Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20434 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20434 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3113/2019 R.G. proposto da:
COMUNE DI SERRARA FONTANA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in BARANO D’ISCHIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 6709/2018 depositata il 11/07/2018.
Cui è riunito il ricorso iscritto al n. Rg 2515/2024 proposto da: soc. RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa in virtù di procura speciale conferita su atto separato così come previsto in caso di notifiche a mezzo pec e da intendersi in calce al presente ricorso, dall’avv. NOME COGNOMEc.f. CODICE_FISCALE, entrambi elettivamente domiciliati in Roma al INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME. L’avv. NOME COGNOME dichiara di voler ricevere le comunicazioni al numero di fax NUMERO_TELEFONO o all’indirizzo e -mail EMAIL
ricorrente
CONTRO
il Comune di Serrara Fontana, in persona del Sindaco p.t., dott.ssa NOME COGNOME rapp.to e difeso in virtù di procura rilasciata su foglio congiunto al presente atto e giusta deliberazione della G.C. n. 19 del 19.2.2024 dal prof. avv. NOME COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, presso cui elett.te domicilia in Napoli, alla INDIRIZZO che dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notificazioni di rito degli atti del procedimento ai seguenti recapiti: telefax n. NUMERO_TELEFONO -indirizzo di posta elettronica certificata (P.E.C.): EMAIL ;
contro
ricorrente avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA sentenza n. 6566/2023, depositata il 23/11/2023,
Udita la relazione svolta dal Cons. COGNOME nella camera di consiglio del 26 febbraio 2025.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 6709/2018, depositata l’11 luglio 2018, la Commissione tributaria regionale della Campania, in parziale accoglimento dell’appello del Comune di Serrara Fontana, ha ridotto l’imposta dovuta (Tari) – oggetto di un avviso di pagamento opposto dalla contribuente – dalla società per il periodo di inattività alberghiera dal 9 ottobre al 31 dicembre 2016; – nel riformare parzialmente la pronuncia di prime cure, il giudice del gravame ha considerato che la contribuente aveva presentato denuncia di sospensione dell’attività solo in data 9 ottobre 2016;
il Comune di Serrara Fontana ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi; – resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE
2.Con sentenza n. 6566/2023, depositata il 23/11/2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, respingeva l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado n. n. 556/2023 che aveva accolto parzialmente il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento annualità di imposta 2016 sul presupposto che il Comune le aveva riconosciuto la tassazione della struttura dal primo gennaio all’8 ottobre 2016, dichiarando non dovute le ulteriori detassazioni rivendicate dalla società.
I giudici distrettuali affermavano che ; aggiungendo che >. Affermava, il decidente, inoltre, che non risultava depositata in atti la perizia di parte da cui si doveva inferire una minore superficie tassabile; – che causa di esclusione dell’obbligo del tributo sono le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, le quali non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso dipendenti dalla volontà o dalle esigenze del tutto soggettive dell’utente e neppure dal mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo – com’è evidente – le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile>; – che parte appellante non aveva fornito la prova del mancato svolgimento del servizio pubblico di raccolta.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi; – resiste con controricorso il Comune di Serrara Fontana, eccependo l’inammissibilità dei motivi di ricorso.
La società ha depositato memorie difensive in prossimità dell’udienza in entrambi i giudizi.
MOTIVI DI DIRITTO
1.I ricorsi, nn. Rg 2515/24 e 3113/2019, seppur relativi a sentenze diverse, riguardano l’impugnazione di due atti, l’uno un avviso di pagamento e l’altro un avviso di accertamento, aventi ad oggetto la rideterminazione della Tari relativa alla medesima annualità di imposta relativa allo stesso cespite a destinazione alberghiera. In particolare, il primo ricorso ha ad oggetto la sentenza che ha confermato la decisione di prime cure che ha riconosciuto parzialmente l’esenzione per il periodo dal 9 ottobre al 31 dicembre 2016 (già accolta in sede di autotutela del Comune) in relazione all’avviso di pagamento opposto ; il secondo ricorso concerne la decisione che ha esaminato la legittimità dell’avviso di accertamento relativo alla medesima annualità, impugnata anch’essa dalla società RAGIONE_SOCIALE
2.Alla luce della evidente connessione tra le cause, si dispone la riunione ex art. 274 c.p.c. del ricorso n. 2515/2024 sotto il numero più antico di ruolo -Rg n. 3113/2019 -, in base al principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre che nei casi espressamente previsti, anche ove ravvisi in concreto – come nella specie appare del tutto evidente – elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cass. Sez. un. n. 18050 del 2010; Cass. n. 201514/2016; Cass. n. 8766/2017).
RICORSO RG N. 3113/2019
1 . Il primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3), deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c, nonché dell’art. 33 del regolamento comunale per la disciplina dell’imposta unica comunale (ora tari), approvato con deliberazione di C.C. n. 12 del primo settembre 2014; rimproverando ai giudici regionali di aver omesso di pronunciarsi sulla censura, proposta con atto di appello, con la quale si
evidenziava che l’avviso opposto era stato emesso sulla base della superficie di mq 3701, precedentemente notificata in data 12 aprile 1996 alla contribuente e mai contestata, valorizzando, ai fini della dedotta occupazione temporanea dell’immobile, le denunce di inizio e chiusura attività del 27 giugno e 4 novembre 2016 comunicate dalla contribuente in seguito alla notifica dell’avviso di pagamento del 23 maggio 2016.
A fondamento della censura si rappresenta che il regolamento comunale ancòra il tributo alla superficie calpestabile, richiamando, all’uopo, in particolare l’art. 25, il quale dispone che si considerano le superfici già dichiarate ai fine Tares di cui al d. n. 201/2011 ovvero della Tarsu o della Tia 1.
2. La seconda censura reca la deduzione della violazione dell’art. 33 del regolamento comunale per la disciplina dell’imposta unica comunale (ora tari) approvato con deliberazione di C.C. n. 12 del primo settembre 2014, in relazione al canone di cui all’art. 360, primo comma, n.3), c.p.c.; nonché la denuncia di omesso esame cica un fatto decisivo in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.; infine, la violazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi in materia di onere probatorio ex art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c.. Si assume, in sintesi, che: -il Comune aveva dedotto a pagina 2 dell’atto di appello che il presupposto dell’imposta è l’occupazione e non l’effettivo svolgimento dell’attività; – che la società non aveva dismesso l’occupazione dell’immobile nell’anno 2016, godendo di una licenza permanente per l’esercizio dell’attività alberghiera; che l’art. 33 del regolamento comunale prevede che al di là dell’effettivo periodo di attività, rileva la natura della licenza rilasciata in favore dell’albergo; – che, tuttavia, il Collegio d’appello non si è pronunciato su detto motivo, ancorchè avesse depositato in giudizio la copia della licenza n. 61 del 1992 da cui risultava l’annualità e non la stagionalità della licenza; – che il regolamento comunale prescrive che si definiscono utenze non
domestiche non stabilmente attive ; – che, tuttavia, i giudici distrettuali hanno violato sia i principi in tema di onere probatorio che l’art. 33 del regolamento comunale.
3.In via pregiudiziale rileva la Corte che la presente controversia ha ad oggetto l’originaria impugnazione di un avviso di pagamento seguito dall’avviso di accertamento anch’esso opposto dalla società confluito nel giudizio di legittimità Rg. N. 2515/2024. Come è noto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che all’invito al pagamento, assimilabile all’avviso di scadenza, si devono applicare i principi generali del procedimento tributario di accertamento e di riscossione. In particolare, si è ribadito quanto già espresso da questa Corte (Cass., Sez. 5^, 9 agosto 2007, n. 17526) e quanto pure affermato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 24 luglio 2009, n. 238), ossia che gli atti con i quali si chiede il pagamento di un tributo, anche quando gli stessi non dovessero rivestire la forma di cui all’art. 19 d.lgs. 546/1992, in quanto attengono ad un’entrata pubblicistica, sono impugnabili.
Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge 28 dicembre 2001 n. 448 (Cass.,
Sez. 5^, 28 maggio 2014, n. 11929; Cass., n. 13963/2017; Cass., n. 2144/2020; Cass. n. 31259/2021). È stata, in particolare, riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, esplicitando concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546: sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico) (Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2014, n. 3773; Cass. n. 11397/2017; Cass., n. 12150/ 2019; Cass., n. 29501/2020; Cass. n. 2144/2020; Cass. n. 31259/2021; Cass., n. 34177/2021). Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, d’impugnazione di atti diversi da quelli specificamente indicati nel citato art. 19 (come, per l’appunto, la fattura TIA), il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento; ciò comporta che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (ossia la cristallizzazione) di questa pretesa, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (tra le tante: Cass., Sez. Un., 11 maggio 2009, n.
10672; Cas., n. 2616/2015; Cass., n. 12150/ 2019,; Cass., n. 1230/2020; Cass. n. 31259/2021).
3.1.L’inerzia del contribuente rispetto al ricevimento di detti atti non preclude, dunque, l’autonoma impugnazione del successivo atto impositivo per la medesima annualità, non derivandone alcuna “cristallizzazione” della pretesa impositiva, che può essere contestata in tale sede (Cass., Sez. 5′, 19 agosto 2020, n. 17339; Cass., Sez. 6^-5, 24 maggio 2021, n. 14200).
3.2. Si è osservato in Cass. n. 19049/2024 che: ‘Una volta ammessa l’impugnazione facoltativa degli atti sopra indicati, resta pur sempre necessaria l’impugnazione dell’atto tipico che sia poi adottato, per evitare il consolidamento della pretesa tributaria, tant’è che, una volta emesso tale atto – come precisato da questa Corte – viene meno l’interesse del contribuente ad una decisione che riguardi l’atto impugnato in via facoltativa (cfr. in particolare Cass., Sez. 5, n. 7344 dell’11/05/2012; Cass., nn. 30691 e 30736 del 2021). In effetti, se l’atto tipico viene impugnato, l’unico giudizio che rileva è quello avverso quest’atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l’atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l’avvenuto consolidamento degli effetti proprio dell’atto tipico’. Tale eventualità, cioè, l’impugnazione, dapprima, dell’atto impositivo atipico o ad impugnazione facoltativa (nella specie, l’avviso di scadenza) e, poi, dell’atto impositivo tipico o ad impugnazione necessaria (nella specie, l’avviso di accertamento) comporta, comunque, in caso di contemporanea pendenza, che il giudizio relativo all’atto preliminare venga a perdere rilevanza, essendo prevalente (ed assorbente) la cognizione sulla pretesa impositiva (per ogni aspetto dell’an, del quantum e del quomodo ) nel giudizio relativo all’atto principale, anche se l’instaurazione sia successiva in ordine cronologico. In effetti, se l’atto tipico viene impugnato, l’unico giudizio che rileva è quello avverso quest’atto, mentre, se
non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l’atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l’avvenuto consolidamento degli effetti propri dell’atto tipico (Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2021, n. 30736).
4. Posto, quindi, che l’avviso di accertamento successivamente notificato alla società sostituisce in via definitiva l’avviso di scadenza nella determinazione della pretesa impositiva, che viene reiterata in forma autoritativa tipica, si deve dichiarare la carenza di interesse delle parti in ordine al primo atto impugnato, essendo destinata a concentrarsi la cognizione del giudice tributario sul secondo atto impugnato. Dunque, l’emissione dell’atto susseguente, con la formulazione di una pretesa tributaria nuova rispetto a quella originaria, sostituisce l’atto precedente e ne provoca la caducazione d’ufficio, con la conseguente carenza di interesse delle parti nel giudizio avente ad oggetto il relativo rapporto sostanziale, venendo meno l’interesse a una decisione relativa ad un atto -il prodromico avviso di scadenza – sulla cui base non possono essere più avanzate pretese tributarie di alcun genere, dovendosi avere riguardo unicamente all’atto -l’avviso di accertamento – che lo ha integralmente sostituito (sul punto: Cass., n. 11481/2022; Cass. n.1213/2023; Cass. n.19049/24).
In conclusione, l’interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio relativo all’avviso di pagamento viene meno con la successiva instaurazione del giudizio relativa all’avviso di accertamento, nel quale si concentra (e si trasferisce) l’esame di ogni questione inerente alla debenza del tributo.
5.Ciò giustifica la pronuncia di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse ad agire (Cass. n. 12743 del 2016; Cass. n. 13923 del 2019).
RG.N. 2515/2024
1.Con la prima censura si prospetta ; criticando la statuizione dei giudici regionali laddove ha affermato che . Ad avviso della contribuente, tale motivazione non tiene affatto conto dell’accoglimento parziale del reclamo – mediazione con il quale il Comune aveva ridotto il periodo impositivo così come richiesto dal contribuente e come riconosciuto dalla Commissione tributaria provinciale con sentenza non impugnata dal Comune, con conseguente formazione del giudicato interno. Soggiunge la società che, fermo restando il giudicato sul periodo di imposizione del tributo, nelle dichiarazioni di cessazione dell’attività, ritualmente trasmesse all’ente comunale, la stessa aveva specificato che la chiusura avveniva per consentire l’esecuzione di tutti i lavori necessari e urgenti, che portavano alla ridistribuzione dei locali ed alla conseguente riduzione tariffaria dell’imposta. Si afferma che l’art . 35 del regolamento comunale prevede che il tributo è dovuto limitatamente al periodo dell’anno computato in giorni nel quale sussiste l’occupazione e/o detenzione dei locali o aree; stabilendo che l’obbligazione tariffaria decorre dal giorno in cui inizia l’occupazione o detenzione dei locali o aree e sussiste fino al giorno in cui è cessata l’occupazione, purché debitamente e tempestivamente dichiarata come ha fatto la ricorrente, così come si evince dalla denuncia presentata al Comune in data 27.6.2016, con la quale si evidenziava che la variazione in diminuzione della superficie, ai fini della TARI, era conseguente alla ridistribuzione
della destinazione dei locali, con esclusione delle superfici locali tecnologici, cucina, terme e terrazzi non attrezzati.
La censura non ha pregio.
2.1.La società ricorrente, in ossequio al principio di specificità del ricorso ex art. 366 c.p.c., ha trascritto l’atto con il quale il Comune ha accolto parzialmente il ricorso-reclamo, escludendo la tassazione del fabbricato per il periodo ottobre- dicembre 2016, atto che non viene localizzato nel giudizio di merito e di cui non vi è riscontro nella sentenza d’appello.
I giudici di prossimità avevano accolto parzialmente il ricorso della contribuente riconoscendo la debenza del tributo proprio per il periodo indicato nell’atto di accoglimento parziale emesso dall’ente locale( 9 ottobredicembre 2016) ed il Collegio d’appello ha statuito sulle ulteriori domande proposte in sede di impugnazione dalla medesima società che rivendicava il diritto alla detassazione per la maggior parte dell’anno, con esclusione di soli centosettanta giorni del 2016, senza riformare in peius la decisione di primo grado.
2.2.Inoltre, l’amministrazione comunale pur affermando genericamente di aver riproposto l’eccezione in merito alla natura dell’atto di a nnullamento parziale con le controdeduzioni in appello, ha omesso di trascriverne i passi salienti nel controricorso, sì da impedire a questa Corte di verificare se effettivamente la questione era stata riproposta, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 31 agosto 2007, n. 18440 ); tanto più che la sentenza d’appello non trascrive le allegazioni difensive che il Comune ha formulato in sede di gravame.
2.3. Deve, pertanto, ritenersi che la sentenza impugnata non ha riformato in peius la decisione di prime cure che, conformandosi al provvedimento di annullamento parziale ha statuito la
detassazione dell’albergo per il periodo 8 ottobre dicembre 2016, la quale dunque risulta res iudicata.
Parimenti, sotto altro profilo, il motivo di ricorso va disatteso perché per la prima volta nel giudizio di legittimità si afferma che l’inutilizzabilità della struttura dipendeva dalla esecuzione dei lavori e dalla conseguente chiusura della struttura che non solo risulta incoerente con le medesime affermazioni di parte ricorrente, riportate nella parte in fatto del ricorso, laddove si assume di aver comunicato l’entità delle superfici tassabili con le denunce di inizio e chiusura attività, ma soprattutto con quanto emerge dalla decisione impugnata nella parte in cui si accerta che . Le questioni sollevate risultano essere poste per la prima volta davanti questa Corte, non facendone menzione la sentenza impugnata (nella esposizione delle censure svolte dalla ricorrente ovvero nella trattazione delle medesime) e non specificando d’altro canto la società nel ricorso di averla fatta valere nei precedenti gradi di giudizio (v. al riguardo Cass. 32804/2019), per cui “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito
la censura stessa” (Cass. n. 20147/2021; Cass. n. 16502/2017, in motiv; Cass. n. 9138/2016). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; Cass. del 09/07/2013 n. 17041; Cass. n. 2033/2017; Cass. n. 25319/2017; Cass. n. 907/2018).
4.Quanto al profilo di censura secondo cui la sentenza d’appello si porrebbe in contrasto con la concreta impossibilità di produrre rifiuti durante il periodo di chiusura della struttura e con il disposto dell’art. 35 del regolamento comunale, si osserva quanto segue. 4.1.Con specifico riferimento alla quaestio iuris controversa, si è rilevato, per un verso, che le riduzioni di natura agevolativa di cui alla legge n. 147 del 2013, art. 1, comma 659, essendo meramente eventuali, sono subordinate ad un’esplicita previsione del regolamento comunale che ne condiziona l’an e il quantum (v. Cass., 19 agosto 2020, n. 17334 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 marzo 2023, n. 8858) e, per il restante, che nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, ai fini della esenzione dalla tassa non è sufficiente la sola denuncia di chiusura ma occorre allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura (così Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; v. Cass., 12 maggio 2021, n. 12624 e Cass. n. 16138/2024 con riferimento alla TARI).
4.2. Nella fattispecie non è controverso che l’Ente impositore abbia normato riduzioni tariffarie che afferiscono (anche) a «utenze non domestiche non stabilmente attive» (art. 33 del regolamento); alla
stregua, pertanto, dell’articolazione del motivo di ricorso va rilevato che alcuna censura viene proposta in relazione all’accertamento operato dal giudice del gravame in termini consentanei alla giurisprudenza della Corte -quanto, dunque, all’onere di allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura alberghiera in questione -di natura oggettiva, cioè riferita al locale o all’area che per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato risulti in condizioni di obiettiva inutilizzabilità nel corso dell’anno solare», e non, dunque, alla mera scelta soggettiva operata dal contribuente in ordine alla inutilizzazione del bene detenuto. La causa di esclusione dell’obbligo del tributo è integrata, difatti, dalle condizioni di obiettiva impossibilità di utilizzo dell’immobile, condizioni che non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso dipendente dalla volontà o dalle esigenze del tutto soggettive dell’utente, e neppure dal mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo – com’è evidente – le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; Cass., 21 gennaio 2013, n. 1332; Cass., 13 giugno 2012, n. 9633; Cass., 28 ottobre 2009, n. 22770; Cass., 12 agosto 2004, n. 15658). La mancata utilizzazione della struttura alberghiera per alcuni mesi dell’anno, dunque, non può di per sé corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2., (Cass. n. 9633 del 2012; Cass. n. 22770 del 2009), ben potendo lo stesso essere utilizzato per esigenze proprie del gestore o del personale. Se la struttura, come nel caso in esame, è dotata di licenza annuale, non è sufficiente la sola denuncia di chiusura per alcuni mesi senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura alberghiera, atteso che, ai fini dell’esenzione, la società contribuente avrebbe potuto richiedere la licenza stagionale. Si è, infatti, affermato, come sopra
precisato, che la tassa è dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla fruizione, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti. In definitiva, l’uso stagionale degli immobili non esclude la ricorrenza del presupposto impositivo, qual legato alla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 1; v., ex plurimis, Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459; con riferimento al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 66, Cass., 23 maggio 2019, n. 14037 cui adde Cass., 3 dicembre 2019, n. 31460).
5. Giova rammentare che l’art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993 indica come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, che non sono ravvisabili nel mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non corrispondendo alla obiettiva non utilizzabilità dell’immobile di cui alla disposizione in rassegna (Cfr Cass. n. 22576/2016; Cass. n. 9633 del 13/06/2012; Cass. 22770/09). Quindi, se la struttura è dotata di licenza annuale non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura, potendo richiedere la società, a tal fine, la licenza stagionale. La tassa è quindi, dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla concreta fruizione dell’immobile, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, con i limiti giù evidenziati che non ricorrono nella fattispecie. Occorre considerare, dunque, che parte contribuente deve adeguatamente provare di avere diritto ad esenzioni o riduzioni in ragione del carattere stagionale della attività sulla scorta delle previsioni regolamentari del Comune adottate in
relazione alla normativa vigente (art. 33 del Regolamento TARI; v. Cass. n.21181/2024).
Infine, non risulta pertinente il richiamo all’art. 35 del regolamento comunale che disciplina le ipotesi di cessazione dell’occupazione, la quale come già chiarito, non viene meno per il sol fatto di non esercitare l’attività alberghiera, ma rileva solo nell’ipotesi di effettiva inutilizzabilità del fabbricato ovvero nelle ipotesi di locazione o trasferimento dell’immobile tassato.
La seconda censura del ricorso Rg 2515/2024 reca il vizio di ; per avere il decidente statuito che il contribuente appellante non ha dato nessuna prova del proprio diritto ad ottenere la pretesa riduzione, come sarebbe stato suo onere fare. Si assume che i Giudici di appello non hanno correttamente valutato il valore delle apposite denunce di inizio e fine occupazione presentate nei termini previsti, ai sensi dell’art. 70 del D.lgs. n. 507/1993 e mai contestate, in cui sono state dichiarate sia la superficie occupata, utilizzata e soggetta a tassazione ai fini della TARI, sia la categoria, il periodo di occupazione e produzione di rifiuti, nonché la apposita richiesta di riduzione della TARI per il periodo di non occupazione e produzione rifiuti con la conseguente interruzione del servizio di raccolta.
Il motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
8.1. Va ricordato che, ai fini della ammissibilità del ricorso per cassazione, non è necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza, né la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, essendo necessario, invece, che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (cfr. Cass. Sez. 3, 29/08/2013, n. 19882; Cass. Sez. 1, 24/03/2006, n. 6671, Cas. n. 29539/2021).
8.2.Ciò posto, la società ricorrente non appare censurare nessuna norma di legge né precisare nel corpo del motivo quale vizio fra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c. abbia inteso far valere in questa sede. Il motivo presenta profili di inammissibilità conseguenti alla genericità ed alla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, in punto di indicazione delle norme violate.
8.3. Inoltre, la censura laddove propone il vizio cassatorio di cui al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c. si pone in netto contrasto con quanto statuito dai giudici distrettuali. Nella sentenza si legge, difatti, che la contribuente <>.
9.Il mezzo di ricorso in esame, inoltre, non coglie la ratio decidendi della sentenza che esclude la detassazione sulla base delle sole denunce, alla stregua dei consolidati principi di legittimità, rilevando che > (Sez. 5, Ordinanza n. 16993 del 2020).
9.1.La Corte di appello ha correttamente chiarito che la riduzione della superficie da parte della contribuente è stata giustificata da una diversa ridistribuzione dei locali del tutto irrilevante ai fini del calcolo della Tari, chiarendo che, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio e precisando che, nella fattispecie, l’appellante non ha dato nessuna prova del proprio diritto ad ottenere la pretesa riduzione, come sarebbe stato suo onere fare, in quanto siffatte esclusioni non sono automatiche, giacchè la norma succitata -ponendo una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area -dispone altresì che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità debbano essere dedotte dal contribuente o nella denuncia originaria o in quella in variazione, ed essere debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi rilevabili direttamente, o a mezzo di idonea documentazione.
10.Non consta, pertanto, neppure la predicata apparenza motivazionale, bensì un percorso argomentativo che ben lascia cogliere la ratio decidendi in merito alla irrilevanza delle denunce di inizio e chiusura attività ed agli oneri probatori gravanti sul contribuente che rivendica l’esenzione ovvero la riduzione tariffaria.
Il percorso argomentativo è comprensibile e intellegibile. Come chiarito ancor di recente da questa Corte, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro
probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. 3819 del 2020). È stato messo, inoltre, in evidenza dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016) che la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture, elementi non ravvisabili nella decisione impugnata.
10.1.In ogni caso, vale osservare che la denuncia di inizio attività che si presenta nel corso dell’anno non è equivalente alla denuncia che il contribuente deve presentare ai sensi dell’art. 70 d.lgs. n. 507/1993, anche se essa contiene una variazione della superficie tassabile, atteso che la denuncia per poter assumere rilevanza, ai sensi della summenzionata disposizione, avrebbe dovuto essere presentata prima dell’inizio dell’annualità di imposta 2016, individuando le superfici tassabili, quelle escluse, l’oggettiva inutilizzabilità dei locali non tassabili ovvero la loro destinazione alla produzione di rifiuti in prevalenza di natura speciale, il tutto allagata dalla necessaria documentazione inerente al l’autosmaltimento a mezzo ditte autorizzate.
Quanto alla del tutto nuova allegazione secondo la quale la società produceva rifiuti (urbani o speciali) auto smaltiti -che comunque se previamente denunciata e dimostrata avrebbe inciso solo sulla quota variabile della tariffa – si osserva che anche detto profilo del motivo in rassegna si palesa inammissibile, in quanto che presuppone la proposizione delle relative questioni già nella fase di merito, in primis, nel giudizio di prime cure. La questione sollevata risulta infatti essere posta per la prima volta davanti questa Corte,
non facendone menzione la sentenza impugnata (nella esposizione delle censure svolte dalla ricorrente ovvero nella trattazione delle medesime) e non specificando d’altro canto la società nel ricorso di averla fatta valere nei precedenti gradi di giudizio (v. al riguardo Cass. 32804/2019): essa è dunque inammissibile come chiarito dai precedenti di legittimità richiamati infra al parag. 3.
11. Segue il rigetto del ricorso iscritto al n. RG. 2515/2024; l’inammissibilità del ricorso iscritto al n. Rg. 3113/2019 per sopravvenuta carenza di interesse; in tal caso, trattandosi di una ipotesi di inammissibilità sopravvenuta, non ricorrono le condizioni per imporre al ricorrente il pagamento del c.d. ‘doppio contributo unificato’ ai sensi dell’art. 13 quater d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 31732 del 2018; Cass. 14782 del 2018).
Sussistono i presupposti, tenuto conto dell’esito di entrambi i giudizi riuniti, per compensare nella misura di un terzo le spese di entrambi i giudizi; la residua parte viene regolata secondo il criterio della soccombenza e liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
-Dispone la riunione del giudizio iscritto al n. Rg 2515/2014 al giudizio iscritto al n. Rg 3113/2019;
-dichiara l’inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso iscritto al n. RG 3113/2019;
-rigetta il ricorso iscritto al n. 2515/2024;
-condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, dei due terzi delle spese di entrambi i giudizi di legittimità che, compensate tra le parti nel residuo terzo, liquida nell’intero in € 4.500,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente nel giudizio n. 2515/2024, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione