Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16916 Anno 2025
Oggetto: Tributi
ART. 2495 c.c.- Relatore: COGNOME NOME
estinzione società- successione dei soci nelle obbligazioni tributarie della società-
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16916 Anno 2025
Presidente: NOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 27318 del ruolo generale dell’anno 20 19, proposto
Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal Registro delle imprese il 7.11.2012 rappresentati e difesi dall’Avv.to NOME COGNOME giusta procura speciale
su foglio allegato al controricorso, elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 6121/07/2018, depositata in data 18 settembre 2018, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 aprile 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
FATTI DI CAUSA
L’ Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal Registro delle imprese il 7.11.2012 – avverso la sentenza n. 23759/26/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso proposto dai suddetti contribuenti avverso un avviso di accertamento societario, per il 2008, notificato, essendo stata cancellata la società nel 2012, ai suddetti contribuenti, nella qualità di ex soci.
In punto di diritto, la CTR – confermando la sentenza di prime cure – ha osservato che: 1) la cancellazione, nel 2012, di RAGIONE_SOCIALE dal registro delle imprese aveva prodotto l’estinzione della società ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c.; l’Ufficio non aveva dato prova in ordine ai presupposti della responsabilità dei soci con riguardo alla distribuzione dell’attivo in base al bilancio finale di liquidazione; 2) a prescindere dalla non attinenza all’Irap, era inapplicabile alla fattispecie l’istituto del raddoppio dei termini ex art. 43, comma 3, del DPR n. 600/73 atteso che nessuna notizia di reato era stata formulata nei confronti degli (ex) soci, riguardando il procedimento penale il legale rappresentante (COGNOME Simone) di RAGIONE_SOCIALE
3. NOME COGNOME e NOME COGNOME – in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE– resistono, con controricorso, illustrato con successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2495 c.c. e 36 del DPR n. 602/73, 65, comma 4, del d.P.R. n. 600/73 per avere la CTR confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento ‘intestato’ a società di capitali e notificato agli ex soci essendo stata quest’ultima cancellata nel 2012 ritenendo che alla cancellazione della società ne conseguisse l’estinzione e che i soci non potessero rispondere delle obbligazioni sociali non avendo l’Ufficio dato la prova della distribuzione dell’attivo in base al bilancio finale di liquidazione; ciò sebbene, a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese, l’atto (intestato alla società) fosse stato correttamente diretto agli ex soci quali successori della società ex art. 2495 c.c., senza essere la successione del socio nella posizione della società estinta subordinata alla ‘ precondizione ‘ della ripartizione in favore dello stesso di somme in sede di bilancio finale.
1.1.Il motivo è fondato.
1.2.Ai sensi dell’art. 2495 cod. civ. (nel testo, applicabile ratione temporis , risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la cui entrata in vigore come noto è fissata al 1° gennaio 2004), l’iscrizione della cancellazione di società di capitali nel registro delle imprese comporta l’estinzione della società, restando irrilevante l’eventuale esistenza di rapporti giuridici ancora pendenti. Come noto, le Sezioni Unite hanno riconosciuto alla norma «effetto espansivo» anche alle società di persone, di modo che anche per esse si produce l’effetto estintivo conseguente alla cancellazione, sebbene per queste ultime la relativa pubblicità conservi natura dichiarativa. E ciò anche per le cancellazioni che abbiano avuto luogo anteriormente alla data di entrata in vigore della nuova formulazione della norma, con effetto però in tal caso da quest’ultima data: 1° gennaio 2004 (v. Cass. Sez. U. 22/02/2010, n. 4062). Tale effetto deve, nel caso di specie,
riconoscersi prodotto in conseguenza dell’intervenuta cancellazione dal registro delle imprese della società di capitali di che trattasi in data 7 novembre 2012, prima della notifica (nel 2014) agli ex soci dell’avviso in questione emesso nei confronti della società medesima; va chiarito che, con riguardo all’effetto estintivo delle società (di persone e di capitali) conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese in base alla riforma del diritto societario attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che il successivo D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28, comma 4, in quanto recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa (neppure implicita) né efficacia retroattiva, sicché il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c.c., comma 2 -operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi -si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento), sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto D.Lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente” (Cass. sez. V, 6743/15, 7923/16, 8140/16; sez. 6- 5, 15648/15, 11100/17).
1.3.Ciò premesso, deve darsi seguito al consolidato orientamento per cui “nel processo tributario, l’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono (nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente) a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti “pendente societate”; ne discende che i soci peculiari successori della società subentrano ex art. 110 c.p.c. nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovvero a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, dovendo invece escludersi la legittimazione “ad causam” del liquidatore della società estinta il quale può
essere destinatario di un’autonoma azione risarcitoria ma non della pretesa attinente al debito sociale (da ultimo, Cass. sez. 6-5, n. 26299 del 2022; Cass., Sez. 5, Ord. n. 16362 del 30/07/2020; Cass., sez. 5, n. 3087 del 2022). Cass., Sez. Un., n. 6071/2013, specificamente resa in tema di società di capitali, ha evidenziato in motivazione che « lo scarno tessuto normativo cui s’ è fatto cenno non sembra autorizzare la conclusione che, con l’estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese si estinguano anche i debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo” sicch é ” è del tutto naturale immaginare che questi debiti si trasferiscano in capo a dei successori e che, pertanto, la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato art. 2495 implichi, per l’appunto, un meccanismo di tipo successorio, che tale è anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della società e la morte di una persona fisica. La ratio della norma dianzi citata, d’altronde, palesemente risiede proprio in questo: nell’intento d’impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest’ultimo del suo diritto. Ma questo risultato si realizza appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati».
1.4.Significativamente, le stesse Sezioni Unite n.6071/2013, prima citate, hanno affermato che « quando il debitore è un ente collettivo, non v’ è ragione per ritenere che la sua estinzione (…) non dia ugualmente luogo ad un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate , erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali. Nessun ingiustificato pregiudizio viene arrecato alle ragioni dei creditori, del resto, per il fatto che i soci di società di capitali rispondono solo nei limiti dell ‘ attivo loro distribuito all’esito della liquidazione. Infatti, se la società è stata cancellata senza distribuzione di attivo, ciò evidentemente vuol dire che vi sarebbe stata comunque incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti da soddisfare.
D’altro canto, alla tesi – pure in s é certamente plausibile – che limita il descritto meccanismo successorio all’ipotesi in cui i soci di società di capitali (o il socio accomandante della società in accomandita semplice) abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, ravvisandovi una condizione da cui dipenderebbe la possibilità di proseguire nei confronti di detti soci l’azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società (…), sembra da preferire quella che individua invece sempre nei soci coloro che son destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all’esito della liquidazione (..), fermo però restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità cui s’ è fatto cenno. Il successore che risponde solo intra v í res dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo ».
1.5.Intervenuta a comporre un contrasto giurisprudenziale in ordine alla configurazione o meno dell ‘ utile partecipazione alla distribuzione dell’attivo liquidato quale presupposto costitutivo della successione del socio e, in particolare, sulla questione se la condizione di cui all’art. 2495, co. 2^, cod.civ. sia da ricondurre nell’ambito dell’interesse ad agire del creditore sociale o della legittimazione processuale del socio, questa Corte, a sezioni unite, nella sentenza n. 3625 del 2025 ha statuito i seguenti principi di diritto: 1) nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazi one, di cui al 3^ (già 2^) co. dell’art. 2495 cod.civ., integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam
dei soci stessi; 2) questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai soci ex artt. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73 e 60 d.P.R. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fer mo restando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie; 3) la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa.
1.6.Nella sentenza impugnata, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi nell’annullare l’avviso in questione intestato alla società cancellata , nel 2012, e notificato (nel 2014) agli ex soci, ritenendo che, ai fini della configurazione della responsabilità per le obbligazioni societarie in capo ai soci, fosse necessaria la distribuzione nella specie non provata dall’Ufficio -dell’attivo in sede di liquidazione laddove, invece, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui al 3^ (già 2^) co. dell’art. 2495 cod.civ. integr ava soltanto una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 e 57 del d.P.R. n. 633/72, per avere la CTR ritenuto inutilizzabile nei confronti dei soci l’istituto del c.d. raddoppio dei termini atteso che il procedimento penale riguardava il
rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE sebbene l’avviso fosse quello societario e i soci rappresentassero i successori della società estinta, trovandosi nella medesima posizione di quest’ultima .
2.1. Il motivo è fondato nei termini di seguito indicati.
2.2. In termini generali va ricordato che i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’Iva, come modificati dall’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla L. 248 del 2006, nella versione applicabile ratione temporis , sono raddoppiati in presenza di ‘seri indizi di reato’ che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo: Cass. 13 settembre 2018, n. 22337), anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto. Tanto deriva non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. al c.c. (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27629; Cass. sez. 6-5, n. 33793 del 2019; Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21698).Inoltre, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della L. n. 208
del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass. 14 maggio 2018, n. 11620; Cass. sez. 6-5, n. 33793 del 2019; Cass. sez. 5, n. 16966 del 2024).
2.3.Posto quanto sopra, la CTR -con riguardo alla ripresa ai fini Ires e Iva – non ha fatto corretta applicazione dei superiori principi, laddove ha ritenuto inapplicabile il raddoppio dei termini atteso che ‘ nessuna notizia di reato era stata formulata nei confronti dei soci ‘, ‘ riguardando il procedimento penale il rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE ‘; ciò in quanto la sussistenza dei presupposti per l’operatività dell’istituto del raddoppio del termine con riguardo al debito fiscale della società (‘ il procedimento penale riguardava il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE ‘) si rifletteva sugli ex soci, nella qualità di successori per effetto della estinzione della società, cancellata dal registro delle imprese in data 7 novembre 2012 (v. nello stesso senso della operatività del raddoppio dei termini anche per i soci della società estinta, Cass. sez. 5 n. 29548/ 2021) . Diversamente, con riguardo all’Irap, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 d.P.R. n. 600/1973, non può trovare applicazione anche per tale imposta, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass., Sez. V, 13 gennaio 2021, n. 341; Cass., Sez. VI, 20 maggio 2020, n. 6668; Cass., Sez. VI, 9 marzo 2020, n. 6668; Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2020, n. 4742; Cass., Sez. VI, 3 maggio 2018, n. 10483).
3.In conclusione, vanno accolti il primo motivo di ricorso e il secondo nei termini di cui in motivazione, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione;
P.Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e il secondo nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione
delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione;
Così deciso in Roma il 10 aprile 2025