Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24964 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24964 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 32188/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’ Avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli Avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della PUGLIA n. 1753/2019 depositata il 03/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il P.G. il quale ha concluso come da memoria in atti chiedendo l’ accoglimento del sesto motivo del ricorso della contribuente – da riqualificare, in considerazione della complessiva articolazione del ricorso e del tipo di vizio denunciato da essa emergente, quale censura alla correttezza della statuizione della C.T.R. in ordine all’applicazione del cumulo materiale e, quindi, alla non ricorrenza dei presupposti per applicazione del principio del cumulo giuridico di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 12, avendo la società contestato, sia pur in via subordinata, il quantum della sanzione – ed rigetto dei primi cinque.
Uditi l’AVV_NOTAIO per parte ricorrente nonché l’AVV_NOTAIO per il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che hanno concluso come da rispettivi scritti difensivi.
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Puglia, con la sentenza n. 1753/5/2019, depositata in data 3 giugno 2019 e non notificata, respingeva l’appello proposto dalla società contribuente RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE n. 2449/12/16 che aveva rigettato l’impugnazione avverso l’avviso di accertamento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che aveva assoggettato a tassa rifiuti, dal 2008 al 2012, una superficie di mq. 2.430 inquadrandola in categoria 18/11 riguardante le ‘aree all’aperto destinate ad esercizi pubblici’, e imponendo un tributo di € 209.621,05, oltre a interessi e sanzioni di € 148.205,70 da ‘omessa denuncia’, per un totale complessivo di €
375.855,00, con condanna di parte appellante alla rifusione delle spese del grado.
I giudici di appello ritenevano infondata l’eccezione di carenza del presupposto impositivo formulata dalla contribuente -la quale aveva assunto che le aree in questione non costituivano aree operative ma solo aree pertinenziali ed in quanto tali non tassabili – poiché, nel caso in questione, la società contribuente non aveva fornito alcuna dimostrazione della inidoneità dell’area in questione a produrre rifiuti ovvero di non averne mai prodotti nel periodo in questione. Osservavano, poi, che le disposizioni normative applicabili erano chiare nell’operare la distinzione fra aree operative e pertinenziali per cui l’area assoggettata a parcheggio ovvero quella destinata ad area di manovra dei mezzi adibiti al trasporto erano da considerare, di certo, aree operative, essendo indispensabili e strumentali all’attività commerciale della società. Rilevavano, ancora, che era destituito di fondamento anche il secondo motivo di appello inerente una presunta carenza di motivazione dell’atto impositivo e che il terzo motivo, relativo alla mancata utilizzazione del servizio di raccolta rifiuti, era inammissibile in quanto non formulato in primo grado ed, in ogni caso, era anche, nel merito, infondato dal momento che per la pacifica giurisprudenza di legittimità l’effettiva utilizzazione del servizio di raccolta è dato del tutto ininfluente ai fini della doverosità del pagamento della tassa, dovendo la stessa trovare fondamento nella semplice disponibilità dell’area nel territorio comunale ove il servizio viene espletato. Evidenziavano, infine, che appariva corretto il calcolo di sanzioni ed interessi, come ritenuto dai giudici di primo grado, in coerenza con gli orientamenti di legittimità richiamati.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, eccependo in via preliminare, la inammissibilità del ricorso ex art.360bis n.1) cod.
proc. civ. in quanto, a suo dire, i motivi di impugnazione non rispetterebbero il principio per cui nel ricorso per cassazione ove è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n.3 cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e, sotto altro profilo, l’inammissibilità del ri corso per difetto di c.d. autosufficienza.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 62 del d.lgs. 507/93 e dell’art. 3 della legge 549/95, dell’ art. 2 del d.l. 599/96 conv. in legge 5/97, dell’art. 6 del d.l. 328/1997 conv. in legge 410/97 e dell’art. 1 della legge 875/99 quanto al discrimine tra aree pertinenziali e operative, alla necessaria prova della pertinenzialità e non della insuscettibilità a produrre rifiuti.
1.1. Assume che sulla scorta delle disposizioni richiamate, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., doveva escludersi una presunzione di produttività di rifiuti nell’area in questione, sussistendo esclusivamente l’onere di comprovare la pertinenzial ità dei locali tassabili.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione degli art. 49 del d.lgs. 22/97 e 238 del d.lgs. 152/06, osservando che la tesi dei giudici di appello si poneva in contrasto con dette disposizioni in fo rza delle quali l’area
scoperta in questione non era suscettibile di imposizione ai fini TARSU.
Con il terzo motivo la società contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 6 del Regolamento comunale TARSU, assumendo che in forza di tale disciplina regolamentare le aree de quibus , adibite a posteggi gratuiti per la clientela, non potevano essere ritenute tassabili.
Con il quarto motivo la società formula, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. il motivo così rubricato: ‘spunti interpretativi e violazione dell’art. 115, comma secondo, cod. proc. civ.’ Nel premettere che la ratio della non tassabilità delle aree accessorie o pertinenziali è che le stesse sono in rapporto di strumentalità rispetto a quelle dove si svolge l’attività e si caratterizzano per essere in genere improduttive di rifiuti, o produttive di rifiuti in misura così insignificante da non impegnare autonomamente il servizio pubblico, assume che andava considerato che i parcheggi annessi ai centri commerciali o le relative aree di manovra sono superfici improduttive di rifiuti, come da ‘nozione di fatto che rientra nella comune espe rienza’ ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ, e che, dunque, non necessitava di prova positiva né occorreva una prova contraria, evidenziando, infine, che andava considerato che nelle categorie di attività individuate dal d.P.R. 158/99 non si riscontrano i parcheggi.
Con il quinto deduce, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il motivo così rubricato: ‘totale assenza di pubblico servizio e nullità della sentenza per mera apparenza di motivazione sulle eccezioni di incostituzionalità’.
Nel rilevare che il terzo motivo di censura formulato nel terzo paragrafo dell’atto d’appello, era dedicata alla totale assenza di servizio pubblico per le aree in questione e che, in via subordinata, era stata sollevata, occorrendo, la questione di illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 62 del d.lgs. 507/93 e
delle subentrate norme di cui agli artt. 6 comma 1 del d.l. 328/1997 conv. in legge 410/97 e 1, comma 3, del d.l. 8/1999 conv. in legge n. 75/99, ove interpretate nel senso di legittimare l’applicazione della imposizione sui rifiuti anche quando il servizio pubblico non viene e non può essere prestato per disposizione di legge, per contrasto con gli artt. 3, 23, 41, 43, 53, 76 e 97 Cost., osserva che i giudici di appello avevano ritenuto tardiva la questione, non considerando che trattavasi di profili rilevabili ex officio.
6. Con il sesto motivo deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. omesso esame circa un fatto discusso tra le parti e decisivo per il giudizio sulla sanzione, e violazione dell’art. 10 legge 212/00, dell’art. 76 del d.lgs. 507 /93 nonchè degli artt. 5, 6 , 7 e 12 del d.lgs.472/97.
Nell’osservare che era stata irrogata una sanzione per ‘omessa presentazione della denuncia’ e che ‘considerata la gravità della violazione e la condotta del contribuente’, era stato preso come base il 100% del tributo massimo nei cinque anni e, nella possibile oscillazione dalla metà al triplo, lo si era aumentato del 200% pervenendo ad un importo di € 148.205,70 e che la sentenza impugnata si era limitata a dire che appariva corretto il calcolo di sanzioni e interessi, lamenta che i giudici di appello non avevano considerato che la censura riguardava, più che altro, l’insussistenza degli estremi per l’irrogazione di qualsiasi sanzione e interessi. Infatti nella fattispecie in esame la denuncia non era stata omessa mentre era mancato l’esame circa il dibatt uto e decisivo fatto della denuncia del 4 ottobre 1999 ed in ordine al comportamento tenuto dal RAGIONE_SOCIALE che, per tutto il periodo di causa, era stato tale da escludere l’ipotizzata omissione di denuncia; non vi era stata, quindi, alcuna omessa denunzia ma piuttosto un mutamento del comportamento impositivo del RAGIONE_SOCIALE in quanto l’area in questione era stata tassata solamente con l’avviso di accertamento del 2013. L’eliminazione di tale inficiante vizio rendeva, ancora più evidente a dire di parte
ricorrente, la plurima violazione di legge dedotta ed, infatti, risultavano essere stati violati: l’art. 10 della legge 212 del 2000 (che tutela l’affidamento e la buona fede, e che in particolare esclude sanzioni e interessi quando il comportamento del contribuente faccia seguito a fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori della stessa amministrazione), l’art. 76 del d.lgs. 507/93 (perché non ricorreva l’ipotesi della omessa presentazione della denuncia), l’art. 5 del d.lgs. 472/97 (in forza del quale può irrogarsi sanzione solo in presenza di azione od omissione, cosciente e volontaria, dolosa o colposa), l’art. 6 del d.lgs. 472/97 (il quale conferma che l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa, e che esclude la punibilità quando la violazione sia determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme), l’art. 7 del d.lgs. 472/97, a norma del quale nella determinazione della eventuale sanzione, si ha riguardo alla gravità della violazione, alla condotta dell’agente e alla sua personalità, l’art. 12 del d.lgs. 472/97 perché, quando la responsabilità dell’eventuale infrazione risale alla stessa amministrazione, aumentare la sanzione base del 200% anziché del 50% è irragionevole.
Vanno, in primo luogo, disattese le preliminari eccezioni di complessiva inammissibilità del ricorso formulate dalla parte controricorrente in quanto la RAGIONE_SOCIALE ha dedotto delle specifiche e dettagliate censure in diritto e, sotto altro profilo, non vi sono problemi di autosufficienza in quanto la società ricorrente ha indicato in maniera adeguata tutti gli elementi fattuali dei quali ha chiesto una determinata valutazione giuridica.
I primi due motivi -i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi – sono infondati.
L’oggetto dell’odierna controversia attiene alla tassazione ai fini TARSU/TIA, per il periodo compreso fra il 2008 ed il 2012, di un’area
esterna scoperta estesa mq. 2430 facente parte del punto vendita proprietà della RAGIONE_SOCIALE sito in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO.
Va premesso che il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal d.lgs. n. 507 del 1993, ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi), e la TIA 1, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente); la TIA 2 è stata sostituita dal TARES (tributo comunale sui servizi), introdotto dall’art. 14 del d.l. n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, ed il TARES è stato sostituito dalla TARI (tassa sui rifiuti), istituita dalla legge n. 147 del 2013, art. 1, commi 639 e seguenti), a decorrere dal 10 gennaio 2014.
Occorre, quindi, osservare che per il richiamato art. 62 del d.lgs. n. 507/1993 la tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni (comma 1) e dei locali e delle aree che per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinate o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità, non possono produrre rifiuti (comma 2). Quanto a queste ultime aree la norma dispone, altresì, che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o da idonea documentazione.
Questa Corte ha già affermato il principio secondo cui in tema di TARSU l’art. 62, comma 1, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, prevede che l’imposta è dovuta per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe
indicate dal comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti (vedi, per tutte, Cass. n. 18054/2016).
L’art. 62, comma 2, citato, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti – fra l’altro – “per il particolare uso cui sono stabilmente destinati”, chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell’area ad un determinato uso (quale, nel caso di specie, il parcheggio), ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti. Ne deriva che la società contribuente è tenuta a pagare la tassa per i parcheggi in quanto essi sono aree frequentate da persone e quindi produttive di rifiuti in via presuntiva, rimanendo a suo carico l’onere di provare con apposita denuncia ed idonea documentazione la sussistenza dei presupposti per l’esenzione (vedi Cass. n. 5047/2015).
La circostanza che la norma suindicata abbia riguardo alla TARSU, non ne esclude la rilevanza interpretativa anche con riferimento alla TIA, non solo perché espressiva di una finalità pratica comune all’imposizione ambientale in quanto tale -connotata dall’esigenza non di ricostruire documentalmente un patrimonio ovvero un movimento di affari, quanto di accertare, in una data annualità, l’effettiva e materiale detenzione/occupazione di superfici produttive di rifiuti- ma anche perché relativa ad un tributo (appunto la TARSU) nei cui confronti la TIA si pone in rapporto di sostanziale continuità, per natura e caratteri distintivi: cfr. Cass. SS.UU n. 23114/2015 e SS.UU n. 26268/2016, secondo cui la TIA «non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU disciplinata dal d.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo (…) ».
