non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi») nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della legge n. 205/2017, per effetto della precisazione contenuta nell’art. 1, comma 1084, della legge n. 145/2018, avente efficacia retroattiva (cfr. tra le tante, anche da ultimo, Cass. n. 22666/2024, che richiama Cass., nn. 4315/2021 e 4319/2021, Cass. n. 9065/2021, Cass. n. 14318/2021 e 14342/2021, Cass. n. 25601/2021, Cass. nn. 29620/2021 e 29623/2021, Cass. n. 35220/2021; Cass. n. 38003/2021 e n. 38005/2021, Cass. n. 590/2022, Cass. n. 715/2022; Cass. n. 16482/2022 e n. 16483/2022; Cass. n. 34901/2023).
Risultano, pertanto, del tutto irrilevanti i riferimenti agli altri atti (esposto, querela di falso e scrittura privata del 30 settembre 2007) considerati dalla ricorrente e corretta si rivela la decisione della Commissione, la quale ha escluso ogni valutazione sull’atto del 30 settembre 2007, appena aggiungendo sul punto che non vi è stata alcuna insanabile contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha ritenuto che con riferimento all’atto tassato andava « valutata l’eventuale documentazione a corredo necessaria» (pagina n. 10 della pronuncia), trattandosi solo di un’infelice espressione, la quale, tuttavia, non ha avuto alcuna incidenza sulla corretta applicazione del criterio interpretativo di cui all’art. 20 TUR.
L’interpretazione della scrittura tassata risulta, infatti, essersi fondata solo sui contenuti del menzionato atto del 27 settembre 2007, come espressamente sancito dalla Commissione nella parte in cui, a più riprese, ha chiarito che l’avviso impugnato riguardava esclusivamente l’atto del 27 settembre 2007 e che «L’assoggettamento ad imposta va valutato sull’atto unicamente
sulla base degli elementi desumibili dall’atto sottoposto a registrazione, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati» e che « nessuna rilevanza può quindi avere l’analisi di altri documenti che si sostiene ‘ collegati ‘ e quindi nessuna censura può rilevarsi per l’omessa allegazione della scrittura provata del 30/09/2007 o dell’esposto di NOME COGNOME o ancora dei documenti che la RAGIONE_SOCIALE aveva consegnato all’Ufficio in data 24/05/2012 » (v. pagina n. 10 della sentenza impugnata).
4.5. Per altro verso, va riconosciuto che l’acquisizione della scrittura del 27 settembre 2007 da parte dell’Amministrazione non può considerarsi illegittima, siccome l’atto le era stato consegnato dalla controparte, né ha rilievo -come già sostenuto dal Giudice regionale -che si tratti di atto acquisito in copia e ciò perché l’art. 32, comma 1, n. 8bis , d.P.R. n. 600/1973 consente all’Ufficio di acquisire atti anche in fotocopia e perchè l’art. 15, comma 1, lett. b ), TUR presuppone, ai fini della registrazione di ufficio dell’atto, l’esistenza del documento, per cui anche la fotocopia di un atto, non validamente disconosciuta, avendo lo stesso valore del suo originale, va sottoposta a registrazione di ufficio.
Nella specie, la Commissione ha dato conto della genericità della prima contestazione della scrittura del 27 settembre 2007, operata ai sensi dell’art. 214 c.p.c. con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e, poi, della tardività del secondo disconoscimento effettuato nella successiva memoria, mentre la deduzione sviluppata dalla difesa della ricorrente nel ricorso in esame evidenzia che non si è trattato nemmeno di un disconoscimento in senso proprio, come tale teso a rappresentare gli elementi di difformità tra la copia ed il suo originale, giacchè -per come dedotto nel ricorso in esame -la diversità dell’atto in copia (del 27 settembre 2007, oggetto di tassazione) è stata eccepita con
riferimento « all’unico atto redatto dalle parti e riportante la data del 30.9.2007» (v. pagina n. 30 del ricorso) e, quindi, con riguardo ad altro documento, il che dimostra, a monte e con valutazione assorbente rispetto ad ogni questione, la non pertinenza del predetto disconoscimento ai sensi degli artt. 214 e ss. c.p.c., il quale postula, all’evidenza, l’unicità dell’atto (sia pure in originale ed in copia), qui, invece negata.
4.6. In effetti, il nucleo concettuale della difesa della società risiede nella ritenuta inesistenza ed annullabilità del contratto del 27 settembre 2007, non perchè mai stipulato, ma perché superato dalla successiva stipula della scrittura del 30 settembre 2007, il che integra il tema della perdurante validità dell’atto registrato di ufficio ed oggetto di causa, su cui valgono le considerazioni svolte dal Giudice regionale e non oggetto di confutazione in relazione alla previsione dell’art. 38 TUR, secondo cui la nullità e l’annullabilità dell’atto imponibile non dispensa dall’obbligo della registrazione e dal pagamento dell’imposta, salvo il diritto alla ripetizione per la parte eccedente la misura fissa in caso di dichiarazione di nullità o di annullamento dell’atto per causa non imputabile alle parti.
Come sopra, con la seconda censura la contribuente ha nuovamente eccepito, sempre con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, 4 e 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, nonché l’«errore di diritto circa un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti e travisamento della prova» (v. pagina n. 31 del ricorso), eccependo, altresì, la nullità della sentenza per violazione falsa applicazione degli artt. 2, 3, 24, 97 e 111 Cost., artt. 7 e 110 della legge n. 212/2000, oltre che dell’art 20 d.P.R. n. 131/1986.
La ricorrente ha premesso che la previsione dell’art. 20 TUR legittima l’Amministrazione a disconoscere gli effetti tributari e civili
tipici degli atti ogniqualvolta essi non siano conformi alla ‘causa reale’ dell’operazione economica complessivamente realizzata, segnalando che dal suo contenuto, in aggiunta agli elementi extratestuali sopra considerati, emergeva la posticipazione degli effetti dell’atto al momento del saldo del prezzo, la stipulazione, dopo soli tre giorni di altro atto avente ad oggetto il medesimo bene (denominato ‘Promessa di vendita’), la mancata effettuazione del rogito, l’incasso della sola somma di 2.500.000,00 € a titolo di caparra confirmatoria, l’assenza del trasferimento del bene, lamentando, quindi, la società che la tassazione operata difetterebbe del suo presupposto impositivo.
5.1. Si tratta di motivo inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis c.p.c., siccome fondato sul recupero, a fini interpretativi dell’atto sottoposto a tassazione, di elementi extratestuali.
Deve, infatti, ancora una volta precisarsi che, alla luce delle previsioni dell’art. 1, comma 87, della legge n. 205/2017 e dell’art. 1, comma 1084, della legge n. 145/2018, nonché degli interventi del Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 158/2020 e Corte Cost. n. 39/2021), questa Corte ha riconosciuto che l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extratestuali, avendo la nuova (e retroattiva) formulazione dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 stabilito l’interpretazione dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione va operata con riferimenti agli elementi intrinseci dell’atto medesimo, prescindendo da quelli ad esso collegati (cfr., tra le tante, Cass. n. 22666/ 2024, che richiama Cass. n. 4315/2021 e Cass. n. 4319/2021, Cass. n. 9065/2021, Cass. n. 14318/2021 e Cass. n. 14342/2021, Cass. n. 25601/2021, Cass. n. 29620/2021 e Cass. 29623/2021, Cass. n. 35220/2021; Cass. n. 38003/2021 e Cass. 38005/2021, Cass. n.
590/2022, Cass. n. 715/2022, Cass. n. 16482/2022 e Cass. n. 16483/2022, Cass. n. 34901/2023).
5.2. Quanto poi alla qualificazione della scrittura in relazione ai suoi contenuti, va osservato che la posticipazione degli effetti giuridici dell’atto al momento del saldo del prezzo costituisce meccanismo consentaneo alla vendita con riserva di proprietà di cui all’art. 1523 c.c., configurata dal Giudice regionale in termini che non hanno costituito oggetto di impugnazione con il ricorso in esame.
Con la terza doglianza la società ha eccepito, con riguardo ai canoni censori di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, 4 e 5, c.p.c., sempre l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, nonché l’«errore di diritto circa un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti e travisamento della prova» (v. pagina 33 del ricorso), eccependo, inoltre, la nullità della sentenza per violazione falsa applicazione degli artt. 2, 3, 24, 97 e 111 Cost., 7 e 10 della legge n. 212/2000, della legge n. 454/1996, nonché degli artt. 1, comma 1, 2, commi 4 e 4bis d.lgs. n. 99/2004 e 41 d.P.R. 131/1986 sulla quantificazione del tributo e relative sanzioni, ponendo in rilievo, da un lato, che, ove dovesse confermarsi la valutazione della scrittura del 27 settembre 2007 come compravendita, dovrebbe ricevere applicazione e riconoscimento l’agevolazione prevista per la Piccola Proprietà Contadina ed insistendo, per altro verso, per la riqualificazione dell’atto come preliminare di vendita e l’applicazione del relativo regime tariffario.
6.1. La censura risulta inammissibile, oltre che infondata, per i seguenti motivi.
Secondo l’istante il riconoscimento dell’agevolazione non richiede l’atto notarile, né il rilascio del certificato di coltivatore diretto rilasciato dalla provincia.
