Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15929 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15929 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29630/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del liquidatore pro-tempore, elettivamente domiciliato in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COMUNE DI NAPOLI, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE e NOME (CODICE_FISCALE
avverso la sentenza n. 3204/2021 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, Sez. n. 6, depositata il 13.4.2021 e non notificata, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 maggio 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
La società contribuente ha proposto ricorso, dinanzi alla CTP di Napoli, avverso l’avviso di accertamento relativo all’omesso pagamento della tassa di smaltimento rifiuti solidi urbani per l’annualità 2013, notificata dal Comune di Napoli, per un importo pari ad euro 19.378,00.
La CTP di Napoli, con sentenza n. 6762/18/2019, depositata il 7.6.2019, ha rigettato il ricorso.
La contribuente ha proposto appello e la CTR ha rigettato l’impugnazione, affermando che l’atto impositivo era sufficientemente motivato e che la ricorrente non aveva assolto l’onere su di essa gravante relativo alla prova dell’attivazione del ciclo di smaltimento dei rifiuti speciali (che avrebbero comunque comportato il pagamento del tributo, sebbene in un importo ridotto).
Il RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo
Il Comune di Napoli ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato una memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo ed unico di ricorso, rubricato ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, numero 5, c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, numero 3, c.p.c.’, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per non aver il giudice regionale esaminato l’eccezione dell’appellante relative all’errata interpretazione, da parte del giudice di prime cure, dell’art. 1, comma 649, della l. 147 del 2013, così come letto e spiegato nella risoluzione del MEF n. 2, del 9.12.2014. Con riferimento alla censura articolata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la società contribuente ha dedotto che la circostanza relativa al collegamento funzionale tra le aree destinate a magazzini e depositi e quelle destinate alla produzione, risultava provata non solo dalla relazione tecnica di parte (che la CTR aveva omesso di esaminare), ma anche dal verbale di sopralluogo eseguito dal tecnico del Comune e posta fondamento dell’accertamento e del relativo avviso, con la conseguenza che il giudice regionale aveva violato altresì il disposto dell’art. 2697 c.c. Soggiungeva, altresì, che la corretta lettura dell’art. 1, comma 649, della l. 147 del 2013 portava a ritenere che la tipologia di rifiuto prodotto dalla società ricorrente ricadeva sotto la categoria di rifiuti speciali non pericolosi e che le aree destinate al deposito e stoccaggio della merce dovevano essere, pertanto, considerate non tassabili, in quanto produttive di rifiuti speciali.
Preliminarmente all’esame del motivo di ricorso deve essere delibata l’eccezione del Comune controricorrente d’inammissibilità dell’avverso ricorso per difetto di ‘legittimazione a ricorrere’.
L’eccezione è infondata e deve essere rigettata.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 7 novembre 2013, n. 25036), innovando rispetto all’indirizzo espresso nelle pronunce citate nella richiamata proposta, hanno affermato il principio secondo cui «la procura speciale alle liti, rilasciata, per conto di una società esattamente indicata con la sua denominazione, con
sottoscrizione affatto illeggibile, senza che il nome del conferente, di cui si alleghi genericamente la qualità di legale rappresentante, risulti dal testo della stessa, né dall’intestazione dell’atto a margine o in calce al quale sia apposta, ed altresì priva, nell’uno o nell’altra, dell’indicazione di una specifica funzione o carica del soggetto medesimo che lo renda identificabile attraverso i documenti di causa o le risultanze del registro delle imprese, è affetta da nullità relativa, che la controparte può tempestivamente opporre ex art. 157 c.p.c., onerando così, l’istante, d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della suddetta sottoscrizione, difettando la quale, così come in ipotesi di inadeguatezza o tardività di tale integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui essa accede» (si vedano anche, più di recente, Cass. sez. 3, 27 ottobre 2015, n. 21780; Cass. sez. 3, 10 aprile 2015, n. 7179; Cass. sez. 3, 10 ottobre 2014, n. 21405; Cass. Sez. 6 – 5, n. 16634 del 05/07/2017).
Nella fattispecie in esame, con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c., la ricorrente ha colmato la lacuna del ricorso, nel quale non era indicato il nome del liquidatore della società ricorrente, provvedendo a depositare la visura storica della società ricorrente, dalla quale risulta il nome e il cognome del liquidatore della stessa, che ha apposto la firma in calce alla procura.
3. Deve essere disattesa, altresì, l’eccezione di inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., atteso che, come già chiarito da questa Corte, la stessa può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe
potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Sez. 1 –
, Sentenza n. 39169 del 09/12/2021, Rv. 663425 – 02).
La miscela di due diversi profili, riflettenti i vizi di violazione di legge ed omesso esame di un fatto decisivo, non impedisce infatti di cogliere il senso e la portata delle questioni proposte dalla ricorrente. Non risulta pertanto violato il canone di specificità dell’impugnazione, il quale, pur inducendo a ritenere preferibile la distinta proposizione di censure riguardanti l’interpretazione di norme giuridiche e la ricostruzione dei fatti di causa, non ne preclude la formulazione in unico contesto, a condizione che, come nella specie, l’illustrazione del motivo consenta d’individuare con chiarezza le questioni prospettate e di procedere, se necessario, ad un esame separato delle stesse (cfr. Sez. Un., 6.05.2015, n. 9100; Sez. 2, 23.10.2018, n. 26790; Sez.6, 17. 03.2017, n. 7009; più di recente Sez. 5 – , n. 11152 del 28/04/2025).
3.1. Nella fattispecie, tale operazione di scissione può essere compiuta senza troppe difficoltà nell’ambito delle deduzioni del ricorrente, isolando le censure volte a denunciare una violazione di legge sostanziale da quelle relative a un asserito vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
4. Tanto premesso, la censura, formulata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., relativa all’omesso esame dell’eccezione, formulata nel giudizio d’appello, relativa all’errata interpretazione, da parte del giudice di prime cure, dell’art. 1, comma 649, della l. 147 del 2013, così come letto e spiegato nella risoluzione del MEF n. 2, del 9.12.2014, è comunque inammissibile, atteso che il denunciato vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. concerne esclusivamente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo per il giudizio
(Cass., Sez. U., sentenza 7 aprile 2014, n. 8053). E’ necessario, dunque, che sia denunciato l’omesso esame di un preciso accadimento o di una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti. Questa Corte ha, infatti, chiarito che il fatto storico prospettato, inteso come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608).
Nel caso in esame, il ricorrente ha lamentato l’omesso esame di una questione giuridica relativa alla dedotta erronea interpretazione, da parte del giudice di prime cure, dell’art. 1, comma 649, della l. 147 del 2013. Non trattasi, pertanto, di un preciso fatto storico, il cui omesso esame risulta censurabile, ai sensi del prospettato art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Del pari inammissibile la censura relativa alla dedotta violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Parte ricorrente, infatti, ha, apparentemente, dedotto la violazione dell’art. 1, comma 649, della l. 147 del 2013, mirando, in realtà ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice regionale, non consentita nel giudizio di legittimità. Nel ricorso, infatti, è espressamente precisato: ‘ Sotto il secondo profilo e cioè la falsa o erronea applicazione della disposizione di legge ex art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., il già richiamato art. 1, comma 649, L. 147/2013, è chiaro nel definire non tassabili le superfici direttamente funzionali all’attività di impresa e sulle quali, potenzialmente, sono prodotti rifiuti speciali in modo ordinario e
continuativo, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere i relativi produttori (a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente). Ebbene, la società ricorrente aveva depositato agli atti del giudizio una relazione tecnico descrittiva a firma dell’ Ing. NOME COGNOME che la Commissione Regionale ha completamente omesso di esaminare. Allo stesso modo, la Commissione non ha preso in considerazione che, dallo stesso verbale di accertamento redatto dai tecnici incaricati del Comune in data 29.05.2014, risultava chiaramente che: la ricorrente società esercitava l’attività di ‘produzione e distribuzione di articoli sportivi’ e che, in una alle superfici destinate alla detta produzione, vi erano delle superfici destinate a ‘deposito delle merci prodotte’, evidentemente funzionalmente ed inscindibilmente collegate alle prime. Il tutto, quindi, riproducendo nella specie proprio l’ipotesi richiamata nella già citata risoluzione del MEF. In altre parole, oltre che dalla perizia di parte, la circostanza relativa al collegamento funzionale tra le aree destinate a magazzini e depositi e quelle destinate alla produzione, risultava assolutamente provata e confermata anche dal verbale di sopralluogo eseguito dal tecnico del Comune e posto a fondamento dell’accertamento e del relativo avviso, così come impugnato nel presente giudizio, per cui la Commissione è incorsa in una erronea applicazione dell’art. 2697 c.c., nella misura in cui non hanno correttamente valutato la ripartizione dell’onere probatorio’.
Dal tenore letterale del ricorso appare evidente come la contribuente miri ad ottenere un nuovo giudizio di fatto circa la debenza del tributo in esame, in ragione della tipologia di rifiuti prodotti dalla società ricorrente (giudizio già compiuto dal giudice regionale).
Con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., basti ricordare che questa Corte ha da tempo chiarito che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il
giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
In considerazione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 3.471,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, 30 maggio 2025