Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17863 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17863 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi iscritti al n. 5844/2018 R.G. proposti da RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME di Patti, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente principale/controricorrente al ricorso incidentalecontro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente successiva-incidentale- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA TOSCANA n. 1760/2017 depositata il 10 luglio 2017
udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 6 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale NOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e di quello incidentale;
udito per la ricorrente principale l’avvocato NOME COGNOME per delega dell’avvocato NOME COGNOME e per la ricorrente successivaincidentale l’avvocato generale dello Stato NOME COGNOME e per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
All’esito dell’approfondimento delle indagini condotte dal Nucleo Operativo del Gruppo di Viareggio della Guardia di Finanza, la Direzione Provinciale di Lucca dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione un avviso di accertamento con il quale rettificava la dichiarazione dei redditi dalla stessa presentata per l’anno 2010, operando le conseguenti riprese fiscali ai fini dell’IRES e dell’IRAP.
La pretesa tributaria si fondava su due distinti rilievi, concernenti: (a)l’indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intrattenute dalla prefata società con la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE , imprese residenti in Hong Kong, territorio a regime fiscale privilegiato; (b)l’illegittima svalutazione delle rimanenze finali di esercizio.
Successivamente il precitato Ufficio notificava alla medesima E.CRAGIONE_SOCIALE in liquidazione altro avviso di accertamento relativo all’anno 2011, mediante il quale, sul presupposto dell’indebita svalutazione delle rimanenze finali da essa effettuata relativamente al precedente periodo d’imposta, riprendeva a tassazione la maggiore IVA dovuta sul più elevato corrispettivo presuntivamente conseguito dalla cessione delle merci di magazzino.
La contribuente impugnava entrambi gli avvisi proponendo due distinti ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, la quale, riuniti i procedimenti, accoglieva le sue richieste e
annullava gli atti impositivi.
La decisione veniva in sèguito parzialmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che con sentenza n. 1760/2017 del 10 luglio 2017, accoglieva l’appello dell’Amministrazione Finanziaria limitatamente al rilievo inerente alla svalutazione delle rimanenze di magazzino.
A sostegno della pronuncia adottata i giudici regionali osservavano che:
nella fattispecie di causa ricorrevano entrambe le condizioni alternativamente richieste dall’art. 110, comma 11, del TUIR per la deducibilità dei costi derivanti da operazioni commerciali concluse con imprese residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, costituite: (a)dallo svolgimento di un’effettiva attività commerciale da parte delle società estere da cui la contribuente aveva acquistato le merci oggetto delle contestate transazioni; (b)dalla sussistenza di un reale interesse economico sottostante alle operazioni e dalla loro concreta esecuzione;
per contro, la svalutazione delle rimanenze di magazzino non appariva giustificata da «adeguati riferimenti oggettivi» , come invece richiesto dal combinato disposto degli artt. 9, comma 3, e 92, comma 5, del TUIR e dai princìpi contabili; in particolare, non vi era un’ «adeguata rappresentazione contabile della riduzione di valore…, nonostante la portata ingente dell’intervento» , né poteva all’uopo ritenersi «idoneo il mero riferimento alla ‘svalutazione delle merci’» ; d’altro canto, anche i contratti di cessione conclusi dalla contribuente con la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE in prossimità o appena oltre l’ultimo mese dell’esercizio contabile «non appa (riva) no di per sé idonei a dar conto delle risultanze effettive dei prezzi correnti» .
Avverso tale sentenza la ERAGIONE_SOCIALE in liquidazione e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto due autonomi ricorsi per cassazione, notificati, rispettivamente, il 9 e il 15 febbraio 2018.
La contribuente ha inoltre resistito con controricorso al gravame esperito dalla controparte.
I ricorsi sono stati chiamati all’odierna pubblica udienza per la discussione orale.
Nel termine stabilito dal comma 1 dell’art. 378 c.p.c. il Pubblico Ministero ha depositato memoria, concludendo per l’accoglimento di entrambi i ricorsi.
Nel successivo termine di cui al comma 2 del citato articolo la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha depositato sintetica memoria illustrativa, con la quale ha chiesto di dichiarare l’interruzione del processo in conseguenza della sopravvenuta morte del suo liquidatore pro tempore.
MOTIVI DELLA DECISIONE
(A)Rilievi preliminari
Si impongono alcuni rilievi preliminari.
1.1 Anzitutto, non può essere accolta la richiesta di rinvio della trattazione della causa formulata in udienza dall’Avvocatura Generale dello Stato ai fini della produzione di una sentenza resa nell’àmbito di altra controversia tributaria «inter partes» .
Deve, al riguardo, rammentarsi che, ai sensi dell’art. 372, comma 1, c.p.c., nel giudizio di cassazione non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso.
Va, altresì, tenuto presente che, in base al comma 2 del medesimo articolo -nel testo vigente a sèguito delle modifiche apportate dall’art. 3, comma 27, lettera h), del D. Lgs. n. 149 del 2022, applicabile anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non fosse stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio-, lo stesso deposito dei documenti relativi all’ammissibilità, pur potendo avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, deve
comunque essere effettuato non oltre quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza camerale.
1.2 Deve essere, poi, disattesa l’istanza di interruzione del processo avanzata dal difensore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, dal momento che l’istituto di cui agli artt. 299 e seguenti c.p.c. non è applicabile al giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio (cfr. Cass. n. 17636/2024, Cass. n. 6642/2024, Cass. n. 30785/2023).
1.3 Occorre, infine, precisare che il ricorso per cassazione proposto dalla prefata società va qualificato come principale, essendo stato notificato prima di quello autonomamente introdotto dall’Agenzia delle Entrate, che va dunque considerato incidentale, pur non rivestendo la forma del controricorso prevista dall’art. 371, comma 1, c.p.c. (cfr., ex ceteris , Cass. n. 36057/2021, Cass. n. 27680/2021, Cass. n. 448/2020, Cass. n. 5695/2015).
(B)Illustrazione dei mezzi di impugnazione
(B1)Ricorso principale
1.4 Esauriti i rilievi preliminari, si procede qui di sèguito all’illustrazione dei mezzi di impugnazione.
1.5 Il ricorso principale è affidato a cinque motivi.
1.6 Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 92 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).
1.7 Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente affermato che la svalutazione delle rimanenze finali non può essere operata qualora le merci di magazzino siano state valutate a costi specifici.
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., sono nuovamente lamentate, sotto diverso profilo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 92 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).
2.1 Si imputa alla Commissione regionale di aver tralasciato di considerare che le rimanenze finali in discussione erano costituite
da beni fungibili (articoli di bigiotteria e vestiti per bambini) valutati in bilancio in applicazione del metodo della media ponderata di cui al comma 4 dell’art. 92 del TUIR, sicchè l’effettuata svalutazione delle merci doveva ritenersi corretta anche dal punto di vista fiscale, essendo tale norma espressamente richiamata dal successivo comma 5 del medesimo articolo.
Con il terzo mezzo, pure ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., si prospetta un preteso vizio di motivazione della sentenza impugnata.
3.1 Si ascrive ai giudici d’appello di aver contraddittoriamente argomentato sulla circostanza che le rimanenze di magazzino fossero state vendute e a prezzi di liquidazione a brevissima distanza di tempo dalla chiusura dell’esercizio in cui era stata contabilizzata la svalutazione, negando che da ciò potesse inferirsi che il valore normale dei beni era inferiore al loro costo di acquisto.
Con il quarto motivo, inquadrato nello schema dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 92, comma 5, del TUIR.
4.1 Si assume che l’impugnata pronuncia costituirebbe il frutto di un’inesatta interpretazione della citata norma sostanziale, non tenendo conto del fatto che essa , e che .
Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti.
5.1 Si sostiene che la CTR non avrebbe valutato le argomentazioni difensive svolte e le prove documentali offerte dalla contribuente al fine di dimostrare che l’operata svalutazione delle rimanenze di
magazzino era dovuta a ragioni di mercato, e più nello specifico che una parte considerevole della merce giacente (costituita da articoli di bigiotteria e capi di abbigliamento) era stata venduta a terzi a prezzi di liquidazione, mentre altri oggetti (bambole) avevano subìto un normale deprezzamento di valore.
(B2)Ricorso incidentale
Il ricorso incidentale è articolato in tre motivi.
6.1 Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 110, commi 10 e 11, del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).
6.2 Si censura l’impugnata sentenza per aver erroneamente ritenuto che il certificato di iscrizione della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE nel registro delle imprese di Hong Kong e la corrispondenza dalle stesse intrattenuta con la contribuente costituissero elementi idonei a provare che tali società avessero svolto un’effettiva attività commerciale nell’anno 2010.
6.3 Viene posto in evidenza che, ai fini della deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con società fornitrici residenti o localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non assumono rilievo dati meramente formali, quali quelli desumibili da una visura camerale attestante l’esistenza in vita della società o dallo scambio epistolare fra questa e l’impresa residente in Italia, dovendo, invece, risultare dimostrato il concreto esercizio, da parte dell’impresa estera, di un’attività commerciale rientrante nel novero di quelle contemplate dall’art. 2195 c.c.
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è lamentata la violazione dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 116 c.p.c..
7.1 Si argomenta che avrebbe errato la CTR nel ritenere che l’effettiva operatività della RAGIONE_SOCIALE potesse essere desunta anche dalla corrispondenza da essa intrattenuta con altra impresa residente in Italia, la RAGIONE_SOCIALE, riferibile a
un’operazione commerciale risalente all’anno 2005.
Con il terzo motivo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
c.p.c., sono nuovamente denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 110, commi 10 e 11, del D.P.R. n. 917 del
1986 (TUIR).
8.1 Si critica l’impugnata sentenza per aver a torto ritenuto che le contestate operazioni commerciali rispondessero a un effettivo interesse economico dell’impresa residente in Italia.
8.2 Viene rimarcato, sul punto, che la decisione in scrutinio si fonda , laddove il menzionato art. 110, comma 11, del TUIR .
(C)Esame dei motivi
(C1)Ricorso principale
Definito il «thema decidendum» , va osservato che il primo motivo del ricorso principale è inammissibile, in quanto non coglie l’effettiva «ratio» della sentenza impugnata.
9.1 La CTR si è deliberatamente astenuta dal prendere una specifica posizione sulla questione giuridica veicolata dalla censura in disamina, limitandosi a svolgere sul punto una fugace osservazione al più valevole come mero «obiter dictum» e incentrando il ragionamento decisorio sul rilievo della mancanza di prova delle condizioni richieste dalla legge per poter operare la svalutazione delle rimanenze finali ( «Anche ponendo in disparte la questione se il valore normale medio dei beni nell’ultimo mese dell’esercizio abbia riguardo solo ai beni valutati secondo criteri convenzionali come letteralmente sembrerebbe in base al comma 5- ovvero anche ai beni valutati in base al costo specifico , risulta nella specie decisivo il rilievo che la valutazione operata ai sensi del comma 5 dell’art. 92 risulta tutt’altro che supportata da
adeguati riferimenti oggettivi, come necessario ai sensi del combinato disposto degli artt. 92, comma 5, e 9, comma 3, TUIR, e dal richiamo ai princìpi contabili…» ).
9.2 La ricorrente prescinde dalla motivazione posta a base del «decisum» , con la quale omette di confrontarsi, sicchè la lagnanza non può trovare ingresso.
10. Il secondo e il terzo mezzo, sebbene entrambi dichiaratamente formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., devono essere correttamente ricondotti nell’alveo, rispettivamente, del n. 3) e del n. 4) del medesimo comma, essendo volti a far valere, il primo, un preteso «error in iudicando» commesso dalla CTR, il secondo una grave anomalia motivazionale della gravata pronuncia, e quindi un «error in procedendo» .
Tanto si evince dal contenuto sostanziale delle doglianze e dalla loro rubricazione «sub specie» di e di asseritamente derivante dalla manifesta illogicità e contraddittorietà della stessa.
10.1 Sovviene, sul tema, il consolidato orientamento di legittimità in virtù del quale l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del mezzo impugnatorio, qualora dall’articolazione della censura sia chiaramente individuabile il tipo di vizio prospettato (cfr., ex plurimis , Cass. n. 759/2025, Cass. n. 17842/2024, Cass. n. 5435/2024, Cass. n. 5195/2024, Cass. n. 3033/2024).
10.2 Così riqualificati, i due predetti motivi possono essere esaminati congiuntamente al quarto, in ragione dell’intrinseca connessione che avvince le tre censure.
10.3 I mezzi di gravame in trattazione appaiono meritevoli di accoglimento, nei termini che ci si accinge a illustrare.
10.4 Per una migliore intelligenza delle tematiche che essi pongono
è utile ricostruire brevemente i dati normativi di riferimento. 10.5 L’art. 92 del TUIR così dispone ai primi cinque commi:
«1. Le variazioni delle rimanenze finali dei beni indicati all’articolo 85, comma 1, lettere a) e b), rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell’esercizio. A tal fine le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’articolo 93 (riguardante -n.d.r.), sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono.
Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità.
Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità, valutate a norma del comma 2, costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente.
Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del «primo entrato, primo uscito» o con varianti di quello di cui al comma 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall’applicazione del metodo adottato.
Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo di cui al comma 1 è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore
normale. Per le valute estere si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio. Il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello stato patrimoniale per un valore superiore».
10.6 L’art. 9, comma 3, dello stesso testo unico stabilisce che:
«per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi»;
«per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso», mentre «per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore».
10.7 In sede di interpretazione del quadro normativo innanzi descritto, questa Corte, con sentenza n. 10773/2023, ha chiarito che, ai fini della valutazione delle rimanenze in chiusura di esercizio, il criterio di cui all’art. 92, comma 5, del TUIR non può essere applicato a beni diversi da quelli raggruppabili in categorie omogenee per natura e per valore ai sensi del comma 1 del medesimo articolo.
10.8 Per un più completo inquadramento della questione conviene riportare uno stralcio della motivazione del citato arresto (paragrafo 2.2.2): «In ragione del chiaro tenore letterale del comma 1 ( scilicet : dell’art. 92 del TUIR -n.d.r.) , la valutazione a fine esercizio delle rimanenze può essere effettuata in tre modi: o
secondo il criterio dei costi specifici, o a norma dell’art. 93 tuir, o, in relazione a beni raggruppabili ‘in categorie omogenee per natura e per valore’, ‘attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono’. Il comma 1 pone pertanto una generale regola di alternatività dei criteri di valutazione delle rimanenze, contrapponendo in particolare i beni la cui valutazione sia effettuata a costi specifici o a norma dell’art. 93 tuir agli altri, la cui caratteristica consiste nella raggruppabilità ‘in categorie omogenee per natura e per valore’: talchè, per questi ultimi, la valutazione può seguire i criteri dei costi specifici o dell’art. 93 tuir, ma può anche esser condotta attribuendo loro ‘un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono’, disposizioni che per l’effetto individuano il valore minimo inderogabile.
Sulla descritta griglia valutativa ammessa dal comma 1 si innesta il comma 5, che, come i commi 2, 3 e 4, riguarda unicamente i beni raggruppabili in categorie omogenee. La riprova si ha nel ‘catenaccio linguistico’ che avvince i commi 1 e 5 senza soluzione di continuità. Infatti, l’ultima parte del comma 1 pone, quanto ai beni raggruppabili in categorie omogenee, la regola del valore minimo inderogabile ‘determinato a norma delle disposizioni che seguono’, cioè quelle contenute nei commi dal secondo in avanti; a sua volta, il comma 5 individua in principio il proprio àmbito applicativo con esplicito riferimento ai commi da 2 a 4, sotto il profilo della peculiare ipotesi in cui ‘in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, (sia) superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio’. Donde, quando il comma 5 evoca ‘il valore minimo di cui al comma 1’, lo fa avuto riguardo unicamente ai beni raggruppabili in categorie omogenee, poichè solo a tali beni, ‘a priori’, si riferiscono i commi da 2 a 4.
Pertanto, in definitiva:
– avuto riguardo unicamente ai beni raggruppabili in categorie omogenee, il comma 5 consente bensì ‘anche’ la valutazione al valore normale, nondimeno, non già in generale, ma soltanto se essa sia inferiore a quella risultante dall’applicazione dei metodi di cui ai commi da 2 a 4 (sostanzialmente: LIFO, FIFO e media ponderata);
– avuto riguardo ai beni diversi da quelli raggruppabili in categorie omogenee, valgono esclusivamente i criteri dei costi specifici o dell’art. 93 tuir, senza cioè alternative, non testualmente previste, in specie in favore dell’applicazione del criterio, oltretutto in sè speciale per gli stessi beni raggruppabili in categorie omogenee, della valutazione al valore normale».
10.9 Ciò posto, va notato che nella presente fattispecie le rimanenze finali in contestazione erano costituite da beni fungibili, come si ricava anche dal passaggio motivazionale della sentenza impugnata (pag. 4, ultimo periodo) in cui viene sottolineato che nel p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza erano state «messe a confronto le risultanze delle rimanenze così come riportate a bilancio nell (o) stato patrimoniale e come emergenti dall’inventario (ove no riportate le rimanenze raggruppate per categorie omogenee, le quantità, il prezzo unitario e il valore complessivo)» .
10.10 Per la loro valutazione erano, quindi, utilizzabili, in alternativa ai criteri indicati nel comma 1 dell’art. 92 del TUIR (stima o ), i metodi contemplati dai commi da 2 a 4 dell’art. 92 del TUIR (LIFO, FIFO e media ponderata), nonché il parametro previsto dal comma 5 dello stesso articolo (valore normale medio dei beni nell’ultimo mese dell’esercizio), ove idoneo a determinare l’attribuzione ai beni di un valore inferiore a quello risultante dall’applicazione degli altri metodi.
10.11 Tanto premesso, si osserva che la CTR toscana, nel ribaltare la decisione assunta dai giudici di prime cure, ha ritenuto «nella
specie decisivo il rilievo che la valutazione operata ai sensi del comma 5 dell’art. 92 risulta tutt’altro che supportata da adeguati riferimenti oggettivi, come necessario ai sensi del combinato disposto degli artt. 92, comma 5, e 9, comma 3, TUIR, e dal richiamo ai princìpi contabili» .
10.12 Queste, in sintesi, e per quanto qui rileva, le ragioni del diverso opinamento del collegio di appello: «nel PVC da cui l’accertamento prende le mosse si evidenzia che non vi è adeguata rappresentazione contabile della riduzione di valore né note a tal fine esplicative, nonostante la portata ingente dell’intervento» ; -non «appare idoneo il mero riferimento alla ‘svalutazione delle merci’» ; -i «contratti di cessione cui fa riferimento il primo giudice », ovvero quelli conclusi dalla RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE , «non appaiono di per sé idonei a dare conto delle risultanze dei prezzi correnti, risultando semplicemente il prezzo di cessione di una pluralità di beni (contratto c n RAGIONE_SOCIALE)» ; -«una sì rilevante svalutazione delle rimanenze di magazzino avrebbe avuto bisogno di più rigorosi elementi di supporto e di una più consistente evidenziazione contabile, che rendesse esplicito e verificabile il percorso tecnico attraverso cui la valutazione del valore normale medio è stata effettuata» .
10.13 Al netto di una serie di asserzioni generiche e apodittiche, il percorso argomentativo della Commissione regionale si incentra, quindi, essenzialmente sulla reputata inidoneità dei contratti di vendita indicati dalla RAGIONE_SOCIALE a dimostrare il valore normale medio dei beni nell’ultimo mese dell’esercizio, ai fini dell’applicabilità della previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 92 del TUIR; e un simile giudizio si fonda in via esclusiva sulla considerazione che dai suddetti contratti «risulta… semplicemente il prezzo di cessione globale di pluralità di beni» .
10.14 Come, però, fondatamente obietta la ricorrente, la motivazione che sorregge «in parte qua» il «decisum» si rivela
manifestamente illogica, poichè la previsione di un corrispettivo globale e forfettario ben poteva risultare giustificata proprio dalla circostanza che i contratti in questione avessero ad oggetto beni fungibili venduti a prezzi di liquidazione.
10.15 Il grave vizio logico inficiante il ragionamento decisorio seguìto dalla CTR, oltre a tradursi in un’anomalia motivazionale della sentenza suscettibile di determinarne la nullità per violazione del cd. «minimo costituzionale» di cui all’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale (sull’argomento si vedano Cass. Sez. Un. nn. 8053-8054/2014 e le numerose successive pronunce conformi), finisce per incidere sulla corretta sussunzione della fattispecie di causa nella pertinente previsione normativa, sì da doversi ritenere configurabili anche i prospettati «errores in iudicando» .
10.16 Può, conclusivamente, affermarsi il seguente principio di diritto: «In tema di IRES, ai sensi dell’art. 92, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle imposte sui redditi), la valutazione delle rimanenze finali di esercizio costituite da beni raggruppabili in categorie omogenee per natura e per valore può essere effettuata, alternativamente, secondo il criterio dei costi specifici o a norma dell’art. 93 dello stesso decreto presidenziale oppure attribuendo a ciascun gruppo di beni un valore non inferiore a quello determinato in base alle disposizioni di cui ai successivi commi del medesimo art. 92, le quali individuano il valore minimo inderogabile. Nell’ipotesi in cui, in un o specifico esercizio, il valore unitario medio dei beni, quale risultante dall’applicazione dei metodi indicati dai commi da 2 a 4 -sostanzialmente: «ultimo entrato, primo uscito» («last in, first out» – LIFO), «primo entrato, primo uscito» («first in, first out» – FIFO) e media ponderata-, sia superiore a quello normale medio di essi nell’ultimo mese di quell’esercizio, il predetto valore minimo può anche essere determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni per tale valore normale» .
Il quinto motivo rimane assorbito dall’accoglimento dei tre appena scrutinati.
(C2)Ricorso incidentale
Completata la disamina dell’impugnazione principale, può ora passarsi allo scrutinio del ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate.
12.1 Contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, detto ricorso rispetta il requisito di ‘forma -contenuto’ di cui al combinato disposto degli artt. 366, comma 1, n. 3) e 371, comma 3, c.p.c., essendo in esso riassunti i fatti di causa nella misura necessaria e sufficiente a consentire alla Corte di comprendere l’evoluzione della vicenda processuale e di ricostruire il «thema decidendum» oggetto dei gradi di merito, secondo lo svolgersi delle diverse posizioni assunte dalle parti.
12.2 Fatta tale precisazione, giova ricordare che l’art. 110 del TUIR, nella versione vigente «ratione temporis» , così recita ai commi 10 e 11:
«10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168 -bis. Tale deduzione è ammessa per le operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Stati dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto.
Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione (…)».
12.3 Le surriportate previsioni sono state abrogate dall’art. 1,
comma 142, lettera a), della L. n. 208 del 2015 con effetto dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, giusta quanto stabilito dal comma 144 del medesimo articolo, e devono, pertanto, ritenersi applicabili alla fattispecie di causa, avente ad oggetto un avviso di accertamento ai fini dell’IRES e dell’IRAP relativo all’anno 2010.
12.4 Ciò posto, dal chiaro tenore letterale del comma 11 innanzi citato si ricava che la presunzione legale di indeducibilità dei costi ivi sancita è superabile dal contribuente che riesca a dimostrare, in via alternativa, lo svolgimento di un’attività commerciale effettiva da parte della società estera con la quale ha concluso l’operazione o la sussistenza di un reale interesse economico sottostante alla transazione (cfr. Cass. n. 8715/2020, Cass. n. 32634/2019, Cass. n. 8330/2016).
12.5 Alla stregua di un consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, per dimostrare l’effettivo svolgimento di un’attività commerciale occorre produrre l’atto di costituzione della società estera, il bilancio e il certificato di iscrizione presso il registro delle imprese, nonché, anche in base alla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 29/E del 23 maggio 2003, la copia del contratto in virtù del quale essa ha acquisito la disponibilità dell’immobile in cui esercita la propria attività, le fatture relative alle utenze elettriche e telefoniche, i contratti di lavoro dei dipendenti, gli estratti conto bancari e le autorizzazioni amministrative richieste (cfr. Cass. n. 34733/2024, Cass. n 13115/2024, Cass. n. 13147/2024, Cass. n. 32634/2019).
12.6 Quanto alla seconda condizione, rappresentata dalla prova dell’effettivo interesse economico sotteso all’operazione, è stato chiarito che deve a tal fine valutarsi la «bontà» del risultato imprenditoriale conseguito, tenendo conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, e in particolare, anche alla luce delle indicazioni contenute nell’art. 9 della circolare
dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 6 ottobre 2010: del prezzo stabilito negozialmente; degli eventuali costi accessori della fornitura; dei tempi di consegna; dell’esistenza di vincoli contrattuali che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore inserito nella «black list» o che comunque renderebbero eccessivamente onerosa quella con altro fornitore (cfr. Cass. n. 8226/2025, Cass. n. 7815/2025, Cass. n. 7690/2024, Cass. n. 32634/2019, Cass. n. 5264/2019).
12.7 Non si è poi mancato di puntualizzare che l’interesse economico in parola non può farsi coincidere con la sussistenza di un margine di utile fra il prezzo di acquisto della merce oggetto della transazione e quello di sua rivendita, poiché una simile circostanza non vale a qualificare diversamente il rapporto commerciale intercorso con un’impresa residente in Paese a fiscalità privilegiata, ma soltanto a verificare l’economicità in generale dell’operazione, all’uopo del tutto indifferente.
Deve, invece, trattarsi di un interesse specifico ad acquistare (o comunque a concludere l’operazione) in quel determinato Paese per la ricorrenza di fattori peculiari (legati, ad esempio, alla produzione locale) che devono essere evidenziati e dimostrati da parte di chi compie una simile scelta (cfr. Cass. n. 1973/2025, Cass. n. 1963/2025).
12.8 Nel caso in esame la CTR toscana ha ritenuto sussistenti entrambe le condizioni alternativamente previste dall’art. 110, comma 11, del TUIR, argomentando che:
(a)«e (ra) stata versata in atti documentazione attestante una sorta di iscrizione in registro imprese, la tenuta di una qualche documentazione annuale, fatture di acquisto dai fornitori cinesi, documentazione relativa all’acquisto di bambole dai fornitori esteri da parte della COGNOME» ; -«non pare (va) corretto qualificare questo insieme di risultanze come documentazione meramente formale, anche in considerazione della non esatta rappresentazione
di quale sarebbe l’ulteriore e più sostanziale documentazione rinvenibile, alla stregua della normativa vigente nello Stato estero» ;
(b)il reale interesse economico alla conclusione delle operazioni commerciali con i fornitori aventi sede in territorio a regime fiscale privilegiato era evincibile, oltre che dalla convenienza dei prezzi da loro offerti, dal «vantaggio di commercia (r) e con Hong Kong, piuttosto che con altri Stati asiatici di produzione, stante il più ampio impiego dalla lingua inglese e utilizzo di internet» .
12.9 L’Agenzia delle Entrate ha contestato entrambe le surriferite ragioni del decidere mediante tre motivi di impugnazione, dei quali i primi due investono la ratio» sub (a) e il terzo quella sub (b).
12.10 I primi due motivi possono essere, pertanto, scrutinati insieme perchè strettamente connessi.
12.11 Essi si rivelano fondati, dovendo qui darsi continuità al condiviso principio di diritto enunciato nel sottoparagrafo 12.5, secondo il quale la prova dello svolgimento in maniera prevalente di un’attività commerciale effettiva da parte di una società residente o localizzata in Stato o territorio a regime fiscale privilegiato non può essere offerta mediante la semplice produzione del certificato attestante la sua iscrizione nel registro delle imprese, né attraverso la dimostrazione dello scambio di corrispondenza da essa intrattenuto con l’impresa italiana cui abbia fornito merce, risultando a tal fine necessario acquisire ulteriore e più significativa documentazione (copia del contratto di acquisto della disponibilità dell’immobile in cui la fornitrice estera esercita la propria attività; fatture relative alle utenze elettriche e telefoniche; contratti di lavoro dei dipendenti; estratti conto bancari; autorizzazioni amministrative richieste).
12.12 Le considerazioni appena svolte valgono anche per il carteggio intercorso fra la prefata RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
13. Pure il terzo motivo è fondato.
13.1 La CTR ha ritenuto che le operazioni commerciali intrattenute dalla RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE rispondessero a un effettivo interesse economico, poiché «non pare (va) del tutto irragionevole il riferimento, oltre ai prezzi, (a) l vantaggio di commercia (r) e con Hong Kong, piuttosto che con altri Stati asiatici di produzione, stante il più ampio impiego della lingua inglese e utilizzo di internet» .
13.2 Fermo restando che l’effettivo interesse alla conclusione delle operazioni non può essere identificato nella mera convenienza del prezzo di fornitura della merce (come si è avuto modo di chiarire nei sottoparagrafi 12.6 e 12.7), va comunque notato che il collegio d’appello si è limitato a formulare sul punto affermazioni generiche e apodittiche ivi compresa quella incentrata sull’asserita maggiore difficoltà di intrattenere corrispondenza in lingua inglese o di utilizzare internet in transazioni con imprese residenti in Stati asiatici diversi da Hong Kong, del tutto prescindenti da un’analisi della fattispecie sottoposta al suo vaglio.
13.3 I giudici «a quibus» avrebbero dovuto apprezzare la portata complessiva dell’operazione commerciale (spese di intermediazione, trasporto, qualità della fornitura, tempistica della consegna), onde stabilire se la contribuente avesse effettivamente dimostrato la «bontà» del risultato imprenditoriale ottenuto, spiegando, inoltre, quali eventualmente fossero le ragioni che avevano impedito alla RAGIONE_SOCIALE di approvvigionarsi a uguali condizioni su mercati di Paesi omogenei (cfr., sull’argomento, Cass. n. 5398/2012, in motivazione, ripresa da Cass. n. 38048/2021).
13.4 Sussiste, dunque, anche l’ulteriore «error in iudicando» dedotto dalla difesa erariale, essendosi in presenza di una non corretta sussunzione della fattispecie concreta nell’astratto paradigma normativo di riferimento.
(D)Statuizioni conclusive
Tirando le fila del discorso fin qui condotto, devono essere accolti tanto il ricorso principale, nei limiti dianzi precisati, quanto quello incidentale.
14.1 Va, conseguentemente, disposta, sulle conformi conclusioni del Pubblico Ministero, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai princìpi di diritto sopra espressi e compiendo gli accertamenti necessari (artt. 383, comma 1, e 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992).
14.2 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità (artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e dichiara inammissibile il primo e assorbito il quinto; accoglie, inoltre, il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate; cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione