Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18692 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18692 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6229/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA n. 4822/2019 depositata il 28/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il AVV_NOTAIO. il quale ha chiesto l ‘accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettati gli altri.
Sentiti i difensori delle parti presenti i quali hanno concluso come da rispetti atti
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 4882/12/2019, pronunziando in sede di rinvio – a seguito della sentenza di annullamento di questa Corte n. 8909/2018 – nel giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento TARSU/TIA 2005 emessa dal Comune di Cinisello Balsamo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sul presupposto che detta società poteva fruire di una ‘utilizzazione parziale ed insufficiente del servizio’ in parziale accoglimento dell’originario ricorso della società c ontribuente stabiliva una riduzione del 30% di ‘quanto normalmente sarebbe dovuto’.
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Cinisello Balsamo ricorre per cassazione avverso detta sentenza sulla base di quattro motivi, illustrati con successiva memoria, chiedendo disporre, ex art. 274 cod. proc. civ., la riunione al presente procedimento a quello portante il nNUMERO_DOCUMENTO pendente fra le medesime parti ed avente ad oggetto la medesima tematica.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso; successivamente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il Comune ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione violazione degli artt. 59, 62 e 63 d.lgs. 507/1993, 21 e 49 d.lgs. 22/1997 e 7 d.P.R. 158/1999.
Rileva che la fattispecie in esame esulava dall’ipotesi di cui all’art. 59, comma 2, d.lgs. 507/1993, essendo pacifica l’attivazione del servizio e che non poteva nemmeno trovare applicazione l’ipotesi di cui al quarto comma della medesima norma la quale disciplina l’eventuale grave violazione del regolamento comunale declinabile in termini di eccessiva distanza, capacità dei contenitori, frequenza della raccolta, non risultando in alcun modo chiarito per quale ragione il servizio affidato alla concessionaria RAGIONE_SOCIALE era stato ritenuto inidoneo a soddisfare le esigenze della società contribuente. Assume, poi, che a tutto concedere era possibile l’applicazione di una riduzione ex art. 7 di d.P.R. 158/1999 ed art. 49 d.lgs. n. 22/97 sulla quota variabile della tariffa e non sull’intera pretesa impositiva e, comunque, mai nella misura del 30%.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti individuato nella circostanza che la RAGIONE_SOCIALE non aveva, volontariamente ed arbitrariamente, aderito alla privativa comunale per lo smaltimento dei propri rifiuti, affidandosi ad impresa privata.
In altri termini, ad avviso dell’ente impositore, ancor prima di verificare se il Comune aveva attivato il servizio o lo stesso veniva effettuato in grave violazione di legge, costituiva elemento pregiudiziale comprendere perché la RAGIONE_SOCIALE non utilizzava il servizio, da qui la decisività dell’elemento in quanto risultava dimostrato che era stato attivato il servizio de quo con la convenzione stipulata con RAGIONE_SOCIALE sicchè la società contribuente era stata posta nella condizione di poterne usufruire.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. lamentando motivazione meramente
apparente in quanto i giudici di appello non avevano considerato che nessuna contestazione circa qualità ed insufficienza del servizio era stata mai mossa dalla contribuente.
Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 58 d.lgs. 546/1992 nonché degli artt. 325 e 325 cod. proc. civ. rilevando l’erroneità della decisione della C.T.R. di ammettere la nuova produzione documentale depositata solo con la memoria illustrativa del 19/10/2019 da parte di RAGIONE_SOCIALE posto che era pacifico che la stessa non avesse prodotto i formulari nei precedenti gradi di giudizio. Non avendo la contribuente proposto ricorso incidentale sul punto, il capo della sentenza in cui si qualificano come ‘nuove produzioni’ i documenti in contestazione era passato in giudicato.
Deve, primo luogo, rilevarsi che non appaiono sussistere i presupposti di legge per disporre la chiesta riunione del presente giudizio con quello portante R.G. n. 2249/2021, in ragione della diversità di talune delle questioni trattate correlate alla pregressa pronunzia di annullamento.
Va, quindi, osservato che prima di procedere all’esame dei singoli motivi di ricorso appare opportuno muovere da quanto statuito da questa Corte nella sentenza di annullamento n. 8909/2018. Con tale pronunzia, richiamati i principi affermati nella precedente sentenza n. 627/2012 (relativa ad analogo contenzioso vertente fra le medesime parti) è stato osservato che era pacifico che la società RAGIONE_SOCIALE, gestendo anche un ipermercato, sulla superficie dichiarata ai fini della tassa in questione produceva rifiuti urbani e rifiuti speciali, consistenti in materiali di vario genere, precisandosi che: a) i rifiuti di imballaggio (quali quelli prodotti dalla contribuente) sono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione”, termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento (art. 38 d.lgs.
n. 22 del 1997), principio questo decisivo in assoluto per gli imballaggi terziari (quelli concepiti “in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli”), per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale, mentre per gli imballaggi secondari (o multipli, quelli costituiti dal “raggruppamento di un certo numero di unità di vendita”) (art. 35, comma 1, d.lgs. citato), è ammessa solo la raccolta differenziata da parte dei commercianti al dettaglio che non li abbiano restituiti agli utilizzatori (art. 43, d.lgs. citato); b) i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, come appunto nel caso di specie, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della legge n. 146 del 1994, art. 39, e i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno, perciò, disapplicati in parte qua dal giudice tributario; c) ciò non comporta, come pure evidenziato dalla richiamata sentenza n. 627/2012, che tali categorie di rifiuti siano, di per sé, esenti dalla TARSU, ma che ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal d.lgs. n.507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producono rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari (come certamente nella fattispecie, trattandosi di un centro commerciale comprendente locali di varia destinazione) l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali; d) incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla
quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, d.lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. n. 4766/2004, n. 17703/2004, n. 13086/2006, n. 17599/2009, n. 775/2011).
Questa Corte ha, quindi, evidenziato, con detta pronunzia di annullamento, che la sentenza impugnata si era palesemente discostata dai principi che precedono, non avendo operato alcuna distinzione tra le diverse tipologie e quantità di rifiuti, con consequenziali erronee ricadute sulla misura della tassa dovuta dalla società RAGIONE_SOCIALE e che appariva, parimenti, fondata la censura della contribuente in ordine alla contestata omessa pronuncia, da parte dei giudici di appello, relativamente alla questione concernente la mancata prestazione in concreto del servizio nell’area di operatività dell’utente, ipotesi che comportava non già l’esenzione della tassa, ma che il tributo era dovuto in misura ridotta.
Ciò premesso va osservato che il primo motivo è da ritenere fondato nei termini appresso specificati.
7.1. Occorre evidenziare che questa Corte, con la richiamata pronunzia di annullamento, aveva onerato i giudici di merito, quale prima valutazione da compiere, di operare una distinzione tra le diverse tipologie e quantità di rifiuti, elemento questo avente consequenziali ricadute sulla misura della tassa dovuta dalla società
RAGIONE_SOCIALE. Infatti prima esaminare della tematica relativa alla riduzione del tributo ex art. 59, comma 2, d.lgs. 507/1993, in ragione di una ‘utilizzazione parziale ed insufficiente del servizio’ (tema pure oggetto dell’ odierno contenzioso per come sopra evidenziato) i giudici del rinvio avrebbero dovuto esaminare la problematica relativa alla esatta tipologia dei rifiuti prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE -la quale, come detto, produce in grossa parte rifiuti di imballaggio (oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere) – ed alla loro quantità, dati questi indispensabili ai fini del decidere, atteso che le asserite inefficienze ed inadeguatezze del servizio vanno parametrate rispetto alla tipologia e quantità dei rifiuti da conferire in discarica.
7.2. In relazione alla tipologia di rifiuti (speciali) prodotti dalla società si rende, poi, opportuno un rapido richiamo alla disciplina settoriale. Il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla TARSU, prevista dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Decreto Ronchi), e la TIA 1, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Codice dell’Ambiente). Nell’ambito di tale successione di norme, il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ha inciso in modo significativo sui criteri di tassazione dei rifiuti in quanto ha introdotto un nuovo sistema incentrato sulla tariffa (TIA 1), in sostituzione di quello precedente incentrato sul tributo. L’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che ha istituito la nuova ‘tariffa’ sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ha, poi, previsto, al comma 1, che: «La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 10 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11», il quale recita che: «Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli
adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti». Poiché tale regolamento ministeriale non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori sia la TARSU che la TIA 1, prevista dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, alla quale, per effetto dell’art. 1, commi 183 e 184, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU.
Questa Corte ha già avuto modo di esaminare (vedi, ex multis , Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490; Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032) il quadro normativo di riferimento avendo modo di precisare che il presupposto impositivo della tassa sui rifiuti rimane, pur sempre, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così come, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (vedi Cass., 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130), giacché la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina una presunzione, iuris tantum, di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (cfr. Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459, tutte citate da Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490).
Deve, poi, osservarsi che, in tema di TARSU, l’esenzione dal tributo, ai sensi art. 62, comma 3, d. lgs. 15 novembre 1993, n. 507) è prevista per «quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche
strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti» (v. Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass. 4 aprile 2012, n. 5377).
Nelle sentenze di questa Corte nn. 8205 e 8222 del 14 marzo 2022 è stato anche chiarito che la «riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari ‘rifiuti speciali’ costituiti dagli imballaggi terziari non assimilati né ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari», affermandosi che «agli imballaggi terziari (nonché agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art.62, terzo comma cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formano i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati ex art.21 co. 7^ d.lgs. 22/1997», precisandosi, ancora, che «La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. nn. 10010/19; 703/19; 4960/18; 4793/16 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento)» (così Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, n, 8205 e nello stesso senso, Cass. Sez. T, 14 marzo 2022, n. 8222).
In ogni caso, i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del cd. decreto
Ronchi e dalla successiva abrogazione della legge n. 146 del 1994, art. 39. Ne consegue che i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno, come detto, disapplicati in parte qua dal giudice tributario (in questo senso già Cass. n. 627/2012, Rv. 621368 – 01, n. 4793/16, Rv. 639127 – 01, n. 703/2019, Rv. 652499 – 01; 4960/2018, Rv. 649761 – 01; da ultimo Cass. n. 10010/2019, Rv. 653536 – 01, Cass. n. 22980/2021, Cass. n. 5580/23).
7.3. Con riferimento alle annualità oggetto del presente giudizio (2005) assume rilievo quanto disposto dall’art. 49 (Istituzione della tariffa) del d.lgs. n. 22 del 1997, con il quale il legislatore ha attribuito ai Comuni l’obbligo di effettuare, in regi me di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati; gestione per la quale viene prevista una «tariffa» per la copertura integrale dei relativi costi, tariffa che, ai sensi del comma 3 «deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale» e che ai sensi del successivo comma 4 « è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti» (quota fissa) «e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione (…)» (quota variabile). Il comma 14 precisa, poi, che su tale tariffa è applicato un «coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi». Per effetto di tale disposizione si evince, in primo luogo, che nel passaggio dall’imposizione basata sul tributo (TARSU) a quella basata sulla tariffa (TIA1) il legislatore ha stabilito che essa è composta da una quota fissa e una quota variabile. I criteri di determinazione di tali due parti della TIA sono contenuti nel d.P.R. n. 158 del 1999, che
prevede indici costruiti, tra l’altro, sulla quantità totale dei rifiuti prodotti nel Comune, sulla superficie delle utenze, sul numero dei componenti il nucleo familiare delle utenze domestiche, su coefficienti di potenziale produzione di rifiuti secondo le varie attività esercitate nell’ambito delle utenze non domestiche. Altro principio che si evince dall’art. 49 cit. è quello secondo cui l’autonomo avviamento a recupero dei rifiuti assimilati, da parte del produttore di essi, non comporta l’esclusione dal pagamento dell’imposta, ma determina una sua riduzione proporzionale. Quanto, infine, ai rifiuti speciali non assimilati, l’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, dispone che «Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta».
7.4. Del resto la TARSU, come le altre imposte sui tributi, sono caratterizzate, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che le disciplina, da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, con la conseguente doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica; i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata, ed i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi, in quanto la legge non dà alcun sostanziale
rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, avendo il tributo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente (cfr. in tema di TARSU Corte cost. n. 238 del 2009, richiamata da Cass. n. 7647 e n. 1981 del 2018).
7.5. Condivisibilmente, pertanto, è stato sottolineato e ribadito che «in presenza di locali destinati alla produzione di rifiuti speciali non assimilati, per lo smaltimento dei quali il contribuente deve necessariamente provvedere in proprio tramite un operatore qualificato, l’esenzione dal pagamento della quota variabile della tariffa è totale, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del pagamento della quota fissa, che non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata per legge alla “copertura” dei costi di investimento ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Cass. Sez. 5^, 23 maggio 2019, n. 14038; Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2020, nn. 16994 e 16995; Cass., Sez. 5^, 27 febbraio 2020, n. 5360; Cass., Sez. 5^, 12 agosto 2021, nn. 22772 e 22773; Cass., Sez. 6^-5, 22 ottobre 2021, n. 29542; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2021, nn. 32603 e 32604; Cass., Sez. 5^, 22 aprile 2022, n. 12850)» (così Cass., Sez. T., 21 febbraio 2023, n. 5429).
7.6. Non appare, dunque, ammissibile l’esclusione della superficie del centro commerciale e dell’ipermercato con riferimento al computo della parte fissa della tassa in questione, trattandosi di superficie potenzialmente idonea alla produzione di rifiuti urbani, e ciò a prescindere dalla mancata produzione in concreto degli stessi e dalla mancata fruizione del servizio pubblico ad essi dedicato e che, viceversa, è ammissibile l’esclusione del versamento della parte
variabile ogniqualvolta in cui il contribuente sia in grado di dimostrare la mancata produzione su quella determinata superficie di rifiuti conferibili a smaltimento o la produzione esclusiva di rifiuti speciali, non assimilati o assimilabili.
7.7. La C.T.R., dovendo applicare i principi fissati dalla sentenza di annullamento non poteva, dunque, limitarsi a stabilire sic et simpliciter che detta società aveva diritto una riduzione del 30% di ‘quanto normalmente sarebbe dovuto’ in quanto poteva fruire di una ‘utilizzazione parziale ed insufficiente del servizio’, dovendo accertare le circostanze di cui sopra alla luce di quanto stabilito con la citata sentenza di annullamento e facendo applicazione dei principi di diritto sopra richiamati di cui non è stata fatta corretta applicazione. Si impone, quindi, sul punto l’annullamento della sentenza impugnata.
8. Il secondo motivo, con il quale parte ricorrente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., denunzia l’omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio, costituito dalla mancata valutazione della circostanza che era stata RAGIONE_SOCIALE a non aderire, volontariamente, alla privativa comunale per lo smaltimento dei propri rifiuti, affidandosi ad impresa privata non coglie nel segno.
Occorre rilevare che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui
esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01). Invero appare di tutta evidenza che con il motivo in questione l’ente impositore lungi dal denunziare un vizio rilevabile in questa sede – finisce per sollecitare una diversa valutazione degli elementi fattuali per come dedotti dalle parti.
Il terzo motivo, in forza del quale il Comune censura la sentenza perché la RAGIONE_SOCIALE avrebbe posto a fondamento della decisione un fatto (l’inadeguatezza del servizio di smaltimento dei rifiuti organizzato dal comune) mai dedotto dalla RAGIONE_SOCIALE la quale non avrebbe mosso alcuna contestazione in proposito è infondato atteso che è lo stesso comune che a pag. 30 del ricorso, nel riportare alcuni stralci degli atti difensivi della contribuente, fa cenno alla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE aveva affermato ‘ che il servizio comunale di raccolta e smaltimento rifiuti non è stato reso disponibile all’interessata in modo effettivo e continuativo ‘, come, del resto, correttamente rilevato dal P.G. nella memoria in atti.
10. L’ ultimo motivo con il quale l’ente impositore lamenta l’erroneità della decisione della C.T.R. di ammettere la nuova produzione documentale depositata solo con memoria illustrativa del 19/10/2019 rimane assorbito.
In conclusione va accolto per quanto di ragione il primo motivo, rigettati il secondo ed il terzo, assorbito il quarto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale, alla luce di quanto già stabilito con la pronunzia di annullamento n.
8909/2018 ed uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti, dovrà:
valutare se risultino adeguatamente individuate e comprovate, tenuto conto degli oneri probatori incombenti sulle parti, le aree che, all’interno dello stabilimento, producano esclusivamente e/o prevalentemente rifiuti (speciali) esenti da privativa comunale, perché non assimilati né assimilabili ai rifiuti urbani e, come tali, assoggettati ad autosmaltimento;
tenere conto che quanto ai ‘magazzini’ questa Corte ha chiarito che «per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili, fermo restando l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi» (così, Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032);
individuare, quindi, (ove comprovate) le specifiche zone con diritto alla ‘esenzione’ pure tenuto conto del Regolamento comunale TARSU vigenti, accertando se sussistano i presupposti per una sua (eventuale) disapplicazione in parte qua, in quanto illegittimo;
accertare e quantificare l’eventuale diritto ad una ‘riduzione’ della tassa quanto ai rifiuti urbani, ex art. 59 d.lgs. 507/1993;
stabilire il quantum dovuto, tenuto conto, comunque, della integrale debenza della quota fissa per quanto concerne le zone esenti.
11.1. Il giudice del rinvio provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo per quanto di ragione, assorbito il quarto; rigetta il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione