Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20449 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20449 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17342/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, all’indirizzo pec EMAIL
-ricorrente-
Contro
COMUNE DI SERRARA COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) in Napoli, alla INDIRIZZO, indirizzo di posta elettronica certificata (P.E.C.): EMAIL
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 3697/2022 depositata il 29/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 3697/23/22, depositata il 29.04.2022, la Commissione tributaria regionale della Campania, nel confermare la sentenza dei giudici di prossimità, respingeva l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE dichiarando la legittimità dell’avviso di accertamento Tari relativo all’annualità di imposta 2019 emesso dal Comune di Serrara Fontana.
I giudici distrettuali affermavano che . Soggiungevano che, correlativamente, la detenzione da parte del contribuente degli immobili costituisce il presupposto per l’imposizione della tassa ed il contribuente stesso, al fine di sottrarsi al relativo obbligo, avrebbe dovuto evidenziare con la
prescritta dichiarazione gli elementi che escludono le condizioni di concreta inutilizzabilità. Per il caso di interesse, le denunce di inizio e fine occupazione indicate dall’appellante finalizzate alla riduzione della tassa non potevano avere dunque rilievo, poichè non dimostra(va)no l’inidoneità dei locali e delle aree alla produzione dei rifiuti, ma si trattava di mere comunicazioni di chiusura e di riapertura dell’attività lavorative rimesse alla volontà gestionale della società. Per la medesima ragione, la Corte riteneva irrilevante la data di presentazione delle relative variazioni, non sottacendo che, in ogni caso, che l’avviso opposto afferisce a denunce di variazione infedeli presentate entro il 30.01.2019. Infine, il Collegio d’appello chiariva che la superficie della struttura alberghiera era stata rilevata dal tecnico comunale sulla base dell’elaborato grafico planimetrico prodotto dalla società all’ente comunale; né la contribuente aveva prodotto elementi idonei a dimostrare una modifica della superficie tassabile, che risulta sovrapponibile a quella oggetto degli accertamenti delle annualità di imposta precedenti. Condividendo infine le argomentazioni dei giudici di prossimità in merito alla adeguatezza motivazionale dell’avviso opposto.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi; – resiste con controricorso il Comune di Serrara Fontana, eccependo l’inammissibilità dei motivi di ricorso.
In prossimità dell’udienza, la società ricorrente ha depositato memorie illustrative.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura reca il vizio di , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3), c.p.c.>; per avere i giudici regionali aderito alle argomentazioni dei giudici di primo grado in merito all’adeguatezza
motivazionale dell’avviso opposto, obiettando che, al contrario, l’avviso non contiene gli elementi necessari alla determinazione del maggior importo richiesto, alla individuazione delle tariffe applicate, come determinate dalla Giunta municipale, e non allegate all’atto medesimo. In particolare, si denuncia che .
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 546/1992, ex art. 360, primo comma, n.3), c.p.c. Si assume che dagli atti depositati emerge una discrasia tra la superficie tassata e l’elaborato grafico prodotto dalla società ricorrente, atteso che in quest’ultimo documento di evidenzia che le superfici destinata ad attività termale e alla cucina, in quanto produttive di rifiuti speciali, smaltiti a cura e spese della società con contratto apposito, sono escluse dalla tassazione a norma dell’art. 1, comma 649, della legge n. 147/2013, che esclude detti rifiuti dalla tassazione come confermato dall’art. 26 del Regolamento comunale.
A tal fine, la società allega al ricorso la documentazione concernente i contratti di smaltimento e relative fatture, in guisa che risulterebbe incomprensibile il comportamento del Comune che non ha inteso valutare a tal fine le denunce di inizio e chiusura attività.
La terza censura, introdotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., deduce ; per avere il Collegio d’appello erroneamente valutato il contenuto della denuncia di inizio e fine occupazione, in cui veniva dichiarata anche la superficie occupata . Nella illustrazione del motivo, la contribuente si duole della successione temporale degli atti, avendo il comune notificato prima l’avviso di accertamento e poi l’avviso di pagamento, deducendo che l’atto impugnato ha disconosciuto implicitamente le riduzioni rivendicate con la denuncia e documentate, di guisa che l’avviso è illegittimo in quanto emesso prima della scadenza del termine di pagamento e privo di motivazione.
L’ultimo mezzo del ricorso prospetta ; ritenendo erronea la statuizione secondo la quale le strutture alberghiere con licenza annuale possono fruire delle riduzioni tariffarie solo per oggettiva inutilizzabilità delle strutture, ribadendo che la tassa è correlata all’occupazione e detenzione delle aree e sussiste fino al giorno in cui cessa l’occupazione. Assume che l’art. 38 del regolamento prevede che se il periodo di occupazione è inferiore a 183 giorni con o senza autorizzazione, va applicata la tariffa giornaliera che è inferiore a quella applicata e l’insussistenza del servizio di raccolta dei rifiuti nel periodo invernale.
La prima censura non merita accoglimento.
Essa va, in primis, correttamente sussunta (senza che l’erronea intestazione del motivo sortisca effetti invalidanti: Cass., Sez. U., 24/07/2013, n. 17931; Cass. 20/02/2014, n. 4036) nella ragione di impugnazione prevista dal num. 4 del primo comma dell’art. 360
cod. proc. civ.: il mancato esame di una domanda o di un’eccezione integra infatti vizio di omessa pronuncia (art. 112 cod. proc. civ.).
Come è noto, siffatto vizio è tuttavia escluso in ipotesi di rigetto implicito, ovvero quando il provvedimento accolga una tesi incompatibile con la domanda o l’eccezione proposta oppure emetta una decisione che implichi, per logica incompatibilità, il rigetto della domanda o eccezione.
Tanto si è verificato nella vicenda in esame.
L’ apprezzamento del giudice regionale in ordine alla idoneità delle ragioni esposte nell’atto impositivo a fondare la ripresa a tassazione importa, quale ineludibile presupposto, la valutazione di compiutezza motivazionale del contenuto dell’avviso opposto (Cass. n. 28810/2021; Cass.n. 13201/2024). Va aggiunto che ad integrare il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda o eccezione non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico giuridica della pronuncia.
La seconda censura non supera il vaglio di ammissibilità.
In disparte l’anomala formulazione del motivo prospettato come violazione del d.lgs. n. 546/1992 – laddove la società lamenta una di erronea valutazione della documentazione prodotta nel giudizio di merito (in particolare di un elaborato grafico e perizia di parte), denunciato con il canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – dietro la denuncia di un errore percettivo, la censura in esame cela in realtà la confutazione della valutazione che il giudice del merito ha svolto delle risultanze istruttorie, sulla base di
un giudizio che in quanto tale non è sindacabile in sede di legittimità. e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 6-5, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016).
Il mezzo in rassegna spinge la Corte verso un’inammissibile rivalutazione delle questioni di merito oggetto di controversia, in particolare verso ad una rivisitazione dell’accertamento di fatto operato dai giudici distrettuali secondo cui . E’ con tale giudizio che si scontra la valutazione di segno diverso contenuta nel motivo di censura, la quale resta pertanto sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie; il giudizio sulla irrilevanza o non attendibilità di una perizia di parte è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su vizio motivazionale (Cass. n. 34189 del 2022).
In realtà non può dubitarsi che nella fattispecie in esame la CTR abbia inteso comunque affermare che l’ente comunale abbia dato prova, attraverso la richiamata documentazione, della superficie tassabile; mentre la perizia stragiudiziale, ancorché asseverata con giuramento, non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, e ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto. Né presenta le caratteristiche necessarie per rientrare nella nozione di “documento decisivo” ai sensi dell’art. 395, n. 3, cod. proc. civ., essendo per sua natura inidonea a fornire al giudice elementi probatori potenzialmente in grado di sovvertire la decisione della controversia (Cass. n.1914 del 23 gennaio 2023; Cass. maggio 2015, n. 9029/2015; Cass. n. 8621/2018; Cass.n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021).
6.1. Nella illustrazione del secondo motivo, la società afferma altresì che la denuncia conteneva l’esatta superficie tassabile, con esclusione delle aree ove si producono rifiuti speciali auto-smaltiti, invocando l’applicazione dell’art. 1, comma 649, della legge n. 147/2013, il quale stabilisce che ; nonché il disposto dell’art, 26 del Regolamento comunale per la disciplina dell’Imposta Unica Comunale del Comune di Serrara Fontana il quale prevede che .
6.2.Anche detto profilo del motivo in rassegna è inammissibile.
Sta di fatto che il Giudice regionale non ha statuito su tale ragione di contestazione, non consentendo di stabilire se la suddetta questione fosse stata oggetto del ricorso originario. Ricorre, allora, in questo caso, l’orientamento di questa Corte secondo cui, qualora con l’impugnazione per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, quantomeno allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere già nel primo grado di giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, né rilevabili d’ufficio (cfr., su tale principio, tra le tante, Cass. n. 5429/2023, che richiama Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 19560/2020, Cass. n. 28036/2020, Cass. n. 8125/2021, Cass. n. 11708/2021, Cass. n. 28714/2021, Cass. n. 30863/2021, Cass. n. 36393/2021, Cass. n. 40984/2021, Cass. n. 8362/2022, Cass. n. 35885/2022).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio(v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; Cass. del 09/07/2013 n. 17041; Cass. n. 2033/2017; Cass. n. 25319/2017; Cass. n. 907/2018).
7. Il terzo strumento di ricorso è parimenti inammissibile perché nel corpo del mezzo espone critiche in fatto ed in diritto contemporaneamente e senza alcuna gradazione o distinzione tra loro, dando luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793). Si tratta quindi di censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.
Ad ogni buon conto, l’inammissibilità resta, sia pure sotto altro profilo, anche operando, in base ad altro orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 39169/2021, che richiama Cass. n. 26790/2018, Cass. n. 19893/2017, Cass. n. 7009/2017, Cass, Sez. Un., n. 9100/2015, Cass., Sez. Un., n. 17931/2013; Cass., Sez. Un., n. 32415/2021), una risistemazione dei motivi, una loro scissione, come se fossero separati, alternativi o subordinati, ricostruendoli, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione rilevante, in relazione alle questioni sostanziali sollevate. In tale prospettiva, infatti, i motivi si presentano, in larga misura, aspecifici, non confrontandosi con le ragioni poste a base della sentenza impugnata, né confutandole, limitandosi ad una riedizione delle difese in precedenza svolte, come se anche il giudizio di esame fosse un ulteriore, inammissibile, grado di merito (Cass. nn.39169 e 36881 del 2021; Cass. n. 3397/2024).
8.La censura, laddove propone il vizio cassatorio di cui al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c. comprende confusamente sia la
critica alla motivazione dell’avviso sia all’erronea valutazione della denuncia di inizio e chiusura dell’attività alberghiera.
8.1.Quanto alla motivazione dell’avviso opposto si rimanda all’esame del primo motivo, mentre con riferimento alla dedotta illegittima emissione dell’avviso prima della scadenza del termine di pagamento ed alla sua presumibile illegittimità per aver disconosciuto l’esenzione senza motivare al riguardo (la censura non è chiara nella sua sintetica formulazione), si profilano i medesimi vizi di inammissibilità già esposti al paragrafo 6 non essendovi traccia nella decisione impugnata di siffatto motivo e non avendo su di esso statuito il giudice d’appello il quale ha concluso nel senso che, in ogni caso, .
8.2. Quanto all’erronea valutazione del contenuto della denuncia di inizio attività si evidenzia in realtà un travisamento della prova, censurato presumibilmente ai sensi del n. 5) dell’art. 360, primo comma, c.p.c.
8.3. Deve, tuttavia, osservarsi che l’esclusione della superficie destinata ad attività termale e ad attività di ristorazione incontra i medesimi profili di inammissibilità di cui al paragrafo 6.1., trattandosi di questione non sottoposta al vaglio del giudice di merito, come emerge dalla sentenza che non indica tra i motivi dedotti dalla società, la produzione di rifiuti speciali.
D’altra parte, il collegio d’appello ha così statuito .
I giudici regionali si sono conformati ai principi di diritto affermati da questa Corte sulla base della normativa di settore, secondo la
quale il presupposto impositivo della tassa sui rifiuti è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti (art. 62, comma 1, d.lgs. 507/93); mentre, non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (art. 62, comma 2, d.lgs. cit.), in quanto l’art. 62 del cit. d.lgs. pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti (Cass. n. 19459 del 2003; Cass. n. 19173 del 2004; Cass,n. 9214 del 13/04/2018). Premesso che il presupposto del tributo -così come delineato dalle richiamate disposizioni di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, cit. -si correla alla detenzione dell’unità immobiliare suscettibile di produrre rifiuti urbani, così che a detti fini rileva l’inidoneità alla produzione di rifiuti di natura oggettiva, cioè riferita al locale o all’area che per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato risulti in condizioni di obiettiva inutilizzabilità nel corso dell’anno solare, e non, dunque, la mera scelta soggettiva operata dal contribuente in ordine alla inutilizzazione del bene detenuto, assume la ricorrente che illegittimamente il giudice del gravame aveva negato il diritto alle riduzioni tariffarie o alla detassazione in quanto occorreva «allegare e provare la concreta inutilizzabilità della struttura».
9.Con specifico riferimento alla quaestio iuris controversa, si è rilevato, per un verso, che le riduzioni di natura agevolativa di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 659, essendo meramente eventuali, sono subordinate ad un’esplicita previsione del regolamento comunale che ne condiziona l’an e il quantum (v. Cass., 19 agosto 2020, n. 17334 cui adde, ex plurimis, Cass., 29
marzo 2023, n. 8858) e, per il restante, che nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti la sola denuncia di chiusura ma occorre allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura (così Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; v. Cass., 12 maggio 2021, n. 12624 e Cass. n. 16138/2024 con riferimento alla TARI).
La mancata utilizzazione della struttura alberghiera per alcuni mesi dell’anno, dunque, non può di per sé corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2, (Cass. n. 9633 del 2012; Cass. n. 22770 del 2009), ben potendo lo stesso essere utilizzato per esigenze proprie del gestore o del personale. Se la struttura, come nel caso in esame, è dotata di licenza annuale, non è sufficiente la sola denuncia di chiusura per alcuni mesi senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura alberghiera, atteso che, ai fini dell’esenzione, la società contribuente avrebbe potuto richiedere la licenza stagionale. Si è, infatti, affermato, come sopra precisato, che la tassa è dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla fruizione, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti.
In definitiva, l’uso stagionale degli immobili non esclude la ricorrenza del presupposto impositivo, qual legato alla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 1; v., ex plurimis, Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459; con riferimento al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 66, Cass., 23 maggio 2019, n. 14037 cui adde Cass., 3 dicembre 2019, n. 31460): la mancata utilizzazione della struttura alberghiera in questione per
alcuni mesi dell’anno di per sè non può corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo. L’art. art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993 (a l’art. 33 del Regolamento presuppone una licenza stagionale) indica come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, che -di certo -non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass. 18316/04, 17524/09), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo -com’è evidente le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cfr Cass. n. 22576/2016; Cass. n. 9633 del 13/06/2012; Cass. 22770/09).
Quindi, se la struttura è dotata di licenza annuale non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura, potendo richiedere la società, a tal fine, la licenza stagionale. La tassa è quindi, dovuta ove sussista l’obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla fruizione essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, con i limiti giù evidenziati che non ricorrono nella fattispecie. Occorre considerare, dunque, che parte contribuente deve adeguatamente provare di avere diritto ad esenzioni o riduzioni in ragione del carattere stagionale della attività sulla scorta delle previsioni regolamentari del Comune adottate in relazione alla normativa vigente (art. 33 del Regolamento TARI; v. Cass. n.21181/2024).
9.1 La giurisprudenza consolidata in materia determina dunque anche l’assorbimento dell’ultimo motivo nella parte in cui si insiste sulla proporzionalità tra entità della tariffa e periodo effettivo di apertura dell’attività alberghiera, pur essendo la società in possesso della licenza annuale.
10. L’ultimo motivo in esame è, altresì, inammissibile laddove lamenta l’omessa applicazione della tariffa giornaliera, per le medesime ragioni esposte con la seconda censura, non risultando dalla sentenza che la società abbia rivendicato la riduzione tariffaria in relazione ai numeri di giorni di apertura; la prospettazione della questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, di talchè l’ente ricorrente, per non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa.
In ogni caso essa si rivela infondata, in quanto l’art. 33 del regolamento comunale (allegato al ricorso) definisce utenze non domestiche non stabilmente attive quelle utilizzate per lo svolgimento di attività stagionali o per un periodo non continuativo non superiore a 183 giorni l’anno da provarsi in base alla licenza; ne consegue che la presenza della licenza annuale esclude l’applicabilità della norma regolamentare in rassegna.
11.Da quanto suesposto non può che rilevarsi la correttezza della decisione impugnata, laddove ha ritenuto di non concedere alla contribuente le riduzioni delle tariffe TARI sulla base della sola circostanza che l’attività alberghiera della contribuente era espletata esclusivamente in alcuni mesi dell’anno.
Segue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in, favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 3.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per
esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione