Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9648 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9648 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
Nulla si documenta in ordine all’ordinaria manutenzione e pulizia di detti macchinari e locali, alla presenza di persone a tal fine ed alla non produzione di rifiuti» (così alle pagine nn. 5 e 6 della sentenza);
in ordine alla previsione dell’articolo 62, comma 3, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, « Non si ravvisa una compiuta dimostrazione dell’avvenuto trattamento dei rifiuti speciali in conformità alla normativa vigente. Non si evince in modo certo la produzione prevalente dei rifiuti speciali su superfici chiaramente delimitate, né che la formazione di rifiuti speciali avvenga ‘di
regola’, cioè come un dato costante e duraturo» (v. pagina n. 6 della sentenza);
-«Quanto all’ulteriore tema di causa concernente l’immobile di INDIRIZZO, la Commissione ritiene dimostrato che ivi non si svolga attività produttiva in senso proprio», aggiungendo che «dalla visura camerale prodotta si desume che la società ha sede legale in INDIRIZZO e svolge attività di produzione di filati e di produzione e commercio all’ingrosso di tessuti esercitata nella sede legale, con varie unità locali indicate. Come già rilevato nella sentenza di primo grado, si osserva che la contribuente non ha dimostrato quale sia la superficie di detto immobile adibita a magazzino e quale ad uffici . La Commissione osserva che la superficie da considerare al fine della determinazione della tassa è quella complessivamente occupata e detenuta, e come tale potenzialmente produttiva di rifiuti. Le norme di legge non appaiono presupporre un frazionamento di distinte superfici ad uso diverso nell’ambito della stessa unità, ne sembrano escludere la possibilità di valutazione unitaria delle attività nell’ambito dell’utenza non domestica, pur in presenza di aree con destinazioni di usi diversi, ma comunque funzionali e strumentali all’attività stessa. Sicché l’atto normativo regolamentare non pare esorbitare dai limiti della discrezionalità consentita» (v. pagine nn. 6 e 7 della sentenza);
per tale via, il Giudice regionale, ritenendo « applicabile la categoria tariffaria dell’attività prevalente (v. pagina n. 8 della sentenza impugnata), costituita dalla prodizione di filati, ha negato la disapplicazione dell’art. 18 del regolamento comunale, che prevedeva l’unicità della tariffa non domestica anche se le superfici che servono per l’esercizio dell’attività stessa presentano diverse destinazioni d’uso e sono ubicate in luoghi diversi, e non ha dato seguito alla richiesta di applicazione della tariffa prescritta per i magazzini-depositi (cat. 03).
con ricorso notificato tramite servizio postale in data 13/16 novembre 2017, RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per
cassazione avverso la suindicata pronuncia, formulando quattro motivi di censura, illustrati con successiva memoria di cui all’art. 380bis cod. proc. civ.
RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso notificato il 22 dicembre 2017, anch’essa depositando memoria ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ.
Con ordinanza interlocutoria depositata il 15 maggio 2023, questa Corte disponeva la trattazione della causa in pubblica udienza, mandando, altresì, la cancelleria di acquisire il fascicolo di merito, per le ragioni che saranno di seguito rappresentate.
Il Sostituto AVV_NOTAIO Generale depositava in data 31 ottobre 2023 motivate conclusioni con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato, in data 10 ed 11 novembre 2023, le rispettive memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. prov. civ., la violazione e/o erronea applicazione degli artt. 12 e 59, comma 1, lett. b ), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 82 cod. proc. civ., premettendo che solo all’udienza di trattazione del giudizio di appello la concessionaria si era munita di difensore ed assumendo che la stessa, non essendo un ufficio del RAGIONE_SOCIALE Finanze, né un ente locale, non poteva costituirsi in giudizio avvalendosi di un proprio funzionario, ma avrebbe dovuto necessariamente dotarsi di un difensore abilitato, ponendo in evidenza che le deroghe al principio generale dell’assistenza tecnica obbligatoria sono eccezionali e, quindi, di stretta interpretazione, ragion per cui, una volta rilevato tale vizio, la Commissione avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza e rimettere la causa dinanzi al primo Giudice.
Con la seconda censura l’istante ha dedotto, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, cod. prov. civ., la violazione e l’erronea applicazione dell’articolo 62 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, della Circolare MEF n. 95/E del 22 giugno 1994, nonché dell’art. 14 del Regolamento TIA del Comune di Carmignano, oltre che dell’art. 115 cod. proc. civ., contestando la sentenza impugnata « in considerazione del fatto che la ricorrente ha ampiamente adempiuto al proprio onere probatorio: la RAGIONE_SOCIALE, infatti, ha dato ampia dimostrazione della sussistenza del diritto all’esclusione da imposizione tributarie delle sale di lavorazioni, misuranti mq. 1310,00 rispetto alla superficie complessiva dell’immobile di INDIRIZZO, mentre la C.T.R. di Firenze ha totalmente disatteso le allegazioni difensive prodotte dalla contribuente» (così a pagina n. 14 del ricorso).
Con la terza doglianza la società ha denunciato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, cod. prov. civ., la violazione ed erronea applicazione dell’art. 21 del Regolamento TIA del Comune di Carmignano, nonchè degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., ponendo in rilievo che «La ricorrente ha ampiamente adempiuto al proprio onere probatorio con riferimento alla peculiare ipotesi dell’invocata (e non applicata) riduzione forfettaria prevista dalla normativa regolamentare del Comune di Carmignano in caso di produzione promiscua di rifiuti ordinari e rifiuti speciali, versando in atti documentazione comprovante la produzione dello smaltimento dei rifiuti speciali» (v. pagina n. 16 del ricorso), laddove «la CTR di Firenze ha totalmente ed immotivatamente disatteso le allegazioni difensive prodotte dalla contribuente» (v. pagina n. 17 del ricorso).
Con l’ultima ragione di impugnazione, la ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, cod. prov. civ., la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 65 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonchè degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., evidenziando che l’immobile sito alla INDIRIZZO era stato erroneamente ricondotto
dalla concessionaria nella categoria delle «industrie con produzione» , la quale prevede l’applicazione di tariffe più gravose, nonostante che il locale risultasse incontestabilmente e pacificamente adibito a magazzino, senza che nello stesso venissero svolte attività di carattere produttivo.
4.1. La ricorrente ha, quindi, rappresentato che tale destinazione era stata dimostrata sin dal primo grado di giudizio anche mediante un’asseverazione tecnica, assumendo sul punto che la decisione della Commissione regionale si era posta in evidente contrasto con quanto stabilito dall’art. 65 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e dall’art. 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui l’imposta per lo smaltimento dei rifiuti deve essere commisurata anche alla concreta tipologia d’uso cui i locali soggetti ad imposizione sono destinati.
Il ricorso va accolto nel suo quarto motivo per le seguenti ragioni, non senza aver prima disatteso l’eccezione di tardività del ricorso, avanzata dalla controricorrente, in quanto il criterio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione per il notificante ed il notificante costituisce principio generale che opera per tutte le notifiche eseguite, tra l’altro, tramite servizio postale e quindi anche quelle compiute -come nella specie – ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53.
La data di spedizione dell’atto risulta poi dalla ricevuta postale meccanizzata essere stata eseguita il 13 novembre 2017 (ore 18:46) presso un ufficio postale evidentemente (aperto ed) operativo e nel rispetto, quindi, del termine decadenziale di sei mesi cui all’art. 327 cod. proc. civ., essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 13 aprile 2017.
Va ancora aggiunto che non può essere causa di inammissibilità del ricorso la circostanza che penda innanzi alla Corte altro giudizio (n. 16951/2017 di ruolo generale) in relazione ad altro avviso di accertamento adottato per il medesimo anno di imposta e definito
(senza che ne sia fornita ragione) quale atto presupposto, tenuto conto dell’autonoma impugnabilità dei singoli atti impositivi.
Come segnalato dalla controricorrente le questioni agitate con i primi tre motivi di ricorso sono già state esaminate da questa Corte con la sentenza del 13 agosto 2020, n. 16995, resa tra le stesse pari in analoga controversia, sicchè sui medesimi temi va ribadito, nella soluzione e con riferimento specifico al primo motivo, in assenza di convincenti elementi contrari, quanto già stabilito in detta pronuncia.
Il primo motivo di impugnazione è infondato.
Come chiarito, infatti, con la citata pronuncia, ai cui più ampi contenuti è sufficiente rinviare, che:
-« l’art. 12 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deve essere interpretato “in una prospettiva costituzionalmente orientata, in linea con l’esigenza di assiRAGIONE_SOCIALEre l’effettività del diritto di difesa nel processo e l’adeguata tutela contro gli atti della P.A., evitando nel contempo irragionevoli sanzioni di inammissibilità, che si risolvano in danno per il soggetto che si intende tutelare ;»
-« in base al sistema delineato dalla giurisprudenza di legittimità e dalla pronuncia della Corte Costituzionale del 13 giugno 2000, n. 189 l’assistenza di un difensore tecnico non è, nel processo tributario, condizione di ammissibilità degli atti processuali, ma è soltanto fonte di un dovere per il giudice adito di invitare le parti a munirsi di idonea assistenza, derivando l’inammissibilità solo dall’inottemperanza di detto ordine. (Cass., 28 febbraio 2008, n. 5255; Cass., 8 febbraio 2008, n. 3051)»;
-« nel processo tributario, nelle controversie di valore superiore a 2.582,28 euro, l’omissione da parte del giudice adito dell’ordine imposto alla parte privata, che ne sia priva, di munirsi di difensore ai sensi dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, dà luogo ad una nullità che si riflette sulla sentenza, di natura non assoluta (non attenendo alla costituzione del contraddittorio) bensì
relativa; detta nullità, pertanto, non essendo rilevabile d’ufficio, può eccepirsi, in sede di gravame, ex art. 157 cod. proc. civ., soltanto dalla parte di cui sia stato leso il diritto all’adeguata assistenza tecnica” (Cass. n. 11435 del 2018; n. 839 del 2014)»;
«Nella specie, la mancanza di assistenza tecnica della società concessionaria del servizio non ha leso alcun interesse giuridicamente tutelato della ricorrente, la quale dunque non era legittimata a prospettare la questione» (così Cass., Sez. T., 13 agosto 2020, n. 16995 e le altre ivi citate);
Anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, siccome connessi, non possono essere accolti.
8.1. Come sopra esposto, in entrambi i casi il Giudice regionale ha negato l’operatività delle cause di esenzione prevista dall’art. 62, commi 2 e 3, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in ragione del rilievo della mancata dimostrazione dei relativi presupposti operativi, il tutto sulla scorta di un puntuale apprezzamento di fatto nei termini sopra riportati.
8.2. Va osservato, sul piano dei principi, che la Corte ha, pure di recente, ribadito ed ulteriormente precisato che in tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio o quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, ipotesi questa diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene, invece, alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto (cfr., ex plurimis , Cass, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 12971; Cass., Sez. V, 7 novembre 2022, n. 32656, che richiama Cass., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass., Sez. I, 14 febbraio 2020, n. 3796;
Cass., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass., Sez. I, 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. Sez. U. n. 20867/2020; Cass. 24395 del 2020).
In tale direzione ed anche in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., va ribadito che « In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. ( rectius cod. civ.) si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. ( rectius cod. proc. civ.), occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. ( rectius cod. proc. civ.) » (così Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VI-II, 23 ottobre 2018, n. 26769 del 2018 e nello stesso senso Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 cit. ed anche Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. 6^-5, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30535).
8.3. Ciò posto, nel caso in rassegna il Giudice regionale ha fornito un’ampia motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto non provati i presupposti applicativi previsti dall’art. 62, commi 2 e 3 del citato d.lgs., rispetto alla cui valutazione in punto di fatto i motivi di impugnazione si pongono in frontale contrasto, assumendo invece la sussistenza di tale prova, intercettando però, sotto tale profilo, il limite dell’inammissibile deduzione, nella sede che occupa, di in dedotto errore valutativo da parte del Giudice regionale.
I motivi di ricorso sottopongono, infatti, alla Corte un apprezzamento di merito in ordine alla destinazione della predetta area ed alla formazione di rifiuti promiscui, finendo, in definitiva, con il confutare -come detto, in termini inammissibili in tale sede – la valutazione di merito operata dal Giudice regionale nella parte in cui ha ritenuto sussistente nella sala da lavorazione la presenza umana, sebbene sporadica, e non dimostrato l’avvenuto trattamento dei rifiuti speciali in conformità alla normativa vigente, nè la produzione prevalente e regolare dei rifiuti speciali su superficie chiaramente delimitate .
Questa Corte, infatti, ha chiarito che «L’individuazione del concreto uso di un locale (come di una area), al fine di stabilire la categoria della Tarsu a esso applicabile, suppone, come ovvio, un tipico accertamento di fatto, la cui valutazione è istituzionalmente riservata al giudice del merito» (cfr. Cass., Sez. T., 6 aprile 2014, n. 12776), dovendo pertanto osservarsi che sotto tale aspetto la censura coltiva, in realtà, sotto il paradigma dell’art. 360, primo comma, num. 3. cod. proc. civ., la non praticabile, in sede di legittimità, contestazione sull’accertamento di fatto compiuta dal Giudice regionale.
Per tali ragioni, i predetti motivi vanno dichiarati inammissibili.
In relazione al quarto motivo di impugnazione va dato conto che, con la citata ordinanza interlocutoria, questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza per le seguenti ragioni:
«Le ragioni del contendere meritano la trattazione della causa in pubblica udienza in relazione al profilo coinvolto con il quarto di motivo di impugnazione, che pone un tema inedito, su cui non si registrano precedenti specifici di questa Corte (cfr., sul principio, tra le tante, Cass., Sez. VI/T, 26 ottobre 2022, n. 31679)»;
-«nello specifico, l’art. 18 del regolamento comunale per l’applicazione della TIA prevede, secondo quanto riportato dalla concessionaria, che «la tariffa applicabile per ogni utenza non
domestica è unica anche se le superfici che servono per l’esercizio dell’attività stessa presentano diverse destinazioni d’uso e sono ubicate in luoghi diversi»;
«la normativa di riferimento (cfr. Cass., Sez. T., 5 agosto 2016, n. 16487) è quella di cui all’art. 49 d.lgs. 1997, n. 22, istitutiva della TIA e dell’art. 6 d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (
e tale ultima disposizione prevede che «1. Per le comunità, per le attività commerciali, industriali, professionali e per le attività produttive in genere, la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e determinato dal comune nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3 dell’allegato 1 al presente decreto. 2. Per l’attribuzione della parte variabile della tariffa gli enti locali organizzano e strutturano sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze»;
«L’art. 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani) riafferma, poi, il principio generale in materia, in forza del quale (comma 2) «La tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali»;
«in tale contesto normativo (primario e secondario) occorre esaminare la compatibilità della menzionata, chiara, prescrizione del regolamento comunale, fondata sul criterio dell’unicità della tariffa anche in relazione alle diverse destinazioni d’uso delle superfici interessate, con quella primaria, che, in tema di tariffe, fa riferimento alla «tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa» (v. art. 6 cit.)»;
«segnatamente, la questione giuridica da risolvere è:
se la tariffa prevista per le attività produttive possa essere applicata in modo unitario sull’intera superfice dello stabilimento industriale della contribuente e, quindi, anche in relazione a quelle superfici non direttamente ed immeditatamente destinate a tale attività, in ragione di un criterio di strumentalità e funzionalità di tali aree rispetto all’attività produttiva, natura quest’ultima che qualifica e caratterizza in modo principale e prevalente l’attività della contribuente (in tal senso, Cass., Sez. T, 2019, n. 2900, ma in tema di IUC e, dunque, in un diverso contesto normativo -art. 1, comma 682, legge 27 dicembre 2013, n. 147 72, comma 5, e 74, commi 1 e 2, nonché regolamento comunale che espressamente prevedeva il criterio della prevalenza dell’attività effettivamente svolta -);
b. se la tariffa debba, invece, essere applicata in relazione alla categoria di riferimento della singola unità superficiaria (nel caso che occupa costituita dall’immobile di INDIRIZZO) e quindi in ragione della tipologia della specifica attività ivi svolta, prescindendosi dal nesso strumentale e funzionale della stessa rispetto a quella, tipica, svolta della contribuente nelle altre aree occupate, che caratterizzano l’attività da essa esercitata, in tal modo frazionando e parcellizzando la tassazione in base alla puntale categoria di riferimento di ogni area».
9.1. Sul tema in oggetto la ProRAGIONE_SOCIALE Generale ha ritenuto che la predetta disposizione regolamentare non sia in contrasto con le citate norme primarie, osservando in primo luogo che la quota fissa della tariffa ha anche la funzione di coprire il costo generale del servizio di smaltimento dei rifiuti (di qualsiasi natura e provenienza e quindi anche di quelli giacenti sulle strade ed aree pubbliche) e dunque le spese riguardanti un servizio indivisibile a favore della collettività, come tale non riconducibile ad un rapporto sinallagmatico con il singolo utente.
Tale premessa, per assumere che, «allorché il legislatore abbia previsto che la parte fissa sia ‘attribuita’ alla singola utenza sulla
base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività ‘per unità di superficie’ assoggettabile a tariffa, abbia avuto riguardo, non alla necessità imperativa di frazionare le singole unità immobiliari a seconda dell’attività effettivamente svolta, indipendentemente dal loro asservimento all’attività produttiva, quanto piuttosto alla necessità di correlare il coefficiente ‘all’unità di misura’ della superficie, nel senso che il coefficiente utilizzato debba determinare una somma maggiore o minore a seconda della maggiore o minore superficie asservita in vario modo all’attività produttiva, da cui origina il rapporto tributario, indipendentemente dalle circostanze di fatto che per porzioni dell’attività diversificate (ad. es. stoccaggio, magazzino) ne collocherebbero la produzione dei rifiuti in un’altra e diversa categoria».
In tale direzione ed in estrema sintesi – secondo la tesi del AVV_NOTAIO Generale l’unità di superfice considerata dalle predette disposizioni legislative va intesa nel senso di «superfice asservita in vario modo all’attività produttiva » secondo un criterio, quindi, di natura funzionale del bene rispetto all’attività caratteristica svolta dal contribuente.
9.2. Dal suo canto, la difesa della concessionaria ha posto in evidenza che l’art. 6 d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, nello stabilire, in ordine alle tariffe di riferimento, che per le utenze non domestiche la « parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa », ha previsto trenta diverse categorie di attività, per cui – a dire della controricorrente -il dato normativo nazionale opera uno specifico riferimento all’attività esercitata dall’utente, considerando anche l’utilizzo di locali accessori da destinare ad attività collaterali (come la biglietteria all’interno di un museo, un refettorio all’interno di un casa di RAGIONE_SOCIALE, una reception all’interno di un albergo), ma negando che un singolo utente possa essere ricondotto contemporaneamente a diverse categorie.
9.3. La ricorrente anche nelle sue ultime difese ha, in estrema sintesi, ribadito che, in base alla normativa nazionale, la tariffa va commisurata alla tipologia di attività per unità di superfice, reputando per tale via l’art. 18 del citato regolamento comunale.
Tanto ricapitolato, va da dato conto che con la pronuncia del 30 dicembre 2020, n. 29911 (erroneamente menzionata nell’ordinanza interlocutoria con l’indicazione di « Cass. Sez. T, 2019/2900 ») questa Corte, in analoga fattispecie, in cui si discuteva della componente Tari (inserita nella Imposta Comunale Unica) di un’unita immobiliare destinata ad attività di lavorazione di prodotti ortofrutticoli, classificata, a termini di regolamento comunale, come “utenze non domestiche”, nella categoria delle “Attività industriali con capannoni di produzione”, ha così risolto «il thema litigandum incentrato sulla individuazione della tariffa applicabile alla superficie (mq. 1.667) destinata – nel più vasto ambito dello stabilimento industriale -ad «uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi» :
«Prescindendo dall’ubicazione in fabbricati distinti e separati, con autonoma identificazione sul piano catastale, l’ente impositore ha valutato che le attività svolte nel fabbricato destinato ad uffici amministrativi fossero meramente strumentali ed accessorie all’attività svolta nel fabbricato destinato alla conservazione ed alla manipolazione dei prodotti ortofrutticoli, per cui la tassazione doveva applicarsi in base alla tariffa prevista per “attività industriali con capannoni di produzione” (codice 20), anziché in base alla tariffa prevista per “uffici, agenzie, studi professionali”, in relazione alla vocazione principale e prevalente dello stabilimento industriale nella sua interezza»;
«Il che, del resto, trova conferma nella classificazione catastale dell’immobile in questione nella categoria “D7”, la quale comprende i «fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali
trasformazioni», per tali intendendosi anche i fabbricati strumentali ove non sia allocata l’attività industriale»;
-«Sotto tale aspetto, dunque, si può ritenere che il Comune abbia esercitato la potestà regolamentare in assoluta conformità ai criteri ed alle prescrizioni dell’art. 1, comma 682, della Legge 27 dicembre 2013 n. 147, dettando un’organica disciplina per l’applicazione della I.U.C., attraverso una articolata classificazione delle varie categorie di attività economiche con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti ed una dettagliata specificazione dei corrispondenti criteri di determinazione delle tariffe»;
-«In tale contesto, l’uniformazione della qualificazione ascrivibile alla superficie destinata alle attività accessorie e strumentali alla qualificazione della superficie destinata all’attività principale del medesimo complesso immobiliare è coerente con l’intento legislativo di diversificare il trattamento tributario soltanto in relazione alla eterogenea tipologia delle varie categorie di rifiuti » .
Senonchè, tale ordine di idee non persuade e non può essere applicato nella fattispecie in rassegna.
Intanto, va osservato che la suindicata tesi utilizza come argomento non secondario il dato catastale (vale a dire la classificazione dell’unità immobiliare in D/7), elemento questo che qui, in ogni caso, non risulta.
La suindicata soluzione fa leva sul criterio funzionale della destinazione del locale, considerando solo il nesso strumentale e servente dell’attività svolta nella struttura immobiliare adibita ad uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi rispetto alla attività di impresa, così valorizzando, in applicazione di un criterio di prevalenza ai fini dell’applicazione della tariffa, la categoria dell’attività imprenditoriale svolta dalla società.
Ebbene, la Corte ritiene che tale opzione interpretativa mal si concili con l’intento legislativo di diversificare il trattamento tributario in relazione all’eterogenea tipologia delle varie categorie di
rifiuti prodotti nell’unità di superfice, profilo questo certamente rilevante nel caso in esame, poichè non par indubbio che nel distinto locale di INDIRIZZO (adibito ad uffici e magazzino) si formino rifiuti diversi da quelli che si producono nel capannone industriale.
In tale prospettiva una diversa e più convincente soluzione va ricercata muovendo dal menzionato quadro normativo, osservando che le suindicate norme nazionali operano tutte un chiaro riferimento al concetto di «tipologia di attività per unità di superfice», il che induce a ritenere -per quanto si avrà modo di chiarire – che il tema rilevante, ai fini che occupano, sia quello di intendersi sul concetto di ‘unità di superfice’.
Il comma 645 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 stabilisce che « la superficie delle unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano assoggettabile alla TARI è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati».
Per il calcolo della porzione immobiliare soggetta a tassazione (ai fini TARI, ma in termini applicabili anche alla TIA, in quanto assoggettate a linea normativa di continuità, cfr., tra le tante, Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, nn. 8205 e 8222), quindi, deve essere utilizzata la superficie catastale, computata al netto delle aree scoperte , facendo quindi riferimento alla nozione di superfice catastale dell’unità immobiliare.
Risulta essenziale, ai fini che occupano e dunque per l’individuazione della tariffa applicabile, la definizione della nozione di «unità di superfice» perchè questo è il dato di riferimento considerato sia dall’art. 6 d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, che dall’art. 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ponendolo altresì in connessione o in relazione alla tipologia di attività svolta su detta unità superficiaria.
In tale prospettiva, ritiene la Corte che per ‘unità di superfice’ debba intendersi quell’area dotata di completa autonomia
fisica e strutturale, materialmente separata da quella principale cui eventualmente accede per l’esercizio di attività a quest’ultima strumentale e funzionale.
Deve, in altri termini, trattarsi di un’unità immobiliare distinta, a sé stante sul piano fisico/materiale, qualificata da una propria individualità strutturale e da una peculiare tipologia di attività, che per quanto servente rispetto all’attività principale cui accede, sia da essa diversa ed idonea, come tale, a scindere il nesso di prevalenza dell’attività principale svolta in altra unità del complesso immobiliare ed a derogare al principio di preminenza dell’attività caratteristica svolta nel compendio immobiliare considerato nel suo insieme e, quindi, con esso, al principio dell’unicità dell’utenza.
Sotto tale profilo, la sussistenza di un dato catastale distinto e proprio attribuito a tale unità può assumere rilevanza sul piano dell’interpretazione, ma non in termini vincolanti, contando, invece, l’autonomia strutturale, l’autonoma individualità dell’unità immobiliare, distinta e separata materialmente dalle altre unità immobiliari cui sono funzionali.
Qualora si sia in presenza di un’unità immobiliare a se è stante e quindi, per quanto sopra detto, si sia al cospetto di un’unità di superfice è a tale porzione immobiliare che va collegata la tipologia di attività ivi svolta al fine di individuare la tariffa applicabile, non potendo l’unitarietà della categoria tariffaria fondarsi sul mero dato soggettivo dell’intestazione dell’utenza, dovendo, invece, detta categoria individuarsi sulla relazione tra l’unità di superfice ed il tipo di attività e quindi sulla natura dei rifiuti ivi prodotti perché questa è la correlazione imposta dagli artt. 6 d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 e 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Tale prospettiva risulta, sul versante dell’interpretazione letterale, più aderente al suindicato, ripetuto, dato testuale della normativa di riferimento e consente, sul piano dell’interpretazione funzionale, di applicare alla distinta unità di superfice una tariffa commisurata al diverso coefficiente di potenziale produttività di
rifiuti previsto dalle varie categorie tariffarie ed alla specificità del rifiuto prodotto.
Non convince la tesi sostenuta dalla ProRAGIONE_SOCIALE Generale, articolata sul richiamo alla quota fissa, posto che detto riferimento attiene ad altro tema e cioè al come si compone la tariffa, ma non risolve il problema, qui rilevante, di quale tariffa applicare.
Non convince nemmeno la tesi della concessionaria perché l’argomento dell’unicità della categoria tariffaria per ciascun utente non fa i conti con le diverse unità di superfici che il contribuente può possedere, mentre il suggestivo argomento secondo il quale un museo paga la tariffa in base alla relativa categoria anche per l’area occupata dalla biglietteria all’interno dello stesso non può operare nel caso di specie (in cui l’unità di superfice tassabile non è posta all’interno di un unico -sul piano materiale -complesso immobiliare) e comunque può logicamente e giuridicamente ribaltarsi, osservando che al locale biglietteria ubicato in altro luogo rispetto al museo non può -di certo – applicarsi la tariffa prevista per il museo (e lo stesso vale per il refettorio della casa RAGIONE_SOCIALE, che, se situato in altro stabile, non può pagare la tariffa della casa di RAGIONE_SOCIALE), ostandovi l’insanabile e non giustificabile recisione del nesso che deve intercorrere tra la tipologia tariffaria ed il tipo di attività svolta nel locale tassato, a cui va, necessariamente, commisurato il profilo tariffario.
Alla stregua delle considerazioni che precedono e tornando al caso che occupa, va preso atto che la distinta e separata unità immobiliare sita in INDIRIZZO e dunque in altro luogo rispetto al capannone industriale (ubicato in INDIRIZZO) risulta pacificamente destinata ad altra attività (stoccaggio merci ed uffici) rispetto a quella principale (di natura industriale nel settore manifatturiero), sia pur in termini strumentali e serventi rispetto ad essa, per cui -alla luce delle riflessioni sopra svolte – partecipa di tutte le suindicate caratteristiche che giustificano l’applicazione della tariffa prevista per i magazzini.
In tali termini, deve considerarsi illegittimo l’art. 18 del regolamento comunale del Comune di Carmignano nella parte in cui ha previsto l’unicità della tariffa anche se le superfici che servono per l’esercizio dell’attività stessa presentano diverse destinazioni d’uso e sono ubicate in luoghi diversi, con conseguente disapplicazione dello stesso.
In tale direzione, si formula il seguente principio di diritto: ‘ deve considerarsi illegittima la disposizione del regolamento comunale che in tema di TIA stabilisca che la tariffa applicabile per ogni utenza non domestica è unica, anche se le superfici che servono per l’esercizio dell’attività stessa presentano diverse destinazioni d’uso e siano ubicate in luoghi diversi, dovendo, invece, in tali casi applicarsi la tariffa prevista dal regolamento per la categoria di attività corrispondente alla tipologia di attività svolta nell’unità di superfice di riferimento, considerando tale l’unità immobiliare distinta, separata ed a sé stante sul piano fisico/materiale dal resto del complesso immobiliare in cui si svolge l’attività del contribuente, qualificata da una propria individualità strutturale e da una peculiare tipologia di attività, che, per quanto servente rispetto all’attività principale cui accede, sia da essa diversa ed idonea, come tale, a scindere il nesso di prevalenza dell’attività principale svolta nel complesso immobiliare ed a derogare al principio di preminenza dell’attività caratteristica in essa svolta e, quindi, con esso, al principio dell’unicità dell’utenza’ .
Per tali complessive ragioni, dunque, il quarto motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata va pertanto cassata,
La causa, sulla base di quanto sopra detto, può anche essere decisa nel merito, considerando non controversa, sul piano fattuale, la preminente destinazione a magazzino dell’unità immobiliare di INDIRIZZO (per come desumibile dalla sua estensione, pari a mq 1.211, come indicato nella sentenza impugnata, ed anche dalla richiesta applicazione della relativa tariffa, non osteggiata, sotto tale specifico profilo, dalla difesa della controricorrente), disapplicando,
come anticipato, l’art. 18 del regolamento TIA del Comune di Carmignano e stabilendo l’applicazione per l’unità immobiliare sita di INDIRIZZO della tariffa prevista dal regolamento per i magazzini nei termini (cat. 03) invocati dalla contribuente.
La diversa soluzione adottata sul tema sopra esaminato giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite dell’intero giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, disapplica l’art. 18 del regolamento TIA del Comune di Carmignano, stabilendo l’applicazione per l’unità immobiliare sita di INDIRIZZO della tariffa prevista dal regolamento per i magazzini.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite dell’intero giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 22 novembre