Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8324 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8324 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso e sul controricorso incidentale iscritti al n. 17752/2022 R.G. e rispettivamente proposti da :
COMUNE DI COGNOME DEGLI COGNOME, rappresentato e difeso dal l’avvocato COGNOME (DMNMNL64A01D763F)
-ricorrente – contro
COGNOME NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE unitamente a ll’ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
– controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del l’Abruzzo, sede L’AQUILA n. 234/2022 depositata il 06/04/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società contribuente impugnava il sollecito di pagamento TARI 2018 del 24.6.2019 avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Teramo deducendo la insussistenza del diritto dell’ente ad esigere il pagamento della TARI, per via della mancanza della relativa tariffa per l’anno 2018 o, quantomeno relativamente alla cd. parte variabile prevista dalla relativa normativa, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato. In via subordinata chiedeva il riconoscimento dello sgravio totale della parte variabile della tariffa TARI per l’anno 2018.
La CTP di Teramo respingeva il ricorso, confermando il provvedimento impugnato e compensando le spese di lite. In particolare, la Commissione rilevava come dalla sentenza del TAR Abruzzo n. 83/2019 non emergesse una univoca statuizione di portata integralmente demolitoria delle delibere consiliari nn. 7 e 8 del 6.3.2018, e dunque la CTP concludeva che sarebbe stato irragionevole ipotizzare che ad una pronuncia del giudice amministrativo, che aveva dichiarato l’esorbitanza nel quantum di alcune voci di tariffa, potesse conseguire una generalizzata esenzione dei contribuenti dal versamento della TARI, ipotesi che determinerebbe un indebito vantaggio in capo a coloro che hanno comunque beneficiato del servizio. Rilevava, inoltre, come gravasse sul contribuente l’onere di dimostrare che i rifiuti prodotti fossero non pericolosi ed assoggettati agli urbani e ciò doveva risultare in sede di denuncia e/o variazione.
La contribuente proponeva appello che veniva parzialmente accolto con sentenza n. 234/2022, disponendo la CTR l’applicazione per l’anno 2018 delle tariffe Tari per l’anno 2019, in accoglimento del
primo motivo di appello e, in accoglimento del secondo motivo di appello, disponendo che la società versasse la Tari 2018 (sulla base delle tariffe per il 2019), integralmente nella misura fissa, e per il 20% nella misura variabile.
Avverso la suddetta sentenza di gravame il comune ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 4 motivi, cui ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale (affidato ad unico motivo incidentale) la società contribuente.
Successivamente ambedue le parti hanno depositato memoria integrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve osservarsi che sono destituite di fondamento le eccezioni preliminari, sollevate dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso avversario per violazione dell’art. 366 c.p.c. (essendo, a suo dire, privo, nella sua parte iniziale, della dovuta indicazione dell’oggetto del giudizio, del valore della controversia e della sintesi dei motivi di impugnazione) e per la mancanza di qualsiasi riferimento al sottofascicolo ex art 369 c.p.c. (nel quale l’ente ricorrente avrebbe dovuto raccogliere gli atti processuali ed i documenti sui quali è stato basato il ricorso a codesta Corte).
1.1. Invero, avuto riguardo alla eccezione di inammissibilità per mancata indicazione dell’oggetto del giudizio, del valore della controversia, della sintesi dei motivi e del mancato riferimento al sottofascicolo, è sufficiente evidenziare che i dati omessi non costituiscono violazione dell’art. 366 c.p.c., il quale effettua un’indicazione tassativa degli elementi che devono essere contenuti nel ricorso a pena di inammissibilità. La norma, infatti, non richiede gli elementi indicati come mancanti dal controricorrente e nessuna sanzione di inammissibilità (non prevista) opera in ragione dell’omesso riferimento al sottofascicolo ex art. 369 c.p.c.
1.2. Parimenti destituita di fondamento è l’eccezione di giudicato esterno formulata con la memoria illustrativa, atteso che la circostanza che con altro ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della CTR Abruzzo n. 242/2021 il Comune non abbia impugnato il capo decisorio con il quale la stessa aveva statuito che la decisione di procedere all’applicazione, per l’anno 2018, della tariffa approvata per l’anno 2019 era stata attestata dalla dirigente del settore V dell’ente pubblico (nella relazione depositata in quel giudizio dal Comune) non assume alcuna valenza ai fini della decisione della controversia, per la semplice ragione che la decisione di un dirigente, sia pure apicale, dell’ente territoriale non può di certo incidere sull’applicazione di tariffe che sono normativamente prescritte.
Con il primo motivo il ricorrente principale si duole della nullità ed ingiustizia della sentenza in relazione alla violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., con riferimento all’art. 360, com ma 1, nn. 4 e 5, c.p.c., per aver la CTR deciso sulla base di prove (la relazione del settore finanziario del Comune, protocollo n. 22 820 del 19 giugno 2018) che non erano state depositate dalle parti.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 169, l. n. 296/2006, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), c.p.c., per aver la CTR disposto, a suo dire erroneamente, l’applicazione per l’anno 2018 delle tariffe Tari per l’anno 2019.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione dello stesso art. 1, comma, 169 l. n. 296/1996, in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c., per aver la CTR applicato alla Tari per l’anno 2018 le tariffe previste per l’anno 2019, nonostante il TAR Abruzzo avesse annullato le delibere consiliari nn. 7/2018 e 8/2018, privando, per l’effetto, l’ente resistente del potere di esigere il pagamento della TARI per l’anno 2018, dato che la
tabella a tale fine approvata con la delibera 8/2018, che il dirigente comunale aveva dichiarato di avere applicato ai fini della adozione dei provvedimenti impugnati, era stata annullata, insieme alla delibera che l’aveva approvata.
I tre motivi devono essere trattati congiuntamente, siccome strettamente connessi, rivelandosi primi due fondati, a differenza di quello oggetto del ricorso incidentale.
In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), la mancata approvazione del nuovo regolamento e delle relative tariffe nei termini stabiliti dall’art. 79, comma secondo, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (e prorogati dapprima per effetto dell’art. 9, comma secondo, del decreto-legge 27 ottobre 1995, n. 444, convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 539, e dell’art. 33 della legge 8 maggio 1998, n. 146, e successivamente, a seguito della trasformazione della tassa in tariffa disposta dall’art. 47 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per effetto dell’art. 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e dell’art. 1 del decreto-legge 26 gennaio 1999, n. 8, convertito in legge 25 marzo 1999, n. 75) non comporta l’illegittimità delle delibere tariffarie adottate in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina, non avendo i predetti termini carattere perentorio, e non essendo quindi configurabile alcun obbligo di adeguamento a carico dei competenti organi comunali: ne consegue che il contribuente non è liberato da qualsiasi obbligo di pagamento per il servizio di raccolta dei rifiuti, continuando invece a trovare applicazione, ai sensi dell’art. 69, comma primo, ultimo periodo, del d.lgs. n. 507 cit., la tariffa precedentemente vigente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5722 del 12/03/2007; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 13957 del 28/05/2008), ma può richiedere lo sgravio per la parte di tariffa eventualmente superiore, richiesta dal Comune sulla scorta degli atti poi annullati, o il rimborso della differenza del maggiore importo eventualmente versato (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8870 del
14/04/2010; cfr. altresì in tal senso Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8088 del 02/04/2010).
Trova, in particolare, applicazione l’art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006, il quale prevede che <>.
5.1. Erroneamente, quindi, la CTR ha valorizzato, al fine di giustificare l’applicazione delle tariffe per l’anno 2019, siccome meno gravose rispetto a quelle approvate per l’anno 2017, il documento protocollo n. 22820 del 19 giugno 2018, <>, richiamando, peraltro, successivamente, in modo corretto il principio di carattere generale, in base al quale la eventuale illegittimità di una delibera tariffaria ha come conseguenza, non già la liberazione del contribuente da qualsiasi obbligo di pagamento per il servizio di raccolta rifiuti, ma l’applicazione della tariffa vigente in precedenza.
5.2. In primo luogo, non risulta ex actis che il Comune abbia reputato, in base al principio di affidamento dei contribuenti, applicabili le tariffe per l’anno 2019, essendo queste ultime meno gravose per i contribuenti rispetto a quelle dell’anno 2017.
5.3. In secondo luogo, in ogni caso, giammai una relazione del settore finanziario del Comune avrebbe potuto derogare ai criteri normativamente prescritti. In quest’ottica, premesso che è irrilevante la circostanza, unicamente dedotta, secondo cui, avuto riguardo ad altra sentenza della CTR (la n. 242/2021), anch’essa impugnata dal Comune con ricorso per cassazione, l’ente locale non avrebbe gravato
il capo decisorio con il quale la CTR ha statuito che la decisione di procedere all’applicazione della tariffa approvata per l’anno 2019 per l’annualità 2018 è stata attestata dalla dirigente del settore V dell’ente nella relazione depositata in quel giudizio dal Comune (con la conseguenza che, su tale aspetto, si sarebbe formato il giudicato interno implicito), è evidente che, contestando in toto l’applicazione, con riferimento all’anno 2018, delle tariffe approvate per il 2019, il Comune ha altresì rimesso in discussione anche il menzionato profilo. In terzo luogo, e con valenza assorbente, non si spiegherebbe come il Comune di Roseto avrebbe potuto nel 2018 già ritenere applicabili le tariffe 2019 non ancora determinate, in un momento in cui, peraltro, non era neppure stata ancora pubblicata la sentenza del TAR datata 19.12.2018.
5.4. E’ vero, inoltre, che la tabella approvata con la delibera n. 8/2018, che il dirigente comunale ha dichiarato di avere applicato ai fini della adozione dei provvedimenti impugnati e della determinazione dell’ammontare della TARI richiesta alla contribuente, è stata annullata, insieme alla delibera che la ha approvata, ma è altrettanto vero che, come si è detto, ciò non può legittimare la non debenza tout court dell’imposta dovuta. D’altra parte, non possono essere sottoposte a differenti trattamenti la fattispecie in cui l’annullamento giurisdizionale del nuovo regolamento e delle relative tariffe (che avrebbero dovuto essere approvate nei termini stabiliti dall’art. 79, comma secondo, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507) sia avvenuto prima dell’adozion e del sollecito di pagamento Tari e quella in cui il detto annullamento sia sopraggiunto, come nel caso di specie, alla detta adozione. Non vi è dubbio, infine, che, ai fini dell’applicabilità delle tariffe e delle aliquote approvate in anni precedenti, non occorreva una specifica domanda o eccezione in tale senso da parte del Comune (non costituitosi in primo grado), essendo la fattispecie espressamente disciplinata, come si è visto, sul piano normativo.
Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 10 del regolamento comunale per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti urbani e assimilati agli urbani e 5 del regolamento approvato con delibera C.C. n. 15 del 2.3.2019 per la determinazione della tariffa tari per il 2019, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), c.p.c., per non aver la CTR considerato che il servizio di raccolta e gestione dei rifiuti solidi urbani ed assimilati era stato e sercitato dall’Ente in regime di privativa e che per tale ragione gravava sui cittadini l’obbligo del pagamento del tributo, ciò a prescindere dall’effettiva fruizione o meno di tale servizio, essendo un servizio, appunto, obbligatorio.
Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 656, della legge n. 147/2013, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), c.p.c., per aver la CTR ritenuto erroneamente, a suo dire, applicabile la misura di sgravio pari al 20% della tariffa TARI.
I due motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono fondati.
8.1. Al fine di giustificare l’esenzione dall’imposta per aver la contribuente attribuito ad una società esterna la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti speciali da essa prodotti, la CTR ha valorizzato l’art. 10 del regolamento comunale approvato con la delibe ra consiliare n. 41 del 26.7.1998, a tenore del quale <>. Non è, invece, senz’altro invocabile il sesto comma dell’art. 10, con il quale si precisa che <>, atteso che non è revocabile in dubbio che i rifiuti prodotti dalla società non eccedessero i limiti quantitativi.
8.2. Secondo l’impostazione del Comune, la norma regolamentare non andrebbe letta (come, invece, fatto dalla CTR) ammettendo, al di sotto dei limiti quantitativi, una sorta di ‘opzione’ discrezionale per il privato di procedere in via autonoma allo smaltimento del rifiuto assimilato all’urbano, atteso che l’opzione sarebbe, invece, a favore della Pubblica Amministrazione che, al di sotto dei limiti quantitativi indicati potrebbe procedere alla raccolta del rifiuto assimilato, senza che ciò costituisca un obbligo.
8.3. In ogni caso, la contribuente avrebbe dovuto quantomeno far presente al Comune di Roseto l’intenzione di non voler usufruire del servizio pubblico, instando per l’autorizzazione alla gestione esterna dello smaltimento mediante incarico all’RAGIONE_SOCIALE e solo in caso di rilascio della detta autorizzazione avrebbe potuto procedere in autonomia ed usufruire dello sgravio.
8.4. Va premesso che non è invocabile (come, invece, sostenuto dal Comune) il Regolamento TARI 2019, adottato con delibera C.C. n. 15 del 2.3.2019, il quale, all’art. 5, precisa che <>. Invero, ratione temporis , lo stesso non è applicabile all’annualità (2018) in esame, siccome successivo.
8.5. Ciò debitamente premesso, occorre partire dal principio secondo il quale, se il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, è effettuato in modo irregolare, in grave violazione delle prescrizioni del regolamento comunale, ciò comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 59, commi 2 e 4, la conseguenza che il tributo è dovuto nella misura ridotta ivi stabilita (sempre che l’utente abbia la concreta possibilità di utilizzazione del
servizio) (Cass. nn. 19653 del 2003, 21508 del 2005, 3549 e 3721 del 2010). La tassa non è, invece, dovuta se la società non ha avuto la concreta possibilità di utilizzare il servizio di smaltimento.
8.6. Incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, d.lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086 del 2006, 17599 del 2009, 775 del 2011).
8.7. L’esonero dalla privativa comunale, previsto appunto in caso di detto comprovato avviamento al recupero dall’art. 21, comma 7, del decreto Ronchi, determina, quindi, come già evidenziato, non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dal d.lgs. n. 507 del 1993, citato art. 62, comma 3, per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì, il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero (in virtù di quanto previsto, in generale, già dal d.lgs. n. 507 del 1993, art. 67, comma 2, e poi, più specificamente, dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2; cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9731 del 13/05/2015).
8.8. Ma anche se non dovesse trovare applicazione alla fattispecie il d.lgs. n. 22 del 1999, art. 49, comma 14, che pur prevede una riduzione di tariffa in proporzione ai rifiuti speciali autonomamente smaltiti, riferendosi alla TIA e non alla Tari, il D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, prevede non già l’esenzione dall’imposta, ma soltanto una sua riduzione nel caso in cui i rifiuti speciali assimilati a quelli urbani (come quelli in esame) vengano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il servizio sia istituito e sussista la possibilità dell’utilizzazione (D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2, prevede testualmente che <>).
8.9. Alla stregua delle considerazioni che precedono, non essendo contestato, nella fattispecie in esame, che il servizio comunale di smaltimento dei rifiuti fosse stato istituito e fosse in astratto utilizzabile, la contribuente non avrebbe comunque avuto diritto ad una esenzione integrale dall’imposizione.
8.10. L’art. 21, comma 7, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (cd. Decreto Ronchi), al comma 1, prevede che <>.
8.11. Il successivo settimo comma stabilisce che <>.
8.12. Il regime descritto dal settimo comma (originariamente limitato a alle attività di recupero dei rifiuti rientranti nell’accordo di
programma stipulato con il Ministero dell’ambiente, di concerto con il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, d’intesa con la Regione) è stato abrogato a partire dal 1° gennaio 2003 dalla l. 31 luglio 2002, n. 179, art. 23, comma 1, lett. e), il quale ha modificato il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 21, comma 1, disponendo che la privativa di cui al comma 1 non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, a far data, ripetesi, dal 1° gennaio 2003.
8.13. Pertanto, va richiamato l’orientamento espresso da questa Sezione già da Cass. 4 luglio 2003, n. 10608, secondo cui il Comune, a meno che non si tratti di rifiuti speciali, ha l’obbligo di provvedere alla raccolta ed al trasporto esterni, civili ed industriali, con diritto di privativa, e per la prestazione del servizio sussiste, a carico del cittadino, l’obbligo del pagamento di un tributo, che va qualificato tassa alla stregua dell’indicazione della stessa legge nonch é della sua natura, con la conseguenza che è dovuto, indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, purch é ne abbia la possibilità, e salvo che sia autorizzato dall’ente allo smaltimento con altre modalità (cfr. altresì Cass., Sez. 5, Sentenza n. 3721 del 17/02/2010).
8.14. In quest’ottica, è stato precisato (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18022 del 24/07/2013; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1963 del 26/01/2018) che, sulla base degli artt. 62 e 64 del d.lgs. n. 507 del 1993, i Comuni devono istituire una apposita tassa annuale su base tariffaria che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti. Tale tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purché il servizio sia istituito e sussista la possibilità della utilizzazione, ma ciò non significa che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato dall’ente impositore in
modo regolare, così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente.
8.15. In quest’ottica va poi letto il comma 6 dell’art. 10 del Regolamento comunale: se i limiti quantitativi vengono superati, il Comune non opera più in regime di privativa e il contribuente imprenditore, a prescindere dalla qualità del rifiuto prodotto (carta ecc.), necessariamente dovrà continuare a considerare il proprio rifiuto come speciale ed è solo in tale situazione che viene meno la privativa comunale, stabilendo, invece l’obbligo a carico del produttore del rifiuto di procedere autonomamente all a gestione dei rifiuti eccedenti. E’ solo in questo caso, quindi, che il regolamento stabilisce un’opzione per il comune nel fornire, eventualmente, un servizio integrativo per i rifiuti speciali. In tal senso va letto l’inciso la gestione ‘ non costituisce un obbligo per il soggetto gestore ‘.
8.16. In buona sostanza, la norma regolamentare non va letta nel senso proposto dalla commissione ovvero ammettendo, al di sotto dei limiti quantitativi, una sorta di ‘opzione’ discrezionale e non scritta per il privato di procedere in via autonoma allo smaltimento del rifiuto assimilato all’urbano. L’opzione è invece a favore della pubblica amministrazione che, al di sotto dei limiti quantitativi indicati può procedere alla raccolta del rifiuto assimilato, senza che ciò costituisca un obbligo.
8.17. Nel caso di specie, pertanto, fermo restando che non sarebbe stata riconoscibile, avuto riguardo alla parte variabile, l’esenzione totale (come, invece, fatto dalla CTR), comunque, la contribuente avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza dei presupposti pe r aver diritto alla riduzione proporzionale dell’imposta (vale a dire, la mancata istituzione del servizio o l’impossibilità della sua utilizzazione) o, altrimenti, munirsi previamente dell’autorizzazione allo smaltimento in via autonoma dei rifiuti, e non già procedere unilateralmente in tal senso, incaricando all’uopo una ditta esterna.
8.18. Né può trovare applicazione nella fattispecie, come invece affermato dalla CTR, l’art. 1, comma 656, della legge n. 147 del 2013, istitutiva della Tari (nella parte in cui dispone che <>), non essendo stati dedotti, e tanto meno provati, i presupposti per poter beneficiare di tale regime agevolativo. Come condivisibilmente evidenziato dal Comune, la contribuente, che invoca la riduzione, avrebbe dovuto dimostrare il presupposto della riduzione della Tarsu, che consiste nel fatto obiettivo che il servizio di raccolta, istituito ed attivato, non sia svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione o di esercizio dell’attività dell’utente; ovvero vi sia svolto in grave violazione delle prescrizioni del regolamento del servizio di nettezza urbana, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio stesso (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 05/09/2019, n. 22231; cfr nello stesso senso Cass. civ., Sez. V, 05/02/2019, n. 3265).
8.19. Del resto, la deduzione concernente la presenza del servizio pubblico di smaltimento e la mancanza di un’autorizzazione allo smaltimento in proprio dei rifiuti rappresenta una mera difesa. Invero, allorquando l’Amministrazione finanziaria neghi la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto dal contribuente, o la qualificazione ad essi attribuita, si è in presenza di mere difese e, come tali, non soggette ad alcuna preclusione processuale (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 23862 del 29/10/2020; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 35042 del 14/12/2023).
8.20. Analoghe considerazioni andrebbero formulate qualora si fosse inteso applicare l’art. 59, comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993, a mente del quale <>. Solo nella ricorrenza di siffatte evenienze, infatti, si potrebbe invocare l’orientamento (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11451 del 11/05/2018) secondo cui <>.
Alla luce di quanto precede, in accoglimento del ricorso principale e disatteso il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado per l’Abruzzo, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata con riferimento al ricorso accolto e rinvia
alla Corte di giustizia di secondo grado per l’Abruzzo, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese di legittimità; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente in via incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/02/2025.