Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11305 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11305 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1797/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimato-
E CONTRO
COMUNE COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore
-intimato-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 3704/2018 depositata il 05/06/2018 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza della C.T.R. del Lazio, che, in parziale riforma della sentenza della C.T.P. di Roma, ha accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, per l’annullamento degli avvisi di accertamento relativi al pagamento di maggior importo a titolo di tariffa di igiene ambientale, per gli anni 2007-2009, a seguito di infedele dichiarazione sulla superficie tariffabile.
La C.T.R. ha ritenuto non dovuto quanto richiesto, emergendo dalla documentazione prodotta che le aree coperte destinate a ristorante erano pari a mq. 370 e non a mq. 1040, come preteso da RAGIONE_SOCIALE ed essendo la differenza costituita da aree scoperte, non chiuse, e di pertinenza al servizio del locale, per le quali il Regolamento comunale TIA esclude l’applicazione della tariffa.
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE ed il Comune di Ciampino sono rimasti intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La soc. RAGIONE_SOCIALE formula tre motivi di ricorso.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ.. Rileva che la C.T.R. non ha in alcun modo specificato in che cosa
consistesse la richiamata ‘documentazione’ sulla base della quale ha affermato che le aree destinate a ristorante fossero pari a mq. 370, anziché a mq. 1040, non ricavandosi siffatta prova dagli atti. Sostiene che l’assenza di indicazioni non consente di comprendere il percorso motivazionale.
Con il secondo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio. Assume che la C.T.P. aveva rigettato il ricorso del contribuente sulla base dei dati di metratura rilevati in sede di sopralluogo, richiamando il verbale di sopralluogo, il rilievo grafico e la planimetria offerta dal ricorrente e che la C.T.R. non ha motivato l’omissione delle risultanze documentali, da cui non emergeva alcuna area scoperta.
Con il terzo motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione del regolamento comunale, nonché l’omessa applicazione del d.lgs. 22 del 1997. Rileva che le disposizioni del Regolamento TIA richiamate dalla C.T.R. (artt. 4, 7 e 19) sono inconferenti, mentre devono trovare applicazione l’art. 49 comma 3 del d.lgs. 22 del 1997 e l’art. 10 del Regolamento TIA, questo prevedendo che ‘la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali o aree scoperte a qualsiasi titolo adibiti’. Contesta, ancorché non la ritenga sottesa alla decisione, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il Comune avrebbe sanato la situazione senza alcuna opposizione da parte di RAGIONE_SOCIALE avuto riguardo al fatto che il Comune aveva deliberato di mantenere la pregressa iscrizione tariffaria solo per i giudizi pendenti, ritenendo di non poter sottrarre al giudice competente la titolarità della decisione sui dati accertati.
Va affrontato, innanzitutto, in ordine logico, il terzo motivo di ricorso.
La doglianza è fondata.
E’ bene premettere che ‘La distinzione tra aree scoperte accessorie o pertinenziali e le aree scoperte operative risale al d.P.R del 10 settembre 1982 n. 915 la cui previsione stabiliva che la tassa rifiuti doveva essere applicabile solo alle aree scoperte operative e non anche a quelle costituenti accessorio o pertinenza di locali già tassati. Infatti, l’art. 21 del decreto, modificando l’art. 269 del t.u.f.l. del 14 settembre 1931, n. 1175, aveva stabilito che la tassa deve essere applicata anche alle aree adibite a campeggi, a distributori di carburante, a sale da ballo all’aperto, a banchi di vendita all’aperto, nonché a qualsiasi altra area scoperta ad uso privato, ove possono prodursi rifiuti, la quale non costituisca accessorio o pertinenza dei locali assoggettabili a tassa. I numerosi rinvii normativi portarono al d.l n. 8 del 26 gennaio, n. 999 che ha disposto, definitivamente, la tassabilità integrale delle aree scoperte operative e l’esclusione di quelle accessorie e pertinenziali a locali tassabili. Le aree a verde sono qualificabili come pertinenza di civili abitazioni (o di altri locali) e quindi escluse dalla tassazione; esclusione confermata dal d.lgs. del 5 febbraio 1997, n. 22 che ha istituito la tariffa Ronchi, applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale riconoscendo, implicitamente, l’esclusione di tutte le aree scoperte ad uso privato. Invece, le deroghe indicate dal comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti’ (così Cass. del 14/09/2016, n. 18054; Cass. del 12.07.2017, n. 18500; Cass., 23 maggio 2019, n. 14037;
Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass del 22.01.2021, n. 17875). La fattispecie di esclusione in discorso è stata ricondotta dalla Suprema Corte, con precedenti arresti relativi al regime della TARSU – e con specifico riferimento alle aree destinate a parcheggio – alla disposizione di cui all’art. 62, comma 2, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, essendosi rilevato che detta disposizione, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti «per il particolare uso cui sono stabilmente destinati», chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell’area ad un determinato uso, ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti (v. Cass., 26 luglio 2017, n. 18500; Cass., 13 marzo 2015, n. 5047). Più di recente, in tema di TARES si è rimarcato che la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative; l’ operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un’ulteriore estensione dell’attività svolta (Cass., 26/05/ 2023, n. 14718). Il nesso di pertinenzialità -che, ad ogni modo, va accertato in concreto (Cass., 16/02/2018, n. 3800) -non esclude, pertanto, ex se l’imponibilità laddove detto nesso involga un’area da considerarsi operativa siccome luogo di esercizio di un’attività funzionale a quella svolta sulla superficie, cui si raccorda lo stesso nesso pertinenziale.
Il presupposto del tributo, quindi, risiede sempre nell’occupazione o conduzione di locali ed aree produttive di rifiuti, ma se spetta all’Amministrazione provare la fonte dell’obbligazione tributaria (a cominciare dall’attivazione del servizio di raccolta sul territorio comunale), altrettanto indubbio
è che è invece ‘onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19551 del 12/06/2024, con riferimento a TARSU, TARES; Sez. 6, 06/07/2022, n. 21335, a proposito della TARI).
Ne consegue che l’esclusione dall’imposizione di area pertinenziale rispetto al locale assoggettato al tributo prevista, all’epoca, con riferimento alla TIA dall’art. 49 d.lgs. 22 del 1997, è da valutarsi in concreto, incombendo sul contribuente la prova non solo della pertinenzialità, ma dell’estraneità della stessa alla capacità di produzione di rifiuti. Essendo quest’ultima la ratio dell’esclusione, anche il regolamento del Comune di Ciampino, nella parte in cui assoggetta a tariffa le aree scoperte a qualsiasi uso adibite, deve ritenersi riferito ad aree scoperte che siano, comunque, espressive della capacità di produrre rifiuti, solo così inquadrandosi nella normativa primaria che fa salve le aree pertinenziali di locali assoggettati a tariffa.
Il primo motivo è infondato.
Si assume che la C.T.R. abbia genericamente basato la decisione sulla ‘documentazione in atti’ senza specificare in che cosa essa consistesse, così solo apparentemente motivando
Deve ricordarsi che, secondo le Sezioni Unite, è apparente la motivazione graficamente presente quando essa caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione (cfr. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). Per assolvere l’obbligo di motivazione costituzionalmente imposto alle decisioni giurisdizionali -come specificato dall’art. 132, comma 2, n. 4) e dall’art. 36, comma
2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario)- il giudice è tenuto a precisare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, chiarendo su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, rendendo così percepibile il fondamento della decisione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (in questo senso Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, in motivazione; negli stessi termini ex multis : Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022).
Ora, al di là della stringatezza della sentenza, non può certamente dirsi che la motivazione rivesta i caratteri dell’apparenza, essendo chiarito che l’esclusione dall’applicazione della tariffa è ricondotta all’esistenza di un’area scoperta ritenuta pertinenziale rispetto al locale ristorante assoggettato a tributo. Il rilievo che la documentazione in atti non sia stata specificata è, in realtà, privo di pregio, posto che è la stessa ricorrente che, in questa sede, precisa come all’allegato 6) del fascicolo di parte fossero contenuti il verbale di sopralluogo, il rilievo grafico, ma anche la planimetria offerta dal contribuente. La C.T.R, invero, fa riferimento alla documentazione prodotta in atti e tenuto conto che essa non fa menzione di atti ulteriori rispetto a quelli considerati dal primo giudice, appare chiaro che è proprio la diversa lettura data a quelli, che conduce il giudice di grado al ribaltamento della decisione di prima cura.
Il secondo motivo è inammissibile.
Si sostiene che il giudice di appello avrebbe ignorato i documenti allegati dall’attuale ricorrente, da cui emergeva la natura coperta delle aree. Come si è detto, invece, da un lato, la C.T.R. dimostra di avere preso in considerazione tutti gli atti
prodotti dalle parti, dall’altro, il fatto non appare decisivo, avuto riguardo a quanto in precedenza precisato in ordine all’assoggettamento al tributo delle aree scoperte pertinenziali, allorquando idonee a produrre rifiuti.
La decisione appare, nondimeno, monca perché, come evidenziato supra , e come rilevato dalla ricorrente, la C.T.R., nell’affermare la pertinenzialità dell’area al ristorante, di cui è ‘al servizio’ non si occupa di verificarne, a mezzo delle prove da fornirsi da parte del contribuente, l’inidoneità alla produzione di rifiuti, requisito indispensabile all’esclusione dalla tariffa.
La sentenza deve, dunque, essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria del Lazio, in diversa composizione, cui è demandata anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, cui demanda la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 12 febbraio 2025 .