Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20581 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20581 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11103/2023 R.G. proposto da:
TENUTA COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
CONTRO
COMUNE DI RAGUSA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso SENTENZA della Corte di giustizia di secondo grado della Sicilia, sez. stacc. di CATANIA, n. 9611/2022 depositata il 14/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Società semplice RAGIONE_SOCIALE Carcara impugna la sentenza della Corte di giustizia di secondo grado della Sicilia, con la quale è stato rigettato l’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza della C.T.P. di Ragusa che, dichiarando cessata la materia del contendere in relazione all’avviso di accertamento relativo al pagamento della TARI, per gli anni 2014-2017, ha respinto il ricorso proposto dalla società per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo alla TARES per l’anno 2013.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado ha ritenuto: insussistente il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento; infondata la pretesa di inquadramento dell’attività agrituristica svolta dalla società nella categoria delle utenze domestiche, essendo inconferente il richiamo del regolamento relativo alla tassa di soggiorno, che ricomprende siffatto tipo di attività fra le utenze extra-alberghiere, stante la diversità finalità dell’imposizione; infondata la pretesa di scorporare dalla superficie complessiva delle aree coperte, pari a mq. 924, la porzione di mq. 561, stante la funzionalità della seconda allo svolgimento dell’attività dell’impresa; inconferente il richiamo alla sentenza della C.T.P. di Ragusa n. 1495/2019, in quanto non solo non passata in giudicato, ma afferente ad altre annualità; infondata la pretesa di applicare la riduzione della tassa nella misura del 20%, sulla base dell’art. 40 del Regolamento UIC del Comune di Ragusa alla superficie dei locali -peraltro entrato in vigore in periodo successivo all’annualità in contestazione- dovendosi ritenere che la superficie indicata nella domanda unica indirizzata al SUAP fosse netta e non lorda; infondata la pretesa di riduzione della tassa per la stagionalità
dell’attività, essendo stabilito dall’art. 66, comma 3 d.lgs. 507 del 1993 che il Comune ‘può’ e non ‘deve’ prevedere una simile riduzione con la normativa secondaria; infondata la pretesa di esclusione delle sanzioni per omessa denuncia, sia perché la SCIA non è sostitutiva della dichiarazione finalizzata alla liquidazione della TARI, sia perché non sono ravvisabili condizioni di obiettiva incertezza ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 447 del 1997.
Il Comune di Ragusa resiste con controricorso.
Con istanza del 19 dicembre 2024 la parte ricorrente chiede provvedersi alla riunione del presente giudizio a quelli pendenti fra le stesse parti, iscritti al R.g. n. 2822/2024 avente ad oggetto le imposte TARSU per gli anni 2010, 2011 e 2012 e TARI per gli anni 2017 e 2018chiamato all’odierna Adunanza, e al R.g. n. 20272/2024, avente ad oggetto l’imposta, TARI per l’anno 2019, per cui non è stata ancora fissata l’udienza.
La Società semplice RAGIONE_SOCIALE COGNOME, con memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ., ribadisce le conclusioni assunte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Società semplice RAGIONE_SOCIALE formula sei motivi di impugnazione.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 162 d.lgs. 296 del 2006. Osserva che i ‘rilievi fotogrammetrici’, le ‘verifiche di dettaglio in campo’, le ‘risultanze delle banche dati e degli archivi’ citati nell’avviso di accertamento non risultano né allegati al medesimo, né nello stesso riprodotti, ciò comportando un evidente violazione del diritto di difesa della ricorrente. Ciononostante, la Corte di secondo grado ha affermato che il carattere vincolato dell’atto avrebbe consentito alla contribuente di comprendere le modalità della
determinazione del tributo, benché il giudice di primo grado abbia ridotto la superficie tassabile da mq. 1736 a mq. 1024, rendendo evidente il difetto di motivazione dell’atto.
3. Con il secondo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., 1362 cod. civ., 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 111, comma 6 Cost., 1, comma 2, 36, comma 2 n.4 d.lgs. 546 del 1992 e 118 disp. att. cod. proc. civ.. Assume che la Corte di secondo grado non chiarisce per quale ragione il capo della sentenza della C.T.P. di Ragusa n. 1495/2019, resa fra le stesse parti in relazione ad altre annualità, relativo all’assoggettamento alla tariffa per le utenze domestiche non sia passato in giudicato, nonostante nessuna delle parti abbia proposto appello sul punto. La sentenza, pertanto, incorre nella violazione sia dell’art. 115 cod. proc. civ., che in quella dell’art. 2697 cod. civ., posto che la mancata impugnazione della sentenza n. 1495/2019 è fatto pacifico fra le parti, ciò implicando il dovere del giudice di porla a fondamento della decisione. Sostiene che la decisione parimenti viola l’art. 1362 cod. civ., perché escludendo il passaggio in giudicato della sentenza n. 1495/2019 in ordine alla tassabilità della sola superficie di mq. 924 ed all’applicabilità della tariffa prevista per le utenze domestiche, dimostra di non avere correttamente interpretato gli appelli proposti dalle parti. Ciò conduce, nondimeno, alla violazione anche degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., dovendosi ritenere accertato il passaggio in giudicato del capo di sentenza in questione. Eccepisce l’apparenza della motivazione -e comunque la sua illogicitàin ordine alla ritenuta assimilazione degli alloggi agrituristici all’attività alberghiera non giustificandosi,
diversamente da come affermato dalla Corte di secondo grado, a dispetto delle diverse finalità delle imposizioni, che la medesima attività vada inquadrata quale extra alberghiera, in relazione alla tassa di soggiorno, e quale alberghiera in relazione alla tassa sui rifiuti. Rileva che del tutto privo di spiegazione è l’assunto, contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui l’attività agrituristica avrebbe più marcata suscettività di produzione dei rifiuti, rispetto ad altre unità abitative, non essendo una simile conclusione sostenuta da studi o fonti scientifiche.
4. Con il terzo motivo si duole, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., della nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 111, comma 6 Cost., 36, comma 2 n. 4 d.lgs. 546 del 1992 e 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 817, 2729 cod. civ. e degli art. 41 Regolamento UIC del Comune di Ragusa, e 14 della Direttiva 2008/98/CE. Lamenta la motivazione omessa o solo apparente, oltre che illogica e contraddittoria, in ordine alle ragioni per le quali il giudice di appello ha ritenuto tassabile anche la superficie di mq. 561, facente parte della più ampia superficie di mq. 924, a dispetto delle caratteristiche strutturali dei locali e delle aree. Rileva che la sentenza non spiega perché i locali costituiti da fienile, pagliera, deposito scorie, vano scala con annesso piccolo deposito, portico, tettoia e sala comune possano dirsi ‘funzionali allo svolgimento dell’attività di agriturismo’, escludendone il vincolo pertinenziale agli alloggi dell’agriturismo, benché la perizia giurata, depositata dalla società, dimostrasse la destinazione dei suddetti fabbricati. Assume che ciò appalesa anche la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per non avere il giudice di appello posto a fondamento le prove prodotte dalle parti. Sostiene che una simile motivazione si pone in aperto contrasto non solo con l’art. 41 del
Regolamento UIC del Comune di Ragusa, secondo il quale sono escluse dalla tassazione le aree scoperte e pertinenziali o accessorie e quelle che non possono produrre rifiuti per la loro natura o per la loro destinazione, ma anche con il principio sancito dall’art. 14 della Direttiva europea 2008/98/CE del ‘chi inquina paga’. Osserva che affetto da nullità, per le medesime ragioni, è anche il capo della sentenza che denega la riduzione della tassazione al 20% dei suddetti locali, sulla base della considerazione che la domanda-dichiarazione inoltrata al SUAP riguardava le superfici nette e non quelle lorde, risultando la statuizione priva di motivazione, non essendo fondata su presunzioni gravi, precise e concordanti, come stabilito dall’art. 2729 cod. civ..
5. Con il quarto motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 62 e 66 d.lgs. 507 del 1993. Ricorda che con la nota n. 00759524 del 30 luglio 2020, richiamata dalla sentenza n. 487/2022, il Comune di Ragusa aveva aderito, anche per l’anno 2014 ai criteri impositivi dettati dalla sentenza 1495/2019, rinunciando alla contestazione dell’omessa dichiarazione e riconoscendo la riduzione della tassa nella misura del 50%, per essere l’attività agrituristica consentita solo per 180 giorni all’anno. La Corte di secondo grado discostandosi dalla suddetta nota è, dunque, incorsa nella violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., senza, peraltro, tenere in considerazione che lo svolgimento dell’attività agrituristica per soli 180 giorni all’anno è stata imposta dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura di Ragusa e che il relativo provvedimento è integrato nel provvedimento unico rilasciato dal Comune per l’apertura dell’attività, sicché l’apertura stagionale non deriva da scelte discrezionali dell’imprenditore, ma da obblighi impostigli,
con la conseguenza della non utilizzabilità della struttura e della sua inidoneità a produrre rifiuti per il periodo restante.
Con il quinto motivo si duole, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.. Sostiene che il giudice di seconda cura, non tenendo in considerazione che il Comune-con la nota n. 00759524 del 30 luglio 2020, richiamata dalla sentenza n. 487/2022aveva aderito, per l’anno 2014 ai criteri impositivi dettati dalla sentenza 1495/2019, incorre nella violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. anche in relazione all’irrogabilità delle sanzioni. Ed invero, la sentenza impugnata, facendo erroneamente riferimento alla SCIA, anziché alla domanda unica presentata dalla società, omette di prendere in considerazione la prova dedotta dalla società sull’adesione del Comune ai criteri impositivi come determinati dalla sentenza della C.T.P. di Ragusa n. 1495/2019, richiamata nella nota di mediazione fra il medesimo ente impositore e la contribuente.
Con il sesto motivo fa valere, ex art, 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ.. Assume che il giudice di seconda cura, avuto riguardo alla soccombenza virtuale del Comune in relazione agli avvisi di accertamento poi annullati e stante il parziale accoglimento dell’appello inerente alla TARES del 2013, avrebbe dovuto condannare il Comune al pagamento delle spese di primo grado, una diversa decisione violando l’art. 91 cod. proc. civ. sulla ripartizione delle spese di lite fra le parti.
Va preliminarmente esaminata l’istanza di riunione del presente ricorso a quelli iscritti al R.g. n. 2822/2024, chiamato all’odierna Adunanza, e n. 20272/2024, per il quale non è stata ancora fissata la trattazione. Invero, il principio della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2 Cost.) importa la reiezione dell’istanza, posto che sia il ricorso n. 2822/2024 R.g.,
così come quello in esame, sono di pronta soluzione e non esattamente sovrapponibili, mentre non essendo il ricorso iscritto al n. 20272/2024 la trattazione congiunta comporterebbe un sicuro ritardo della definizione dei processi.
Il primo motivo è tanto inammissibile, quanto manifestamente infondato.
9.1 La doglianza si limita a reiterare l’eccezione formulata nei gradi del giudizio di merito, pur a fronte di una decisione doppia conforme sul punto, senza neppure richiamare il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato nella parte che sostiene essere affetta da nullità. È, infatti, necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo l’avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento.
9.2 Questa Corte ha, invero, chiarito, in plurime occasioni, che ‘In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso’ (Cass. Sez. 5, 28/06/2017, n. 16147; Cass. Sez. 5, 19/04/2013, n. 9536; Cass. Sez. 5, 04/04/2013, n. 8312; ed anche Cass. Sez. 5, n. 29992, 19/11/2019, in
motivazione, con ampi richiami della precedente giurisprudenza di legittimità).
9.3 Per altro verso, va ricordato, che, in tema di tassa sui rifiuti ‘la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica va condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della l. n. 296 del 2006, sicché, ove la rettifica venga effettuata sulla base della variazione della superficie tassabile o della tariffa o della categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione nell’atto della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenute applicabili, in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per rideterminare la superficie tassabile, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva fase contenziosa’ (Cass. Sez. 5, del 31/07/2019, n. 20620; Sez. 6 – 5, n. 11270 del 09/05/2017).
Il secondo motivo è infondato.
10.1 Va, preliminarmente, sgombrato il campo dall’eccezione formulata dalla società ricorrente in ordine alla valenza di giudicato esterno della sentenza n. 1495/2019, non riconosciuta dalla decisione impugnata, nonostante il difetto di gravame in relazione al capo che inquadra l’utenza come domestica.
10.2 Ora, al di là dell’asserito mancato esame, da parte della Corte di secondo grado, dell’effettivo passaggio in giudicato dell’inquadramento dell’utenza quale domestica -posto che pure senza motivare la sentenza n. 1495/2019 in dispositivo tale la qualifica- vi è che la pronuncia qui impugnata, anche laddove effettivamente la statuizione invocata fosse passata in cosa
giudicata, non contraddice comunque l’orientamento di questa Corte secondo il quale ‘efficacia espansiva del giudicato esterno trova ostacolo in relazione alla interpretazione giuridica della norma tributaria, ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (così Cass. Sez. 5, n. 8288 del 15/03/2022, in motivazione; cfr. anche Cass. Sez. 5, n. 15215 del 1/06/2021; Cass. Sez. 5, n. 23723 del 21/10/2013).
10.3 L’inquadramento dell’utenza nelle categorie tariffarie, invero, implica l’interpretazione della disciplina -anche regolamentare- del tributo, con la conseguenza essa ben può discostarsi, nel caso di specie, dalla valutazione operata da altra pronuncia resa fra le stesse parti per altra annualità. Invero, secondo questa Corte ‘In tema di giudicato esterno, l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento, nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis . (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale, respingendo l’eccezione di giudicato esterno, aveva operato un’autonoma valutazione della fattispecie oggetto di giudizio, relativamente alla legittimità del metodo utilizzato dall’Ente comunale per la stima dell’immobile soggetto ad ICI)’ (Cass. Sez. 5, 05/03/2024, n. 5822, conf. ex multis : Cass. Sez. 5, 01/06/2021, n. 15215; Cass. Sez. 5, 21/10/2013, n. 23723).
10.4 Ciò posto, la sentenza qui impugnata risulta incensurabile anche nella parte in cui condivide l’inquadramento dell’attività agrituristica, operata dal Comune, nelle utenze alberghiere -e non in quelle domestiche, come preteso dalla società contribuenterilevando che essa ‘sotto il profilo quantitativo della suscettività a produrre rifiuti non è assimilabile a quella agricola e neppure alle unità abitative, perché molto più marcata’ e che ‘dal punto di vista della qualità dei rifiuti prodotti dall’agriturismo con il settore degli alberghi’. Di difficile comprensione è, invero, l’affermazione della società ricorrente secondo la quale sarebbe necessaria, per avvalorare la tesi del giudice di secondo grado, che l’assunto poggiasse su basi scientifiche o indagini tecniche.
10.5 Ora, la scelta normativa (e anche regolamentare) di suddividere in categorie diverse le utenze si basa su una valutazione astratta circa la capacità delle utenze, a seconda della loro tipologia, a produrre rifiuti. In questo senso questa Sezione ha affermato che ‘La classificazione delle categorie di beni con omogenea potenzialità di rifiuti, di cui all’art. 68 del d.lgs. n. 507 del 1993, postula una verifica in astratto, rimanendo salva, tuttavia, la possibilità per il contribuente di dimostrare in concreto che l’imposizione non è manifestamente commisurata ai volumi o alla natura dei rifiuti prodotti, posto che le deroghe indicate dall’art. 62, comma 2, e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 dello stesso d.lgs. non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti. (Cass. Sez. 5, 12/06/2024, n. 16287).
10.6 È chiaro che per le tipologie non previste espressamente, tocca al giudice verificare quale sia fra quelle disciplinate dalla normativa che governa la liquidazione della
tassa sui rifiuti, quella che più si avvicina a quella oggetto di valutazione. Ecco, dunque, che, in assenza di una specifica prova in ordine ai volumi ed alla natura di rifiuti prodotti, coerente appare l’inquadramento adottato dalla sentenza impugnata. Ancora una volta soccorre la giurisprudenza di questa Sezione che ha ritenuto come ‘In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l’istituzione da parte del Comune, ai sensi dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, di tariffe differenziate per fasce di utenza che distinguano l’uso domestico e quello non domestico, impone di accertare l’uso effettivo dei relativi immobili, essendo irrilevante la classificazione catastale di essi ovvero la natura del contratto attributivo del godimento a favore dei non proprietari. Ne consegue che è soggetto passivo della predetta imposta, secondo la tariffa non domestica, il proprietario di un immobile, per classificazione di civile abitazione, che lo dia in uso ad un terzo con contratto formalmente di locazione ma con la previsione della prestazione di servizio tipica dell’attività alberghiera, quale il cambio della biancheria, la pulizia dei locali, la fornitura del materiale di consumo a fine igienico sanitario ed altri analoghi. (Cass. Sez. 5, 10/08/2010, n. 18501).
10.7 Si tratta di un principio che ben si attaglia al caso di specie, essendo evidente che proprio facendo riferimento alla natura dell’attività svolta dalla società nei locali oggetto di tassazione, il giudice di appello, l’ha ritenuta più affine a quella alberghiera perché connotata da prestazioni simili, che comportano una ‘più marcata’ capacità di produrre rifiuti.
10.8 Né può dirsi errata la motivazione che esclude l’assimilabilità dell’utenza in discussione alle utenze domestiche sulla base della delibera consiliare in tema di imposta di soggiorno, che inquadra l’attività di agriturismo attività extralberghiere. L’imposta di soggiorno, infatti, introdotta nella
sua forma attuale dall’art. 4 d.lgs. 23 del 2011 e succ. modif., non solo ha un diverso soggetto passivo (colui che soggiorna nella struttura ricettiva), ma una finalità del tutto diversa dalla tassa sui rifiuti, essendo rivolta a finanziare ‘interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali’. È ben possibile, dunque, che nella propria autonomia regolamentare, il Comune deliberi di imporre al soggetto passivo una tassazione diversa, a seconda del tipo di struttura ricettiva prescelta (alberghiera, agrituristica, privata ecc.), laddove, invece, in tema di tassazione per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ciò che conta è la capacità a produrre rifiuti, ciò consentendo il diverso inquadramento delle attività, in relazione alla natura ed al soggetto passivo del tributo.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
11.1 Non sussiste, invero, il denunciato vizio di motivazione omessa od apparente. La Corte di secondo grado, pur sinteticamente, argomenta sul punto riconoscendo un legame di funzionalità fra i locali e le aree che la società ricorrente pretende di escludere dalla tassazione (mq. 561 complessivi) e l’attività svolta. Si tratta, peraltro, di una valutazione che non si discosta dalla pronuncia di primo grado, sicché deve affermarsi che sul punto in ordine all’estensione dell’area tassabile ed alla ‘non pertinenzialità delle aree’ vi è ‘doppia conforme’, il che rende inammissibile, in questa sede, il motivo di censura, ex art. 348 bis , ultimo comma cod. proc. civ..
11.2 Sotto altro profilo, non ricorre la lamentata violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ.. La prima, infatti, si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle
fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 cod. proc. civ.. (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione; v., anche, Cass. Sez. U., 30 settembre 2020, n. 20867).
11.3 Non va, peraltro, dimenticato che il disposto dell’art. 70 d.lgs. 507 del 1993, introduce il generale obbligo di denuncia dei locali tassabili e delle variazioni successive che influiscano sull’applicazione del tributo. La denuncia sia essa originaria o in variazione, è l’unico strumento a disposizione del contribuente per comunicare la pertinenzialità dell’area o la sua inattitudine a produrre rifiuti, tali circostanze, infatti, possono solo essere ‘indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione’. L’onere, rivolto a vincere la presunzione iuris tantumprevista dall’art. 62 d.lgs. 507 del 1993di produttività dei rifiuti dell’area o del locale occupato, va onorato nella fase amministrativa, ove ciò sia richiesto dall’amministrazione (art. 73 d.lgs. 507 del 1993). A fronte di siffatto espresso obbligo, il contribuente, che non abbia provveduto alla denuncia originaria o in variazione, non può, limitarsi -come pare pretendere la società ricorrente a mezzo della produzione della relazione tecnica- a provare solo in giudizio i presupposti di esclusione o riduzione del tributo,
salvo che, pur avendo tempestivamente denunciato, ai sensi dell’art. 70 cit., la natura dell’area con la denuncia originaria o con la variazione, egli si veda tassata la stessa in modo difforme dalla comunicazione, a corredo della quale abbia presentato idonea documentazione.
11.4 D’altro canto, le superiori doglianze formulate quali violazioni di legge, non essendo rivolte a contestare l’interpretazione delle norme richiamate offerta dalla sentenza impugnata, si pongono, in realtà, come censure inerenti le valutazioni di fatto compiute dalla Corte di secondo grado.
Occorre infatti ricordare che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta -è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
11.5 Infondato è anche il rilievo relativo alla falsa applicazione degli artt. 40 e 41 Regolamento UIC del Comune di Ragusa, prodotto dalla contribuente unitamente al ricorso per
cassazione. Il giudice di appello sul punto risponde affermando che ‘La pretesa della società di ridurre de 20% ai fini della TARSU la superficie dei locali da essa stessa dichiarata, invocando in tal senso l’art. 40 comma 3 del Regolamento UIC del Comune di Ragusa non può essere condivisa, dovendosi ritenere che la domanda unica indirizzata al SUAP del Comune di Ragusa il 10.6.2009 sia stata indicata la superficie lorda’, precisando poi, nell’affrontare la richiesta di riduzione per stagionalità dell’attività che ‘la violazione del Regolamento UIC è stata male invocata perché l’imposta in contestazione riguarda l’anno 2013 che è precedente l’entrata in vigore della suddetta normativa. Quest’ultima affermazione pare del tutto coerente con l’introduzione dell’imposta unica comunale a mezzo della l. 147 del 2013, a far data dal 1^ gennaio 2014, il che varrebbe di per sé ad escludere la fondatezza del motivo proposto.
Può comunque osservarsi che il testo dell’art. 41 – per come riportato in ricorsoprevede, al comma 1, che ‘Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili’, ed al secondo comma, che vanno escluse dal calcolo delle superfici ‘i locali e le aree che per la loro natura e caratteristiche o per il particolare uso cui sono adibiti, non possono produrre rifiuti in maniera apprezzabile per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati, quali …V. le parti comuni degli edifici quali atri e vani scale’.
A prescindere, dalla correttezza del testo riprodotto dalla parte ricorrente (invero, il comma 2, come risulta dal Regolamento prodotto in giudizio, ha tutt’altro altro tenore), vi è che la disposizione subordina l’esclusione dalla tassazione alla circostanza che le circostanze di cui al primo comma siano ‘indicate nella dichiarazione originaria o in variazione (…) ed essere riscontrabili in base ad elementi obiettivi o da idonea documentazione’ (comma 2 dell’art. 41 del Regolamento UIC),
mentre le suddette circostanze ‘ove non indicate con le modalità di cui al precedente comma potranno essere riconosciute solo su istanza di parte adeguatamente documentata che possa dimostrare che l’inidoneità a produrre rifiuti sussistesse in data precedente’ (comma 3 della disposizione). Il testo dell’invocato art. 40 comma 3, invece, non solo non è riscritto in ricorso, ma neppure risulta dal documento contenente il Regolamento prodotto dalla parte, mancante proprio della pag. 34, in cui era presumibilmente contenuta la prima parte di esso, concludendosi la pag. 33 con l’art. 38 bis, e essendo contenuti nella pag. 35, oltre alla prima parte dell’art. 41, i commi da 5 a 8 dell’art. 40 e non l’invocato comma 3.
Si tratta, tuttavia, di considerazioni sinanco ultronee, posto che, come osservato dal giudice di seconda cura, la normativa non era entrata in vigore.
In ogni caso, da un lato, come si è già detto, la sentenza impugnata qualifica le aree oggetto di contestazione come ‘funzionali all’attività agrituristica’, il che di sé per fa venir meno il diritto all’esclusione della tassazione di cui all’art. 41, dall’altro, la ricorrente non assume di avere presentato la denuncia di cui all’art. 70 d.lgs. 507 del 1993, né l’istanza di cui al comma 3 dell’art. 41 del Regolamento UIC, sicché del tutto corretta appare la decisione nella parte in cui, pur tenendo in considerazione la domanda-dichiarazione presentata al SUAP sulle superfici oggetto dell’attività di impresa, si limita a prendere atto di quanto ivi dichiarato, affermando che in essa sono indicate le superfici nette e non quelle lorde. Il che, peraltro, implica l’assenza di ogni violazione dell’art. 2729 cod. civ., posto che dal ragionamento svolto in sentenza si trae con chiarezza che la prova è diretta e non presuntiva. Né è dato capire, perché la ricorrente non lo spiega, non indicando in quale parte della detta domanda unica indirizzata al SUAP la
società abbia segnalato le superfici lorde, in che modo la Corte di secondo grado avrebbe potuto prenderne atto, a mezzo della consultazione degli atti.
Ancora una volta, dunque, il motivo formulato come violazione di legge, si risolve in una censura in ordine alla valutazione probatoria compiuta dal giudice di merito, per cui valgono le considerazioni supra svolte.
Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La doglianza contiene due distinte censure. La prima riguarda la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per non avere il giudice di secondo grado tenuto in considerazione il valore della nota del Comune di Ragusa prot. n. 0079524/2020, in data 30 luglio 2020, di parziale accoglimento del reclamo-mediazione di cui all’art. 17 d.lgs. 546 del 1992, che recepiva i criteri di liquidazione di cui alla sentenza della C.T.P. di Ragusa n 1495/2019, anche in punto stagionalità dell’attività, richiamata dalla sentenza della C.T.P. di Ragusa n. 487/2022, che su quella base decideva. La seconda relativa alla violazione degli artt. 62 e 66 d.lgs. 507 del 1993, per non avere la Corte di secondo grado riconosciuto la riduzione del tributo, nonostante l’attività agrituristica fosse autorizzata per soli 180 giorni l’anno, ciò impedendo l’utilizzabilità della struttura per il restante periodo annuale, e con ciò la possibilità di produrre rifiuti.
13.1 Muovendo dal primo profilo, seppure la sentenza impugnata faccia cenno solo alla sentenza della C.T.P. di Ragusa n. 1495/2019 e non alla nota del Comune che, in parziale accoglimento del reclamo mediazione inerente all’avviso di accertamento relativo alla TARI del 2019, recepisce i criteri di tassazione indicati da quella sentenza, vi è che, in sostanza, la decisione qui impugnata non considera quella pronuncia come preclusiva di una diversa valutazione per l’anno 2013. Al di là di quanto supra affermato in relazione agli effetti del giudicato
esterno (si vedano anche cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006; Cass. Sez. 5, 23/01/2024, n. 2305; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 13152 del 16/05/2019; in precedenza Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9512 del 22/04/2009), va ulteriormente considerato che quanto concordato dalle parti in sede di reclamo-mediazione, non possa che afferire alla specifica domanda per la quale il procedimento è stato attivato, in quanto, non solo l’art. 17 bis cit. (abrogato dall’art. 2, comma 3 lett. a) del d.lgs. n. 220 del 2023) collega il procedimento alla specifica controversia (comma 1), fra l’altro subordinandone il perfezionamento al pagamento della prima rata (comma 6), ma perché la mediazione fondandosi sull’incertezza delle questioni controverse non può che riguardare il singolo atto impositivo o la pluralità degli atti impositivi oggetto della controversia. D’altro canto, la sentenza della C.T.P. di Ragusa n. 487/2022 (allegata al ricorso) decide proprio sul medesimo avviso di accertamento (n. L2210xxTI/2019), relativo al 2014 oggetto della nota di parziale accoglimento del reclamo mediazione (anch’esso allegato al ricorso), sicché chiaramente la sentenza n. 487/2022, richiamata dalla parte, non poteva che conformarsi ai criteri concordati fra le parti, come desunti dalla sentenza n. 1495/2019. Ma ciò non implica affatto, per quanto si è detto, che a quei criteri debba conformarsi il giudice che decide su altra annualità, che ben può non tenere conto anche di un’eventuale produzione della parte sul punto, perché ritenuta inconferente.
Con riferimento al secondo profilo, deve, innanzitutto, ricordarsi che, a mente dell’art. 66, comma 3 d.lgs. 507 del 1993: ‘La tariffa unitaria può essere ridotta di un importo non superiore ad un terzo nel caso di (…): lett. c) locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente, risultante da licenza o
autorizzazione rilasciata dai competenti organi per l’esercizio dell’attività’
14.1 Dunque, come precisato da questa Corte ‘In tema di TARSU, la riduzione tariffaria per la c.d. natura stagionale dell’attività esercitata dal contribuente richiede un’esplicita previsione regolamentare, poiché l’art. 66, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 è una disposizione derogatoria, la cui applicazione è rimessa ad una facoltà discrezionale dell’ente locale’ (da ultimo: Cass. Sez. 5, 08/08/2024, n. 22420; conf. Cass. 5 n. 25214 del 2016).
14.2 La particolarità del caso di specie consiste nel fatto -non contestatoche l’autorizzazione rilasciata all’impresa dall’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Ragusa prevedeva una limitazione temporale di operatività, pari a gg. 180 annuali e che in questo senso disponeva anche il provvedimento unico autorizzativo rilasciato dal Comune di Ragusa.
14.3 Nondimeno, appare invalicabile la previsione di cui all’art. 66, comma 3 cit. che subordina la riduzione di imposta alla previsione regolamentare e cioè alla scelta discrezionale del Comune di introdurre o meno riduzioni per effetto dell’apertura solo stagionale o comunque non annuale dell’attività. Sul punto, peraltro, la società contribuente non richiama più la censura, che pure dalla narrativa del ricorso pare essere stata formulata nei gradi di merito, relativa alla sussistenza del diritto alla riduzione per stagionalità in forza del Regolamento UIC, la cui rilevanza sul punto è espressamente esclusa dalla sentenza, per essere il medesimo entrato in vigore successivamente all’anno considerato dall’avviso di accertamento (2013).
Il quinto motivo è infondato.
15.1 Ci si duole della violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per non avere la Corte di secondo grado, pronunciandosi sulla debenza delle sanzioni per omessa denuncia, tenuto in
considerazione le produzioni della parte contribuente ed in particolare la la nota n. 0075924 del 30 luglio 2010, richiamata nella sentenza della C.T.P. di Ragusa n. 487/2020, con cui il Comune si era adeguato alla decisione della medesima C.T.P. n. 1495/2019, che aveva a sua volta escluso la sussistenza dell’omessa denuncia, tanto che con la nota suddetta il Comune non solo si era conformato ai criteri di cui alla sentenza n. 1495/2019, ma aveva stabilito di ‘non procedere alla contestazione dell’omessa dichiarazione’.
15.2 La sentenza impugnata rigettando il motivo inerente alle sanzioni ha ritenuto che ‘la SCIA per l’attività ricettizia non è sostitutiva della dichiarazione TARI, che costituisce obbligo specifico per colui che subentra nella detenzione di un immobile o di un’area scoperta idonea a produrre rifiuti solidi urbani. Né è configurabile la fattispecie prevista dall’art. 6 comma secondo del d.lgs. 472/1997, essendo la normativa sul punto essendo chiara e non essendo la violazione determinata da obiettive condizioni di incertezza’.
Deve qui ribadirsi quanto già affermato sulla non significatività tanto della nota del Comune con cui è parzialmente accolto il reclamo in relazione all’avviso di accertamento relativo all’anno 2014, che delle due sentenze richiamate, sicché il mancato richiamo delle medesime da parte del giudice dell’appello appare del tutto ininfluente.
La Corte di secondo grado, invero, correttamente sostiene che la domanda presentata al SUAP in data 10 giugno 2009 (che ritiene essere una SCIA) non integri la denuncia di cui all’art. 70 d.lgs. 507 del 1993. Siffatta disposizione, infatti, non solo impone a coloro che occupano o detengono i locali o le aree scoperte di provvedere ad una di ‘unica’, dichiarazione per tutti i locali assoggettabili a tassazione, ma stabilisce il correlato obbligo di utilizzazione dei modelli posti a disposizione dagli
uffici comunali, quali unici ritenuti idonei a soddisfare la chiarezza dei dati offerti dal contribuente all’ente impositore per la determinazione del tributo dovuto, ciò al fine di consentire un’ordinata e coerente previa acquisizione dei dati per la determinazione della tassa applicabile da parte del Comune. Tanto è vero che l’art. 76 d.lgs. cit. sanziona proprio l’omessa denuncia, quale prevista dall’art. 70 cit. su appositi moduli, così come l’omesso adempimento all’obbligo di rendere le informazioni e documentazione, ai sensi dell’art. 73, le due condotte equivalendo alla mancata collaborazione del contribuente ai fini della corretta determinazione dell’importo della tassa, in violazione dell’interesse generale all’ordinata assicurazione del servizio.
Depone, inoltre, per la non equiparabilità della denuncia di cui all’art. 70 cit. ad altre forme di comunicazione l’ultimo comma della disposizione secondo il quale ‘In occasione di iscrizioni anagrafiche o altre pratiche concernenti i locali ed aree interessati, gli uffici comunali sono tenuti ad invitare l’utente a provvedere alla denuncia nel termine previsto, fermo restando, in caso di omesso invito, l’obbligo di denuncia di cui al comma 1’.
La norma, benché dettata prima dell’istituzione del SUAP, come si è detto, non è mai stata modificata (salvo per quanto riguarda il comma 3, che qui non interessa), e, ove letta con le disposizioni del Regolamento SUAP di cui al d.P.R. d.P.R. 160 del 2010 e di cui al d.P.R. 447 del 1998, che l’ha preceduto, dimostra che il legislatore ha inteso mantenere un distinto obbligo di formalizzazione della denuncia di cui all’art. 70 d.lgs. 507 del 1993tanto da prescrivere l’obbligo del Comune di invito a provvedervi in occasione di iscrizione o pratiche relative alle aree interessate- ancorché abbia previsto che le pratiche amministrative relative all’apertura ed alla trasformazione
dell’impresa siano concentrate presso il solo Sportello unico per le attività produttive.
15.3 Stante il chiaro tenore dell’art. 70 cit. sull’onere di provvedere alla comunicazione dei dati a mezzo della denuncia attraverso i moduli predisposti dal Comune, destituita di fondamento è la doglianza relativa alla mancata applicazione dell’art. 6, comma 2 d.lgs. 472 del 1997 non configurandosi alcuna incertezza sugli obblighi imposti al contribuente.
15.4 Inammissibile è, inoltre, il rilievo con cui si invoca applicazione dell’art. 12, comma 5 del d.lgs. 472 del 1997. Come chiarito da questa Sezione ‘In tema di sanzioni tributarie, l’istituto della continuazione – il cui riconoscimento è collegato all’oggettivo perpetrarsi dell’illecito tributario in periodi d’imposta diversi – si arresta in caso di cd. interruzione che si realizza, ex art. 12, comma 6, d.lgs. n. 472 del 1997, per effetto della contestazione della violazione che fissa il punto di arresto per il riconoscimento del beneficio, senza che rilevi la sua definitività e inoppugnabilità o la sua mancata impugnazione; pertanto, ciò che si pone a monte dell’atto, se della stessa indole, deve essere unito ai fini della determinazione della sanzione, mentre ciò che invece si pone a valle, resta escluso dal cumulo giuridico, salvo riconoscersi, ove plurime siano le violazioni anche da questo lato, una autonoma e rinnovata applicazione del medesimo istituto di favore. (Cass. Sez. 5, 09/06/2021, n. 16017).
Nel caso di specie, la ricorrente non offre in alcun modo gli elementi necessari per provvedere all’applicazione del cumulo giuridico, limitandosi a sostenere che l’avviso di accertamento per il 2013 era stato preceduto da quello per le annualità 20102012 e seguito da quello relativo agli anni 2014-2017. Ciò, nondimeno, non è sufficiente, secondo il disposto dell’ultima parte del comma 5 dell’art. 12 cit., per consentire al giudice, che
prenda cognizione dell’ultimo dei ricorsi non riuniti riguardanti diversi avvisi di accertamento, di rideterminare la sanzione complessiva, in assenza della produzione di tutte le sentenze. Ma neppure permette, in assenza dei dati necessari sulla constatazione delle violazioni di valutare la sussistenza di interruzioni, ai sensi del comma 6 del medesimo art. 12.
Il sesto motivo è manifestamente infondato.
16.1 Con la censura ci si duole della mancata condanna del Comune, da parte del giudice di secondo grado, al pagamento delle spese di primo grado, avuto riguardo alla soccombenza virtuale dell’ente rispetto al ricorso relativo agli avvisi di accertamento annullati, ed al parziale accoglimento di quello, al primo riunito, relativo l’accertamento del tributo per l’anno 2013, parzialmente accolto dalla C.T.P.
16.2 È sufficiente ricordare che ‘Il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole’ (Cass., 25 marzo 2022, n. 9785; Cass., 18 maggio 2021, n. 13356; Cass., 13 marzo 2013, n. 6369).
16.3 La parte, dunque, soccombente in secondo grado ed in questo giudizio di legittimità non può, pertanto, dolersi della compensazione disposta dal giudice di prima cura.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della Società semplice RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità da liquidarsi in euro 4.000,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, in favore del Comune di Ragusa.
Sussistono, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge, in favore del Comune di Ragusa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2025.