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Tassabilità utili CFC: la Cassazione sul tempo

La Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale sulla tassabilità degli utili delle Controlled Foreign Companies (CFC). Il caso riguardava una società italiana a cui l’Amministrazione Finanziaria aveva imputato, per trasparenza, gli utili di una controllata estera generati prima che la società italiana ne acquisisse il controllo. La Corte ha accolto il ricorso della società, chiarendo che la normativa CFC si applica solo se il soggetto controllante residente possiede la partecipazione nel momento in cui la controllata estera consegue i redditi. È irrilevante che l’acquisizione avvenga nello stesso anno fiscale, ciò che conta è il momento della produzione del reddito. La sentenza annulla la decisione precedente che aveva ritenuto legittima la tassazione.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Tassabilità utili CFC: quando scatta l’imputazione al socio?

La disciplina sulla tassabilità utili CFC (Controlled Foreign Companies) rappresenta uno strumento cruciale per contrastare l’elusione fiscale internazionale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento decisivo sul presupposto temporale per l’applicazione di questa normativa, stabilendo che i redditi della controllata estera possono essere imputati alla controllante italiana solo se quest’ultima possedeva già la partecipazione al momento della loro produzione. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: una Controllata Estera e gli Utili Ante-Acquisizione

Una società italiana veniva sottoposta a un avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria. La contestazione riguardava la violazione dell’articolo 167 del TUIR, che disciplina appunto le imprese estere controllate. Nello specifico, l’Ufficio aveva imputato per trasparenza alla società madre italiana i redditi prodotti da una sua controllata con sede a Singapore.

L’elemento peculiare della vicenda risiedeva in un dato cronologico: la società italiana aveva acquisito il controllo della partecipata estera solo nel corso del 2011, mentre gli utili oggetto della contestazione erano stati realizzati dalla società di Singapore prima di tale acquisizione. La contribuente si opponeva, sostenendo l’inapplicabilità della disciplina CFC a redditi formatisi quando essa non era ancora socia della controllata estera.

L’applicazione della normativa sulla Tassabilità utili CFC

La normativa CFC ha lo scopo di prevenire la delocalizzazione di redditi in Paesi a fiscalità privilegiata. Essa prevede un regime di tassazione per trasparenza: gli utili della controllata estera vengono imputati e tassati direttamente in capo al socio residente in Italia, a prescindere dalla loro effettiva distribuzione sotto forma di dividendi. Questo meccanismo serve a neutralizzare il vantaggio fiscale derivante dal cosiddetto tax deferral, ovvero il rinvio della tassazione che si otterrebbe lasciando gli utili nel Paese a basso prelievo fiscale.

Nel caso di specie, i giudici di merito avevano dato ragione all’Amministrazione Finanziaria, ritenendo irrilevante il fatto che la partecipazione fosse stata acquisita dopo la produzione degli utili. Secondo questa interpretazione, ciò che contava era la situazione di controllo esistente alla chiusura dell’esercizio. La società contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione e falsa applicazione della norma.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato le decisioni precedenti, accogliendo il ricorso della società. I giudici hanno chiarito che la funzione dell’art. 167 t.u.i.r. deve essere ancorata al momento del conseguimento del reddito da parte della società partecipata. La norma, infatti, presuppone che in quel preciso momento esistesse già il legame di partecipazione con la società residente.

Secondo la Corte, la ratio della legge è quella di contrastare il trasferimento di redditi di fonte domestica verso paradisi fiscali. Non rientra in questa logica l’attrazione in Italia di materia imponibile formatasi interamente all’estero in un’epoca in cui la società italiana non aveva alcun legame con l’entità estera. Un’interpretazione estensiva sarebbe in contrasto sia con il dato letterale che con lo scopo della norma.

La Cassazione ha rafforzato il suo ragionamento con un parallelo con la disciplina delle società di persone e di capitali. Anche in quei contesti, l’imputazione degli utili avviene in capo a chi riveste la qualità di socio in un momento specifico (come l’approvazione del rendiconto o la chiusura dell’esercizio). Pertanto, è indispensabile che il presupposto partecipativo sussista nel momento in cui il reddito viene a esistenza.

Conclusioni: Implicazioni della Sentenza

La sentenza fissa un principio di diritto chiaro e fondamentale: ai fini della tassabilità utili CFC, è indispensabile verificare se, al momento del conseguimento del reddito da parte della controllata estera, il socio residente avesse già acquisito la partecipazione. Non è sufficiente che il controllo esista alla fine del periodo d’imposta. Questa decisione offre maggiore certezza giuridica agli operatori economici impegnati in operazioni di M&A internazionali, scongiurando il rischio di tassazioni retroattive su profitti generati prima del loro ingresso nella compagine sociale della controllata estera.

Quando si applica la normativa sulla tassabilità degli utili delle Controlled Foreign Companies (CFC)?
La normativa si applica imputando i redditi della controllata estera al socio residente nel momento in cui tali redditi vengono conseguiti. È quindi necessario che il rapporto di partecipazione esista già in quel momento.

È possibile tassare in capo alla controllante italiana gli utili realizzati dalla controllata estera prima dell’acquisizione della partecipazione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che è illegittimo imputare alla controllante italiana i redditi prodotti dalla CFC in un periodo antecedente all’acquisizione della partecipazione, poiché manca il presupposto soggettivo richiesto dalla norma.

Qual è la finalità (ratio) della disciplina CFC secondo la Corte di Cassazione?
La finalità è contrastare i fenomeni di delocalizzazione all’estero di imprese nazionali, evitando che redditi di fonte domestica vengano trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata. Non è invece quella di attrarre in Italia materia imponibile formatasi all’estero prima che si instaurasse un legame partecipativo con un soggetto italiano.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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