Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25520 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25520 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 24/09/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1087/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, del Foro di Roma, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), in virtù di procura in calce al ricorso per cassazione ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME
Oggetto:
*TARSU
TARES
(CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), in virtù di procura in calce al ricorso per cassazione
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.TOSCANA, sez. distaccata Livorno, n. 944/2018 depositata il 17/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il P.G. che, nel ribadire le conclusioni della requisitoria scritta, ha concluso per l’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso. Uditi i difensori delle parti.
FATTI DI CAUSA
1.Come emerge dalla narrativa della sentenza impugnata, oggetto di controversia è la fattura n. 29 del 3 agosto 2015, relativa alla Tia per l’anno 2012, con la quale l’amministrazione comunale di Collesalvetti rideterminava, ai fini dell’imposta, l’area occupata dalla società, negando l’invocata esenzione sulle superfici escluse dalla contribuente.
La società aveva impugnato la fattura TIA facendo leva sulla illegittimità dell’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani operata dal Comune di Collesalvetti, nonché sulla carenza motivazionale dell’atto impugnato, chiedendo l’applicazione dell’esenzione dalla imposta per l’area delimitata nella planimetria allegata alla denuncia ex art. 70 d.lgs.507/92. I giudici di prossimità -con sentenza n. 1321/2017 -accoglievano il ricorso della contribuente, mentre la Commissione tributaria regionale della Toscana, nel confermare la decisione di prime cure, respingeva l’appello p roposto dalla concessionaria RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Livorno, assumendo:
che l’articolo 198 del d.lgs 152/2006 autorizza il regolamento comunale
all’assimilazione per qualità e quantità di rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani secondo i criteri di cui all’articolo 195 comma 2, lettera e) del medesimo decreto;
che il Comune di Collesalvetti non aveva inserito gli imballaggi terziari tra i rifiuti assimilati agli urbani in virtù, peraltro, di un divieto esplicito imposto dall’articolo 226 del d.lgs. citato;
che la società RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la disapplicazione di una norma regolamentare che non sussisteva, ma che per ciò solo non rendeva inammissibile il motivo di ricorso volto a censurare l’applicazione della tariffa in assenza del presupposto impositivo e cioè della produzione di rifiuti urbani;
che la normativa in materia di TARSU esclude dalla tassazione le superfici dove si producono rifiuti speciali smaltiti a proprie spese dai produttori; norma ritenuta dalla giurisprudenza applicabile anche alla TIA. La suindicata concessionaria propone ricorso per cassazione avverso detta sentenza, con atto notificato tramite posta elettronica certificata alla concessionaria, articolando cinque motivi di impugnazione.
Replica con controricorso e sintetiche memorie la società RAGIONE_SOCIALE.
La ricorrente ha depositato memorie difensive in prossimità dell’udienza, reiterando le censure svolte con il ricorso per cassazione.
Il P.G. ha concluso, come da requisitoria scritta, per l’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Il primo motivo deduce .
1.1.La ricorrente obietta che l’allegato B del regolamento comunale per la gestione dei servizi di smaltimento rifiuti non dispone l’assimilazione degli
imballaggi terziari ai rifiuti urbani, ma si limita a statuire che i rifiuti speciali sono considerati assimilabili per qualità e quantità ai rifiuti urbani, purché rispettino le condizioni elencate nel medesimo regolamento; indicando tra i rifiuti assimilabili gli imballaggi secondari, rifiuti ingombranti e rifiuti di vario genere; sostenendo, tra l’altro, che la locuzione contenuta nell’allegato non implica l’assimilazione agli urbani degli imballaggi terziari.
2.La seconda censura prospetta ; per avere il decidente escluso l’applicazione della TIA per le superfici produttive di rifiuti speciali, ancorché la società non avesse rivendicato l’esenzione dei propri locali in ragione del loro utilizzo, ma avesse sostenuto che gli immobili non potessero essere assoggettati alla tariffa di cui al d.lgs. 5 Febbraio 1997, n. 22, sulla base dell’asserita illegittimità del provvedimento del Comune di Collesalvetti con cui sarebbero stati assimilati gli imballaggi terziari ai rifiuti urbani. Si sostiene che, diversamente da quanto afferma la CTR, il motivo di ricorso della società non era volto a censurare l’applicazione della tariffa in assenza dei presupposti impositivi, bensì rivolto a ce nsurare l’illegittima assimilazione imballaggi terziari ai rifiuti urbani, che, viceversa, non era stata prevista dal regolamento comunale.
Rileva, inoltre, la ricorrente, che il giudicante ha motivato ultra petita , in ragione della asserita sussistenza di un generale principio di esclusione da tariffa di tutti i locali produttivi di rifiuti speciali, giammai invocato da controparte.
3.Il terzo strumento di ricorso prospetta . Osserva la ricorrente che la Tarsu non esisteva più a far data dal 1 gennaio 2010 e che la disciplina di cui al d.lgs 507 del 1993 era stata abrogata all’epoca della notifica della fattura; con la conseguenza che la contribuente aveva dedotto la violazione di una normativa non più in vigore, non potendosi estendere il disposto dell’art. 62 citato in rubrica alla TIA di cui al d.lgs. 1997/22, in quanto l’applicazione della normativa Tarsu alla TIA sarebbe frutto di una erronea interpretazione della giurisprudenza di legittimità.
Si osserva che la Tarsu prevedeva unicamente il costo di esercizio del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, mentre il gettito complessivo della TIA ex articolo 49, comma 4, d.lgs. 22 del 1997 doveva coprire integralmente i costi di gestione e investimento, definiti dal d.P.R. n. 158 del 99 e finitamente con la cosiddetta parte fissa tutti i costi delle opere d’attività a beneficio della collettività, indipendentemente dallo smaltimento; mentre con la parte variabile doveva coprire i costi dell’attività specifica vale a dire la raccolta e di smaltimento, prestata a favore di ogni singola utenza plessica o non domestica.
La società prosegue nell’illustrazione del motivo trascrivendo la normativa in materia di TIA e concludendo che è esclusa dalla tassazione soltanto la parte variabile della tariffa binomia, ritenendo legittima l’applicazione della parte fissa laddove vi sia l’effettiva dimostrazione della mancata produzione dei rifiuti conferibili al servizio pubblico.
Con la quarta censura si deduce la violazione del d.lgs. 546/1992 in ordine alla qualificazione del processo tributario quale processo di impugnazionemerito, avendo la commissione tributaria regionale annullato l’atto impositivo senza esaminare nel merito la pretesa tributaria; il collegio d’appello avrebbe dovuto annullare l’atto escludendo
la non debenza della tariffa per i soli locali deputati a magazzini.
5.L’ultimo mezzo di ricorso denuncia l’erronea ripartizione delle spese del giudizio, poichè il decidente avrebbe dovuto dichiarare l’infondatezza della opposizione della RAGIONE_SOCIALE.
6.La prima e la seconda censura, che possono essere scrutinate congiuntamente, sono prive di pregio.
6.1 Dalla lettura della decisione gravata si evince che il primo articolato motivo proposto dalla contribuente con il ricorso originario era fondato, diversamente da quanto asserito con la seconda censura, sia sulla correttezza della denuncia del 2011 con la quale erano stati individuati i locali, ad esclusione degli uffici, ove si svolgeva attività di logistica integrata, produttiva di imballaggi terziari autosmaltiti non assimilabili ai solidi urbani, sia sulla inadeguatezza della motivazione della fattura, ove non erano stati indicati i criteri di scelta del quantum tra il minimo ed il massimo rispetto ad una presunta assimilazione dei rifiuti disposta con regolamento comunale; il che esclude sia la denunciata genericità del ricorso originario che la fondatezza della dedotta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettati con la seconda doglianza, avendo il Collegio d’appello pronunciato sulla domanda avanzata dall’ente.
6.2. Con riferimento al primo motivo, il ricorso originario della società è stato, correttamente ritenuto ammissibile dai giudici territoriali, in quanto la contribuente aveva comunque richiamato la disposizione normativa che impedisce di assimilare gli imballaggi terziari ai rifiuti solidi urbani, il che rivela l’infondatezza della doglianza in rassegna; del resto, la statuizione del collegio d’appello là dove evidenzia che il Comune di Collesalvetti non aveva assimilato gli imballaggi terziari ai rifiuti urbani, alla stregua del divieto imposto dall’art. 226, comma 2, d.lgs. 152/2006, rivela la carenza d’interesse a proporre la censura in esame, posto che la norma regolamentare era argomento a sostegno della dedotta insussistenza del presupposto impositivo (ossia la produzione di rifiuti urbani, assimilati o assimilabili).
La terza e la quarta doglianza sono fondate, nei termini che seguono, e meritano accoglimento, assorbito l’ultimo mezzo.
7.1.In primo luogo, non va trascurato di segnalare che sulle tematiche in rassegna la Corte ha assunto un orientamento consolidato attraverso una serie di altre, recenti, pronunce (cfr., tra le tante, Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5580; Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5579; Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5578; Cass., Sez. T, 16 febbraio 2023, n. 4902; Cass., Sez. T, 5 aprile 2022, n. 10899; Cass., Sez. T., 29 marzo 2022, n. 10829; Cass., Sez. T., 7 luglio 2022, n. 21490; Cass., Sez. T, 27 gennaio 2022, n. 2373, Cass., Sez. T., 23 aprile 2020, nn. 8088 e 8089 ed ancora Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032), in talune delle quali è stata parte la suindicata controricorrente, che hanno sancito i principi che di seguito si riassumono nei loro passaggi argomentativi principali, rinviando ai più estesi contenuti di dette pronunce.
7.2. Necessaria premessa è quella che attiene al quadro normativo di riferimento.
7.3.Il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla TARSU (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), prevista dal d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (Decreto Ronchi), e la TIA 1, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Codice dell’RAGIONE_SOCIALE). Nell’ambito di tale successione di norme, il d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 ha inciso in modo significativo sui criteri di tassazione dei rifiuti in quanto ha introdotto un nuovo sistema incentrato sulla tariffa (TIA 1), in sostituzione di quello precedente incentrato sul tributo. Il d.lgs. n. 152 del 2006 ha disposto nei seguenti termini: «La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11» (art. 238, c. 1); «Sino alla emanazione del
regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti» (art. 238, c. 11); è abrogato «il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbra 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto» .
7.4. Va, inoltre, rimarcato che il d.lgs. n. 152 del 2006 (istitutivo della cd. TIA 2) è stato adottato quando non si era ancora nemmeno perfezionata la scadenza del regime transitorio previsto dal d.P.R. n. 158 del 1999 (adottato in esecuzione del d.lgs. n. 22 del 1997, art. 49, cc. 1 e 5), il che equivale a dire che a detto momento non poteva ritenersi (già) prodotto l’effetto abrogativo che l’art. 49, c. 1, d.lgs. n. 22 del 1997, cit., aveva previsto con riferimento alla disciplina (anche regolamentare) della TARSU; laddove il legislatore del 2006 (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, c. 11) ha previsto la salvaguardia delle «discipline regolamentari vigenti» (sino all’emanazione di un regolamento previsto dall’art. 238, c. 6) e, con quelle, dei «provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22» («sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto») ha, da un lato, conservato tutte le discipline regolamentari (e normative) a quel momento vigenti, – stante il mancato perfezionamento del regime transitorio, – e, dall’altro, ha esso stesso prorogato il regime transitorio previsto dal d.lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (e dal d.p.r. attuativo n. 158 del 1999, art. 11, cit.) onde evitare ogni soluzione di continuità «nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta» del d.lgs. n. 152 del 2006 .
7.5.La complessiva soluzione legislativa in discorso è stata, quindi,
mantenuta in vigore sino all’adozione (col d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 14, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214) di un nuovo tributo comunale (sui rifiuti e sui servizi, cd. TARES) secondo la cui disciplina (solo) a decorrere dal 10 gennaio 2013 «sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza» (art. 14, c. 46).
7.6.In mancanza dell’ adozione del regolamento attuativo di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 6, i Comuni che già erano passati, come nella fattispecie, dalla TARSU alla TIA1, potevano continuare ad applicare il vigente regime di prelievo, essendo tale sistema tariffario destinato ad operare sino all’adozione della disciplina attuativa prevista dal Codice dell’RAGIONE_SOCIALE, così come i Comuni che tale opzione non avevano effettuato, potevano continuare ad applicare la TARSU, risultando espressamente prevista l’applicazione delle discipline regolamentari vigenti, da intendersi quali fonti secondarie di determinazione della tariffa stessa, tra le quali le delibere che gli enti locali avessero già adottato ai sensi del d.lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 6 (cfr. ex plurimis, Cass., 23 dicembre 2019, n. 34283; Cass., 28 marzo 2019, n. 8650; Cass., 4 dicembre 2018, n. 31286; Cass., 1 ottobre 2018, n. 23820; Cass., 13 luglio 2017, n. 17271).
7.7. Questa Corte ha inoltre più volte statuito (cfr. Cass. n. 11035/2019) che, «per effetto dell’art. 17, comma 3, della legge 24 aprile 1998 n. 128, che ha abrogato l’art. 39 della legge 26 febbraio 1994 n. 146, è venuta meno l’assimilazione “ope legis” ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, con la conseguenza che è divenuto pienamente operante l’art. 21, comma 2, lett. g), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche» e «con riferimento alle annualità di imposta dal 1997 in poi,
assumono quindi decisivo rilievo le indicazioni dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari (Vedi Cass. n. 21342 del 2008; Cass n. 14816 del 2010 e Cass. n. 22223 del 2016), in quanto con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997 è stato restituito ai Comuni (cfr Cass. n. 18303 e n. 18382 del 2004) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, fra cui quelli prodotti da ditte commerciali, anche “per qualità e quantità” (art. 21, comma 2, lett. g) (…).
7.8.Il citato art. 21, comma 2, ha attribuito ai Comuni alla lett. g) la possibilità dell’«assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi – con esclusione degli imballaggi terziari – ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. d»; assimilazione che unicamente giustifica una riduzione proporzionale della quota variabile dell’imposta dovuta( Tia 1), determinata in concreto, a consuntivo, in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero e giammai una totale esenzione dal pagamento dello stesso.
7.9. In particolare, l’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 prevede nella modulazione della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata, ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei produttori e degli utilizzatori» (comma 10), e dispone altresì che « sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua detta attività >> (comma 14).
8.Questa Corte ha già avuto modo di esaminare (vedi Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490; Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032) il suindicato quadro normativo, reputandolo sostanzialmente omogeneo a quello che connotava la disciplina della TARSU (Cass. n. 14038/2019, Rv. 654120 – 01; Cass. n. 5360/2020, Rv. 657343 – 01 ed altre) ed ha, in particolare, posto in rilievo che il presupposto impositivo della TIA rimane, pur sempre,
correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così come, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (vedi Cass., 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130), giacché la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina una presunzione, iuris tantum, di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (cfr. Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459, tutte citate da Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490).
8.1.Come già rilevato dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 238 del 2009, «con riguardo alla disciplina dell’accertamento e della liquidazione della TIA, la lacunosità delle statuizioni contenute nel comma 9 dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (il quale si limita a prevedere che >) può essere colmata con l’esercizio del potere regolamentare comunale previsto per le entrate dal citato art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997 o in via di interpretazione sistematica».
8.2.Il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, emanato in attuazione delle direttive n. 91/156/CEE sui rifiuti, n. 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e n. 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, nel Titolo II (specificamente dedicato alla «Gestione degli imballaggi») – premesso che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata «sia per prevenire e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi, nonché distorsioni
e restrizioni alla concorrenza», ai sensi della citata direttiva n. 94/62/CEE (art. 34, comma 1), dispone che: a) Gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da «un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore»), secondari o multipli (quelli costituiti dal «raggruppamento di un certo numero di unità di vendita») e terziari (quelli concepiti «in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli») (art. 35, comma 1); b) «i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti »: oltre ai vari obblighi in tema di raccolta, riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio, sono a carico dei produttori e degli utilizzatori i costi per – fra l’altro – la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari (art. 38); c) « A decorrere dal 1° gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata» (art. 43, comma 2).
8.3.Dall’esame del Titolo II del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, si ricava che i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione” (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento) (art. 38 citato); ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale.
8.4.La mancata assimilazione non equivale, tuttavia, ad una totale esenzione, in quanto a tali categorie di rifiuti si applica la disciplina
stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 (Cass. n. 4960/2018; Cass. 19/04/2019 n. 11035). Potranno essere, pertanto, escluse dalla superficie imponibile quelle parti dell’immobile nelle quali il contribuente provi essere esclusivamente prodotti gli imballaggi medesimi (Cass. n. 627/2012); la disciplina di cui all’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 rapporta difatti la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione dalla tassa della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (Cass. n. 8222 del 2022; Cass. n. 10548/2017; Cass. n. 4793/2016; Cass. n. 5377 del 2011; Cass. n. 4793 del 2015). L’art. 62 comma 3, prevede, in particolare, che .
8.5.Per tali categorie di rifiuti vale il principio per cui gli stessi non sono, di per sé, esenti dalla tassa sui rifiuti, per cui incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile. Infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione comunale, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e successive disposizioni) un onere di
informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (in termini: Cass., Sez. 5, 18 gennaio 2012, n. 627; Cass., Sez. 5, 4 aprile 2012, n. 5377; Cass., Sez. 5, 5 giugno 2013, n. 14156; Cass., Sez. 5, 11 marzo 2016, n. 4793; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2018, n. 8909; Cass., Sez. 5, 11 maggio 2018, n. 11451; Cass., Sez. 5, 10 aprile 2019, nn. 10009, 10010, 10011, 10012, 10014 e 10015; Cass., Sez. 5, 23 aprile 2020, nn. 8088 e 8089; Cass., Sez. 5, 22 luglio 2021, n. 21130; Cass., Sez. 5, 29 marzo 2022, n. 10029; Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2023, nn. 5578, 5579 e 5580; Cass., Sez. 5, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. 5, 30 marzo 2023, n. 9032). Invero, operando in conseguenza di specifiche condizioni non altrimenti conoscibili dall’ente impositore, in quanto collegate alle posizioni peculiari dei singoli utenti che si vengono a trovare nella situazione per poterne fruire, il riconoscimento del diritto a tale riduzione è subordinato alla condizione della presentazione di una preventiva domanda del contribuente, corredata naturalmente della documentazione necessaria per giustificarne l’attribuzione (Cass., Sez. 65, 28 aprile 2021, n. 11130; Cass., Sez. 5^, 27 gennaio 2022, n. 2373).
8.6.Attesa la previsione, da parte della legge, di una presunzione relativa di idoneità alla produzione di rifiuti, la prova contraria, atta a dimostrare la inidoneità del bene a produrre rifiuti, resta ad esclusivo carico del contribuente, il quale deve, dunque, fornire all’Amministrazione tutti gli elementi all’uopo necessari, in quanto ciò che rileva è la idoneità del bene occupato o detenuto a produrre rifiuti, e soltanto la prova positiva della inidoneità alla produzione di rifiuti solidi urbani può legittimare l’esenzione dal pagamento del tributo. Posto che alla luce del richiamato principio di derivazione comunitaria i costi del servizio di gestione sono riversati sui soggetti che hanno conferito i rifiuti sulle amministrazioni locali, tenute alla razionale organizzazione e gestione del servizio di raccolta dei rifiuti medesimi occorre considerare che la predetta dichiarazione è funzionale
alle verifiche da parte dell’ente impositore circa la sussistenza delle aree sottratte (entro certi limiti) alla tassazione ed al controllo sulla correttezza della rivendicata esenzione, in armonia con il regime ‘relativamente’ presuntivo che governa il tributo in oggetto, commisurando, quindi, la tassa alle particolari condizioni debitamente denunciate.
8.7.Ne consegue che solo laddove sussista la prova della esclusiva produzione di imballaggi terziari, il contribuente è esonerato dal pagamento della sola quota variabile della tariffa.
9.Relativamente alla TIA 1, la Corte Cost. con la sentenza n. 238/09 nel precisare la natura pubblicistica, e non privatistica, del relativo prelievo ha avuto modo di osservare che: ‘ Tale tariffa -usualmente denominata tariffa di igiene ambientale (TIA) -«è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio » ulteriormente evidenziando che ‘ la TIA -analogamente alla TARSU nella disciplina risultante dal disposto del comma 3-bis dell’art. 61 del d.lgs. n. 507 del 1993 (….) e dell’art. 31, comma 23, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 -ha la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti non solo ‘interni’ (cioè prodotti o producibili dal singolo soggetto passivo che può avvalersi del servizio), ma anche ‘esterni’ (cioè «rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico», ….., in relazione agli artt. 7, comma 2, lettere c, d, e 49, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, per la componente fissa della TIA). Ha la funzione, cioè, di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibili a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente. L’unica sostanziale differenza sul punto tra i due prelievi si riduce al fatto che, mentre per la TARSU il gettito deve corrispondere ad un ammontare compreso tra l’intero costo del servizio
ed un minimo costituito da una percentuale di tale costo determinata in funzione della situazione finanziaria del Comune (art. 61, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993); per la TIA il gettito deve, invece, assicurare sempre l’integrale copertura del costo dei servizi (art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997). Tuttavia, tale differenza non è sufficiente a caratterizzare in senso privatistico la TIA, perché nulla esclude che una pubblica spesa (come il costo di un servizio utile alla collettività) possa essere integ ralmente finanziata da un tributo….. anche la TARSU può coprire il cento per cento del costo del servizio di smaltimento dei rifiuti ed in tal caso essa non muta, per ciò solo, la sua natura da pubblicistica a privatistica. In altri termini, la mera circostanza che la legge assegni a un pagamento la funzione di coprire integralmente i costi di un servizio non è sufficiente ad attribuire al medesimo pagamento la natura di prezzo privatistico ‘.
9.1.Si è stabilito (Cass. del 26/03/2024, n. 8165; Cass. n. 14038/2019, Rv. 654120 – 01; Cass. n. 5360/2020, Rv. 657343 – 01 ed altre) che il tributo, da applicarsi, ex art.49, comma 3, d.lgs. n. 22 del 1997, , è strutturato in una parte variabile ed in una parte fissa (art. 49, comma 4, d.lgs., cit.)( tra le altre, Cass., Sez. 5, 27 febbraio 2020, n. 5360; v. anche Cass. 23 maggio 2019, n. 14038, secondo cui la tariffa di igiene ambientale è composta di una quota fissa e di una variabile e, poiché la quota fissa è destinata a finanziare i costi essenziali del servizio nell’interesse dell’intera collettività; cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5, 31 luglio 2023, n. 23137), in modo che:
– il presupposto impositivo della parte variabile della tariffa (sempre che sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio di raccolta e smaltimento) va individuato nella produzione di rifiuti urbani o assimilati, ferma restando la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione, attraverso l’applicazione di un coefficiente in proporzione della quantità e
qualità dei rifiuti assimilabili (che non siano imballaggi terziari), di questa parte variabile nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti (art.49, comma 14, d.lgs. n. 22/1997); – per contro, la quota variabile della tariffa non è dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati, e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate;
– la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); mentre ogni valutazione in ordine alla quantità dei rifiuti concretamente prodotti dal singolo o al servizio effettivamente erogato in suo favore può incidere solo ed esclusivamente sulla parte variabile della tariffa, ovviamente – come già esposto nell’ipotesi di assimilazione di rifiuti non pericolosi agli urbani.
9.2.Si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio, essendo destinata detta quota a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e del servizio nell’interesse dell’intera collettività e, dunque, indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva fruizione del dell’intera collettività del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività.(Cass. n. 13455/2024; Cass. 5578/2023; Cass. n. 7181 del 2021; Cass. n. 5360 del 2020; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 14038 del 23/05/2019).
9.3. Secondo Cass. 15/05/2024, n. 13455 che si è pronunciata in tema di Tari, i cui principi in merito alla debenza della quota fissa sono traslabili
anche alla TIA 1, sarebbe del tutto illogico esentare dal versamento della quota fissa un operatore economico che, comunque, per conferire sicuramente al servizio pubblico almeno una parte dei rifiuti prodotti (quelli derivanti da uffici e servizi) ritrae dagli investimenti eseguiti per la gestione del ciclo dei rifiuti una indubbia utilità. Diversamente opinando, la norma non potrebbe andare esente da concreti dubbi di illegittimità costituzionale per violazione degli art. 3 e 53 Cost., risultando del tutto irrazionale una disposizione che esentasse totalmente dal pagamento della TARI soggetti che, comunque, fruiscono del relativo servizio.
9.4. Con detta sentenza si è posto, infine, in particolare in rilievo che deve, in ogni caso, essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, e che, conseguentemente, la parte di quota fissa non gravante sui produttori anche di rifiuti speciali finirebbe per ricadere sulle altre utenze ed specialmente sulle utenze domestiche; (cfr. in tema di TARSU Corte cost. n. 238 del 2009, richiamata da Cass. n. 7647 e n. 1981 del
2018). Condivisibilmente, pertanto, è stato sottolineato e ribadito che «in presenza di locali destinati alla produzione di rifiuti speciali non assimilati, per lo smaltimento dei quali il contribuente deve necessariamente provvedere in proprio tramite un operatore qualificato, l’esenzione dal pagamento della quota variabile della tariffa è totale, laddove si producano rifiuti speciali non assimilabili auto-smaltiti in via esclusiva, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del pagamento della quota fissa, che non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata per legge alla “copertura” dei costi di investimento ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio» (Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2019, n. 14038; Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2020, nn. 16994 e 16995; Cass., Sez. 5^, 27 febbraio 2020, n. 5360; Cass., Sez. 5^, 12 agosto 2021, nn. 22772 e 22773; Cass., Sez. 6^-5, 22 ottobre 2021, n. 29542; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2021, nn. 32603 e 32604; Cass., Sez. 5^, 22 aprile 2022).
9.5.La quota fissa assicura la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, ragion per cui se essa venisse esclusa in favore dei produttori di rifiuti speciali finirebbe per ricadere sulle altre utenze ed specialmente sulle utenze domestiche; una simile tesi appare del resto in linea con la circostanza che la TIA, la TARI, come TARES e la TARSU, sono caratterizzate, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che le disciplina, da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, con la conseguente doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica.
9.6. Cass. n. 28030/2023 ha ribadito che: «sulla base di questa articolazione tra parte variabile e parte fissa, si è ….. più volte osservato come, quanto appunto alla quota fissa, l’imposizione muova in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti» (art. 49, c. 4, cit.),
ed abbia la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti non solo cioè prodotti o producibili dal singolo soggetto passivo che può avvalersi del servizio, ma anche , quali i rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico; in modo da coprire anche le pubbliche spese afferenti ad un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente» (v. Cass., 23 maggio 2019, n. 14038 e numerose altre).
9.7. Simili conclusioni appaiono perfettamente in linea proprio con la richiamata struttura autoritativa della TIA 1 che emerge sotto svariati e concorrenti profili, in particolare: a) i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime, appunto, di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata; b) i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi; c) la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, escludendosi ogni rapporto di sinallagmaticità tra pagamento e servizio di smaltimento dei rifiuti( cfr. Cass. 28/04/2021 n. 11130).
9.8.La tariffa TIA 1 prevede, quindi, la copertura di costi estranei alla logica della corrispondenza tra costi e benefici e riferibili, piuttosto, alla collettività e la tariffa, dunque, in considerazione della doverosità e del fondamento solidaristico della prestazione ricomprende sempre la quota fissa che, essendo connessa a servizi collettivi, indivisibili, generali, ed essendo vincolata, in gran parte al finanziamento proprio di interventi, attività, opere ed impianti ambientali, ha una funzione redistributiva di siffatti oneri e, dunque, va reclamata e riscossa nei confronti di tutti i soggetti insediati nel territorio ove vengono erogati i servizi per la gestione dei rifiuti, al di là della effettiva produzione, dato che, come membri della collettività, tutti ne traggono direttamente ovvero
indirettamente un comune beneficio.
9.9.Non può, del resto, non considerarsi che la comprovata produzione di rifiuti speciali in una porzione, per quanto estesa, dell’insediamento produttivo ‘in misura esclusiva’ di rifiuti speciali non esclude, né logicamente, né di fatto, la produzione nella medesima area ‘anche’ di rifiuti urbani ordinari (seppure in percentuale ridotta), rifiuti il cui smaltimento implica comunque dei costi per il servizio inteso nel suo complesso, mentre diversamente opinando e, quindi, ritenendo tali zone non soggette né a quota fissa né a quota variabile tali rifiuti (non speciali) verrebbero smaltiti dal servizio comunale con costi generali che finirebbero per ricadere ingiustificatamente sugli altri utenti.
10.Una simile lettura della normativa appare pienamente compatibile con il principio comunitario ‘chi inquina paga’ (ribadito dall’art. 15 della direttiva comunitaria 2006/12/CE) atteso che il diritto comunitario, con tutta chiarezza, si limita a richiedere che la legislazione nazionale garantisca un ragionevole collegamento tra la produzione di rifiuti e la copertura del costo per il loro smaltimento, secondo un principio di proporzionalità, in modo che tale costo sia posto a carico, per una parte significativa, del produttore dei rifiuti.
10.1.Come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (vedi sent.16 luglio 2009, causa C-254/08, RAGIONE_SOCIALE -i cui principi sono stati successivamente confermati in altra pronunzia della Corte di giustizia con riguardo alla direttiva 2008/98 che ha disposto la revisione della dir.200612/CE, Corte giust. 18.12.2014, causa C-551/13, RAGIONE_SOCIALE “…il principio “chi inquina paga” non osta a che gli Stati membri adattino, in funzione di categorie di utenti determinati secondo la loro rispettiva capacità a produrre rifiuti urbani, il contributo di ciascuna di dette categorie al costo complessivo necessario al finanziamento del sistema di gestione e di smaltimento dei rifiuti urbani. Viene quindi chiarito che la questione correlata al finanziamento dei costi della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani è essenzialmente affidata alla competenza
dei singoli Stati, i quali sono tenuti, ai sensi dell’art.5 della direttiva quadro sui rifiuti, a creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento. Proprio su tale ultimo aspetto i Giudice europei hanno stabilito che “…Quanto al finanziamento dei costi di gestione e smaltimento dei rifiuti urbani, trattandosi di un servizio fornito collettivamente ad un complesso di “detentori”, gli Stati membri sono tenuti, in forza dell’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12, a far sì che, in linea di principio, tutti gli utenti di tale servizio, in quanto “detentori” ai sensi dell’art. 1 della medesima direttiva, sopportino collettivamente il costo globale di smaltimento dei rifiuti di cui trattasi…” – p.46 sent. cit. Secondo la Corte di giustizia, mancando una normativa adottata in base all’art. 175 CE che imponga agli Stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, “… tale finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità” – cfr. p. 48 sent. cit..
10.2.Sulla base di tali presupposti, è stato così ritenuto, che «…al fine del calcolo di una tassa sullo smaltimento dei rifiuti, una differenziazione tributaria fra categorie di utenti del servizio di raccolta e di smaltimento di rifiuti urbani, alla guisa di quella operata dalla normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale fra le aziende alberghiere e i privati, in funzione di criteri obiettivi aventi un rapporto diretto col costo di detto servizio, quali la loro capacità produttiva di rifiuti o la natura dei rifiuti prodotti, può risultare adeguata per raggiungere l’obiettivo di finanziamento di detto servizio». Si è poi aggiunto, significativamente: «…Anche se la differenziazione tributaria così operata non deve andare al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo di finanziamento, va tuttavia sottolineato che, nella materia in esame e allo stato attuale del diritto comunitario, le competenti autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto concerne la determinazione delle modalità di calcolo di siffatta tassa.».
10.3.In conclusione, secondo la Corte Europea la normativa nazionale che
preveda, ai fini del finanziamento della gestione e dello smaltimento dei rifiuti urbani, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito non può essere considerata, allo stato attuale del diritto comunitario, in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12 (vedi Cass. 4723/2015).
11.Tali principi sono stati ribaditi, pure, in seguito da Corte di Giustizia UE, sez. VI, 30-03-2017, in causa C-335/16, la quale ha osservato che: ‘… In virtù dell’articolo 14 della direttiva 2008/98 e in conformità del principio «chi inquina paga», i costi della gestione dei rifiuti sono sopportati dal produttore iniziale dei rifiuti ovvero dal detentore attuale o precedente dei rifiuti. Tale obbligo finanziario incombe a questi detentori in ragione del loro contributo alla produzione dei rifiuti in questione (v., per analogia, sentenze del 24 giugno 2008, Commune de Mesquer, C188/07, EU:C:2008:359, punto 77, nonché del 16 luglio 2009, RAGIONE_SOCIALE, C-254/08, EU:C:2009:479, punto 45). Quanto al finanziamento dei costi di gestione e di smaltimento dei rifiuti urbani, trattandosi di un servizio che viene fornito collettivamente ad un insieme di «detentori», gli Stati membri sono tenuti, in forza dell’articolo 15 della direttiva 2008/98, a far sì che, in linea di principio, tutti gli utenti di tale servizio, nella loro qualità di «detentori» ai sensi dell’articolo 3 di t ale direttiva, sopportino collettivamente il costo globale dello smaltimento dei rifiuti (v., per analogia, sentenza del 16 luglio 2009, RAGIONE_SOCIALE, C-254/08, EU:C:2009:479, punto 46). Tuttavia, anche se, in questa materia e allo stato attuale del diritto dell’Unione, le competenti autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda la determinazione delle modalità di calcolo dei prezzi quali i costi per la gestione dei rifiuti e il contributo supplementare in discussione nel procedimento principale, il giudice del rinvio è tenuto a verificare, sulla scorta degli elementi di fatto e di diritto che gli sono stati sottoposti, se il prezzo richiesto nonché il suddetto contributo supplementare non portino ad imputare a taluni «detentori» costi manifestamente sproporzionati