Ciò posto va ricordato che ai sensi dell’art. 62, comma 3, d.lgs. n. 507/1993, la TARSU (così come la TIA) deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale.
Per locali si intendono, dunque, le strutture stabilmente infisse al suolo, chiuse da ogni lato verso l’esterno, anche se non conformi alle disposizioni urbanistico-edilizie, mentre per aree scoperte, sia le superfici prive di edifici o di strutture edilizie, sia gli spazi circoscritti che non costituiscono locale, e soggette a tributo sono, ad esempio, anche le aree coperte o scoperte destinate a parcheggi frequentate da persone e, quindi, presuntivamente produttive di rifiuti (Cass. n. 23058/2019; Cass. n. 8908/2018; Cass. n. 18500/2017; Cass. n. 17623/2016; Cass. n. 5047/2015; Cass. n. 12084/2004).
Tra le aree scoperte si distinguono, inoltre, quelle accessorie o pertinenze di locali già tassati, escluse dalla tassa. L’iniziale disciplina delle superfici scoperte diverse da quelle accessorie alle civili abitazioni ha subito una serie di successive modifiche in forza delle quali si è innanzitutto distinto tra aree operative, tassabili per intero, ed aree pertinenziali od accessorie a locali tassabili, escluse dal tributo a decorrere dall’anno 1997 (inizialmente a norma dell’art. 2, comma 4 bis, d.l. 25 novembre 1996, n. 599, conv. dalla l. 24 gennaio 1997, n. 5).
Sulla base di tale quadro normativo va, quindi, affermato che ai fini della tassabilità delle aree scoperte rileva esclusivamente la natura operativa delle stesse, intesa quale idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale già tassata e di cui, tenuto conto della destinazione funzionale, non rappresentano una mera estensione.
Dunque la TARSU è dovuta, a norma dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte (a
qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni) e dei locali e delle aree che, per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinate, o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità, non possono produrre rifiuti: tali esclusioni non sono, tuttavia, automatiche, perché ponendo la norma una presunzione “iu ris tantum ” di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, dispone altresì che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità siano dedotte “nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”, e siano debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione» (cfr. Cass. n. 31460/2019). Vanno, quindi, richiamati i principi affermati da Cass. n. 14778/2023 la quale ha evidenziato che l’esclusione dal pagamento del tributo delle aree scoperte deve essere dimostrato dalla stabile destinazione ad un determinato uso e anche dalla mancanza della potenzialità di produzione dei rifiuti affermando il principio di diritto secondo cui .
Osserva, quindi, questo Collegio che la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE., nell’affermare che nella specie trattavasi di area operativa in quanto destinata a parcheggio ed a spazio di manovra e che la contribuente non aveva fornito alcuna dimostrazione della inidoneità dell’area a produrre rifiuti ovvero di non averne mai prodotti nel periodo in questione ha operato una adeguata ricostruzione in fatto, facendo corretta applicazione dei principi di diritto sopra menzionati.
Tali conclusioni non risultano, in alcun modo, inficiate dalle considerazioni svolte da parte ricorrente la quale, a parte l’erroneo
richiamo a norme inapplicabili ratione temporis, assume, del tutto infondatamente, in seno al ricorso ed alla memoria ex art. 378 cod. proc. civ., che richiedere in ogni caso, e dunque anche per le aree pertinenziali, la prova della non producibilità di rifiuti, significava in pratica non riuscire mai a riconoscere l’esenzione voluta dal legislatore, vanificando la stessa distinzione tra operative e pertinenziali e che, pertanto, nel caso in esame non occorreva (anche) la prova della inidoneità a produrre rifiuti ai sensi del secondo comma del citato art. 62 cit.: trattasi di argomentazioni che appaiono del tutto inconferenti rispetto al tenore delle disposizioni normative de quibus per come pacificamente interpretate dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte.
Appare opportuno richiamare, in questa sede, le ampie considerazioni svolte da Cass. n. 19551/2024 che, in analoga controversia promossa dalla medesima società (nei confronti di altro RAGIONE_SOCIALE) ha ribadito, con dovizia di argomentazioni e rilevando la non decisività dei precedenti di questa Corte – asseritamente di segno contrario indicati dalla contribuente (e richiamati anche nell’ odierno ricorso a pag. 10), la tassabilità, ai fini TARSU-TARES-TARI, delle aree adibite a parcheggio gratuito della clientela ed a spazio di movimentazione dei veicoli operanti il carico-scarico delle merci all’ingrosso , quali quelle in esame.
Per altro verso va rilevato che la società ricorrente, nell’assumere che nel caso in esame non trattavasi di zone operative -come ritenuto dai giudici di merito -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta oggetto delle norme di legge richiamate – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa; tale operazione non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio
di motivazione (cfr., ex plurimis , Cass. n. 26110/2015, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice di appello.
Allo stesso modo non coglie nel segno la contestazione relativa alla violazione degli artt. 49 del d.lgs. 22/97 e 238 del d.lgs. 152/06 -che avrebbero, inciso, modificandoli sui presupposti impositivi atteso che la normativa in esame, non modificata alla luce delle richiamate disposizioni del codice dell’ambiente pone, per giurisprudenza pacifica, a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti.
8. Anche il terzo motivo è infondato.
Parte contribuente assume che l’area in questione costituiva area pertinenziale adibita a parcheggio gratuito per la clientela ed a manovra di veicoli improduttiva di rifiuti insuscettibile di tassazione ai sensi dell’art. 6 del Regolamento Comunale del 20 07.
Tuttavia occorre replicare che correttamente il comune ha fatto riferimento all’art. 6, lettera b), del menzionato Regolamento dove, con riferimento alle aree assoggettate ad imposta, si indicano testualmente ‘ Categoria 18 – Altre aree ad uso privato, produttive di rifiuti non costituenti accessori o pertinenze di locali tassati. Si comprendono le aree scoperte destinate ad uso proprio, anche se simile a quello dei locali annessi, quali…omissis…posteggi auto (recintati o comunque delimitati, in gestione pri vata… ‘. Ne discende che non sussiste la ravvisata violazione della disposizione regolamentare citata alla luce di quanto ricostruito in punto di fatto dai giudici di merito circa le caratteristiche dell’area de qua e la violazione degli oneri probatori incombenti sulla parte contribuente, con la precisazione che a nulla rilevano le successive disposizioni
regolamentari richiamate in ricorso che riguardano periodi impositivi successivi.
9. Il quarto motivo rubricato: ‘violazione dell’art. 115, secondo comma, cod. proc. civ.’ ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. è inammissibile sulla scorta del condivisibile principio secondo cui il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), ai sensi dell’art. 115, secondo comma, cod. proc. civ., costituisce oggetto di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui esercizio, sia positivo sia negativo, non è pertanto sindacabile in sede di legittimità, ed il giudice di merito non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo invece censurabile – stabilendo se nelle forme del ricorso ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. od in quelle del ricorso per violazione di legge ai sensi dell’art. 360, n. 3 – l’assunzione a base della decisione di una inesatta nozione del notorio, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura. (Cass. n. 4051/2007).
Ne deriva che la censura prospettata quale violazione del secondo comma dell’ art. 115 cod. proc. civ. – in ragione della omessa considerazione della circostanza secondo cui costituisce dato di comune esperienza il fatto che le aree, quale quella in esame destinate a parcheggi annessi al centro commerciale e relative aree di manovra, sono di per sé ‘improduttive di rifiuti’ – non può trovare ingresso nell’odierno giudizio quale ipotesi di violazione di legge.
9. Il quinto motivo, relativo alla omessa valutazione circa la assenza del servizio di raccolta rifiuti ed ai dedotti profili incostituzionalità in ragione della ritenuta debenza del tributo in relazione ad aree che non fruivano del servizio di raccolta rifiuti, è infondato.
Va, in primo luogo, rilevato che parte ricorrente non ha censurato adeguatamente ed in modo specifico la sentenza impugnata nella
parte in cui la RAGIONE_SOCIALE ha rilevato che la questione -relativa alla assenza del servizio – era stata sollevata tardivamente.
Quanto alle prospettate eccezioni di illegittimità costituzionale, che in effetti attengono a profili rilevabili d’ufficio, va osservato che le stesse devono essere disattese in relazione ai parametri dedotti dalla contribuente, dal momento che la prevalenza della presunzione relativa ex lege per la determinazione del presupposto impositivo della tassa sui rifiuti con riguardo al computo della superficie dei locali e delle aree produttive di rifiuti urbani, in difetto di prova contraria sull’estensione degl i spazi esenti per la destinazione alla produzione di rifiuti speciali, non contrasta, a monte, né con il principio ‘chi inquina paga’, né con i principi costituzionali di uguaglianza, capacità contributiva e buon andamento/imparzialità della pubblica amministrazione, trattandosi di un criterio suppletivo per il calcolo della base imponibile del tributo, la cui commisurazione è proporzionata alla potenziale produttività di rifiuti urbani in base alla superficie calcolata.
Il sesto motivo può trovare accoglimento nei limiti appresso specificati.
9.1. Va, in primo luogo, precisato che la censura investe la debenza delle sanzioni e degli interessi nonché il relativo quantum e non l’omessa applicazione del cumulo giuridico, che nella specie risulta essere stato in concreto applicato.
La società nel giudizio di appello (come richiamato nel ricorso ai fini dell’autosufficienza) ha dedotto, in primo luogo, l’insussistenza di una ipotesi di omessa denunzia (‘…Non ricorre il caso di omessa denunzia, bensì semmai quella di incompleta denunzia perché le superfici coperte del complesso immobiliare sono storicamente tassate proprio in base a denuncia. La percentuale per infedele denuncia è peraltro inferiore a quella applicata…’), eccependo, altresì, la sussistenza dei presupposti di cui all’art .10 dello Statuto del contribuente, in quanto ‘…l’ area scoperta è nota al comune fin
dal rilascio dell’agibilità avvenuta nel 1987, e mai è stata sottoposta a tassazione se non con l’avviso di accertamento del dicembre 2013: in precedenza il comune non l’ha mai ritenuta tassabile…’.
9.2. Orbene, quanto al legittimo affidamento, la censura non coglie nel segno in quanto non viene dedotto un comportamento attivo del RAGIONE_SOCIALE, non bastando il mero ‘ mutato comportamento impositivo ‘ (cfr. nota 2 di pag. 16 del ricorso) ad integrarlo.
In proposito va richiamato quanto affermato da ultimo da Cass. n. 13237/2024 la quale ha avuto modo di ribadire che il solo decorso del tempo e il comportamento meramente passivo dell’amministrazione finanziaria non sono idonei ad integrare l’esimente di cui all’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000.
Dal momento che tale disposizione normativa esclude l’irrogazione delle sanzioni e l’applicazione degli interessi qualora il contribuente ‘si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa’ occorre sempre che il comportamento dell’autorità non sia stato meramente passivo, ma abbia assunto un profilo attivo.
Nella specie non risulta essere stato dedotto né comprovato alcun comportamento positivo imputabile al RAGIONE_SOCIALE.
Occorre, invero, chiarire in ordine alla dedotta valenza della ” predisposta e bilaterale sottoscrizione della denuncia” che nella medesima prospettazione della ricorrente – quale desumibile dalle sue complessive allegazioni- tale documento non appare, in alcun modo espressivo, di un ‘comportamento attivo’ dell’ente impositore , trattandosi di una mera presa atto rispetto a quanto dichiarato dalla parte contribuente, di una sorta di visto per ricevuta.
Per altro verso va osservato che la società contribuente, a parte deduzioni del tutto generiche, non ha comprovato, ai fini della
chiesta esclusione di sanzioni ed interessi, la propria condotta incolpevole né una situazione di obiettiva incertezza normativa.
9.3. La censura è, per contro, da ritenere fondata nella parte in cui la C.T.R., nel ritenere legittime le sanzioni irrogate, ha del tutto omesso di considerare che la società contribuente aveva lamentato che era stata irrogata una sanzione per ‘omessa pre sentazione della denuncia’ laddove nella fattispecie in esame risultava presentata una denunzia, sia pure ‘infedele’, con conseguente applicabilità del disposto di cui all’art. 76, comma 2, d.lgs. 507/1993 in luogo dell’applicato primo comma.
In conclusione, rigettati i primi cinque motivi di ricorso, la sentenza impugnata va, dunque, cassata in accoglimento del sesto motivo relativamente alla misura delle sanzioni ed interessi, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il sesto motivo nei limiti di cui in parte motiva; rigetta i primi cinque motivi; cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione e rinvia la causa alla Corte di giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data