Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17824 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17824 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3066/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege -ricorrente- contro
DELL’COGNOME, rappresentato e difeso da sé stesso (DLLLRD50P09A883L)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MOLISE n. 169/2020 depositata il 26/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La CTR Molise, con la sentenza n. 169/02/2020, nel giudizio relativo a quattro avvisi di liquidazione emessi nei confronti dell’ a vvocato NOME COGNOME, relativi alla registrazione di decreti ingiuntivi emessi dal Giudice di Pace di Termoli, in parziale riforma
della sentenza di primo grado, in accoglimento del quarto motivo di impugnazione, dichiarava la validità degli avvisi di liquidazione in contestazione limitatamente al recupero dell’imposta fissa dovuta per la registrazione dei soli decreti ingiuntivi.
1.1. I giudici di appello ritenevano, per contro, che non fosse dovuta l’imposta fissa di euro 200,00 sull’atto enunciato (vale a dire il rapporto di mandato esistente fra il professionista ed il cliente) rilevando che, come correttamente affermato dai giudici di primo grado, il contratto d’opera professionale intercorso tra il professionista ed i propri clienti non veniva menzionato in nessuno dei decreti ingiuntivi di causa e tali contratti rappresentavano, piuttosto, il presupposto logico implicito su cui si fondava il provvedimento dell’A.G..
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, l’ufficio.
NOME COGNOME resiste con controricorso, eccependo l’improcedibilità del ricorso e , sotto più profili, l’inammissibilità dello stesso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 22 del d.P.R. n. 131/1986. Rileva che l’Ufficio aveva correttamente sottoposto ciascuno dei quattro decreti ingiuntivi pronunciati e depositati in data 22 luglio 2014 dal Giudice di Pace di Termoli, alla formalità della registrazione con i seguenti criteri: imposta fissa di registro, pari ad € 200,00, sulla condanna al pagamento della somma, ex art. 8, tariffa parte prima allegata al d.P.R. 131/86 (ritenuta dovuta dal giudice dell’appello in riforma a quanto deciso dal primo giudice) e imposta fissa di registro, pari ad € 200,00, sull’atto enunciato, ovvero il rapporto esistente tra il professionista e la cliente, ai sensi dell’art. 22 d.P.R. n. 131/1986.
Osserva che i giudici territoriali non avevano considerato che l’imposta richiesta era correttamente basata sul presupposto che quando in un provvedimento dell’autorità giudiziaria venga enunciato un atto, l’imposta di registro si applica, oltre che sull’atto sottoposto alla formalità della registrazione, anche sulle disposizioni in esso contenute, non avendo i giudici di merito considerato che nei suddetti decreti ingiuntivi era menzionato il negozio giuridico sottostante, ovvero l’attività professionale s volta nei confronti del singolo cliente.
Il contribuente, con il proprio controricorso, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto un triplice profilo: – per difetto di autosufficienza, non avendo l’ufficio depositato dinanzi alla Suprema Corte gli avvisi di liquidazione né il contenuto integrale dei medesimi né gli atti processuali su cui si fondava l’impugnazione; – per essersi formato il giudicato interno sulla parte della sentenza di primo grado non impugnata in forza della quale la CTP aveva assunto che occorreva applicare il secondo comma dell’art. 22 legge cit. atteso che il contratto verbale ai prestazioni ad opera professionale, al momento dell’azione monitoria del professionista nei confronti del proprio ex cliente per il recupero dei compensi rimasti insoluti, risultava di diritto cessato e, comunque, i relativi effetti erano terminati; – in ragione della circostanza che il provvedimento impugnato risultava conforme alla giurisprudenza della Suprema Corte, tant’è che i giudici d’appello avevano citato un precedente di legittimità (Cass. n. 2859/2019). Ha dedotto, poi, l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c. per mancato deposito, unitamente al ricorso, degli atti processuali sui quali si fondava l’impugnazione.
Osserva questa Corte che la presente causa può essere decisa, in applicazione del principio della ‘ragione più liquida’, esaminando con precedenza l’eccezione di giudicato interno formulata dal
contribuente, eccezione da ritenere fondata, derivandone l’assorbimento dei restanti profili.
3.1. Deve evidenziarsi che, come dedotto dal contribuente, i giudici di primo grado, nel rilevare che non poteva ritenersi applicabile l’art. 22 del d.P.R. n. 131/1986 in quanto nel ricorso per ingiunzione il contratto per opera professionale, sulla base del quale l’avvocato svolge la propria attività professionale nell’interesse del cliente, non viene menzionato ed anzi costituisce solo un implicito presupposto logico, senza rivestire alcuna rilevanza fra i requisiti richiesti per l’emissione del decreto i ngiuntivo (non potendosi, dunque, parlare di ‘enunciazione’ nell’ accezione di cui alla norma in esame ), hanno altresì assunto che, in ogni caso, occorreva applicare il secondo comma dell’art. 22, legge cit., atteso che il contratto verbale di prestazione d’opera professionale, al momento dell’azione monitoria del professionista nei confronti del proprio ex cliente per il recupero dei compensi rimasti insoluti, risultava di diritto cessato e, comunque, i relativi effetti si erano esauriti.
3.2. Orbene, secondo quanto desumibile dall’atto di appello dell’ufficio e dal medesimo tenore delle difese di cui all’odierno ricorso -ove l’Agenzia delle entrate ha richiamato i motivi di gravame innanzi alla CTR – tale autonoma ed autosufficiente ratio decidendi non è stata impugnata in secondo grado, non avendo l’ufficio nulla dedotto, quanto agli atti enunciati, in relazione alla rilevata applicabilità, nel caso di specie, del ‘ secondo ‘ comma del menzionato art. 22.
Va, invero, ricordato che, sul piano generale, quanto ai presupposti di applicazione dell’art. 22 del T.U. Registro in materia di ‘tassazione per enunciazione’, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 24/05/2023, n. 14432) hanno chiarito che occorr ono ‹‹l’autonomia giuridica oggettuale dell'”enunciazione” (delle disposizioni enunciate), l’identità delle parti dell’atto “enunciante” e dell’atto “enunciato”, la permanenza degli effetti di quest’ultimo (v., in
termini, da ultimo, Sez. 5, nn. 3839-3841/2023; in senso conforme, Sez. 5, nn. 32516/2019, 15585/2010′)››. La tassazione si riferisce, peraltro, non a qualunque generica menzione, in un provvedimento giudiziario, di un atto, ma alla enunciazione degli atti posti dal giudice alla base della propria decisione (Corte Cost. n. 7/99).
Ne discende che non avendo l’ufficio, in sede di appello, censurato l’affermazione del primo giudice secondo cui gli effetti del rapporto professionale enunziato erano cessati, la sentenza di primo grado deve ritenersi passata in giudicato in ordine alla non debenza del tributo per gli atti enunciati in ragione della inammissibilità ( in parte qua ) dell’atto di appello.
3.3. Conseguentemente, quindi, l’odierno ricorso -che verte unicamente sulla tematica della tassazione degli atti enunciati -è da ritenere inammissibile.
3.4. Per inciso va precisato che rimane ferma la statuizione della CTR in punto di debenza dell’imposta fissa di registro per la registrazione dei soli decreti ingiuntivi (profilo questo passato in giudicato in assenza di ricorso incidentale da parte del contribuente).
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 600,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione