Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25563 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25563 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5613/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
STUDIO ODONTOIATRICO ASSOCIATO COGNOME già Studio Odontoiatrico Associato dr. COGNOME COGNOME e d.ssa NOME COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore , nonché COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME Paolo, tutti rappresentati e difesi dall’avv. COGNOME Barbara
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL’EMILIA -ROMAGNA n. 2521/2018 depositata il 30 ottobre 2018
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 10 settembre 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Modena dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti dello Studio Odontoiatrico Associato dr. COGNOME NOME e d.ssa NOME COGNOME un avviso di accertamento relativo all’anno 2008 con il quale contestava alla predetta associazione professionale l’omessa dichiarazione di compensi per un importo complessivo di 318.708 euro, determinato con metodo analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973, operando le conseguenti riprese fiscali ai fini dell’IRAP e dell’IVA.
Il medesimo Ufficio imputava per trasparenza i maggiori redditi così ricostruiti, in proporzione alla rispettiva quota di partecipazione agli utili, agli associati NOME COGNOME e NOME COGNOME ai quali venivano notificati due ulteriori avvisi di accertamento ai fini dell’IRPEF.
Lo Studio Odontoiatrico e i dottori COGNOME e COGNOME impugnavano tali atti impositivi proponendo tre autonomi ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Modena.
Quest’ultima, riuniti i procedimenti, accoglieva solo in parte le ragioni addotte dai contribuenti, rideterminando in 167.729 euro l’ammontare dei maggiori redditi da recuperare a tassazione.
La decisione veniva appellata dalle parti private davanti alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, la quale, con sentenza n. 2521/2018 del 30 ottobre 2018, dichiarava nulli gli avvisi di accertamento per inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000.
Contro questa sentenza, notificata il 15 novembre 2018, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
Lo Studio Odontoiatrico Associato COGNOME COGNOME, già Studio Odontoiatrico Associato dr. COGNOME NOME e d.ssa NOME COGNOME nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso, eccependo, in via pregiudiziale, la tardività dell’avverso gravame.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
I controricorrenti hanno depositato sintetica memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000.
1.1 Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente dichiarato nulli gli avvisi di accertamento oggetto di causa, perchè notificati anteriormente alla scadenza del termine di sessanta giorni dall’avvenuto rilascio ai contribuenti di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
1.2 Viene, al riguardo, obiettato che la citata norma non poteva trovare applicazione, in quanto l’osservanza del termine dilatorio da essa stabilito non è richiesta nell’ipotesi, ricorrente nella specie, di accesso fiscale mirato all’acquisizione di documenti.
1.3 Si soggiunge che l’instaurazione del contraddittorio preventivo era stata comunque assicurata dall’Ufficio mediante la fissazione di una serie di incontri fra le parti e che occorreva pur sempre distinguere fra tributi «armonizzati» e tributi «non armonizzati», verificando se con riferimento ai primi fosse stata offerta dai contribuenti la cd. «prova di resistenza» richiesta dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.
1.4 L’esame della sollevata censura è precluso dalla tardività del ricorso, fondatamente eccepita «in limine litis» dai controricorrenti.
1.5 Rileva la Corte che la gravata sentenza è stata pubblicata il 30 ottobre 2018 e notificata all’Agenzia delle Entrate il 15 novembre del medesimo anno, come da essa stessa espressamente allegato e in ogni caso evincibile dalla copia autentica del provvedimento acquisita agli atti di causa, munita della relata di notifica.
1.6 Alla luce di ciò, il ricorso per cassazione avrebbe dovuto essere
proposto non oltre sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, ovvero entro il 14 gennaio 2019, giusta quanto stabilito dall’art. 325, comma 2, c.p.c., applicabile anche alle controversie tributarie in virtù del rinvio contenuto nell’art. 49 del D. Lgs. n. 546 del 1992 alle disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile.
1.7 Va, però, tenuto presente che, ai sensi del comma 11 dell’art. 6 del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del 2018, i termini di impugnazione relativi alle liti tributarie suscettibili di definizione agevolata secondo la disciplina dettata dallo stesso articolo erano da ritenersi sospesi per nove mesi, qualora scadenti fra la data di entrata in vigore del predetto decreto (24 ottobre 2018) e il 31 luglio 2019.
1.8 Considerato, quindi, che la presente vertenza rientrava fra quelle definibili in base al citato decreto-legge e che la data del 14 gennaio 2019 si collocava nell’arco temporale innanzi indicato, il «dies ad quem» del termine per impugnare doveva essere individuato nel 14 ottobre 2019.
1.9 Poiché, tuttavia, la notificazione del ricorso, eseguita a mezzo posta elettronica certificata, è avvenuta soltanto il 30 gennaio 2020, come attestato dalle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna depositate in atti, non può che dichiararsi l’inammissibilità dell’esperita impugnazione.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Non deve farsi luogo all’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, essendo l’Agenzia delle Entrate esentata, mediante il meccanismo della prenotazione a debito previsto in favore delle amministrazioni pubbliche ( arg. ex artt. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012, e 158, comma 1,
lettera a, del D.P.R. n. 115 del 2002), dal pagamento delle imposte e tasse gravanti sul processo (cfr. Cass. n. 4752/2025, Cass. n. 28204/2024, Cass. n. 27301/2016).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.800 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 10 settembre 2025.
La Presidente NOME COGNOME