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TARI imballaggi terziari: quando è dovuta la tassa

Una società tessile ha contestato una richiesta di pagamento della TARI, dimostrando di produrre e smaltire autonomamente i propri rifiuti da imballaggi terziari. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2937/2024, ha stabilito un principio fondamentale: per i rifiuti speciali non assimilabili ai rifiuti urbani, come gli imballaggi terziari, l’esenzione dalla TARI si applica solo alla quota variabile della tassa. La quota fissa, che copre i costi generali e indivisibili del servizio di gestione dei rifiuti, resta invece dovuta. La Corte ha quindi cassato la sentenza precedente che aveva concesso un’esenzione totale, rinviando la causa per il ricalcolo del tributo.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

TARI imballaggi terziari: esenzione solo sulla quota variabile, chiarisce la Cassazione

La gestione dei rifiuti speciali, e in particolare la questione della TARI per gli imballaggi terziari, rappresenta una sfida costante per le imprese. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 2937 del 31 gennaio 2024) ha fatto luce su un aspetto cruciale: un’azienda che dimostra di smaltire in autonomia questa tipologia di rifiuti ha diritto a un’esenzione totale dalla TARI, o solo parziale? La risposta della Suprema Corte è netta e delinea un principio di fondamentale importanza per la corretta applicazione del tributo.

I fatti del caso

Una società operante nel settore tessile impugnava un avviso di pagamento relativo alla TARI per l’anno 2017, emesso da un Comune abruzzese. L’azienda sosteneva di produrre prevalentemente rifiuti da imballaggi terziari, che, per legge, non possono essere assimilati ai rifiuti urbani e che, di fatto, venivano gestiti e smaltiti autonomamente tramite contratti con una società specializzata.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione all’azienda, confermando l’illegittimità della pretesa tributaria e annullando l’avviso di pagamento. Il Comune, ritenendo errata tale decisione, ha presentato ricorso in Cassazione.

La normativa sulla TARI per imballaggi terziari e la decisione della Corte

Il cuore della controversia ruotava attorno all’interpretazione della normativa sui rifiuti (in particolare il D.Lgs. 152/2006) e sulla sua interazione con la disciplina della TARI. La legge stabilisce un regime speciale per i rifiuti da imballaggio, in particolare per quelli secondari e terziari, prevedendo un divieto assoluto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani.

La Corte di Cassazione ha rigettato i primi cinque motivi di ricorso del Comune, confermando che i giudici di merito avevano correttamente accertato due punti fondamentali:
1. L’azienda aveva fornito prova sufficiente della produzione prevalente di rifiuti da imballaggi terziari e del loro autonomo avvio al recupero.
2. La normativa nazionale e comunitaria vieta l’assimilazione degli imballaggi terziari ai rifiuti urbani. Di conseguenza, eventuali regolamenti comunali che dispongano diversamente devono essere disapplicati dal giudice tributario.

Le motivazioni

La parte più innovativa e rilevante della sentenza risiede nell’accoglimento del sesto motivo di ricorso del Comune. I giudici hanno chiarito che l’esclusione totale dal pagamento della TARI non era corretta. La TARI, infatti, si compone di due parti: una quota fissa e una quota variabile.

* La quota variabile è destinata a coprire i costi legati alla quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico. Se un’azienda dimostra di non produrre rifiuti urbani o assimilati, o di gestirli interamente in autonomia (come nel caso degli imballaggi terziari), è corretto escludere l’applicazione di questa componente. Non usufruendo del servizio per quella specifica tipologia di rifiuto, non è tenuta a pagarne il costo.

* La quota fissa, invece, ha una natura diversa. Essa copre i costi generali e indivisibili del servizio di igiene urbana, come gli investimenti in infrastrutture, gli ammortamenti e la pulizia delle strade e delle aree pubbliche. Si tratta di un servizio reso alla collettività nel suo complesso, dal quale anche l’azienda, situata sul territorio comunale, trae un beneficio. Pertanto, questa quota prescinde dall’effettiva produzione di rifiuti e dalla loro gestione.

La Corte ha stabilito che l’aver provato la gestione autonoma dei rifiuti speciali non assimilabili esenta il contribuente dal pagamento della sola quota variabile, ma non da quella fissa.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, ma solo limitatamente alla questione della quota fissa. Ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà ricalcolare il tributo dovuto dall’azienda, escludendo la quota variabile ma mantenendo quella fissa.

Questo principio ha importanti implicazioni pratiche: le imprese che producono rifiuti speciali non assimilabili e li smaltiscono in proprio possono ottenere una significativa riduzione della TARI, ma non un’esenzione totale. La quota fissa del tributo rimane dovuta, in quanto legata ai benefici indiretti derivanti dal servizio di igiene urbana erogato a favore dell’intera comunità.

Un’azienda che smaltisce autonomamente i propri imballaggi terziari deve pagare la TARI?
Sì, ma solo in parte. Secondo la sentenza, l’azienda è tenuta a pagare la quota fissa della TARI, ma è esentata dal pagamento della quota variabile, poiché quest’ultima è direttamente collegata alla quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, servizio che l’azienda non utilizza per quella tipologia di rifiuto.

Perché la TARI si divide in quota fissa e quota variabile?
Questa divisione serve a ripartire i costi del servizio in modo più equo. La quota variabile copre i costi legati alla quantità di rifiuti prodotti da una singola utenza. La quota fissa, invece, copre i costi generali del servizio che non possono essere attribuiti a un singolo utente, come la pulizia delle strade o i costi amministrativi, e dei quali beneficia l’intera collettività.

Il Comune può assimilare i rifiuti da imballaggio terziario a quelli urbani tramite un proprio regolamento?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che esiste un divieto normativo di immissione degli imballaggi terziari nel circuito dei rifiuti urbani. Pertanto, un regolamento comunale che preveda tale assimilazione è illegittimo e deve essere disapplicato dal giudice, poiché in contrasto con una fonte normativa di rango superiore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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