rispetto ai volumi o alla natura dei rifiuti che essi possono produrre (v., per analogia, sentenza del 16 luglio 2009, RAGIONE_SOCIALE, C254/08, EU:C:2009:479, punti 55 e 56). A questo scopo occorre, in particolare, tener conto di criteri correlati al tipo di beni immobili occupati dagli utenti, alla superficie e alla destinazione di tali immobili, alla capacità produttiva dei «detentori» dei rifiuti, al volume dei contenitori messi a disposizione degli utenti, nonché alla frequenza della raccolta, nella misura in cui tali parametri sono idonei a influire direttamente sull’importo dei costi di gestione e di smaltimento dei rifiuti. Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 14 e l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 devono essere interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, essi non ostano ad una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, la quale preveda, ai fini del finanziamento di un servizio di gestione e di smaltimento dei rifiuti urbani, un prezzo calcolato sulla base di una valutazione del volume di rifiuti generato dagli utenti di tale servizio e non sulla base del quantitativo di rifiuti che costoro hanno effettivamente prodotto e consegnato per la raccolta, e la quale preveda altresì il pagamento, da parte degli utenti, nella loro qualità di detentori dei rifiuti, di un contributo supplementare i cui proventi mirano a finanziare investimenti di capitale necessari al trattamento dei rifiuti, compreso il loro riciclaggio. Tuttavia, il giudice del rinvio è tenuto a verificare, sulla scorta degli elementi di fatto e di diritto che gli sono stati sottoposti, se ciò non porti ad imputare a taluni «detentori» costi manifestamente sproporzionati rispetto ai volumi o alla natura dei rifiuti che essi possono produrre. Per far questo, il giudice nazionale potrà, in particolare, tener conto di criteri correlati al tipo di beni immobili occupati dagli utenti, alla superficie e alla destinazione di tali immobili, alla capacità produttiva dei «detentori» dei rifiuti, al volume dei contenitori messi a disposizione degli utenti, nonché alla frequenza della raccolta, nella misura in cui tali parametri sono idonei a influire direttamente sull’importo dei costi di
gestione dei rifiuti’.
11.1. La richiamata interpretazione di questa Suprema Corte, formatasi a partire dal 2019 con riferimento alla TIA, cui in questa sede va data continuità, si pone, dunque, in linea con i principi comunitari in quanto la quota fissa della tariffa è diretta ad assicurare che tutti gli utenti sopportino collettivamente il costo globale di smaltimento dei rifiuti, coprendo i costi per lo svolgimento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani comunque prodotti dalla società anche nelle aree in cui si producono rifiuti speciali; costi che altrimenti finirebbero per ricadere ingiustificatamente sugli altri utenti. Al riguardo, peraltro, la contribuente si è limitata a contestare la debenza della Tia1 in relazione alla dedotta produzione di rifiuti speciali auto-smaltiti, senza tuttavia obiettare alcunché con riferimento ad una eventuale sproporzione tra entità della quota fissa della tariffa da una parte e modalità di svolgimento dell’attività di raccolta e quantità di rifiuti prodotti, dall’altra.
11.2.Ne consegue che, anche qualora la contribuente avesse dimostrato di aver prodotto nell’anno in contestazione 2012 -‘ di regola’ rifiuti non assimilabili agli urbani, comunque sarebbe stata tenuta a versare la quota fissa del tributo (v. Cass. n. 21604/23; Cass. 22189/23; Cass. nn. 8222 e 8205 del 2022), consentendo la normativa di settore l’esenzione solo dal pagamento della quota variabile della TIA 1 nelle aree in cui il contribuente produce rifiuti speciali in via esclusiva.
11.3.La T.I.A., invero, rappresenta una mera variante della precedente imposta, il che risulta specificamente desumibile dal regime delineato dall’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; in quest’ottica, l’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 consente l’esclusione di quella parte di superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o non assimilati, i cui presupposti spetterà al contribuente allegare e provare, con conseguente esenzione o riduzione in relazione alla quota variabile (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21957 del 12/07/2022, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11035 del 19/04/2019, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 1975 del 26/01/2018).
Diversamente la normativa interna avrebbe dovuto prevedere, in modo chiaro ed espresso, l’imponibilità solo dei locali e delle aree produttive di rifiuti conferibili al servizio pubblico, ma nel fare questo avrebbe anche dovuto prevedere in che modo garantire la copertura di quei servizi indivisibili pur compresi nella gestione dei rifiuti, senza pregiudicare, in modo ingiustificato ed eccessivo, gli utenti domestici.
In definitiva, vanno accolti il terzo ed il quarto motivo del ricorso, assorbito l’ultimo e respinte le prime due censure; la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana che valuterà la sussistenza dei presupposti per la riduzione ovvero per l’esenzione della sola quota variabile della TIA 1, tenuto conto della documentazione prodotta dalla società, decidendo anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte
-Accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, respinti i primi due ed assorbito l’ultimo; cassa la sentenza impugnata con riferimento alle censure accolte, e rinvia per il riesame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso all’udienza della sezione Tributaria della Corte di cassazione, il 12.06.2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME