Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31391 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31391 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
TARSU -AREA PORTUALE SPECCHI D ‘ ACQUA LEGITTIMAZIONE R.T.I. EQUITALIA-GE.SE.T.-
COGNOME
sul ricorso iscritto al n. 14812/2020 del ruolo generale, proposto
DA
LEGA NAVALE ITALIANA – SEZIONE DI POZZUOLI (NA), (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede legale in Pozzuoli (NA), alla INDIRIZZO in persona del suo presidente pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. prof. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTE –
CONTRO
l’ RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, in persona del presidente pro tempore,
rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– CONTRORICORRENTE –
NONCHÉ
il RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO D ‘ IMPRESE EX RAGIONE_SOCIALE, ORA AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE – RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALEcodice fiscale CODICE_FISCALE), concessionario della società RAGIONE_SOCIALE ai fini dell’accertamento e riscossione della TARSU per la Provincia di Napoli.
E
il COMUNE DI COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Sindaco pro tempre , con sede in Pozzuoli (NA), alla INDIRIZZO (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del dirigente pro tempore dell’Ente.
– INTIMATI – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 8002/14/2019, depositata in data 22 ottobre 2019, non notificata.
LETTE le motivate conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME depositate in data 24 maggio 2024, con cui ha chiesto di rigettare il ricorso.
UDITA la relazione svolta all’udienza camerale del 19 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di accertamento indicato in atti, con cui il Raggruppamento Temporaneo d’imprese costituito da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE (da
ora solo R.T.I.), nella qualità di concessionario della società RAGIONE_SOCIALE, ai fini dell’accertamento e riscossione della TARSU per i Comuni ricadenti nella Provincia di Napoli, chiedeva alla Lega Navale Italiana -Sezione di Pozzuoli -l’importo complessivo di 219.181,00 € a titolo di Tarsu per gli anni di imposta 2010/2012, in ragione dell’omessa denuncia della superfice di 15.139 mq, ubicata nel porto di Pozzuoli, ritenuta essere area di parcheggio e di servizio.
Con l’impugnata sentenza la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dal citato R.T.I. contro la sentenza n. 17775/26/2017 della Commissione tributaria provinciale di Napoli (che aveva accolto il ricorso della contribuente, reputando l’avviso impugnato privo di motivazione), assumendo, invece, che:
-l’Agenzia delle Entrate –RAGIONE_SOCIALE (subentrata ad RAGIONE_SOCIALE) aveva regolarizzato la costituzione in giudizio tramite il proprio dipendente, all’uopo delegato, giusta apposita procura allegata, il che rendeva irrilevante l’erroneo rinvio (nel nuovo atto di costituzione) alla procura rilasciata (ad un avvocato del libero Foro) nell’atto introduttivo;
-l’appello era ammissibile, sebbene proposto con il ministero di un avvocato del libero foro, giacchè detta facoltà era consentita, ai sensi dell’art. 1, comma 8, d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, nel caso di indisponibilità dell’Avvocatura dello Stato, come alternativa, nei giudizi di merito, alla facoltà di avvalersi di propri dipendenti, in tal senso dovendo interpretarsi l’art. 11 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546;
-l’appello era ammissibile, ai sensi dell’art. 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in ragione del richiamo alle argomentazioni svolte in primo grado, siccome utilizzate per sviluppare il ragionamento critico contro la decisione di primo grado;
-l’avviso era compiutamente motivato, avendo indicato gli elementi giustificativi della pretesa (anni di imposta, unità di misura della superfice oggetto di accertamento, pari a 15.139,00 mq., l’importo unitario del tributo ed i coefficienti utilizzati per il calcolo), ponendo così la contribuente nelle condizioni di intendere la pretesa fiscale relativa alla Tarsu applicata a due specchi d’acqua con pontili galleggianti ubicati nel porto di Pozzuoli, ai quali si riferiva la locuzione, contenuta nell’avviso, «area di parcheggio e di servizio», da intendersi come relativa all’ormeggio di imbarcazioni;
-l’attività di accertamento era stata affidata al predetto R.T.I. da RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 71 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 all’esito di precedente bando di gara, il cui disciplinare (art. 5) non prevedeva l’iscrizione all’apposito albo previsto dall’art. 53 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e dal d.m. 11 settembre 2000, n. 289 per il Raggruppamento, ma solo per le imprese associate destinate a svolgere le cd. attività principali (come individuate nell’art. 2 del medesimo disciplinare), essendo, invece, previsto per le consorziate destinate a svolgere le cd. attività secondarie (pure individuate dalla citata disposizione del disciplinare) la sola iscrizione nella Camera di Commercio; nella specie, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (iscritte nell’apposito albo) si erano impegnate a svolgere le attività principali, mentre ad RAGIONE_SOCIALE era stato demandato il compito di svolgere attività secondarie, restando così irrilevante che RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE non fossero iscritte all’albo, il tutto come chiarito dal parere n. 90 del 27 maggio 2015 emesso dall’Autorità Nazionale Anticorruzione e dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui la menzionata iscrizione era necessaria solo per lo svolgimento delle attività principali;
-l’avviso era stato sottoscritto dal legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE a cui era stato demandato il compito di svolgere l’attività principale, tra cui quella di accertamento della
tassa, e che la firma era stata apposta a stampa in termini autorizzati dal provvedimento dirigenziale n. 1 del 20 febbraio 2014 del R.T.I., a nulla rilevando, per quanto sopra detto, che l’avviso non fosse stato sottoscritto dall’ente comunale;
-non occorreva l’instaurazione di un preventivo contraddittorio, non derivando l’accertamento da una dichiarazione del contribuente, né sussistendo incertezze rilevanti;
-per aree scoperte sottoposte a tassazione ai sensi dell’art. 62 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 dovevano considerarsi tutte le estensioni spaziali comunque utilizzabili ed utilizzate da una comunità umana, che produce rifiuti, a prescindere dalla natura (solida o liquida) del supporto materiale su cui si sviluppa la superfice;
nel caso di contratto (atipico) di ormeggio, equiparabile al deposito (se caratterizzato dalla sola messa a disposizione di uno spazio acqueo) o alla locazione del cd. posto macchina (se qualificato da altre prestazioni, quali la custodia del natante), il concedente l’area occupata e/o detenuta dal diportista resta titolare dell’obbligo tributario di cui di discute e la natura demaniale dello specchio d’acqua non esclude la potestà impositiva del Comune, come si desume dall’art. 68, comma 2, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507;
era corretto il computo della superfice di acqua tassabile ai sensi dell’art. 62, comma 2 e 3, e 65 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in base alla quantità e qualità medie ordinarie per unità di superfici imponibili dei rifiuti solidi urbani producibili per il tipo di uso, considerando l’intera superfice potenzialmente produttiva di rifiuti;
la Tarsu era ancora applicabile per i menzionati anni di imposta sulla base del relativo regolamento e per i comuni che non avevano optato per il passaggio alla TIA;
non avendo la ricorrente provato di aver effettuato la denuncia iniziale, correttamente erano state applicate le sanzioni, essendo stata da tempo riconosciuta la tassabilità degli specchi acquei;
correttamente erano state applicate le addizionali Eca e Meca, essendo stata l’Eca soppressa a partire dall’anno di imposta 2013;
restavano, per il resto, assorbite le altre residue eccezioni.
La RAGIONE_SOCIALE -Sezione di Pozzuoli – proponeva ricorso per cassazione contro la predetta sentenza, notificandolo in data 1° giugno 2020, nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 83, comma 2, d.l. 18 marzo 2020., n. 18 e 36 d.l. 8 aprile 2020, n. 23, formulando quindici motivi di impugnazione, depositando in data 5 settembre 2024 memoria ex art. 380bis .1. c.p.c.
L’Agenzia delle Entrate -Riscossione resisteva con controricorso notificato l’11 luglio 2020 .
5 . Il Raggruppamento Temporaneo d’imprese ex RAGIONE_SOCIALE, ora Agenzia delle Entrate -Riscossione – RAGIONE_SOCIALE ed il Comune di Pozzuoli sono restati intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Si premette che si esaminano congiuntamente il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, siccome connessi nella doglianza concernente l’inammissibilità dell’appello per effetto dell’inammissibilità della costituzione in appello dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (da ora anche AdER), a seguito di ordine impartito ai sensi dell’art. 182 c.p.c., « ad opera di un Responsabile del Contenzioso di RAGIONE_SOCIALE » (v. pagina n. 29 del ricorso); e ciò, sia sotto il profilo secondo cui -a dire della ricorrente -l’RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto stare in giudizio al posto di RAGIONE_SOCIALEvenuta a mancare quale capogruppo mandataria del R.T.I. per effetto del subentro del
nuovo ente), in ragione del principio di immodificabilità della composizione soggettiva dei raggruppamenti temporanei di imprese, che con riguardo alla costituzione di detto nuovo ente tramite un avvocato del libero foro in violazione di quanto previsto dall’art. 1, comma 8, d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, oltre che con riferimento all’eccezione di inesistenza della procura rilasciata a favore del funzionario dell’Agenzia della riscossione, siccome conferita solo per gli atti introduttivi del giudizio.
Si scrutinano, altresì, congiuntamente il settimo, il nono ed il quindicesimo motivo di impugnazione, in considerazione della loro connessione in relazione al tema della motivazione dell’avviso impugnato, che la ricorrente reputa inadeguata, stante l’incompletezza dei dati ivi indicati (menzione dell’indirizzo senza numero civico, errata descrizione dell’area tassata come area di parcheggio e di servizio, assenza dei dati catastali), lamentando sul punto che il Giudice regionale avrebbe violato l’art. 7 della legge 27 luglio 2000,n. 212, « riportandosi alla natura di provocatio ad opponendum da escludersi per gli atti tributari » (v. pagina n. 45 del ricorso), così fornendo una motivazione del tutto apparente.
Si sviluppa unitariamente anche l’esame dell’ottava e della tredicesima censura, perchè legati alla questione del potere impositivo del Comune sull’area portuale e sulla istituzione ed effettuazione da parte di tale ente del servizio di raccolta nel citato perimetro.
Le restanti doglianze (nn. 2, 6, 10, 11, 12 e 14) si trattano singolarmente.
Nello specifico, con il primo motivo di ricorso, la ricorrente ha eccepito la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., per la violazione e falsa applicazione degli artt. 11, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 1, comma 8, d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, 83 e 182 c.p.c., nonché per
motivazione apparente della sentenza, per non avere la Commissione regionale rilevato l’inesistenza della procura agli atti e, quindi, l’inammissibilità della costituzione in giudizio di appello dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione, ordinata i sensi dell’art. 182 c.p.c., ad opera di un responsabile del contenzioso dell’Agenzia nominato per i soli atti introduttivi del giudizio e non per quelli successivi e che, quindi, doveva considerarsi munito dello ius postulandi dell’Agenzia per le fasi del processo diverse da quelle per le quali l’atto era stato «speso» (v. pagina nn. 2 e 29 del ricorso).
2.1. Con la terza censura la contribuente ha denunciato la nullità della sentenza, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il Giudice regionale omesso di pronunciarsi sull’eccezione del mutamento soggettivo delle imprese raggruppate per effetto del subentro di Agenzia delle Entrate- Riscossione al posto di RAGIONE_SOCIALE nelle funzioni di accertamento e riscossione della Tarsu per il periodo emergenziale (2009/2012), in violazione del codice degli appalti.
2.2. Con la quarta ragione di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., la violazione dell’art. 182 c.p.c. e la motivazione apparente della sentenza, in ragione del fatto che il venir meno di RAGIONE_SOCIALE aveva determinato la violazione del principio di immodificabilità dei soggetti associati in raggruppamenti temporanei di imprese (su cui la Commissione non ha pronunciato) e perché era venuto a mancare, per effetto del subentro di Agenzia delle RAGIONE_SOCIALE, la società per azioni (RAGIONE_SOCIALE) che, in seno a quel raggruppamento, svolgeva le funzioni di capofila, per cui la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto rilevare la mancanza di legitimatio ad causam e ad processum del R.T.I. nella sua composizione e non anche ordinare
la regolarizzazione della costituzione di appello dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione ai sensi dell’articolo 182 c.p.c.
2.3. Con il quinto motivo la ricorrente ha rimproverato al Giudice regionale, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 11, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 1, comma 8, d.l. 22 ottobre 2013, n. 193, 4novies d.l. 30 aprile 2019, n. 34 e 182 c.p.c., nonché di aver adottato una motivazione apparente, giacchè la Commissione aveva ordinato la regolarizzazione della costituzione dell’Agenzia delle EntrateRiscossione in via diretta ai sensi dell’art. 182 c.p.c., nonostante l’inammissibilità dell’appello per le suindicate plurime ragioni.
Dette censure sono prive di fondamento per le seguenti ragioni, che possono così sintetizzarsi:
la successione di Agenzia delle Entrate RAGIONE_SOCIALE alle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, già incorporate per fusione in RAGIONE_SOCIALE, va qualificata come successione tra enti pubblici;
difatti, l’art. 1, comma 8, d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, nello stabilire lo scioglimento, dalla data del 1° luglio 2017, delle società del gruppo Equitalia, con cancellazione d’ufficio dal registro delle imprese, senza il previo esperimento di alcuna procedura di liquidazione, ha, al successivo comma 2, attribuito, con decorrenza dalla stessa data, l’esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale all’Agenzia delle Entrate, demandandone lo svolgimento all’ente di nuova istituzione Agenzia delle Entrate-Riscossione, qualificato ente pubblico economico, strumentale dell’Agenzia delle entrate;
la specifica disciplina del subentro ex lege del nuovo ente pubblico economico, espressamente qualificato dal comma 3 dell’art. 1 d.l. 22 ottobre 2016, n. 193 «a titolo universale, nei
rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali», alle cessate società del gruppo Equitalia, con l’assunzione, da parte del nuovo ente, della qualifica di agente della riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, descrive, pur nel quadro della riconduzione della fattispecie estintiva delle società del gruppo Equitalia ad una successione in universum ius , il fenomeno di un trasferimento tra enti pubblici, senza soluzione di continuità, del munus publicum riferito all’attività della riscossione, che si concretizza nel passaggio di attribuzioni tra amministrazioni pubbliche, con trasferimento sia della titolarità delle strutture burocratiche, sia dei rapporti attivi e passivi pendenti, contraddistinta da una stretta linea di continuità tra l’ente che si estingue e l’ente che subentra (cfr. su tali principi, Cass., Sez. Un., n. 15911/2021);
quanto precede consente, quindi, di affermare che la continuità sostanziale nell’esercizio, ininterrotto, della medesima attività di riscossione, già svolta dalle estinte società del gruppo Equitalia, da parte del nuovo ente pubblico economico, Agenzia delle Entrate – Riscossione, strumentale di Agenzia delle Entrate, non ha comportato, nella peculiarità della fattispecie sopra descritta, nessuna violazione del principio di immodificabilità del citato R.T.I., mentre sul piano processuale ben poteva subentrare nel processo in sede di appello, il che permette di respingere parte del primo motivo di motivazione (con riferimento al rilevo secondo il quale l’AdER non poteva stare in giudizio al posto di Equitalia Servizi Riscossione S.p.A.), nonché la terza e la quarta censura, concernenti il divieto di modificabilità dei consorziati in R.T.I. ed il difetto di legittimazione del raggruppamento nella nuova composizione;
quanto al tema della costituzione, rappresentanza e difesa in giudizio (primo e quinto motivo di impugnazione) dell’Agenzia della
riscossione, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato i seguenti principi di diritto:
«Impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio l’Agenzia delle Entrate Riscossione si avvale:
dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come ad essa riservati dalla convenzione con questa intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici,
ovvero, in alternativa e senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dal richiamato art. 43, comma 4, r.d. cit.,
di avvocati del libero foro – nel rispetto degli articoli 4 e 17 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del comma 5 del medesimo art. 1 d.l. 193 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio;
«quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità» (così Cass., Sez. Un., n. 30008/2019, cui adde, tra le tante, Cass. n. 16314/2021 e Cass. n. 36498/2021 ed anche Cass., Sez. Un., n.
15911/2021, cit., nonché Cass. n. 35299/2022 proprio in relazione al R.T.I. in oggetto);
da tali principi consegue che l’ordine impartito ai sensi dell’art. 182 c.p.c., volto a regolarizzare la costituzione dell’Agenzia della riscossione tramite un proprio funzionario si è rivelata, alla luce della sopravvenuta giurisprudenza della Corte di cassazione, attività superflua, stante la consentita rappresentanza in giudizio di detta Agenzia attraverso il ministero di un avvocato del libero foro, il che induce al rigetto del primo e del quinto motivo di impugnazione, con valore assorbente rispetto ad ogni questione in ordine alla procura rilasciata al funzionario dell’ente.
Con la seconda censura, l’istante ha dedotto, con riguardo al canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 11, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 52 e 53 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e d.m. 11 settembre 2000, n. 289, per avere la Commissione rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione del R.T.I., pur in mancanza del requisito soggettivo dell’iscrizione all’albo di cui al predetto decreto ministeriale da parte di RAGIONE_SOCIALE (una delle tre società facenti parte del R.T.I.), sostenendo -contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice regionale -che tutte le imprese affidatarie dovessero essere iscritte al predetto albo, citando nella memoria ex art. 380bis. 1, c.p.c. anche l’arresto di questa Corte dell’8 giugno 2023, n. 16261 resa proprio con riferimento al R.T.I. tra Agenzia delle Entrate-Riscossione, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE);
4.1. La censura va disattesa.
Con detta ultima pronuncia si è ribadito quanto già sostenuto con l’ordinanza del 30 novembre 2022, n. 35338 (pure resa in relazione predetto R.T.I.), i cui passaggi salienti possono così riassumersi:
la disciplina del Raggruppamento Temporaneo di Imprese è contenuta nell’art. 37 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice Appalti), che distingue due tipi di raggruppamento, orizzontale (quando, per i servizi e le forniture ed i lavori, tutte le imprese riunite eseguono la medesima prestazione e lavori della stessa categoria di qualificazione) e verticale (quando, invece, per i servizi e le forniture, la mandataria esegue la prestazione principale e le mandanti eseguono le prestazioni secondarie, per i lavori, la mandataria realizza i lavori della categoria prevalente, mentre le mandanti realizzano i lavori delle categorie scorporabili), essendo, inoltre, consentito anche il raggruppamento c.d. misto, che è un raggruppamento verticale in cui l’esecuzione delle singole categorie (per i lavori) o delle singole prestazioni (per i servizi e le forniture) viene assunta da sub-associazioni di tipo orizzontale;
-« come ribadito anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St. nn. 435/2005, 2294/2002, 2580/2002), in via generale, in caso di partecipazione alla gara -indetta per l’aggiudicazione di appalto di servizi -di imprese riunite in raggruppamento temporaneo, come nel caso di specie, occorre distinguere nettamente fra i requisiti tecnici di carattere oggettivo (afferenti in via immediata alla qualità del prodotto o servizio che vanno accertati mediante sommatoria di quelli posseduti dalle singole imprese), dai requisiti di carattere soggettivo (che devono essere posseduti singolarmente da ciascuna associata), tanto che può verificarsi l’ipotesi di concorrente che, sebbene fornito di tutti i requisiti di qualificazione, non sia in grado di offrire uno specifico servizio per la cui erogazione avrebbe, in astratto, tutti i titoli in termini di capacità organizzativa, di controllo e di serietà imprenditoriale»;
-« secondo un principio di fondo del sistema, tali certificazioni costituiscono, infatti, un requisito tecnico di carattere soggettivo e devono essere possedute da ciascuna delle imprese
associate a meno che non risulti che esse siano incontestabilmente riferite unicamente ad una parte delle prestazioni eseguibili da alcune soltanto delle imprese associate (cfr. Cons. St. nn. 1459/2004, 2569/2002)»;
-« più volte, pertanto, è stato ribadito che sul piano sostanziale la certificazione di qualità, diretta a garantire che un’impresa è in grado di svolgere la sua attività almeno secondo un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò preposto, è un requisito che deve essere posseduto da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili (cfr., ex plurimis , Cons. St., nn. 4668/2006, 2756/2005, 2569/2002, 5517/2001)»;
-« il consolidato orientamento del Giudice amministrativo è stato peraltro costantemente condiviso e ribadito, per parte sua, anche dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, ad esempio nel parere precontenzioso n. 254 del 10.12.2008, laddove la medesima Autorità ha chiarito come nei raggruppamenti «il requisito soggettivo» in parola debba essere «posseduto» da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili» (così, Cass., Sez. T., 30 novembre 2022, n. 35338 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T., 8 giugno 2023, n. 16261);
4.2. Ebbene, i suindicati principi di diritto vanno ribaditi in tale sede, ma la loro applicazione conduce ad un risultato diverso da quello atteso dalla ricorrente.
4.3. Va rimarcato che in dette pronunce questa Corte, richiamando varia giurisprudenza amministrativa, ha avuto modo di chiarire che le qualifiche tecniche di carattere soggettivo devono essere possedute da ciascuna delle imprese associate, « a meno che non risulti che esse siano incontestabilmente riferite unicamente ad una parte delle prestazioni eseguibili da alcune soltanto delle imprese associate», precisando che detto requisito soggettivo « deve essere posseduto da tutte le imprese
chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili» (così, Cass. n. 35338/2022, richiamata da Cass. n. 16261/2023).
Ciò significa che la predetta qualifica soggettiva, nella specie costituita dall’iscrizione della consorziata nel menzionato albo, deve riguardare ed essere rispettata da quelle società associate in RRAGIONE_SOCIALE, che svolgono quelle attività (principali) concernenti l’accertamento e la riscossione dei tributi, per le quali detto requisito formale è previsto, ma non anche da quelle che svolgono attività (secondaria) di mero supporto alla prima, la quale non si pone con la prestazione principale in rapporto di fungibilità, ma solo in funzione servente.
In tale direzione, in ambedue le citate ordinanze questa Corte ha negato la legittimazione del predetto R.T.I. sul decisivo rilievo secondo il quale:
-«nel caso di specie, non è dimostrato che l’oggetto dell’affidamento, costituito dal servizio di riscossione coattiva dei tributi e delle altre entrate, era stato assegnato unicamente ai due contraenti in possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo previsto dall’art. 53 d.lgs. n. 446/1997, e che ad RAGIONE_SOCIALE erano state assegnate unicamente prestazioni «secondarie» (così, Cass. n. 35338/2022);
-«è oggetto di contrasto tra le parti il fatto che sia stato dimostrato dal R.T.I., parte processuale onerata della prova dei poteri esercitati, in presenza di specifica contestazione del contribuente, che l’oggetto dell’affidamento, costituito dal servizio di riscossione coattiva dei tributi e delle altre entrate, fosse stato assegnato unicamente ai due contraenti, in possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo previsto dall’art. 53 d.lgs. n. 446/1997, e che ad RAGIONE_SOCIALE fossero state assegnate unicamente prestazioni <>», per concludere nel senso che «nel caso di specie, non è dimostrato che l’oggetto dell’affidamento, costituito dal servizio di riscossione coattiva dei tributi e delle altre entrate,
era stato assegnato unicamente ai due contraenti in possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo previsto dall’art. 53 d.lgs. n. 446/1997, e che ad RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE erano state assegnate unicamente prestazioni «secondarie» (Cass. n. 16261/2023).
Dunque, le suddette decisioni hanno negato la legittimazione del R.T.I. in ragione della predetta risultanza fattuale, essendosi ritenuto in detti giudizi non dimostrato che il servizio di riscossione coattiva dei tributi fosse stato assegnato unicamente ai due contraenti in possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo previsto dall’art. 53 d.lgs. n. 446/1997 e che ad RAGIONE_SOCIALE fossero state assegnate solo prestazioni secondarie.
4.4. Diversamente, nella fattispecie in rassegna, il Giudice regionale ha, invece, affermato, con accertamento fattuale non sindacabile nella sede che occupa (né per la verità sindacato dalla ricorrente, che ha focalizzato la sua tesi sulla necessaria ed indefettibile iscrizione di tutte le imprese associate), che:
-« il disciplinare di gara, versato in atti, evidenzia all’art. 5 che non era prescritta l’iscrizione all’apposito albo istituito presso il Ministero delle Finanze ai sensi dell’art. 53 del D.L.gs n. 446/1997 e del D.M. n. 289/2000, per il Raggruppamento, ma per le sole imprese consorziate destinate a svolgere, nell’ambito delle attività oggetto di concessione, le c.d. attività principali, (come poi individuate dall’art. 2 dello stesso disciplinare di gara), essendo invece prescritto per le consorziate destinate a svolgere cd. attività secondarie (sempre individuate a norma dell’art 2), la sola iscrizione alla Camera di Commercio»;
«Peraltro, come si ricava dall’atto d’impegno di costituzione del R.T.I., recante la data del 23 settembre 2020, versato in atti, mentre Equitalia RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE si impegnavano a svolgere attività indubbiamente rientranti tra quelle individuate come principali ai sensi del predetto disciplinare di gara, all’RAGIONE_SOCIALE sono stati i
demandati compiti che rientrano nelle cd. attività secondarie» (così a pagina n. 11 della sentenza impugnata);
-« non » è « quindi rilevante che il Raggruppamento non sia autonomamente iscritto, nè » assume « incidenza ai fini della questione la circostanza che COGNOME non risulti tra i soggetti iscritti all’Albo tenuto presso il Ministero delle Finanze, attesa la natura secondaria dei compiti espletati nell’ambito del riparto delle competenze all’interno del RTI» (v. pagina n. 11 della sentenza impugnata);
-«Pertanto, considerato che l’RAGIONE_SOCIALE, rientrante nel Raggruppamento di Imprese, espleta esclusivamente attività secondaria, non assume rilevanza la mancata iscrizione della stessa presso l’Albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi delle province e dei comuni, con conseguente legittimità dell’avviso di accertamento emesso dal R.T.I.» (v. pagina n. 12 della sentenza impugnata).
4.5. Da tali ultime affermazioni emerge, dunque, con chiarezza che il Giudice regionale ha accertato e ritenuto che Ottogas espletasse, all’interno del raggruppamento, attività secondaria, come tale non richiedente l’iscrizione nel menzionato specifico albo.
Detta, non sindacabile, valutazione fattuale risulta conforme ai principi sopra indicati, dovendo sul punto ribadirsi che i citati riferimenti alle decisioni di questa Corte (basati -come esposto sul rilievo della mancata dimostrazione in quei giudizi che ad RAGIONE_SOCIALE fossero state assegnate unicamente prestazioni secondarie, circostanza invece qui positivamente accertata) non possono giovare alle aspettative della contribuente, operando semmai come ragione per respingere l’eccezione di difetto di legittimazione del R.T.I. e quindi il motivo in esame.
In tale direzione, diversamente dalla fattispecie esaminata nell’ordinanza n. 16261/2023 (in cui la Corte ha fondato la
decisione sulla mancata specificazione delle prestazioni di accertamento, riscossione e propedeutiche, v. pagina n. 7 della pronuncia), l’accertata diversa attività svolta nell’ambito del R.T.I. tra RAGIONE_SOCIALE (a cui era stata assegnata l’attività principale, di accertamento dell’imposta) ed RAGIONE_SOCIALEa cui era stata demandata lo svolgimento di attività secondaria, di supporto alla prima) giustifica la circostanza che l’avviso sia stato sottoscritto dal legale rappresentate di RAGIONE_SOCIALE che tale funzione svolgeva, laddove il fatto che l’atto impugnato sia stato redatto su carta intestata del R.T.I. accredita, nel delineato contesto fattuale, solo l’ordine di idee che esso è certamente riferibile al citato raggruppamento nel quadro del descritto riparto di competenze, il che consente di comprendere anche perché COGNOME, pacificamente non iscritta all’albo e svolgente per come accertato nel presente giudizio attività secondaria, non l’abbia sottoscritto.
4.6. Nemmeno convince la tesi della ricorrente secondo cui l’unitarietà dell’affidamento del servizio di accertamento e riscossione al R.T.I. postulava l’esigenza che tutte le società associate fossero iscritte nel citato albo; e ciò perché il menzionato distinguo tra raggruppamenti orizzontali, verticali e misti consente l’esercizio differenziato delle varie attività coinvolte nell’affidamento riservandole alle diverse società facenti parte del raggruppamento secondo la loro specifica, diversa, competenza tecnica.
4.7. Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: « la regola secondo cui, nell’ipotesi di affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle entrate dei comuni ad un Raggruppamento temporaneo di imprese, il requisito soggettivo dell’iscrizione nell’apposito albo istituito presso il Ministero delle Finanze ai sensi dell’art. 53 del D.L.gs n. 446/1997 e del D.M. n. 289/2000 deve essere posseduto dalle imprese associate va riferita a quelle chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili e dunque, nell’ipotesi di affidamento del servizio ad un Raggruppamento
temporaneo di imprese di tipo misto, la predetta qualifica soggettiva deve essere rispettata solo da quelle società associate in R.T.I. che svolgono quelle attività (principali) concernenti l’accertamento e la riscossione dei tributi, per le quali detto requisito formale è previsto, ma non anche da quelle che svolgono attività (secondarie) di mero supporto alla prima, la quale non si pone con la prestazione principale in rapporto di fungibilità, ma solo in funzione servente. L’accertamento della natura (principale o secondaria) delle attività svolte dalle imprese associate costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito ».
Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per non avere la Commissione regionale rilevato che l’appello era stato proposto dal R.T.I. con argomentazioni prive di correlazione con la motivazione della sentenza di primo grado, senza indicare i punti della decisione da sottoporre alla verifica del giudice del gravame.
5.1. La doglianza risulta infondata.
Costituisce, difatti, orientamento consolidato di questa Corte l’osservazione secondo la quale:
-« nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. cod. proc. civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (tra le tante, da ultime: Cass., Sez. 6^-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5^, 21 luglio
2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 2 dicembre 2020, n. 27496; Cas., Sez. 5^, 11 febbraio 2021, n. 3443; Cass., Sez. 5^, 10 marzo 2021, n. 6596; Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2021, nn. 6850 e 6852; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, nn. 14562 e 14582; Cass., Sez. 5^, 27 maggio 2021, n. 14873) »;
« Nel processo tributario vige, quindi, il principio per cui ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs n. 546 del 1992, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito» (cfr., ex multis , Cass. n. 23532/2018, non massimata; Cass. n. 7369/2017; Cass. n. 1200/2016; Cass. n. 3064/2012)» (così Cass. n. 6302/2022, ai cui più ampi contenuti si rinvia e nello stesso senso, Cass. n. 3443/2021 e la giurisprudenza ivi citata, nonché Cass. n. 6690/2023).
5.2. Per tale via, la reiterazione in sede di appello delle ragioni già sostenute in primo grado « come base del ragionamento critico ai motivi posti a fondamento della decisione impugnata» (v. pagina 12 della sentenza impugnata), come ritenuto dal Giudice regionale, ha correttamente consentito alla Commissione di ritenere l’appello ammissibile.
Con la settima censura, l’istante ha dedotto, con riguardo al canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la
violazione degli artt. 69 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, «per aver applicato la motivazione dell’accertamento la natura di provocatio ad opponendum e non aver riscontrato l’assoluta mancanza dei presupposti giuridici di fatto della decisione adottata, anche per relationem » (v. pagina n. 3 del ricorso).
6.1. Con la nona ragione di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., la violazione dell’art. 24 Cost, nonché degli artt. 111, sesto comma, Cost., 132 c.p.c., 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e, dunque, la sussistenza di una motivazione apparente, non comprendendo la ricorrente la decisione impugnata nella parte in cui si è dilungata sul tema della demanialità dell’area tassata, non posta in discussione nel motivo di impugnazione, né nella parte in cui ha reputato legittima la pretesa, nonostante fosse emerso agli atti che il Comune su quelle aree non avesse istituito e svolto il servizio di smaltimento rifiuti negli anni accertati.
6.2. Con il quindicesimo motivo, l’istante ha rimproverato al Giudice regionale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, riguardante il fatto principale della mancata indicazione all’atto impugnato dei dati identificativi della superficie tassata, circostanza questa che, nel caso di specie, assumerebbe anche la natura di fatto secondario controverso e decisivo, che si sarebbe dovuto dedurre in funzione di prova del fatto principale.
I suindicati motivi (settimo, nono e quindicesimo) non meritano seguito.
7.1. Sul piano dei principi va ricordato che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto nelle condizioni di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e,
quindi, di contestare efficacemente l'” an ” ed il ” quantum ” dell’imposta, esigendo il requisito motivazionale, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (v., tra le tante, Cass. n. 11449/2023 e n. 11443/2023 e, nello stesso senso, Cass. n. 22702/2023, che richiama Cass. n. 23386/2021; Cass. n. 2555/2019; Cass n. 26431/2017; Cass. n. 22841/2010; Cass. n. 21571/2004 ed ancora, tra le tante, Cass. n. 30887/2021).
7.2. la Commissione regionale si è uniformata a tali principi, considerando indicati nell’avviso la natura della pretesa (TARSU), gli anni di imposta (2010/2012), l’unità di misura oggetto di accertamento (15.139 mq), l’importo unitario del tributo ed i coefficienti utilizzati per il suo calcolo, precisando che « pur facendosi riferimento ad aree di parcheggio e di servizio ubicate nel porto di Pozzuoli, è indiscusso che la superfice accertata riguarda due specchi d’acqua con pontili galleggianti ubicati nel porto di Pozzuoli e che quindi la locuzione ‘aree di parcheggio e di servizio’ non può che intendersi come riferita all’ormeggio di imbarcazioni».
La valutazione del Giudice regionale non solo risulta essere stata veicolata ed espressa tramite una compiuta motivazione che ha dato conto delle ragioni per cui -dissentendo dal primo Giudice -ha considerato l’avviso motivato, ma risulta anche corretta, avendo implicitamente (quanto chiaramente) reputato, nel delineato contesto, che l’assenza del numero civico (se esistente, non essendo stato indicato nemmeno dalla ricorrente) non avesse impedito alla Lega Navale di comprendere su quale bene era caduta la tassazione, ritenendo poi (sempre implicitamente, quanto
chiaramente) che, trattandosi di specchi d’acqua, il bene fosse stato identificato nell’unico modo possibile, vale a dire tramite l’indicazione della superfice tassata.
7.3. Va infine osservato che il tema della legittimità della pretesa, ai sensi dell’art. 62 d.lgs. n. 507/1993, per il mancato svolgimento del servizio, pure inserito in detto motivo, non attiene alla motivazione dell’atto, ma alla fondatezza dell’imposizione, il cui esame va riservato alla trattazione dei motivi che seguono.
Con l’ottava doglianza, la contribuente ha denunciato la nullità della sentenza, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2 e 3 d.lgs. 24 giugno 2003, n. 182, 59 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, 6 d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, 8 d.l. 21 ottobre 1996, n. 535, 42 d.lgs. 30 marzo 1999, n. 96, 1 d.P.C.m. 21 dicembre 1995, d.m. 17 gennaio 2003 62, commi 2 e 5, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, per non avere la Commissione regionale applicato il principio per cui la Tarsu è una tassa, un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione ad una utilità che trae dallo svolgimento di un’attività svolta da un ente pubblico, mentre agli atti era pacifico, perché non contestato, che il Comune non avesse istituito o svolto il servizio di smaltimento dei rifiuti sulle aree tassate.
8.1. Con la tredicesima doglianza, la contribuente ha denunciato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., l’illegittimità della pretesa per violazione dell’art. 115 c.p.c., segnalando che il Comune costituito in giudizio in secondo grado non aveva contestato la mancata attivazione del servizio di smaltimento rifiuti nell’area affidata alla Lega Navale, identificata come occupazione dello specchio d’acqua, per cui detta circostanza doveva considerarsi provata.
Anche tali censure vanno disattese.
La ricorrente ha premesso che le superfici accertate ai fini Tarsu riguardano due specchi d’acqua di m. 15.139 affidati in concessione ed appartenenti al demanio marittimo per poi sostenere che «Nel caso del Porto di Pozzuoli con rifermento ai ‘due specchi acquei’ affidati in concessione alla Lega navale, la gestione funzionale dell’intera area è di competenza della Regione Campania (e non del Comune), restando salve le funzioni ed i compiti che fanno capo esclusivamente, ex lege , all’Autorità Marittima statale (la Capitaneria di Porto di Pozzuoli, Ufficio circondariale marittimo di Pozzuoli), tra le quali vi è, senza dubbio, quella attinente al servizio di pulizia e di raccolta di rifiuti » (v. pagina n. 49 del ricorso).
Tutto ciò, quindi, per escludere la competenza ed il potere impositivo del Comune ed aggiungendo di aver sostenuto nei gradi di merito che « il servizio di smaltimento rifiuti non è attivato dal Comune, non potendolo essere, giacchè il Comune non ha alcun potere impositivo sull’area portuale, avendo siffatto potere la sola autorità marittima statale (qui la Capitaneria)», assumendo, infine, in termini ribaditi con il tredicesimo motivo di impugnazione (sotto il profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c.) che nè il R.T.I. e tantomeno il Comune, costituitosi in grado appello, hanno contestato « il mancato svolgimento del servizio su quelle superfici di mq. 15.139» (v. pagina n. 50 del ricorso).
9.1. I suddetti motivi non possono essere accolti, essendo dirimente osservare che al momento dei fatti di causa non era stata istituita l’Autorità portuale del Comune di Pozzuoli.
Questa Corte, anche di recente, ha, difatti, ribadito che:
-« Per costante giurisprudenza di questa Corte, in linea di principio, l’attività di gestione dei rifiuti solidi urbani nell’ambito delle aree portuali rientra nelle competenze dell’Autorità portuale. Ne consegue che, in relazione a tale attività, deve escludersi la
competenza dei Comuni e, quindi, il potere impositivo degli stessi ai fini della TARSU (Cass., Sez. 5^, 25 settembre 2009, n. Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2009, n. 23583; Cass., Sez. 6^- 5, 19 giugno 2012, n. 10104; Cass., Sez. 5^, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6^- 5, 15 novembre 2021, n. 34251; Cass., Sez. 6^-5, 26 gennaio 2022, n. 2242)» (cfr. Cass. n. 5667/2023);
-dall’esame del quadro normativo costituito dagli artt. 62, comma 5, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 21, comma 8, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, 6, comma 1, lett. c ), della legge 28 febbraio 1994, n. 84 e dall’art. 1 d.m. 14 novembre 1994 « emerge in modo univoco che l’attività di gestione dei rifiuti solidi urbani nell’ambito dell’area portuale – da intendersi come spazio territoriale in cui svolge i suoi compiti la singola Autorità portuale rientra nella competenza esclusiva di quest’ultima, la quale per legge è tenuta ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne deriva, per esclusione, che la relativa attività sfugge alla competenza in materia dei Comuni, che, invece, normalmente agiscono in questo ambito in regime di privativa, i quali sono di conseguenza privi anche di ogni potere impositivo, atteso che, essendo quella dei rifiuti una tassa, esso non può evidentemente configurarsi in favore di un soggetto
diverso da quello che espleta il servizio (Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2009, n. 23583)» (cfr. Cass. n. 5667/2023);
-il d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169 (‘Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, lettera f ), della legge 7 agosto 2015, n. 124’) ha istituito le Autorità di sistema portuale (art. 1 della legge 28 gennaio 1994, n. 94, nel testo novellato dall’art. 1 del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169);
In relazione alla disciplina vigente ratione temporis prima del d.lgs. 4 agosto 2016, n. 169, « se l’istituzione dell’Autorità portuale si pone, dunque, come causa di esclusione dalla tassa sui rifiuti, inquadrabile nella fattispecie contemplata dall’art. 62, comma 5, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ne segue, per converso, che nelle zone portuali prive di tale Autorità riemerga la competenza e la privativa comunale in ordine all’istituzione e alla prestazione del servizio di igiene urbana; e, correlativamente, trovi spazio applicativo il tributo che al servizio si correla, sia esso la tassa o la tariffa, in base alle disposizioni ordinarie» (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5^, 23 febbraio 2023, nn. 5667, 5672, 5687, 5691 e 5695; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2023, n. 9887; Cass., Sez. 5^, 2 agosto 2023, nn. 23555, 23575 e 23584; Cass., Sez. 5^, 19 gennaio 2024, nn. 2055 e 2058).
In tal senso, del resto, « questa Corte si era già espressa in una serie di arresti, che avevano riconosciuto al Comune la legittimazione a chiedere la riscossione della TARSU, a fronte dell’esercizio del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti in un’area portuale, in ragione della mancata istituzione dell’Autorità portuale (in termini: Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5^, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n.
17092; Cass., Sez. 6^-5, 15 novembre 2021, n. 34251). Secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, la TARSU è una tassa, ossia un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione ad una utilità che egli trae dallo svolgimento di una attività svolta da un ente pubblico. Come tale, il potere di imposizione non può connettersi ad un soggetto diverso da quello che espleta il servizio, in ottemperanza ad un espresso disposto legislativo (in termini: Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n. 17092; Cass., Sez. 6^-5, 15 novembre 2021, n. 34251)» (così Cass. n. 5667/2023).
-« Diversa è, invece, la competenza dell’Autorità portuale (ora, dell’Autorità di sistema portuale) o, in mancanza, dell’Autorità marittima in materia di operazioni portuali e servizi portuali ovvero di concessioni di aree demaniali e banchine nell’ambito portuale, trattandosi di attività amministrative relative alla gestione ed all’utilizzo degli spazi portuali che non comportano alcuna attribuzione in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e, pertanto, non involgono la conseguenziale spettanza di una potestà impositiva », rientrando « nella competenza dell’Autorità portuale (ora, dell’Autorità di sistema portuale) o, in mancanza, dell’Autorità marittima il diverso servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui dei carichi navali » (così, Cass., Sez. T, 2 maggio 2024, n. 11853; nello stesso senso, Cass. Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5667).
9.2. Alla luce di tali ribaditi principi, dunque, pacifico risultando che nel Porto di Pozzuoli non era stata istituita negli anni in esame l’Autorità portuale, non si era verificata la condizione che escludeva il potere impositivo del medesimo Comune.
Da tanto deriva l’infondatezza del motivo di impugnazione (l’ottavo), non sussistendo la violazione dell’art. 62 d.lgs. 15
novembre 1993, n. 507, stante l’oggettiva occupazione da parte della Lega Navale delle predette superfici d’acqua.
9.3. Va aggiunto sul punto che l’argomento della mancata istituzione e svolgimento del servizio di raccolta nell’area portuale è stato concepito dalla ricorrente – nella logica della tesi esposta come conseguenza dell’assenza, a monte, di un potere impositivo che, per legge, potesse legittimare l’attivazione del servizio (v. pagina n. 50 del ricorso: «il servizio di smaltimento rifiuti non è attivato dal Comune, non potendolo essere, giacchè il Comune non ha alcun potere impositivo sull’area portuale») e non anche come inadempimento di un dovere istituzionale, senza tacere che non assume rilevanza la dedotta circostanza del « mancato svolgimento del servizio su quelle superfici di mq. 15.139» (v. pagina n. 50 del ricorso), contando, invece, che il servizio sia stato istituito e svolto nell’area portuale (e non sugli specchi d’acqua), circostanza questa che il Giudice regionale ha ritenuto essere stata implicitamente dimostrata in conseguenza del fatto che « la legge impone (ndr. ai comuni) di provvedere alla raccolta ed al successivo smaltimento dei rifiuti solidi urbani prodotti sul suo territorio » (v. pagina n. 15 della sentenza impugnata).
9.4. Quanto, invece, al principio di non contestazione (v. nello specifico il tredicesimo motivo), va, invece, ricordato che esso incontra nel processo tributario un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso.
Non solo. Anche laddove, in base all’art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, l’attenzione sia rivolta alle difese dell’amministrazione pubblica resistente e si intenda sottolineare che la parte resistente
deve all’atto della costituzione in giudizio esporre «le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente», indicando «le prove di cui intende valersi» e proponendo «altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio», non per questo può trascurarsi di considerare che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto dal contribuente ritenuto.
Ne consegue che l’onere di completezza della linea difensiva, che in concreto si desume dal suddetto art. 23, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione desumibile dall’art. 115 c.p.c., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione.
Peraltro, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio (cfr. su tali principi, tra le tante, Cass. n. 9887/2023; Cass. n. 6268/2023, che richiama Cass. n. 2196/2015; Cass. n. 34707/2022; Cass. n. 25765/2020; Cass. n. 19806/2019).
10. Con il decimo motivo la ricorrente ha rimproverato al Giudice regionale, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la violazione del d.l. 11 maggio 2007, n. 61 e dell’art. 11, comma 5ter d.l. 30 dicembre 2009, n. 195, per avere la Commissione esaminato il motivo concernente l’illegittimità delle tariffe applicate, al lordo e non al netto dell’addizionale ex ECA, provvedendo con motivazione apparente al rigetto delle doglianze.
10.1. La censura è in parte inammissibile e, per altro verso, infondata.
Con essa la ricorrente he eccepito che il Comune non avrebbe rispettato « la corrispondenza tra il ‘costo totale del servizio di smaltimento’ e le ‘tariffe deliberate a copertura’ del costo del servizio, in quanto le tariffe TARSU « per essere legittime si sarebbero dovute determinare al lordo dell’intero gettito assicurato dall’addizionale e non al netto, come ha fatto invece il Comune di Pozzuoli» (v. pagina n. 54 del ricorso), con la conseguente illegittimità delle stesse perchè calcolate in misura superiore al costo del servizio di smaltimento.
La censura è inammissibile nella parte in cui, nella sua genericità, involge profili di ricerca fattuale (la verifica della percentuale di scostamento tra costo e gettito) non esigibili nella sede che occupa.
Sotto altro profilo, il motivo risulta pure infondato perché, come chiarito da risalente, ma non superata giurisprudenza:
-«È estraneo al presupposto del tributo il principio di corrispondenza tra gettito complessivo della tassa e costo di esercizio del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni stabilito dall’art. 61, comma 1, del d. lgs. 1993/507, che concerne il limite stabilito dalla legge ai criteri di determinazione della tariffa annuale della tassa determinabile da ciascun comune» e non attiene alla singola obbligazione tributaria di ciascun contribuente»;
-l’estraneità del menzionato principio di rispondenza tra gettito della tassa e costo del servizio dalla singola obbligazione tributaria di ciascun contribuente « lo si desume dal riferimento della disposizione richiamata al gettito complessivo della tassa e ai dati del conto consuntivo presi a riferimento per la determinazione dei limiti minimo e massimo di copertura dei costi (art. 61, comma 1,
ultimo periodo, del d. lgs. 1993/507), che escludono qualsiasi incidenza del rapporto gettito della tassa-costo del servizio rispetto alle singole obbligazioni tributarie di ciascun contribuente e ai singoli accertamenti dell’ufficio» (cfr. Cass. n. 21719/2004).
Con l’undicesimo motivo di ricorso, la ricorrente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 71 e 74 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, nonché la motivazione apparente, non avendo il Giudice regionale tenuto conto del fatto che la parte del processo non era più il RTI in cui era parte RAGIONE_SOCIALE, ma un raggruppamento in cui era subentrata l’Agenzia delle EntrateRiscossione, il che confermava che agli atti mancava l’indicazione dell’investitura al sottoscrittore del potere di firma.
11.1. Si tratta di censura infondata.
Sul punto vanno ribadite le osservazioni sopra svolte al § 3 della parte motiva della presente ordinanza, solo aggiungendo che il predetto fenomeno successorio tra i predetti enti non ha -all’evidenza -comportato il venir dell’efficacia degli atti compiuti dal soggetto poi estintosi, risultando consentaneo al meccanismo del subentro l’esistenza e la permanenza delle situazioni giuridiche trasferite e dunque con esse, nella specie, la predetta delega al legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, ora da considerarsi come se fosse stata conferita dall’AdER.
Con la dodicesima censura, l’istante ha dedotto, con riguardo al canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4 c.p.c., la violazione dell’art. 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212 e degli artt. 73 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e 97 Cost., assumendo che il vizio lamentato concerneva la violazione dell’obbligo del contraddittorio ai sensi dell’art. 73 del citato d.lgs., mentre il Giudice regionale aveva rigettato il motivo sul falso ed erroneo presupposto dell’applicazione dell’art. 6, comma 5, della
menzionata legge, confondendo l’avviso bonario con il rispetto della procedura contemplata dall’art. 73 citato.
12.1. La doglienza va respinta.
La citata disposizione, invero, prevede solo la facoltà dell’ufficio comunale di rivolgere al contribuente il motivato invito a trasmettere documentazione o compilare questionari, come si desume dall’utilizzo nella norma in esame del predicato «può».
Le cause di nullità dell’atto possono essere solo quelle irregolarità così sanzionate dalla legge o, in difetto di una specifica comminatoria, quelle gravemente lesive di specifici diritti o garanzie nei confronti del contribuente da impedire qualsivoglia effetto da parte dell’atto cui sottostanno, nella specie esclusa dal Giudice regionale, in termini che vanno qui condivisi, posto che l’attività amministrativa di accertamento in tema di tributi non è retta dal principio del contraddittorio (cfr. Cass. n. 21062/2019).
Difatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i tributi armonizzati, mentre per i tributi non armonizzati occorre una specifica previsione normativa, che nella specie non esiste (cfr., tra le tante: Cass., Sez. Un. n. 24823/2015; Cass. nn. 11283/2016, 11284/2016, 11285/2016 e 11286/2016; Cass. nn. 6757/2017 e 6758/2017; Cass. nn. 21616/2020 e 21618/2020; Cass. n. 27382/2020; Cass. n. 40482/2021; Cass. nn. 41041/2021, 41106/2021 41110/2021, 41116/2021 e 41119/2021; n. 26447/2021; Cass. n. 11841/20220, in motiv.; Cass. n. 366/2022; Cass. n. 2585/2023).
La stessa Corte costituzionale con la pronuncia del 21 marzo 2023, n. 47 (ai cui più ampi contenuto si rinvia), richiamando il citato indirizzo del giudice di legittimità, ha ritenuto (per quanto ora rileva) che « la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non
può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte», per cui, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali , il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti».
Con la quattordicesima ragione di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 12 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, 76 d.lgs. 15 dicembre 1993, n. 507, 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212, oltre che la motivazione apparente, sostenendo che il Giudice regionale avrebbe dovuto provvedere a verificare l’entità della sanzione esattamente dovuta in relazione al perimetro segnato dall’atto impositivo, il che non è avvenuto.
13.1. Il motivo risulta fondato nei termini che seguono.
Con esso, la contribuente ha lamentato la predetta violazione di legge per non avere la Commissione applicato il principio della continuazione per le contestazioni riguardanti i vari anni di imposta in esame (2010/2012).
Detta eccezione era stata formulata nell’originario ricorso (v., ai fini dell’autosufficienza della censura, pagina n. 13 del ricorso) e poi reiterate in appello (v., ai fini dell’autosufficienza della censura, pagina n. 23 del ricorso) ed il Giudice regionale, nel ritenere corretta l’applicazione delle sanzioni, non essendo stata dimostra la denuncia iniziale, ha confermato gli avvisi impugnati, i quali per gli anni in contestazione (2010/2012), avevano applicato la sanzione (del 100%) in relazione a ciascuna annualità (v. pagina n. 8 del ricorso, in cui risulta scansionato il prospetto di calcolo delle sanzioni).
13.2 . L’art. 12, comma 5, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ratione temporis applicabile, prevedeva che «Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo. Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate».
13.3. Questa Corte, già con la pronuncia n. 11473 del 2022 aveva affermato (in tema di ICI, ma declinando un principio valevole anche nella sede che occupa) che in caso di più violazioni per omesso o insufficiente versamento che, in relazione ad uno stesso immobile, conseguono ad identici accertamenti per più annualità successive, deve trovare applicazione il regime della continuazione attenuata, di cui all’art. 12, comma 5, del D.Lgs. n. 472 del 1997, che consente di irrogare un’unica sanzione, pari alla sanzione base aumentata dalla metà al triplo.
Come da ultimo ribadito da questa Corte detta « norma ha riformulato la disciplina generale dell’istituto della continuazione nell’illecito tributario, confermando ed ampliando il principio del cumulo giuridico delle sanzioni, che è stato reso obbligatorio e non più facoltativo (come invece disponeva l’art. 8, della L. n. 4 del 1929), e disciplinando specificamente l’ipotesi delle violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, stabilendo, per questa particolare fattispecie, regole di maggior rigore, fermo restando, tuttavia, l’obbligo di procedere al cumulo giuridico delle sanzioni. La nuova nozione di continuazione di cui all’art. 12 cit. ha determinato
un superamento delle previgenti nel senso dell’obbligatorietà (in quanto la concessione del beneficio non è facoltativa per gli uffici); dell’irrilevanza dell’elemento psicologico (non essendo richiesta una “medesima risoluzione”) e dell’elemento temporale (non essendo limitata allo stesso periodo di imposta); dell’ampliamento oggettivo (applicandosi alla generalità dei tributi ed anche tra violazioni non riguardanti lo stesso tributo)», chiarendo che « per effetto dell’art. 12, comma 5, in ipotesi di violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, l’Ufficio in sede di notifica dell’atto di irrogazione deve procedere alla ricostruzione di un’unica serie progressiva, che comprende anche le violazioni precedentemente considerate e contestate, e deve tenere conto, nel determinare l’importo della sanzione, di quello già indicato nell’originario atto notificato (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22477 del 2022)» (cfr. Cass., Sez. T., 23 aprile 2024, n. 10971).
13.4. Non vi è dubbio che nel caso di specie si sia in presenza di violazioni identiche riferite ad annualità diverse, essendo stato contestato alla contribuente, con tre diversi avvisi di accertamento, il mancato pagamento, per il periodo 2010/2012, della Tarsu.
13.5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, dunque, in accoglimento del quattordicesimo motivo, la sentenza impugnata va cassata, dovendosi rideterminare le sanzioni secondo il criterio del cumulo giuridico in relazione alle imposte evase per lo stesso titolo ed in anni diversi.
In conclusione, va accolto il quattordicesimo motivo di ricorso, mentre vanno respinti i restanti.
La causa va, pertanto, rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania – in diversa composizione – anche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quattordicesimo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania -in diversa composizione -anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 settembre