Senonchè, va dato conto che la valutazione del Giudice regionale si è ulteriormente (e correttamente, come di vedrà) sviluppata (oltre al rilievo della mancanza del rogito notarile), considerando che l’atto oggetto di tassazione non conteneva alcuna menzione dei requisiti per l’applicazione dell’agevolazione, con ciò, quindi, ponendo la relativa dichiarazione negoziale come presupposto ineludibile per il godimento del beneficio.
Non solo. La medesima contribuente ha mostrato di non aver ben chiaro quale agevolazione intendesse ottenere, risultando dal contenuto della sentenza impugnata (v. pagina n. 3), nonchè dal ricorso in esame (v. pagine nn. 34 e 35), la proposizione dell’alternativa richiesta dell’aliquota ridotta in ragione della qualifica di imprenditore agricolo professionale della società agricola RAGIONE_SOCIALE o dell’imposta in misura fissa in base alle disposizioni in materia di piccola proprietà contadina.
Va, allora, chiarito, sul versante giuridico, che l’agevolazione per la piccola proprietà contadina presuppone, in primo luogo, la dichiarazione, contenuta nell’atto, di possedere i relativi requisiti, unitamente alla loro dimostrazione tramite il relativo certificato definitivo già al momento della registrazione dell’atto, salva la produzione di un’attestazione provvisoria idonea a conservare il diritto al beneficio, a condizione, però, che entro il triennio successivo venga presentata all’Ufficio la certificazione definitiva.
In ogni caso, il contribuente che non abbia dimostrato il possesso del requisito soggettivo di coltivatore diretto, dichiarato al momento dell’atto per ottenere il beneficio fiscale, non può successivamente pretendere il richiesto beneficio sulla base del
diverso requisito soggettivo di imprenditore agricolo professionale, seppur equipollente ai fini del riconoscimento, in quanto, poiché i poteri di accertamento del tributo si esauriscono al momento della registrazione e tassazione dell’atto, non è possibile mutare il titolo dell’attribuzione e la decadenza dall’agevolazione concessa preclude qualsiasi accertamento sulla base di diversi presupposti normativi o di fatto (cfr. sul punto, Cass. n. 30921/2024, che richiama Cass. nn. 14935/22 e 17411/23).
Nella specie, l’accertata (dal Giudice regionale) e non confutata assenza della (necessaria) dichiarazione nell’atto tassato di voler conseguire il beneficio e la stessa incerta ed oscillante richiesta di agevolazioni differenti valgono a rendere il motivo complessivamente inammissibile.
6.2. Sulla riqualificazione dell’atto come preliminare di vendita e quindi sull’applicabilità del relativo regime tariffario, valgono, invece, le considerazioni in precedenza svolte sull’inutilizzabilità dei dati extratestuali e sulla mancata impugnazione della sentenza in rassegna nella parte in cui ha qualificato l’atto come vendita con riserva di proprietà sottoposto al regime tariffario della vendita.
Con la quarta ed ultima ragione di contestazione la ricorrente ha denunciato, ancora una volta in base ai parametri di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, 4 e 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza e l’«errore di diritto circa un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti e travisamento della prova» (v. pagina n. 36 del ricorso), in ordine alla dedotta doppia imposizione e sulla sussistenza del litisconsorzio necessario, evidenziando il rischio che l’eventuale consolidamento della pretesa nei confronti delle due società, comporterebbe un’illegittima doppia tassazione dell’unico atto, con conseguente necessaria ripetizione dell’indebito.
7.1. Anche detta doglianza va dichiarata inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis c.p.c., dovendo osservarsi sul punto osservarsi che il Giudice regionale ha negato la sussistenza del litisconsorzio necessario con l’altra parte dell’atto negoziale, decidendo la questione in modo conforme al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui l’obbligazione per il pagamento dell’imposta di registro grava sulle parti contraenti con vincolo di solidarietà come stabilito dal primo comma dell’articolo 57 d.P.R. n. 131/1986, sicchè, sul piano processuale, il rapporto di solidarietà passiva si risolve in un litisconsorzio meramente facoltativo (cfr., tra le tante, Cass. n. 12309/2020, Cass. n. 1698/2018, Cass. n. 15958/2015, Cass. n. 24098/2014; Cass., Sez. Un., n. 1052/2007).
7.2. Va aggiunto che non sussiste alcun rischio di duplicazione della tassazione, giacchè la natura solidale dell’obbligazione faculta il creditore ad agire contro uno soltanto dei condebitori, non anche a soddisfare due volte il proprio credito.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate nella misura di 10.000,00 € per competenze ed al rimborso delle spese che risulteranno dai registri di cancellaria prenotate a debito.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 settembre