Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20442 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20442 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4164/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME -) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COMUNE SERRARA FONTANA, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata in Napoli alla INDIRIZZO, pec EMAIL
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 3866/2020 depositata il 23/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 3866/2020, depositata il 23 luglio 2020, la Commissione tributaria regionale della Campania, nel confermare la sentenza dei giudici di prossimità, respingeva l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE dichiarando la legittimità dell’avviso di accertamento Tari relativo all’annualità di imposta 2018 emesso dal Comune di Serrara Fontana.
I giudici distrettuali hanno affermato che nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale la chiusura invernale non rappresenta assoluta inutilizzabilità del cespite, neppure allegata, . Aggiungendo che la superficie della struttura alberghiera era stata rilevata dal tecnico comunale sulla base dell’elaborato grafico planimetrico trasmesso dalla società all’ente comunale e che la contribuente non aveva prodotto elementi idonei a dimostrare una modifica della superficie tassabile, che risulta sovrapponibile a quella oggetto degli accertamenti delle annualità di imposta precedenti. Condividendo infine le argomentazioni dei giudici di prossimità in merito alla adeguatezza motivazionale dell’avviso opposto.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi; -resiste con controricorso il Comune di Serrara Fontana.
In prossimità dell’udienza la società ha depositato memorie difensive.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura reca ai sensi del canone di cui all’art. 360, primo comma, n.3), c.p.c.>; si critica la decisione dei giudici regionali per aver erroneamente aderito alle argomentazioni dei giudici di primo grado in merito all’adeguatezza motivazionale dell’avviso opposto, non avvedendosi che, invece, l’avviso di accertamento non contiene gli elementi necessari ai fini della individuazione del maggior importo richiesto, delle tariffe applicate, come determinate dalla Giunta municipale, e non allegate all’atto medesimo.
Il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, primo comma, n.3), c.p.c., denuncia la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 546/1992. Si assume che dagli atti depositati nel giudizio di merito emerge una discrasia tra la superficie tassata e l’elaborato grafico prodotto dalla società ricorrente, atteso che in quest’ultimo documento si evidenzia che le superfici destinate ad attività termale e alla cucina, in quanto produttive di rifiuti speciali, smaltiti a cura e spese della società con contratto apposito, sono escluse dalla tassazione a norma dell’art. 1, comma 649, della legge n. 147/2013, come confermato dall’art. 26 del Regolamento comunale.
A tal fine si allega al ricorso la documentazione concernente i contratti di smaltimento e relative fatture, in guisa che risulterebbe incomprensibile il comportamento del Comune che non ha inteso valutare a tal fine le denunce di inizio e chiusura attività.
La terza censura, introdotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., deduce ; per avere il
Collegio d’appello erroneamente valutato il contenuto della denuncia di inizio e fine occupazione, in cui veniva dichiarata anche la superficie occupata . Nella illustrazione del motivo, la contribuente si duole, tra l’altro, della successione temporale degli atti, avendo il Comune notificato prima l’avviso di accertamento e poi l’avviso di pagamento, deducendo che l’atto impugnato ha disconosciuto implicitamente le riduzioni rivendicate e documentate con la denuncia, di guisa che l’avviso è illegittimo in quanto emesso prima della scadenza del termine di pagamento e privo di motivazione.
4. L’ultimo mezzo del ricorso prospetta ; si assume l’erroneità della statuizione secondo la quale le strutture alberghiere con licenza annuale possono fruire delle riduzioni tariffarie solo per oggettiva inutilizzabilità delle strutture, ribadendo che la tassa è correlata all’occupazione e detenzione delle aree e sussiste fino al giorno in cui cessa l’occupazione. Assume che l’art. 38 del regolamento prevede che se il periodo di occupazione è inferiore a 183 giorni con o senza autorizzazione, va applicata la tariffa giornaliera che è inferiore a quella applicata.
5. La prima censura è priva di pregio, disattesa l’eccezione di inammissibilità proposta dal Comune, in quanto i documenti posti a sostegno dei motivi di impugnazione sono identificabili tra i documenti depositati con il ricorso per cassazione; la mancata localizzazione dell’avviso di accertamento nell’ambito del giudizi di merito è superata dalla statuizione espressa del giudice d’appello e prima ancora dei giudici di primo grado, in merito all’adeguatezza motivazionale dell’atto impositivo opposto.
L’avviso di accertamento, come correttamente statuito dai giudici di merito (allegato 2 al ricorso per cassazione) risulta motivato
mediante il riferimento per relationem alla delibera contenente le tariffe applicabili, nonché all’individuazione del fabbricato, alla superficie calcolata in base all’elaborato grafico presentato dalla contribuente ed incrociando i dati con quelli desunti dagli archivi e dai precedenti avvisi di accertamento.
Inoltre, l’obbligo di allegazione all’atto impositivo, o di riproduzione al suo interno, di ogni altro atto dal primo richiamato, previsto dall’art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), avendo la funzione di rendere comprensibili le ragioni della decisione, riguarda i soli atti necessari per sostenere quelle ragioni intese in senso ampio e, quindi, non limitate a quelle puramente giuridiche ma comprensive anche dei presupposti di fatto. Ne deriva che sono esclusi dall’obbligo dell’allegazione gli atti irrilevanti a tal fine e gli atti (in specie quelli a contenuto normativo, anche secondario quali le delibere o i regolamenti comunali) giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell’avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione (Cass.n. 30052/2018); le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano, difatti, tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in quanto detto obbligo non comprende gli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (Cass.n. 14723/2020; Cass. n. 11283/2022; Cass. n.33327/2023).
Si deve presumere che attraverso il richiamo alla decisione di questa Corte n. 6201/2005, la società abbia inteso denunciare un vizio ulteriore originato dalla deliberazione delle tariffe da parte della Giunta municipale, si osserva che di detta censura non vi è traccia nella sentenza impugnata.
Sta di fatto che il Giudice regionale non ha statuito su tale ragione di contestazione, premettendo nello svolgimento in fatto che la
doglianza lamentava il deficit contenutistico dell’atto impositivo e tale generico passaggio argomentativo non consente di stabilire se la suddetta questione della incompetenza dell’organo comunale che ha deliberato le tariffe Tari fosse stata oggetto domandata con il ricorso originario. Ricorre, allora, in questo caso, l’orientamento di questa Corte secondo cui, qualora con l’impugnazione per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, quantomeno allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere già nel primo grado di giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, né rilevabili d’ufficio (cfr., su tale principio, tra le tante, Cass. n. 5429/2023, che richiama Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 19560/2020, Cass. n. 28036/2020, Cass. n. 8125/2021, Cass. n. 11708/2021, Cass. n. 28714/2021, Cass. n. 30863/2021, Cass. n. 36393/2021, Cass. n. 40984/2021, Cass. n. 8362/2022, Cass. n. 35885/2022).
La seconda censura è inammissibile.
In disparte l’anomala formulazione della rubrica del motivo prospettato come violazione del d.lgs. n. 546/1992, nella sua illustrazione, la società lamenta, in primo luogo, una discrasia tra la superficie rilevata dal perito di parte e quella individuata dal perito comunale denunciata con il canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Dietro la denuncia di un errore percettivo, la censura in esame cela in realtà la confutazione della valutazione che il giudice del merito ha svolto delle risultanze istruttorie, sulla base di un giudizio che in quanto tale non è sindacabile in sede di legittimità. e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella
valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 6-5, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016).
Il mezzo in rassegna spinge la Corte verso un’inammissibile rivalutazione delle questioni di merito oggetto di controversia, in particolare verso ad una rivisitazione dell’accertamento di fatto operato dai giudici distrettuali secondo cui . E’ con tale giudizio che si scontra la valutazione di segno diverso contenuta nel motivo di censura, la quale resta pertanto sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie; il giudizio sulla irrilevanza o non attendibilità di una perizia di parte è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su vizio motivazionale (Cass. n. 34189 del 2022).
In realtà non può dubitarsi che nella fattispecie in esame la CTR abbia inteso comunque affermare che l’ente comunale abbia dato prova, attraverso la richiamata documentazione, della superficie tassabile; mentre la perizia stragiudiziale, ancorché asseverata con
giuramento, non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, e ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto. Né presenta le caratteristiche necessarie per rientrare nella nozione di “documento decisivo” ai sensi dell’art. 395, n. 3, cod. proc. civ., essendo per sua natura inidonea a fornire al giudice elementi probatori potenzialmente in grado di sovvertire la decisione della controversia (Cass. n.1914 del 23 gennaio 2023; Cass. maggio 2015, n. 9029/2015; Cass. n. 8621/2018; Cass.n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021).
7.Nella illustrazione del secondo motivo, la società afferma altresì che la denuncia conteneva l’esatta superficie tassabile, con esclusione delle aree ove si producono rifiuti speciali auto-smaltiti, invocando l’applicazione dell’art. 1, comma 649, della legge n. 147/2013, il quale stabilisce che ; nonché il disposto dell’art, 26 del Regolamento comunale per la disciplina dell’Imposta Unica Comunale del Comune di Serrara Fontana il quale prevede che .
Anche detto profilo del motivo in rassegna è inammissibile, in quanto che presuppone la proposizione delle relative questioni già nella fase di merito, in primis, nel giudizio di prime cure: la questione sollevata risulta infatti essere posta per la prima volta davanti a questa Corte, non essendovene traccia nella sentenza impugnata. Nel corpo della sentenza sono sintetizzati i motivi di doglianza della società concernenti la superficie tassabile e l’utilizzo temporaneo dell’edificio, tenuto conto delle denunce di inizio e chiusura attività, senza alcun riferimento ad una presunta istanza di riduzione tariffaria per l’auto smaltimento di rifiuti (speciali), che, peraltro, presuppone necessariamente la previa denuncia documentata, come si esporrà infra (v. al riguardo Cass. 32804/2019, per cui “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa”; Cass. n. 20147/2021; Cass. n. 16502/2017, in motiv; Cass. n. 9138/2016).Ricorre, allora, anche in questo caso, l’orientamento di questa Corte secondo cui, qualora con l’impugnazione per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, quantomeno allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere già nel primo grado di giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi
temi di contestazione non trattati nella fase di merito, né rilevabili d’ufficio (cfr., su tale principio, tra le tante, Cass. n. 5429/2023, che richiama Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 19560/2020, Cass. n. 28036/2020, Cass. n. 8125/2021, Cass. n. 11708/2021, Cass. n. 28714/2021, Cass. n. 30863/2021, Cass. n. 36393/2021, Cass. n. 40984/2021, Cass. n. 8362/2022, Cass. n. 35885/2022). nei precedenti gradi di
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio(v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; Cass. del 09/07/2013 n. 17041; Cass. n. 2033/2017; Cass. n. 25319/2017; Cass. n. 907/2018).
7. Il terzo motivo di ricorso è parimenti inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c. deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. sez. un., n. 17931 del 2013; Cass. n. 24553 del 2013; conf. Cass. n. 24849 del 2015). Le Sezioni Unite hanno altresì, di recente, ritenuto che l’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, primo comma, n. 4) c.p.c. impone al ricorrente, a pena d’inammissibilità della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata,
che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare la norma violata o i punti della sentenza che vi si pongono in contrasto (Cass., sez. un., n. 23745 del 2020).
In termini generali va, dunque, rilevato che, nel ricorso per cassazione, non è consentita la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione tra loro eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, c.p.c., non essendo permessa la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. La lettura dell’intero corpo dei relativi mezzi d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che comporta l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793). Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa, palesemente mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo,
inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 7009/2017; Cass. n. 26874 e n. 26790 del 2018; Cass. n. Cass. nn.39169 e 36881 del 2021; Cass. n. 3397/2024).
8.La censura, laddove propone il vizio cassatorio di cui al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c. comprende confusamente sia la critica alla motivazione dell’avviso sia all’erronea valutazione della denuncia di inizio e chiusura dell’attività alberghiera.
8.1.Quanto alla motivazione dell’avviso opposto si rimanda all’esame del primo motivo, precisandosi che con riferimento alla predicata illegittimità della emissione dell’avviso prima della scadenza del termine di pagamento ed alla sua presumibile illegittimità per aver disconosciuto l’esenzione senza motivare ( la censura non è chiara nella sua sintetica formulazione), si profilano i medesimi vizi di inammissibilità già esposti al paragrafo 4.3., non essendovi traccia nella decisione impugnata di siffatto motivo di gravame, risultando proposto solo in primo grado.
8.2. Quanto all’erronea valutazione del contenuto della denuncia di inizio e chiusura attività, la doglianza non presenta idonei argomenti per confutare la statuizione del Collegio d’appello che, conformandosi alla giurisprudenza di questa Corte ha così deciso . La decisione si pone in linea con la normativa in materia di Tarsu/TARI e con i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in materia. Il presupposto del tributo -così come delineato dalle richiamate disposizioni di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, cit. -si correla alla detenzione dell’unità immobiliare suscettibile di produrre rifiuti urbani, così che a detti
fini rileva l’inidoneità alla produzione di rifiuti di natura oggettiva, cioè riferita al locale o all’area che per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato risulti in condizioni di obiettiva inutilizzabilità nel corso dell’anno solare , e non, dunque, la mera scelta soggettiva operata dal contribuente in ordine alla inutilizzazione del bene detenuto.
Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (art. 62, comma 2, d.lgs. cit.), in quanto l’art. 62 del cit. d.lgs. pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti (Cass. n. 19459 del 2003; Cass. n. 19173 del 2004; Cass. n. 9214 del 13/04/2018).
9. Con specifico riferimento alla quaestio iuris controversa, si è rilevato, per un verso, che le riduzioni di natura agevolativa di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 659, essendo meramente eventuali, sono subordinate ad un’esplicita previsione del regolamento comunale che ne condiziona l’an e il quantum (v. Cass., 19 agosto 2020, n. 17334 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 marzo 2023, n. 8858) e, per il restante, che nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, ai fini della esenzione dalla tassa non è sufficiente la sola denuncia di chiusura ma occorre allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura (così Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; v. Cass., 12 maggio 2021, n. 12624 e Cass. n. 16138/2024 con riferimento alla TARI).
Nella fattispecie, non è controverso che l’Ente impositore abbia normato riduzioni tariffarie che afferiscono (anche) a «utenze non domestiche non stabilmente attive» (art. 33 del regolamento); alla stregua, pertanto, dell’articolazione del motivo di ricorso va rilevato che alcuna censura viene proposta in relazione all’accertamento operato dal giudice del gravame in termini consentanei alla giurisprudenza della Corte -quanto, dunque, all’onere di allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura alberghiera in questione -di natura oggettiva, cioè riferita al locale o all’area che per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato risulti in condizioni di obiettiva inutilizzabilità nel corso dell’anno solare», e non, dunque, la mera scelta soggettiva operata dal contribuente in ordine alla inutilizzazione del bene detenuto (Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; Cass., 21 gennaio 2013, n. 1332; Cass., 13 giugno 2012, n. 9633; Cass., 28 ottobre 2009, n. 22770; Cass., 12 agosto 2004, n. 15658).La mancata utilizzazione della struttura alberghiera per alcuni mesi dell’anno, dunque, non può di per sé corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2., (Cass. n. 9633 del 2012; Cass. n. 22770 del 2009), ben potendo lo stesso essere utilizzato per esigenze proprie del gestore o del personale. Se la struttura, come nel caso in esame, è dotata di licenza annuale, non è sufficiente la sola denuncia di chiusura per alcuni mesi senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura alberghiera, atteso che, ai fini dell’esenzione, la società contribuente avrebbe potuto richiedere la licenza stagionale. Si è, infatti, affermato, come sopra precisato, che la tassa è dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla fruizione, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti.
In definitiva, l’uso stagionale degli immobili non esclude la ricorrenza del presupposto impositivo, qual legato alla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 1; v., ex plurimis, Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459; con riferimento al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 66, Cass., 23 maggio 2019, n. 14037 cui adde Cass., 3 dicembre 2019, n. 31460): la mancata utilizzazione della struttura alberghiera in questione per alcuni mesi dell’anno di per sè non può corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo. L’art. art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993 (a l’art. 33 del Regolamento presuppone una licenza stagionale) indica, difatti, come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, che – di certo – non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass. 18316/04, 17524/09), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo – com’è evidente – le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cfr Cass. n. 22576/2016; Cass. n. 9633 del 13/06/2012; Cass. 22770/09). Occorre considerare, dunque, che parte contribuente deve adeguatamente provare di avere diritto ad esenzioni o riduzioni in ragione del carattere stagionale della attività sulla scorta delle previsioni regolamentari del Comune adottate in relazione alla normativa vigente (art. 33 del Regolamento TARI; v. Cass. n.21181/2024).
9.1 La giurisprudenza consolidata in materia determina anche l’assorbimento dell’ultimo motivo nella parte in cui si insiste sulla proporzionalità tra entità della tariffa e periodo effettivo di apertura dell’attività alberghiera, pur essendo la società in possesso della licenza annuale.
10. L’ultimo motivo in esame è, poi, infondato laddove lamenta l’omessa applicazione della tariffa giornaliera, in quanto l’art. 33 del regolamento comunale definisce utenze non domestiche non stabilmente attive quelle utilizzate per lo svolgimento di attività stagionali o per un periodo non continuativo non superiore a 183 giorni l’anno da provarsi in base alla licenza; ne consegue che la presenza della licenza annuale esclude l’applicabilità della norma regolamentare in rassegna.
11.Da quanto suesposto non può che rilevarsi la correttezza della decisione impugnata, laddove ha ritenuto di non concedere alla contribuente le riduzioni delle tariffe TARI sulla base della sola circostanza che l’attività alberghiera della contribuente era espletata esclusivamente in alcuni mesi dell’anno.
Segue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 3.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione